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“In Honduras c’è stato un colpo di stato il 28 giugno e da allora c’è un popolo che sta resistendo contro una situazione che noi non abbiamo voluto, ma nella quale ci hanno obbligato a vivere. La nostra è una resistenza pacifica. È un popolo che conta arrestati, feriti, morti, scomparsi. Le cifre ufficiali parlano di 18 morti, ma gli organismi internazionali in difesa dei diritti umani ne indicano 4 e sono coloro che hanno perso la vita durante le manifestazioni. Le altre sono morti extragiudiziali, che necessitano di indagini accurate. I feriti sono invece 300, da catene di metallo e pallottole. Abbiamo 3000 detenuti illegalmente e 39 persone in sciopero della fame per protesatare contro la detenzione scattata per aver difeso nell’Istituto agrario nazionale il proprio diritto alla titolazione delle terre. Dodici indigene lenca, alcuni minori, hanno ottenuto asilo politico nell’amabsciata guatemalteca. E c’è un popolo intero perseguitato in maniera costante. Le accuse principali sbandierate agli arrestati sono di non rispettare il coprifuoco o, per quelli del Frente, sedizione”.
Usa parole semplici e ben scandite Betty Matamoros, 47 anni, responsabile del settore internazionale del Frente contra el golpe en Honduras. La incontriamo nella sede di Mani Tese, a Milano, e con pacatezza ci accompagna nelle complesse pieghe delle politica, della società e delle leggi honduregne, con l’intento di spiegarci dove andrà il suo popolo, che affronta le pallottole armato di uova e fantasie di un migliore Honduras possibile.
“Vorrei spiegare cos’è il coprifuoco. In Honduras abbiamo garanzie individuali di protezione scritte nella Costituzione e un decreto firmato dal presidente golpista, Roberto Micheletti, ce le ha tolte. Questo significa che possiamo essere presi per strada o in casa e violentati nei nostri diritti. Questa sospensione non è solo per chi resiste, ma per tutto il popolo. Un’offesa per tutti”.
In Honduras, dunque, c’è una resistenza del tutto pacifica, nonostante i golpisti siano armati fino ai denti?
“In questo senso è necessario ripercorrere la storia del Centroamerica, dove sono tre i paesi che hanno subìto periodi di violenza armata che hanno lasciato sul terreno innumerevoli morti. Noi honduregni abbiamo imparato da queste esperienze dei paesi vicini che le armi non sono una soluzione, bensì organizzarci in maniera pacifica e agire in nome della non violenza. La resistenza di oggi è nata in trenta anni, sono trenta anni che stiamo forgiando questo movimento per affrontare i problemi della nostra regione. Per questo abbiamo invitato tutti a resistere pacificamente per chiedere cambiamenti reali e radicali. Abbiamo un paese pieno di diseguaglianze. L’ottanta percento vivono in povertà e di questo, il 35 vive con meno di un dollaro al giorno. Eppure il nostro paese è ricchissimo di risorse naturali, che però vengono godute da pochi. Così come la terra, la maggioranza è nelle mani di pochissimi e gli altri non hanno un pezzetto di terra da coltivare per sopravvivere. E’ l’insegnamento della storia che ci ha portato a una forma di resistenza pacifica e popolare che vuol dire al mondo che noi siamo capaci di resistere. Se avessimo iniziato una guerra civile, non staremmo, ora dopo tre mesi, ancora resistendo con un immenso appoggio popolare. Avremmo già i militari Usa nel paese.
Che ruolo hanno avuto e hanno, direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti nel golpe?
Un vincolo molto forte. La oligarchia economica Usa ha le mani in pasta in quanto è accaduto. Storicamente siamo il pollaio degli Usa e se viviamo in questa misera condizione è perché loro ci tengono in questa situazione. E adesso anche l’Unione europea vuole adottare il medesimo comportamento con i paesi centroamericani, negoziando un accordo di libero scambio simile al Cafta, tanto dannoso per i nostri popoli. Anche se raccontano che i due accordi commerciali sono distinti, la base che usano resta il Cafta. Parlano di tre punti: il dialogo politico, ma in occasione del golpe non hanno partecipato al dialogo politico; la cooperazione internazionale; e l’aspetto commerciale, ma tutto in un ottica di libero scambio.
E l’Alba, l’Alternativa bolivariana per le Americhe promossa da Hugo Chavez, invece?
Dopo l’entrata in vigore del Cafta e la presa di coscienza dei primi effetti negativi sul paese, i movimenti hanno fatto pressione sul governo affinché ricercasse un’alternativa. E quale migliore alternativa se non l’Alba? Quindi l’Honduras ha aderito. Noi crediamo fermamente nelle riforme sociali che l’Alba promuove. Certamente ha una parte commerciale, ma non è il libero commercio. E per questo continuiamo a pensare che l’Alba sia l’unica opzione per l’America latina. Ma per l’oligarchia economica questo ha voluto dire tornare indietro rispetto ai vantaggi ottenuti con il Cafta. L’Alba non permette che la gestione dei fondi sia data in mano ai privati. Non prevede intermediari. La gente ne attinge direttamente. E tutto ciò che nasce come idea di riforma del ruolo del popolo le oligarchie lo definiscono socialismo e entrano nel panico. E per questo hanno promosso una campagna che avverte che il comunismo sta avanzando in Honduras, con tanto di slogan: i comunisti mangiano i bambini! E come bloccare una tale campagna di disinformazione, se il novanta percento dei mass media è in mano loro? Questo è uno dei più grandi problemi che abbiamo nel paese, dato che gli unici due mezzi d’informazione indipendenti che avevamo sono stati chiusi dopo il golpe.
È appurato che il Movimento non si può esaurire nella definizione pro Zelaya, inquanto viene da molto più lontano e non si esaurisce nel sostenere un presidente. L’obiettivo è infatti ottenere un’assemblea costituente e una nuova magna charta che rifondi il paese ex novo.
L’idea di un’assemblea costituente in Honduras non è un’idea nata da Zelaya, ma è una richiesta che i movimenti sociali e popolari portano avanti dal 2005. Tutto è nato quando il Cafta ha messo in secondo piano la Costituzione in vigore violando i diritti del popolo. Quindi, lottiamo per un’assemblea che possa ribaltare quanto è scritto nel trattato di libero commercio. E c’è una legge secondaria, a cui ci appelliamo, e che venne promulgata da Zelaya quando divenne presidente, che codifica la partecipazione cittadina. L’art. 5 di questa legge dà la possibilità al presidente di ricevere dal basso proposte di consultazione da rimettere poi al popolo honduregno. E così che le 40mila firme per sollecitare una consultazione sull’assemblea costituente hanno raggiunto Zelaya. Che poi le ha fatte sue e ha iniziato a promuovere la questione. Questo è stato il suo passo falso: da allora l’oligarchia ha manipolato la vicenda, dicendo che Zelaya stava puntando a cambiare la Costituzione per rimanere al potere. Ma è assurdo.
Una tesi sposata dai principali media italiani, anche, come Corriere e Repubblica.
In realtà il 28 giugno si sarebbe chiesto al popolo se era d’accordo o meno a installare una quarta urna nelle elezioni del 29 novembre. La quarta urna sarebbe servita per raccogliere l’opinione popolare sul convocare o meno un’assemblea costituente. Se fosse stato sì, il tutto sarebbe passato nelle mani del Parlamento, quindi non era vincolante. Cosi, giuridicamente, non c’era nessun modo per cui Zelaya poteva restare in carica e lo aveva detto anche pubblicamente che non si sarebbe ripresentato. C’è di più, durante una riunione dell’Oea a Tegucigalpa Zelaya aveva addirittura firmato un documento in cui affermava che mai si sarebbe ricandidato, per questo l’Onu aveva inviato degli osservatori alla consultazione del 28 di giugno, che mai ebbe luogo perché quel giorno il presidente della Repubblica venne sequestrato. In alcuni seggi, in luoghi lontani dalla capitale, si votò perché la notizia del golpe tardò ad arrivare, ma dato che i golpistas dissero che tutti coloro che avrebbero continuato a parlare della consultazione sulla quarta urna erano penalmente perseguibili, non si è mai saputo il risultato di quelle poche schede.
Al di là di tutto, voglio precisare che il Frente non è zelaystas, rinunciamo volentieri a questo titolo, ma siamo convinti che almeno Mel abbia voltato almeno un po’ la testa verso il popolo. Per questo l’indignazione al golpe è stata così forte. Zelaya viene da un partito tradizionale, il partito liberale, ma ha teso almeno un dito della mano verso la gente povera.
E il popolo lo rispetta…
E lo rivuole al posto che gli spetta di diritto. La resistenza è grande, numerosa, oltre ogni aspettativa. E questo anche perché anche il più piccolo popolo del più piccolo paese del Centroamerica ormai ha internet e il cellulare, e sono strumenti che ci sono serviti molto per mobilitare, informare, bypassare la censura. In ogni più piccola comunità honduregna c’è una forma di resistenza al golpe, sempre pacifica. In alcuni dei più remoti villaggi l’unica maniera per resistere è tirando le uova contro i politici. Il problema è che in cambio ricevono le pallottole dalle loro guardie del corpo.
Ma non si arrendono, non ci arrendiamo fino al cambiamento. Ci sono forme di resistenza tutte nuove, fantasiose come la bullaranga, ossia la gente se ne va nei propri quartieri e sfida coprifuoco e militari facendo chiasso e fracasso, e le forze dell’ordine non hanno modo di azzittirli, perché resistiamo sotto l’egida dell’articolo 3 della Costituzione, che dice che non dobbiamo obbedienza agli usurpatori e che ci dà diritto a insorgere. E abbiamo preso alla lettera questo articolo. E siamo coscienti di aver danneggiato molto l’oligarchia economica.
Quindi il Fronte contro il colpo di stato è un entità complessa e variegata?
È un insieme di entità unitesi dopo il golpe. Comprende artisti, donne organizzate, intellettuali, il partito politico di Zelaya, i socialdemocratici, il partito di sinistra, indigeni, afrodiscendenti, e a livello nazionale abbiamo la Coordinazione nazionale di resistenza popolare, nata nel 2003 con l’obiettivo di dare un’agenda comune ai movimenti honduregni, e di cui fa parte anche la Centrale operaia. Una costruzione di lotta che viene da trent’anni di storia. Con il golpe, ci siamo visti obbligati a organizzarci. Il popolo ha superato ogni speranza di movimento popolare nella sua risposta alla resistenza. Ciò che abbiamo dovuto fare è stato riunire la forza spontanea riversatasi nelle strade non modo da coordinarla e non far sì che si disperdesse sotto i colpi dei golpisti. Il nostro primo obiettivo: ordine istituzionale e costituzionale. Secondo: l’assemblea costituente. Terzo: rafforzare le organizzazione in difesa dei diritti umani per punire chi ha violato i nostri diritti, per evitare che si dimentichi, che cadano impunite queste colpe, in modo che questa situazione non possa più ripetersi né in Honduras né in America Latina. Il nostro slogan è “Hanno paura di noi, perché non abbiamo paura”. Ci siamo assunti questo ruolo che ci ha consegnato la storia, per questo non abbiamo paura. Era importante uscire dall’Honduras per rompere l’isolamento mediatico internazionale e raccontare. Per questo sono qui. Per far si che i movimenti sociali che sostengono la resistenza honduregna continui a denunciare quel che accade e far pressione sui rispettivi governi, per evitare tutti insieme che i golpisti non restino impuniti.
Lunes 28 septiembre h. 11.30
He entregado la carta de la Red de Alerta Temprana y del Observatorio para la Protección de los Defensores de Derechos Humanos (programa conjunto OMCT/FIDH) al embajador.
Antes que todo cabe destacar que el encuentro se ha desarrollado en un clima de cooperación y escucha recíproca respecto a los temas abordados.
El embajador lejos del rol que estaba recubriendo me pareció humanamente interesado y preocupado respecto a los temas abordados, además que ya conocía el caso por mis comunicaciones precedentes. No obstante, él haya intentado defender como su rol requiría, el compromiso del gobierno hacia el respeto de los derechos humanos, ha sido bastante evidente la dificultad de hacer esto, ante los objeciones levantadas respecto al caso Paredes y al caso Rosendo Radilla, llevado en estos meses ante la Corte Interamericana de Defensa de Derechos Humanos. En el encuentro participó también la Sra. Laura Mora, primer secretario de asuntos políticos.
La Sra. Mora me dijo que ese asunto pone a ellos en muchas dificultades por lo que hace un año se habían comprometidos a comunicarme cualquier novedad en el caso que hubieran recibido por el gobierno comunicaciones pero ha pasado otro año sin que del Sr. Paredes se sepa algo.
Le he explicado que había pedido el encuentro como representante en Italia de la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos y que por lo tanto le iba a plantear unos pedidos acerca del caso Paredes y que sobre todo le iba a preguntar lo que el embajador hubiera podido hacer como representante diplomático en Italia.
Antes que todo le plantee el punto, como central, respecto al cierre del caso de la Comisión Nacional de Derechos Humanos sin que se hayan hecho las gestiones ante la Secretaría de Defensa Nacional (SEDENA) y el Centro de Investigación y Seguridad Nacional (CISEN). La Sra Mora se asombró que no sabía nada de eso y lamentó el hecho que haya sido yo quien les informó y no el mismo gobierno cuando se recomendaron de estar al tanto de todas las novedades del caso Paredes.
Concordaron conmigo que cerrar un caso sin hacer o mostrar públicamente las gestiones con SEDENA y SIDEN es un trabajo incompleto y no bien hecho y que eso viola los derechos humanos de los familiares de Francisco Paredes que tienen derecho a toda la documentación completa del caso.
Le comenté que eso era uno de los puntos centrales de la carta que le estaba entregando y que era motivo de preocupación para nosotros.
Además les expresé nuestra preocupación acerca del hecho de que se intente involucrar a Francisco Paredes con el EPR se deba a sus trascursos en los años ’70 en el MAR y esta a su vez, se relacione con la desaparición unos pocos meses antes, el 26 de mayo del 2207, de los dos militantes del EPR Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez. En ese caso también le hice notar a los dos funcionarios que la Comisión de Mediación constituida entre el Gobierno y el EPR por el momento ha puesto fin a las gestiones por las dificultades de que se abran interlocuciones con la SEDENA y CISEN, agregando que le parece raro a la misma Comisión que en ese caso, en donde es claro y testimoniado que el ejército mexicano haya participado en los hechos relacionados con la detención y desaparición de los dos eperredistas, la CNDH no haya dirigido la recomendación a la SEDENA y a al CISEN.
Le dije que esto acrecienta las dudas y las preocupaciones acerca de las gestiones ambiguas que la CNDH ha desarrollado también respecto al caso Paredes con las mismas SEDENA y CISEN.
Le manifesté la preocupación por las persecuciones y amenazas en contra de las hijas del Sr. Paredes, Cristina y Janahuy Paredes Lachino, hablándole de un hecho, del cual no tenían conocimiento, ocurrido en las oficinas de Extradiciones en la Procuraduría General de Justicia del Estado entre las hijas de Francisco Paredes Ruiz, y el Fiscal Luis Francisco López del día 22 de enero 2009. Le pedí por lo tanto che que ellas cesen de ser hostigadas y que sea claro que el Sr. Paredes se encontraba desarrollando actividades políticas y sociales lícitas dentro de los marcos legales como defensor de derechos humanos.
El embajador me habló del compromiso del gobierno en tratar de reformar el ejército en el sentido del respecto de los derechos humanos y de su compromiso en hacer de eso una fuerza profesional y responsable. Me contó las dificultades en ese sentido ya que, me explicó el ejército a diferencia de cuanto pasa en Europa no es visto por los jóvenes como una carrera sino como algo provisorio en la espera de hacer algo diferente. Me dijo que frecuentemente se enfrentan por ejemplo, en el caso de la lucha al narcotráfico, jóvenes por un lado y por el otro, (ejército y narcos) que ni siquiera alcanzan a los 2O/25 años. Y eso me dijo es un reto importante del gobierno.
Le señalé entonces que si el gobierno quisiera demostrar verdaderamente su compromiso con el respeto de los derechos humanos podría por ejemplo, respecto al caso de Rosendo Radilla desaparecido en 1974, en donde el Estado está siendo juzgado en estos meses por la Corte Interamericana de los Derechos Humanos, abrir los fascículos respecto a fechas y nombres de los responsables de ese crimen, ya que el Secretario de Gobernación Mont a la Corte Interamericana de Derechos Humanos dijo que el gobierno acepta la desaparición forzada de Rosendo Radilla . Le hablé además, de la incongruencia al no aceptar la competencia de la Corte por el mismo Secretario de Gobernación y que eso de hecho favorece la impunidad, un cáncer - le dije - de su país.
El embajador me pareció muy sensible a este tema y compartió conmigo preocupaciones cerca de eso, aunque me dijo, el Secretario de Gobernación actuó con esta postura sin poder hacer diversamente, porqué el Ejército, en un país en donde esa fuerza tiene una posición tan central tiene un rol estabilizador. Eso al fin es el grande problema de la impunidad en el país.
Además, me explicó que los mayores problemas al momento en México respecto a la impunidad se registran en la Policía Municipal, más difícil de controlar y que tiene plena libertad y controlo en territorios pequeños. El reto del gobierno en ese sentido es el de profesionalizar esa Policía, me dijo.
Otro tema central de nuestro encuentro ha sido el rol del Fuero Militar y del Ejército en la sociedad del país, respecto al cual le expresé nuestra preocupación cerca del hecho de que todavía crímenes cometidos por militares contra civiles siguen siendo juzgados por el Fuero Militar. El embajador coincidió perfectamente conmigo en este tema y le pedí por lo tanto que inste a que el Senado de la República levante la restricción a la Convención Interamericana sobre Desaparición Forzada de Personas sobre el Fuero Militar.
Además le pedí que fuera imperante al fin, que inste que el Congreso retome el proyecto de la Ley General sobre Desaparición Forzada de personas como demostración práctica de su compromiso por la defensa de los derechos humanos.
El embajador asumió el compromiso de enviar a su gobierno todos mis pedidos entre el día siguiente esperando me dijo “de tener una muy pronta respuesta, sea por poder contestar a ustedes que tanto hacen por esos casos, sea porqué sería una demostración práctica que el gobierno está haciendo verdaderamente algo por el respecto de los derechos humanos”.
Concordamos de quedarnos en contacto por el futuro.
Me parece importante destacar que la Sra. Mora me pidió si en otros países de Europa habían otros grupo de apoyo al caso u otras asociaciones que estaban tomando el caso, le dije que algo había. Esa pregunta es importante, demuestra que la presión internacional fuera de las fronteras nacionales puede hacer algo y que las representaciones diplomáticas le hacen caso a eso.
Annalisa Melandri
colaboradora Italia Limeddh
En Tegucigalpa, Giorgio Trucchi
Rel-UITA
23 de septiembre de 2009
Después del desalojo violento de los manifestantes el día de ayer, 22 de septiembre, el ejército y la policía hondureña continuaron con la represión en los barrios y aldeas de la capital y en todo el país. Miles de personas que continuaron manifestándose espontáneamente contra el golpe de Estado, fueron reprimidas y los hospitales se llenaron de heridos, de los cuales muchos tenían señales de tortura. Centenares de detenidos en todo el país, mientras en Tegucigalpa eran conducidos y amontonados en el estadio de béisbol “Chochi Sosa”, al mejor estilo de la noche oscura chilena.
Las organizaciones de derechos humanos siguen incesantemente su trabajo para la liberación de los detenidos, la asistencia a los heridos y la búsqueda de confirmación sobre los rumores de varios fallecidos.
El presidente Manuel Zelaya, encerrado en la embajada de Brasil en Tegucigalpa, denunció ante la comunidad internacional la brutalidad del régimen golpista y advirtió de un plan para “suicidarlo”. Los edificios cercanos a la embajada fueron desalojados y tomados por las fuerzas especiales de la Policía y el Ejército, mientras sigue la represalia contra las decenas de personas que permanecen al lado del presidente hondureño, con corte de agua potable, energía eléctrica y severas limitaciones al acceso de personas para la entrega de comida para los refugiados.
“Estamos siendo amenazados con que se van a tomar la mbajada de Brasil. Tengo informaciones de que existe un plan para asesinarme y ya tienen listo un médico forense para que declare que mi muerte fue un suicidio –dijo Zelaya durante una entrevista con Radio Globo–.
Si eso ocurriera tengan la plena seguridad de que no se trató de un suicidio, sino de una magnicidio, porque mi vocación es de resistir y luchar hasta el fin”.
El presidente Manuel Zelaya Rosales rechazó también la propuesta de diálogo presentada unos minutos antes por el gobierno de facto, en la que se acepta abrir una mesa de negociaciones, pero con las condiciones de que Zelaya renuncie a su pretensión de ser restituido en el cargo de presidente, reconozca de inmediato la validez del proceso electoral y acepte enfrentarse a las demandas judiciales formuladas en su contra por la Fiscalía.
En estas últimas horas la tensión en Honduras ha alcanzado un nivel nunca antes visto, y para tratar de analizar lo que está ocurriendo, Sirel conversó con Bertha Cáceres, directiva del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH) y miembro de la conducción colegiada del Frente Nacional Contra el Golpe de Estado.
–En menos de 24 horas se pasó de la euforia por el regreso del presidente Zelaya a la dura represión del Ejército y la Policía. ¿Cuál es tu opinión sobre lo que ocurrió ayer, 22 de septiembre?
–Condenamos esta nueva violación de los derechos humanos del pueblo hondureño. Muchos compañeros y compañeras fueron detenidos ilegalmente, acusados de sedición y llevado a centro ilegales de detención. Es una muestra más de lo que son capaces estos fascistas y su estructura económico-militar, y están demostrando su firme intención de mantenerse en el poder a través de una verdadera dictadura.
En los barrios y comunidades marginales de Tegucigalpa la gente ha resistido de manera enérgica a la represión y al proyecto de muerte del gobierno de facto, y esta resistencia se va profundizando cada día más.
–El presidente Zelaya por fin está en el país como pedía la gente y el mismo Frente Nacional Contra el Golpe de Estado, sin embargo el gobierno de facto ha demostrado de no querer ceder siquiera un sólo centímetro de su poder, y hasta se burla de la comunidad internacional. ¿Qué es lo que va a hacer ahora la Resistencia?
–Debemos estar concientes que no podemos subestimar a este enemigo del pueblo hondureño, porque en cualquier momento es capaz de clavar sus garras sin importarle las condenas a nivel nacional e internacional. Debemos generar nuevas estrategias sin perder esta fuerza movilizadora de masa que nos ha caracterizado en estos 87 días de lucha.
La resistencia ha demandado la restitución del presidente en su cargo y no sólo su regreso, así que falta mucho por hacer. Pedimos también respuestas mucho más contundentes a la comunidad internacional, porque hasta el momento su acción ha sido muy lenta, lo cual les ha permitido a los golpistas y a la dictadura reacomodarse en el poder y dilatar la solución de esta situación.
–Se habla de la posibilidad de una detención del presidente Zelaya a través de una acción violenta en la embajada de Brasil. ¿Sería un error para el gobierno de facto o le ayudaría a consolidarse en el poder?
–Sería un gran error porque generaría más convulsión, profundizaría la crisis y desataría una gran reacción en el pueblo. Además, sabemos que esta gente es capaz de estar planeando un magnicidio y por eso hemos dicho que la vida del presidente Zelaya y de sus acompañantes corre peligro. Ésto elevaría más la insurrección popular.
–La resistencia ha clasificado este régimen de dictatorial, aunque el gobierno de facto trata constantemente de presentarse como legítimo y democrático. ¿A qué sujeto se está enfrentando de verdad la población en resistencia?
–Es una dictadura estilo siglo XXI, que mantiene algunas características de las dictaduras de los años 70 y 80, y presenta nuevas estrategias para aparentar ser democrática. Sin embargo, nadie puede dudar de que se trate de una dictadura que presenta una estructura económica, política y militar que controla todos los poderes del Estado, y que tiene el objetivo de golpear los procesos emancipadores de nuestro continente.
Lo que nos debe preocupar es que se trata de una nueva tendencia que se puede repetir en cualquier momento, en cualquier país del continente, y es por eso que se vuelve fundamental acabar con ella.
–Estamos en un momento muy complicado y convulsionado. ¿Cuáles son los elementos necesarios para lograr restaurar la democracia y volver a emprender el camino hacia la emancipación del pueblo hondureño?
–Tenemos que profundizar la insurrección popular y la organización del pueblo sin subestimar a nuestro enemigo, presionar para que la comunidad internacional sea más contundente y cortar las fuentes de financiamiento que siguen abasteciendo a los golpistas.
Candidatura Independiente Popular a la Presidencia de la República
COMUNICADO 2
Los empresarios golpistas en su estrategia de legitimarse para profundizar el neoliberalismo y abortar la constituyente, califican el golpe de Estado del 28 de junio no como golpe de estado militar, sino como “sucesión constitucional” y lo hacen así, para poder realizar las elecciones del 29 de noviembre como si aquí no ha pasado nada. Con las elecciones pretenden no solo legitimar el golpe de Estado, sino garantizar la continuidad de los golpistas en el poder, sepultar la Constituyente y bajar el perfil de la Resistencia.
Si nuestra posición y la de la Comunidad Internacional es que ha habido un golpe de Estado, lo único que procede es reestablecer el Orden Constitucional reinstalando al Presidente Zelaya Rosales en su puesto; o, convocar a una constituyente que siente las bases para la refundación de la República, con representación mayoritaria de todos los Sectores Populares.
Para no caer en la estrategia y táctica de los golpistas la Candidatura Independiente Popular en su “COMUNICADO 1” del 14 de agosto 2009 sostuvo en su punto número 4: “que los candidatos no golpistas a todo nivel de elección popular se retiren del proceso electoral si se mantiene la dictadura”, en vista que el proceso electoral del 29 de noviembre es imposible de realizace por las siguientes razones:
- Por ser los militares quienes gobiernan. Ellos están en todas las instituciones, incluyendo el Tribunal Supremo Electoral (TSE) desde donde controlan el proceso. Un gobierno de facto y la presencia militar en sus decisiones no garantiza la juridicidad del proceso electoral
- Por la ilegalidad del Estado, su aislamiento político-financiero internacional y la oscuridad de la plataforma informática del proceso
- Por la negación a aceptar la premisa fundamental que NO hay legalidad sin restitución presidencial
- Porque no se puede ofrecer seguridad para el proceso electoral en un ambiente de odio y de intolerancia fomentado por el sistema de comunicación corporativo privado y publico. Los ciudadanos no podemos votar en condiciones de terror impuestas por el ejército, medios de comunicación y empresarios.
- Porque la transparencia en un ambiente en el que el gobierno de facto ha apostado a reciclar su gobierno espurio con las elecciones, es imposible. Todos los conspiradores, apuestan a las elecciones. Por eso los golpistas que falsifican firmas, asesinan, violan los derechos humanos y la Constitución, inflarán sus resultados para hacer creer al mundo que el pueblo votó masivamente, porque cree en sus instituciones.
Con el regreso del Presidente Zelaya, a Tegucigalpa, el régimen golpista en un acto de desesperación ha incrementado la represión generalizada contra el pueblo, además del acoso, atentado a los derechos humanos y amenazas permanentes contra el Mandatario y quienes lo acompañan en la Embajada de Brasil. Al mismo tiempo se está impulsando un dialogo, condenado al fracaso desde el momento que Micheletti ha declarado que no es para restituir al Presidente Zelaya sino para legitimar las elecciones.
Por lo tanto, la Candidatura Independiente Popular a la Presidencia de la República con Carlos H. Reyes, como presidente, Bertha Cáceres, Maribel Hernández y Carlos Amaya como designados, fija la siguiente posición:
1. Cualquier diálogo previo al proceso electoral de noviembre tiene que tener por premisa la restitución al Orden Constitucional sin condiciones y de inmediato. Un diálogo solamente para legitimar las elecciones sin volver al orden constitucional es una trampa.
2. El mejor espacio para resolver el fondo de esta crisis es en una Asamblea Nacional Constituyente que elabore una nueva Constitución que será un Pacto Social para salir del atraso y la dependencia.
3. Continuamos de manera urgente un proceso de análisis y consulta entre simpatizantes y estructuras organizativas para decidir el retiro de la Candidatura del proceso electoral de no haber restitución del Orden Constitucional porque para nosotros la Constitución NO es “pura babosada”.
4. Llamamos respetuosamente a los demás sectores políticos electorales antigolpistas a tomar en consideración esta posición.
Tegucigalpa, M.D.C. 28 de Septiembre de 2009
CARLOS H. REYES BERTHA CÁCERES MARIBEL HERNÁNDEZ CARLOS AMAYA
Guerra al terrorismo o nuovo maccartismo?
di Annalisa Melandri
Il 18 aprile scorso Hernando Calvo Ospina si trovava sul volo Air France n. 438 partito da Parigi e con destinazione Città del Messico, quando a cinque ore dall’arrivo il comandante dell’aereo informava i passeggeri che su disposizioni degli apparati di sicurezza del governo degli Stati Uniti non erano stati autorizzati a sorvolare lo spazio aereo di quel paese in quanto a bordo si trovava una persona non gradita per “motivi di sicurezza nazionale”. Praticamente un terrorista, secondo l’uso in voga del termine.
Dopo uno scalo tecnico in Martinica per il rifornimento di carburante, e soltanto dopo essere ripartiti da Fort de France, il sig. Calvo Ospina è stato informato dai membri dell’equipaggio che il “terrorista” sulla cui identità tutti i passeggeri del volo, egli compreso, si stavano interrogando, era proprio lui.
Una volta giunto a Città del Messico, dopo essere stato sottoposto al controllo della sua identità e ad un “interrogatorio”, nel corso del quale gli sono state poste domande sulla propria religione, sul possesso di eventuali armi e sui motivi del suo imminente viaggio in Nicaragua (l’asse del male, ricordate?) è stato lasciato andare.
Qualche mese dopo l’Air France si è comportata più gentilmente con il sig. Ospina. Poche ore prima di salire a bordo dell’aereo diretto a Cuba in partenza da Parigi, Ospina è stato avvisato telefonicamente dalla compagnia aerea che non poteva salire su quell’aereo poiché sorvolava i cieli statunitensi, in cambio la compagnia gli offriva un biglietto per Cuba via Madrid.
Chi è l’oggetto di tanta persecuzione? Giornalista e scrittore colombiano, collaboratore di Le Monde Diplomatique, Hernando Calvo Ospina da anni vive in Francia come rifugiato da dove continua a denunciare e scrivere sul terrorismo di Stato in Colombia, sui legami del governo con il paramilitarismo e sui crimini statunitensi in America latina e nel resto del mondo.
Quattro mesi più tardi la stessa traversia, identica nelle modalità, è capitata a Paul Emile Dupret. Stesso volo, AF348, diretto da Parigi a Città del Messico il 19 agosto di quest’anno. Paul Emile Dupret, cittadino belga, giurista e da anni consigliere del gruppo Sinistra Unitaria (GUE/NGL) del Parlamento Europeo, nonché attivista difensore dei diritti umani e altermondialista, si stava recando in Messico per partecipare alla XV assemblea del Foro di San Paolo.
Come avvenuto a Calvo Ospina, durante la traversata atlantica, Dupret è stato avvisato da un membro dell’equipaggio che il suo nome era presente sulla “lista nera” degli Stati Uniti e pertanto le autorità di quel paese rifiutavano di far passare quel volo sul proprio spazio aereo.
Dopo una lunga deviazione al largo della Florida, l’aereo con più di un’ora di ritardo è giunto a destinazione. Al ritorno il Sig. Dupret ha dovuto cambiare il biglietto, già prenotato da tempo, per una tratta verso Parigi via La Havana.
Ancora più incresciosa la vicenda capitata alcuni mesi fa alla signora Lourdes Contreras, moglie di Narciso Isa Conde membro della presidenza collettiva della Coordinadora Continental Bolivariana nonché noto dirigente comunista nel suo paese, la Repubblica Dominicana. Il 13 maggio di quest’anno la signora Contreras è su un volo diretto in Giamaica, dove deve partecipare ad un congresso internazionale come direttrice del Centro Studi di Genere dell’Istituto Tecnologico di Santo Domingo (Intec). Il volo atterra a Miami per uno scalo tecnico, una volta scesa a terra viene arrestata da agenti dell’Ufficio Migrazione e dopo un generico interrogatorio le viene cancellato il visto valido fino al 2016 e il giorno seguente viene rispedita in manette nella Repubblica Dominicana.
Lourdes Contreras, importante attivista per i diritti delle donne, stimata collaboratrice dell’Università Nazionale di Santo Domingo, per l’intelligence americana ha la colpa di essere da circa 40 anni moglie e compagna di vita e di lotta del rivoluzionario Narciso Isa Conde, accusato dalla Colombia di essere un fiancheggiatore delle FARC e che da tempo denuncia nel suo paese piani dei servizi segreti e del governo colombiano in combutta con la CIA per attentare alla sua vita.
Quanto accaduto a Hernando Calvo Ospina e a Paul Emile Dupret trova spiegazione nell’attività giornalistica di denuncia del primo e nell’ attivismo sociale e politico del secondo, invece ciò che è accaduto alla signora Lourdes Contreas è da mettere in relazione al fatto che suo marito, Narciso Isa Conde, è un “riconosciuto sostenitore di gruppi terroristici”, come riportato testualmente nel documento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti al quale la signora ha potuto accedere tramite il Ministero degli Esteri del suo paese e il Console Generale in Repubblica Dominicana. Nello stesso documento viene specificato che né lei né i suoi figli possono mettere più piede negli Stati Uniti.
Si può individuare pertanto in questo caso un inasprimento ulteriore dell’utilizzo delle misure di sicurezza statunitensi? Qui i divieti sono stati estesi anche alle relazioni familiari e addirittura viene resa esplicita la motivazione, se pur ambigua e generica, che ne è all’origine, diversamente da quanto è successo a Hernando Calvo Ospina e a Paul Emile Dupret che formalmente non sono stati mai informati sulla loro situazione da nessuna istituzione e per i quali i rispettivi governi non hanno mosso un dito per chiedere spiegazioni o per sostenerli nell’abuso subito.
Appare evidente quindi l’uso strumentale che viene fatto dell’11 settembre, della politica di sicurezza di George Bush e della “guerra al terrorismo”. E’ evidente l’uso strumentale della morte di circa 3000 cittadini americani a seguito dell’attacco alle due torri realizzato da un gruppo di integralisti islamici, per colpire in tutt’altra direzione.
Un solo punto in comune esiste fra le tre persone ed è probabilmente la denuncia che essi portano avanti in modi e forme diverse rispetto alle oscure vicende del potere in Colombia.
Ma è solo la Colombia? Oppure è qualcosa che riguarda anche il loro impegno portato avanti anche contro i grandi centri di potere economico e i loro crimini in America latina e nel resto del mondo?
Narciso Isa Conde, Paul Emile Dupret ed Hernando Calvo Ospina non sono terroristi, non appartengono ad organizzazioni terroriste e non sono mai stati arrestati per vicende legate al terrorismo. A che titolo sono stati inseriti nella lista nera del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti? Con quali accuse? Su quali fondamenti? Con quali prove soprattutto? Gli Stati Uniti lo hanno fatto per proteggere la propria sicurezza o piuttosto per rispondere ad interessi di altri?
Domande che aprono un caso di persecuzione politica. Siamo in presenza di un nuovo maccartismo?
Lo scrittore ed analista politico messicano Carlos Montemayor nel suo ultimo saggio La guerrilla recurrente (2007) scrive a proposito: “il terrorismo (dopo l’11 settembre) si converte ora per definizione dello stato e dell’esercito in un diffuso potere internazionale che contiene alcuni tratti del vecchio e preferito nemico degli Stati Uniti: il comunismo internazionale.… In questa lotta il governo del presidente Bush è riuscito a costruire uno strumento anche più potente di quello del vecchio Mc Carthy degli anni ’50: non più un maccartismo interno agli Stati Uniti, ma un maccartismo internazionale, con il quale ha chiuso tutte le possibilità di comprensione di alcuni processi sociali complessi in diverse zone del mondo”.
Una sorta di guerra fredda, osserva Montemayor, caratterizzata però dalla presenza di un solo protagonista che definisce le condizioni e inventa i fiancheggiatori dei suoi nemici di volta in volta, senza trovare nessun ostacolo dall’altra parte (perché non c’è).
Senza alcun ostacolo, coperti dal silenzio dei grandi mezzi di comunicazione, complice la subalternità delle istituzioni dell’Unione Europea che non ha fiatato di fronte a quanto accaduto a Paul Emile Dupret che pure lavora nel Parlamento Europeo da più di 18 anni, così come dei governi di Francia, Belgio e della Repubblica Dominicana. Nessuna condanna rivolta verso quella che è stata una evidente violazione del loro diritto a viaggiare.
Per chi conosce gli articoli di Calvo Ospina e le battaglie di Paul Emile Dupret così come la coerenza e l’impegno di Narciso Isa Conde per un’America latina libera da qualsivoglia imperialismo e soprattutto dall’ingerenza degli Stati Uniti, tutto allora appare più chiaro. La persecuzione è politica, prima ancora che giudiziaria e questo configura quanto accaduto come un caso di evidente violazione dei diritti umani.
Diritti umani che sono stati ridefiniti e riscritti arbitrariamente dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Se nella Dichiarazione Universale del 1948 si affermava esplicitamente che era necessario stabilire norme giuridiche che tutelassero le libertà ed i diritti degli uomini indipendentemente dalla loro razza, sesso, colore, lingua, religione e opinione politica è significativo che Gerge W. Bush nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti del 20 settembre 2001, nove giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle, ridefinisce i diritti umani cancellando “l’opinione politica” come fattore non discriminante. Afferma infatti (testualmente): “nessuno può essere segnalato, né maltrattato, né offeso verbalmente per la sua etnia e nemmeno per la sua fede religiosa”. L’ appartenenza a un pensiero politico, la militanza politica, le idee divengono dopo l’11 settembre, ancora una volta fattori discriminanti.
Dice George Bush qualche passo più avanti: “la nostra guerra contro il terrore comincia con Al Qaeda ma non finisce lì”.
Sono talmente indefiniti i limiti di quella “guerra al terrore” che si sta verificando il rischio, da molti segnalato dopo l’emanazione del USA Patriot Act, che potesse essere utilizzata realmente contro le battaglie per l’indipendenza dei popoli, contro le resistenze ai governi dittatoriali, calunniando come “terrorismo” ogni forma di legittima risposta armata al vero terrorismo di Stato che colpisce popolazioni inermi. La versione aggiornata di questa guerra si rivolge contro le migliaia di militanti e attivisti che percorrono i cieli e macinano chilometri del nostro pianeta per condividere, informare, importare ed esportare esperienze, solidarietà, sostegno e comunicazione fra realtà lontane e diverse fra loro che si nutrono di questo flusso costante di energie. “Questo equivale a sostituire ad ogni stato di diritto un potere fascistoide e un terrore infinito” scrive Narciso Isa Conde nel suo libro (Los halcones atacan – Estrategia E.U. en el siglo XXI y alternativa revolucionaria).
Interrogato sul possesso delle armi, Hernando Calvo Ospina risponde testualmente al poliziotto che ha di fronte : “la mia unica arma è scrivere, specialmente per denunciare il governo degli Stati Uniti che io considero veramente terrorista”. Il poliziotto guardandolo gli ha risposto: “quest’arma a volte è peggiore di bombe e fucili”.
L’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa, dove da ieri si trova Mel Zelaya dopo essere entrato nel paese in maniera assolutamente improvvisa e inaspettata, e’ sotto assedio. L’esercito golpista ha sparato sulla folla uccidendo due persone e sta sgomberando le case vicine in vista di un’ attacco alla sede diplomatica brasiliana.
In Italia tutto tace, la notizia non merita nemmeno una piccola nota nei tiggi’ serali e penso che in altri tempi, sicuramente migliori, ci sarebbero state tante manifestazioni spontanee sotto le ambasciate dell’Honduras in tutta Europa.
Forza Mel. Micheletti a la mierda…
Túpac Amaru en espera del alba
Entrevista a Víctor Polay Campos
Enterrados vivos desde hace muchos años por haber luchado contra una dictadura recientemente reconocida culpable de crímenes de Estado: son muchos ex guerrilleros del Mrta( Movimiento Revolucionario Túpac Amaru), organización que la Unión Europea, a pesar de la solicitud del gobierno peruano no ha incluido en la lista de los grupos terroristas. Hemos entrevistado por medio de sus abogados, ya que su régimen carcelario no lo permite de otra forma, al fundador y ex líder del Mrta, Víctor Polay Campos. Quien pide una campaña internacional por una solución política: “nuestra lucha era justa y no ha sido en vano. Pero el tiempo de las armas ha terminado en Perú y en una América Latina a la que hay que mirar con esperanza y optimismo”.
por
Marinella Correggia
Annalisa Melandri
il manifesto (Roma, Italia)
10/9/2009
Había una fiesta el 17 diciembre de 1997 en la residencia del embajador japonés en el Perú del dictador Alberto Fujimori, cuando catorce guerrilleros del Mrta (Movimiento revolucionario Túpac Amaru) encabezados por Néstor Cerpa Cartolini irrumpieron en el salón tomando como rehenes a los encumbrados invitados, contra quienes nunca usaron violencia. Los catorce emerretistas pedían la liberación de 400 presos políticos del Movimiento, desde años encerrados en las cárceles del país, al frío de los 4000 metros como en Yanamayo o en “celdas tumbas” como en la base naval del Callao, llamada la “Guantánamo peruana”, donde ya entonces estaba detenido el ideólogo y jefe político y militar del Mrta: Víctor Polay Campos.
La toma de la embajada terminó en una masacre. Después de cuatro meses de resistencia, ignorada por la política internacional aunque se desarrollaba ante los ojos del mundo entero y en el contexto de una América Latina en las tinieblas de las dictaduras o de los gobiernos neo liberales de derecha, todos los guerrilleros fueron ejecutados, luego de rendirse, en un blitz de las fuerzas armadas especiales de Perú el 22 abril de 1997. Hace doce años. Parece una eternidad. Mucho ha cambiado en América Latina, que vive nuevos amaneceres. En Perú no es así.
En el 2003 la “Comisión de la Verdad y la Reconciliación” ha evidenciado que la guerrilla de los Túpac Amaru se diferenciaba de la de Sendero Luminoso por “métodos y objetivos” por “reivindicar siempre sus acciones, por abstenerse de atacar a la población inerme y en algunas coyunturas dio muestras de estar abierta a negociaciones de paz”. El Mrta considerado por la misma Comisión responsable de apenas el 1,8% de las muertes y desapariciones de persona ocurridas bajo el conflicto armado entre los años 1980 y 2000 (contra el 54% de Sendero Luminoso y el 37% de las Fuerzas Armadas) ha luchado contra dos de los gobiernos más controvertidos de la historia del país.
Víctor Polay ahora de 58 años, ha pasado en la cárcel casi veinte años de su vida. Desde el 1993 se encuentra el la prisión militar del Callao. Antes condenado a cadena perpetua por un tribunal de “jueces sin rostro”, la sentencia fue luego cancelada por las presiones de las organizaciones internacionales de defensa de los derechos humanos. Un nuevo juicio “regular” en 2006 lo ha condenado a 32 años, luego elevados a 35 por la Corte Suprema en 2008; también a los demás integrantes de la cúpula del Mrta han sido elevadas las condenas. Por casi una década ha vivido en condiciones que la Cruz Roja Internacional ha definido “subhumanas”; según la denuncia presentada por su esposa ante la Corte interamericana de Derechos Humanos, ha sido detenido antes en gélidas celdas de montaña en donde la temperatura bajaba a los cero grados sin ropa adecuada, luego en celdas subterráneas con luz artificial por 23 horas y media por día, sometido a torturas y amenzas.
Todavía detenido en el Callao, Víctor Polay contesta a nuestras preguntas por medio de sus abogados. Una manera de quebrar el silencio que rodea su historia y la de sus compañeros. Y de lanzar a nivel internacional por lo menos una campaña para pedir el traslado de Víctor Polay y sus compañeros en una cárcel civil.
Recientemente la Unión Europea ha rechazado insertar el Mrta en la lista de las organizaciones terroristas cómo había pedido el gobierno peruano. Además el 7 abril de este año la Corte Suprema de Justicia de Perú ha condenado a Alberto Fujimori a 25 años de cárcel por haber cometido crímenes de Estado y violaciones de los derechos humanos. ¿Cómo comentas estas decisiones?
Existían pruebas contundentes e irrefutables sobre la participación de Fujimori en diferentes crímenes en donde fueron masacrados civiles inermes. Claro, solo fue juzgado por homicidio y no por terrorismo de Estado como debió ser. Sin embargo la Corte ha reconocido que existía una política general de guerra sucia, violatoria de los derechos humanos organizada y dirigida desde la máxima instancia del gobierno.
En cuanto a la Unión Europea hoy me parece irrelevante la calificación que puedan dar los organismos internacionales sobre el Mrta ya que éste no existe más como organización político-militar. La derecha del Perú hace un enorme escándalo porque la Unión Europea no considera necesario incorporarnos en la lista de organizaciones terroristas. Se quiere descalificar para siempre a quienes tuvieron la osadía de levantarse en armas contra el sistema injusto, porque consideran que es un mal ejemplo.
De hecho la Corte Suprema de Perú ha elevado las condenas a la cúpula del Mrta…
Existe en el país lo que yo llamaría el “populismo penal”, es decir mostrar que la protesta o conflictos sociales se resuelven con mayores penas. Esto no es gratuito, forma parte del arsenal ideológico del neoliberalismo que utiliza para estos fines la casi totalidad de los medios de comunicación.
Durante nuestro juicio y en particular en los días previos de la sentencia se discutió en los medios una avalancha de declaraciones, informes y artículos muy negativos contra nosotros que sin duda alguna influenciaron en la decisión de los jueces. Ellos tuvieron el terror de ser linchados mediáticamente. La pena máxima de 35 años se cumplió a través del ¡ay de los vencidos!.
Después de la caída de Fujimori, ¿usted y los demás presos políticos pudieron constatar una mejora de las condiciones carcelarias?
En forma paulatina se estuvo reduciendo el aislamiento interno entre los presos. Hoy se abren las puertas de las celdas individuales a las 9am. y se cierran a las 8pm; sin embargo aún se mantiene el aislamiento externo ya que las posibilidades de visitas son muy restringidas, solo están autorizadas las de los familiares directos. Yo solo recibo la visita de una hermana; mi madre está delicada y puede venir muy pocas veces y mi esposa e hijos viven como refugiados en Francia.
Además por el hecho de estar en un cuartel de la marina existen muchas restricciones. Y mientras se supone que todos los regímenes son progresivos, es decir conforme pasan los años se van obteniendo más beneficios, yo sigo prácticamente en la misma situación. Mi mundo está reducido a ver a mi hermana y 3 presos que están en la Base.
A la luz de la condena de Fujimori, ¿cree que el país esté listo para una amnistía para los presos políticos como usted y sus compañeros?
En los casi 200 años de la historia republicana, las amnistías han sido una forma de buscar la reconciliación de las personas después de una conflicto armado interno. Así fue con los insurrectos apristas de 1932 y 1948 y, luego con los guerrilleros de la década de los ’60. Ahora soy conciente que el problema es principalmente político y que se necesita una campaña muy fuerte para que la opinión pública nacional e internacional influya en una salida política. Pienso que ya ha llegado el momento de plantear este problema en el país porque estoy seguro de los que fuimos capaces de entregar nuestras vidas por un ideal de justicia, en las nuevas condiciones que vive el país podemos contribuir sin armas a la construcción de una sociedad solidaria y menos injusta, sin el uso de las armas. No basta la democracia formal y representativa, si no está acompañada de una democracia económica social y participativa.
Centenares de presos del ex Mrta que han salido en libertad, están rehaciendo su vida, resolviendo sus problemas de substistencia, estudios y familiares etc. No es facil volver a la vida normal después de 10 a 15 años de militancia. La reacción quisiera que regresaran con la cabeza gacha y se olvidaran de sus inquietudes sociales, pero esto es imposible para quien ha entregado su vida a un ideal. Además sabemos que el pueblo a pesar de todas las campañas de satanización contra nosotros tiene un respeto y cariño especial a los que combatieron consecuentemente y no se sometieron a la dictatura.
¿Y por la reintegracíon de los ex integrantes del Mrta en la vida política del país? Usted afirmó ante la Comisión de Verdad y Reconciliación que la lucha armada no es más una solución para resolver los problemas del pueblo.
Desgraciadamente muchas de las causas que dieron nacimiento a la insurgencia se mantienen . El crecimiento económico no ha traído un desarrollo social. El actual modelo neoliberal basado en la mano de obra barata, reprimarización de la economía y dirigido principalmente a la demanda externa sigue haciendo más ricos a los ricos, y mantiene en la exclusión a las mayorías nacionales.
La tarea de la hora es formar una fuerza social y política capaz de levantar un programa de transformacíon.
Hoy muchos ex miembros del Mrta, junto con nuevas generaciones de militantes se encuentran organizando el Movimiento Patria Libre que quiere participar en la lucha política y en las próximas elecciones del 2011. Lo único que pido es que no se les persiga, ni acose, como vienen haciendo, ya que las libertades democráticas no pueden ser discriminatorias. La democracia es para todos y todas
Desde El Callao, ¿qué esperanzas tiene usted en países cómo Bolivia, Venezuela, Ecuador, Cuba, que proponen al mundo otro modelo de organización social, de democracia, de justicia ecológica nacional e internacional, de vida por fin, un modelo en donde también los ideales y prácticas indígenas son tan importantes?
Gobiernos como ellos están demostrando que otro mundo es posible, junto a los trabajadores del campo, de la ciudad, los jóvenes, las mujeres, los pueblos indígenas, las minorías, los defensores del medio ambiente, los olvidados. Se han convertido en un referente que avanza impetuoso a la conquista de sus derechos históricos.
El Mrta trató de hablar al mundo desde Lima con la toma de la embajada japonesa entre diciembre de 1996 y abril de 1997. El mundo entonces no escuchó. ¿Usted cree que ahora sería diferente? ¿Y cuál sería el mensaje?
La condena a Fujimori ha demostrado que la insurgencia del Mrta era justa. Hoy daría un mensaje de optimismo y esperanza porque los peores años de la reacción han pasado, si vemos en el tiempo los años de la lucha no han sido en vano. Sus sueños siguen viviendo en los nuevos brazos que se alzan a lo largo del Perú y América Latina.
“Las ultimas palabras” è una canzone di Marcelo Coulon che utilizza come testo l’ultimo discorso fatto da Salvador Allende.
Ringrazio Stefano AbulQasim. per la segnalazione del video
Il trailer del documentario di prossima uscita che racconta il caso colombiano dei crimini di Stato noto come “falsos positivos”. Di Simone Bruno e Dado Carillo.
I “falsi positivi” sono vere e proprie esecuzioni extragiudiziali commesse dall’Esercito colombiano per giustificare in termini di numeri e cadaveri la lotta contro il terrorismo.