Il Tianguis culturale a Coyoacán, Città del Messico. Un mercato in resistenza

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Da più di un anno è  in resistenza e lotta pacifica il “Tianguis Cultural y Tradicional” , il caratteristico mercato dell’artigianato, meta di visitatori di ogni parte del paese e del mondo   che si trova a Coyocán,  in uno dei luoghi più caratteristici e importanti di  Città del Messico. “Cuore culturale della città” è stato infatti più volte definito questo quartiere  che  nato originariamente come base di Hernán Cortés durante e dopo l’assedio di Tenochtitlán,  venne assorbito via via dall’espansione della città.
 
Coyoacán, dove il palazzo di Cortés è ancora visitabile (al cui interno fu torturato l’imperatore Cuauhtémoc affinché rivelasse il nascondiglio del tesoro azteco e oggi sede del Municipio),  con le sue stradine strette e lastricate e le sue piazzette e giardini rappresenta ancora  l’anima bohemienne di Città del Messico. Qui nacque Frida Kalo e visse con Diego Rivera nella celebre Casa Azul, qui trovò rifugio e venne ucciso  Lev Trotsky, qui vissero centinaia di esiliati in fuga dalle dittature latinoamericane,  qui hanno vissuto e vivono tutt’ora decine di  intellettuali e artisti messicani.
 
Oggi il Tianguis, che non è solo mercato, bensì luogo dove fare musica, teatro, dove sviluppare diversi metodi di espressione in uno spazio aperto e libero, e che godeva ed esercitava  questo diritto da oltre 20 anni,   rischia di scomparire, confinato all’interno di un moderno “Bazar”, una sorta di supermercato dell’artigianato  al coperto e su due piani, situato  in una stradina poco lontano dai giardini Hidalgo e del Centenario  che da un quarto di secolo ormai ospitavano le oltre 500 famiglie di artigiani rappresentanti di diversi gruppi indigeni e realtà sociali di tutto il paese.
 
Mario Cadena Godínez e Federico Sandoval Alcantara, rappresentanti del Tianguis,  che abbiamo incontrato appena un mese fa a Città del Messico negli uffici della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani che li sta accompagnando in questa battaglia,  raccontano di un anno di lotta pacifica e organizzata, di resistenza resa ancora più difficile  dai lavori di idraulica e di pavimentazione delle piazze  che di fatto hanno dato il via allo sgombero e che erano propedeutici alla costruzione del bazar.
 
Raccontano di come non sono mai stati chiamati dalle autorità a partecipare al   progetto   e che di fatto questo è stato effettuato ed approvato senza averli consultati. “Abbiamo autorizzazioni e accordi con le autorità dal 1996, dal 1998 paghiamo regolarmente il suolo pubblico, i nostri permessi sono stati rinnovati trimestralmente, anno dopo anno…” spiegano.
 
“Siamo più di 500 gruppi artigianali e la nostra attività da lavoro a circa 500 famiglie. Tra i corsi di artigianato che realizziamo,  il mercato e la  produzione e la realizzazione del materiale, stiamo parlando di circa 7mila persone che lavorano in questo settore. Nel bazar appena c’è posto per 250 postazioni. Come faranno gli altri? Con che criterio verranno assegnati i posti? Di questo non se ne parla, né se ne è parlato per tutto il tempo in cui le trattative sono durate”.
 
Il quadro è desolante. Federico  spiega di come in realtà secondo lui questo progetto nasconda l’intenzione di far scomparire la loro realtà per sempre. In uno degli articoli del regolamento che  sono tenuti ad accettare è previsto per esempio che nel caso la loro postazione nel bazar registri un afflusso di visitatori  tale che si rallenti la circolazione delle persone nel corridoio, essi verranno multati per intralcio  alla libera circolazione. “E’ assurdo – dice – noi viviamo delle vendite e del commercio, ci multano se il nostro banco è affollato!”
 
Questo fa riflettere perchè la nuova politica di gestione dell’amministrazione di Città del Messico, in realtà risponde ad una tendenza  più generalizzata a livello mondiale nell’organizzazione delle grandi città, volta a dirigere il flusso turistico  verso percorsi più “globalizzati”  e dedicati prevalentemente  ad un’ utenza con risorse economiche più elevate, ma anche omologata nei gusti e nei bisogni.  In poche parole quello che si vuole ottenere è un turismo più ordinato, più adulto in termini di età e più economicamente conveniente. Un turismo non più attivo,  integrato con la città che scopre mano a mano  e le sue diverse espressioni,  ma sempre più “organizzato dall’alto” nei suoi percorsi stabiliti e sempre più spettatore passivo di ciò che gli si vuol far vedere.
 
Niente percorsi improvvisati nei quartieri da scoprire a caso, magari guidati da un suono che viene da lontano o da un odore o da un profumo di cucina tipica ma tracciati globalizzati per turisti tutti uguali.
Niente musicisti di strada ma anziani danarosi, niente giovani vagabondando tra bancarelle ma famigliole ordinate.
Niente spuntini improvvisati  magari consumati in piedi o a su una panchina, ma pasti rigorosamente seduti, nei locali per turisti possibilmente di impostazione statunitense o di proprietà delle grandi multinazionali del settore della  ristorazione.  E  infatti tutta la piazza di Coyoacan da tre anni a questa parte è invasa da punti vendita della catena di supermercati  7-Eleven   e recentemente è stato aperto, tra le proteste dei ristoratori locali un Burgher King.
 
Questo per  Coyoacán è stato il primo fine settimana  senza Tianguis. Da giovedì i giardini  erano praticamente vuoti,  presidiati da più di 500 poliziotti antisommossa per tenerli  liberi  dalle bancarelle degli artigiani.
 
Anche il  Bazar  Artiginale di Coyoacán   era vuoto, disertato in massa.
 
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P.S. Per coloro che si recano in visita a Città del Messico sarebbe importante passare per i giardini di Coyoacán per portare solidarietà direttamente ai compagni del Tianguis in lotta. A Città del Messico si può contattare anche la LIMEDDH direttamente, qui i recapiti.
Qui i video di Mario e Federico.


Caso Brad Will, la Procura Generale della Repubblica del Messico mente e viola la legge. In ballo i fondi del Plan Mérida.

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Brad Will

Il reporter freelance statunitense Brad Will, fu ucciso da un colpo di arma da fuoco il 27 ottobre 2006 mentre stava coprendo per Indymedia New York gli scontri tra la APPO, l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca e la Polizia Federale Preventiva nella cittadina messicana   durante la protesta (appoggiata  dalla quasi totalità della popolazione) organizzata dal sindacato dei maestri che chiedeva migliori condizioni di lavoro e salariali,  nonché le dimissioni del governatore dello Stato Ulises Ruiz Ortiz.
 
Sulla  morte di Brad Will la  Procura  Generale della Repubblica (PGR)  del Messico non è riuscita ancora, nonostante siano trascorsi ormai quasi tre anni,  a fare chiarezza.
 
Anzi. Sta assumendo proprio in questi giorni   toni sempre più accesi  la polemica sui risultati delle perizie condotte separatamente dalla PGR e dalla CNDH, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
 
Il 17 luglio scorso  infatti,   la Régia Polizia a cavallo canadese, su richiesta della PGR ha presentato una sua perizia nella quale conferma pienamente le tesi governative sulla morte di Brad Will, e cioè che il giovane sarebbe stato ucciso da alcuni simpatizzanti della APPO che in quel momento si trovavano molto vicini a lui.  
 
Mauricio Farah, rappresentante della CNDH che sta seguendo il caso, in una intervista di qualche giorno fa ha assunto posizioni molto dure contro la PGR, accusandola di aver richiesto la perizia canadese, (realizzata indipendentemente dalle autorità governative di quel paese) per risollevare il caso mediaticamente e per trovare appoggi esterni alle proprie accuse.
 
Proprio la CNDH aveva quasi un anno fa presentato la sua  perizia, emettendo contemporaneamente l’atto n. 50/2008 di avvertenza al governatore dello Stato di Oaxaca, al Procuratore Generale della Repubblica Eduardo Medina Mora e al Congresso, rispetto al  fatto che nelle indagini sulla morte di Brad Will c’erano state troppe irregolarità e che si stava di fatto favorendo l’impunità dei veri colpevoli. Erano stati richiesti inoltre alla PGR formali chiarimenti circa i risultati balistici discordanti. Chiarimenti mai arrivati. 
 
Farah ha dichiarato inoltre che non solo la  Procura sta mentendo sul caso Will,  ma  che sta anche violando apertamente la legge, avendo prima formulato un’ipotesi di colpevolezza (contro i simpatizzanti della APPO in questo caso) e poi creato una perizia per sostenerla.
 
Le indagini governative parlano di due colpi di pistola sparati a distanza molto  ravvicinata, (uno addirittura dopo che Brad Will era già stato soccorso),  e quindi probabilmente partiti  da un’arma dei simpatizzanti della APPO che in quei momenti concitati, testimoniati proprio dall’ultimo video del reporter, si trovavano vicino a lui.
 
La perizia della CNDH,  invece parla di due colpi quasi simultanei, partiti da una distanza molto maggiore, circa 35/50 metri, sparati probabilmente  dalle spalle di  un camioncino rosso che si trovava tra Brad Will  e alcuni uomini armati che facevano  fuoco sulla folla. Ciò sarebbe testimoniato anche da alcune tracce di vernice rossa trovate sul proiettile e dai danni fisici riscontrati sullo stesso, secondo uno studio balistico effettuato dall’associazione Medici per i Diritti Umani.
 
Circa due mesi dopo la morte del reporter, la polizia messicana arrestò con l’accusa di aver commesso l’omicidio   due uomini, Abel Santiago Zárate, consigliere del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), lo stesso del governatore Ulises Ruiz ‚ e la sua guardia del corpo. Altri due poliziotti e un paramilitare, latitanti, non vennero mai presi. Poco dopo anche i primi due furono rimessi in libertà.
 
Nell’ottobre del 2008 invece, sono stati arrestati Juan Manuel Martínez Moreno e Octavio Pérez Pérez e da parte delle autorità giudiziarie competenti sono stati emessi ordini di arresto per altre otto persone, tutti attivisti della APPO.
 
Amnesty International d’altra parte rende noto che lo stesso Congresso degli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato stanno effettuando proprie indagini sul caso, affermando che la richiesta di una ulteriore perizia presentata alla Polizia canadese è stata effettuata in concomitanza con l’approvazione dei fondi del Plan Mérida da destinarsi per la lotta al narcotraffico e al terrorismo in Messico e che come è noto sono vincolati al rispetto  dei diritti umani.
Veramente proprio una strana coincidenza.
 
P.S. Per solidarizzare con la campagna Giustizia per Brad Will, Libertà per Juan Manuel Martínez Moreno (cancellazione del Processo Penale n. 155/2008) per favore mandare i propri dati a:
Consejo Indígena Popular de Oaxaca “Ricardo Flores Magón”, CIPO-RFM:
ciporfmatyahoodotcomdotmx
Jóvenes en Resistencia Alternativa. JRA:
jovenesenresistenciaalternativaatyahoodotcomdotmx
 
 
 
 

Uribe al terzo mandato?

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Alvaro Uribe

Le smanie di Uribe per  essere rieletto per la terza volta
di Maurizo Matteuzzi
21 agosto 2008
 
Si vedrà ora quale sarà la reazione dei paesi democratici dell’occidente (America in testa), degli ultrà del liberalismo (alla Vargas Llosa) e dei media della sinistra super-light (tipo il madrileno El País o la nostrana Repubblica) sempre pronti a gridare al lupo quando si tratta di Chávez, di Morales o di Correa. Si vedrà presto cosa diranno di uno dei loro beniamini, il colombiano Álvaro Uribe, che sbava per essere rieletto nel 2010 per un terzo mandato consecutivo — che la costituzione proibisce — e restare altri 4 anni al palazzo Nariño di Bogotá. Naturalmente, anche lui, non per ambizione personale ma «per garantire la continuità della sua politica di sicurezza democratica». Che, facendo della Colombia il (praticamente unico) vassallo degli Stati uniti nel Cono sud — è solo di qualche giorno fa l’annuncio della concessione per 10 anni di ben 7 basi militari agli Usa per combattere «il narco-traffico e il terrorismo» — e facendone quello che Chávez ha definito «l’Israele dell’America latina» rispetto ai paesi dell’area, ha portato a qualche innegabile successo, come la liberazione di Ingrid Betancourt e l’uccisione di Raúl Reyes, il numero due delle Farc (molto indebolite).
L’altro ieri, in concomitanza con la notizia che il brasiliano Lula ha escluso per l’ennesima volta l’ipotesi di un terzo mandato nel 2010 (previa anche in Brasile la riforma della costituzione), il senato colombiano ha approvato il progetto di legge che convoca un referendum per approvare la riforma della costituzione e consentire il terzo mandato consecutivo. 56 i voti a favore, tutti provenienti dai 7 partiti della coalizione uribista, 2 i contrari, ma i senatori d’opposizione se ne erano andati per protesta contro quella che uno di loro, il liberale Juan Manuel Galán (figlio del candidato presidenziale assassinato nell’89), ha definito «il massacro della costituzione del ’91». Una costituzione peraltro già riformata da Uribe 5 anni fa — comprandosi i voti, come ha dimostrato la magistratura — per consentirgli un secondo mandato. Caustico anche il commento su Uribe di Gustavo Petro, leader del Polo Democático Alternativo (sinistra moderata): «In 8 anni non è stato capace di togliere lo Stato dalle mani delle mafie». In evidente riferimento alle «infiltrazioni» (eufemismo) dei para-militari — i grandi alleati di Uribe — nei gangli statali più vitali.
Finora Uribe faceva lo gnorri. Sembrava guardare da lontano le smanie dei suoi scudieri intenti a raccogliere le firme popolari necessarie per spingere il Congresso a votare la legge sul referendum (alla fine ne sono state raccolte più di 4 milioni). In maggio sembrava addirittura prendere le distanze: il terzo mandato «mi sembra sconveniente perché perpetua il presidente e sul piano personale perché non vorrei apparire come uno aggrappato al potere». Tutto fumo. Martedì la legge sarà alla Camera, dove dovrebbe passare. Poi l’ultima parola spetterà alla Corte costituzionale, dove potrebbe trovare qualche difficoltà. E alla fine, per essere valido, il referendum dovrà registrare un’affluenza di almeno il 25% dell’elettorato (7.4 milioni, molti).

La lunga corsa dei Mapuche

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Rayen KvyehDi Geraldina Colotti
LE MONDE diplomatique — Il Manifesto
Giugno 2009
«In Cile, la siriuazione dei mapuche peggiora,
la repressione continua – dice la poetessa Rayen
Kvyeh al manifesto –. Nonostante le promesse
della presidente Michelle Bachelet, si continua ad applicare
la legge antiterrorismo del dittatore Pinochet.
Per far condannare in quanto terroristi i mapuche che
si battono per il recupero delle proprie terre, vengono
prodotte prove inaccessibili alla difesa e testimoni falsi
che depongono mascherati, pagati anche 50 milioni di
pesos. Spese che figurano nel bilancio della Procura
della repubblica». Al Museo delle arti e tradizioni popolari
di Roma, dove l’abbiamo incontrata, Rayen
Kvyeh ha presentato la sua nuova raccolta, Luna di cenere,
a cura di Antonio Melis. «Dall’oriente/ le voci degli
avi mi chiamano,/ il sogno dei loro fuochi/ circola
nel mio sangue ribelle…» recita una poesia dal titolo
Araucaria prigioniera. Rayen elenca i nomi delle comunità
colpite dalla costruzione delle centrali idroelettriche
dell’impresa spagnola Endesa (ora gruppo Enel),
nell’alto Bio bio, canta la resistenza ambientalista dei
mapuche, la battaglia per il recupero dei loro territori
ancestrali. Nella precedente raccolta, Luna dei primi
germogli, il testo a fronte era in mapudungun, l’idioma
dei mapuche, indice di una riscossa indigena che si evidenzia
anche sul piano culturale. Questa volta, invece,
il testo a fronte è in spagnolo: «La riappropriazione
della propria lingua, negata dalla colonizzazione e dagli
stati coloniali – scrive Antonio Melis nella nota introduttiva
–, si accompagna alla capacità di piegare
anche la lingua del colonizzatore al proprio mondo
simbolico ed etico». Un corpo a corpo accompagnato
dal suono del kul kul (uno strumento a fiato mapuche
ricavato da un corno bovino) e scandito dal ritmo del
kultrun, il tamburo usato dalla sciamana nelle cerimonie
rituali di questo popolo fiero e antico.
I mapuche, ovvero gente della terra. Un milione
circa di persone che vive tra la parte centromeridionale
del Cile e la capitale Santiago (un numero di poco
inferiore è presente oltre la cordigliera delle Ande, in
Argentina), e abita da tempi lontanissimi
in quei territori. «Per
più di mille anni – spiega Rayen
– la Nación mapuche si è estesa
su quei territori ancestrali, che
anticamente andavano dal fiume
Itata e al Reloncavi, in Cile , alle
attuali province di Neunquen, la
Pampa e il Rio Negro in Argentina.
La totalità del territorio, diviso
in mapu, era il Wallmapu. I
mapuche erano dediti all’orticultura,
al taglio degli alberi, alla
caccia e alla pesca, lavoravano
la ceramica e intrecciavano
cesti, celebravano il culto della Mapu Nuke, la madre
terra. Erano particolarmente abili nell’arte militare».
Una risorsa che ha permesso loro di resistere nel corso
del tempo alle diverse invasioni coloniali: la seconda
avanzata degli incas, che occupano e unificano gran
parte dei territori andini per diversi milioni di chilometri,
viene fermata, nel 1485, sul fiume Maule, a sud del
Cile. Anche l’invasione spagnola, nel 1500, si scontra
con quel popolo che non accetta di essere sottomesso.
Pedro Valdivia, che guida la spedizione, viene ucciso
nel 1553 nella battaglia di Tucapel e successivamente
la corona spagnola deve riconoscere l’indipendenza
territoriale dei mapuche dal fiume Bio-Bio al fiume
Tolten, nel sud del Cile, firmando a più riprese 36 trattati.
L’ultimo, nel 1803. Con toni epico-lirici, nella raccolta
Luna dei primi germogli (sempre pubblicata da
Gorée) Rayen torna a quel quadro storico, celebra gli
eroi mapuche e le figure femminili
che resistono all’invasione
e all’assimilazione culturale:
Lautaro, Caupolican o Guaconda
agiscono in simbiosi con la
natura, indicano uno dei motivi
ricorrenti nella produzione poetica
dell’autrice: la difesa della
Madre terra e dell’ambiente
contro l’avanzata delle multinazionali.
«La storia, certo, – afferma
Rayen – si può interpretare
in maniera lineare, e allora
le cose hanno un inizio e una
fine, e in questo percorso, a
volte, si sono potuti giustificare
i massacri di intere comunità.
Per gli indigeni, invece,
la storia si interpreta
in modo ciclico, a spirale,
secondo i principi filosofici
della visione cosmica: la fine
è l’inizio della seconda
spirale e così via andando avanti nel tempo. Non c’erano
barbari da civilizzare, ma popoli con una propria
cultura che un “progresso” ai fini del profitto ha
cercato di sottomettere o ha spazzato via». Un progresso
che, nella sezione della raccolta intitolata Menzogne
moderne, diventa un albero dal tronco vuoto anche
se «i suoi rami moltiplicano biglietti verdi». Un albero
devastante come l’eucalipto, imposto nella regione
dalle imprese forestali, che – recita un’altra poesia
– «produce una polvere biancastra che soffoca il respiro
dei bambini» e quando piove s’impasta con l’acqua
lungo i sentieri. Un tempo, «il confine si tracciava
con una cunetta», i winka (i colonizzatori) «ne hanno
scavato una nuova/ poi hanno piantato i pini» per recintare
le comunità.
Nella guerra tra Spagna e Cile, la maggioranza dei
mapuche appoggiò la Spagna, ma soprattutto cercò di
difendere i propri territori e la propria autonomia. Dal
1881, quando lo stato cileno occupò militarmente la
Nación mapuche riducendola a una riserva che oggi è
divisa in piccole proprietà private improduttive, quel
popolo non ha chinato la testa. Durante il governo Allende,
si batté per ottenere una riforma agraria poi interrotta
e distrutta dalla dittatura militare. Dopo la sua
caduta, fu in prima fila nelle organizzazioni armate partigiane
GERALDINA COLOTTI
Anche Rayen, nata nella provincia cilena di Malleko,
ha conosciuto le prigioni di Pinochet e la tortura.
Ne è uscita viva e ha potuto riparare all’estero, ma nei
suoi libri e nelle pièces teatrali che ha scritto, ha ricordato
i tanti mapuche che si sono opposti alla dittatura,
morti combattendo o desaparecidos. In Luna di cenere,
quell’esperienza ritorna. Come scrive Antonio Melis,
dalla finestra della cella la prigioniera non scorge il cielo
promesso dai conquistatori, ma la divinità tutelare
femminile dei mapuche. Per arrivare alla luce, sale su
una pila di libri, si serve cioè della cultura per combattere
l’oppressione… Il termine Nacion mapuche, come
quello di nazione indigena, oggi indica la realtà geosociale
dei popoli che non hanno stato, ma il territorio
mapuche – che ancora viene denominato La Frontera
in ricordo dei tempi passati – è una sorta di zona liberata.
E gli ül, i canti che accompagnano i momenti più
importanti della vita del popolo mapuche, raccontano
una storia non riconciliata.
contro la dittatura.

John Perkins: Confessioni di un sicario economico

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Capito Ecuador. Qui il video.


La Continuación de la política de Bush en América Latina por parte de Obama es un grave error

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Por Mark Weisbrot 


Este artículo fue publicado por el New York Times Online y el International Herald Tribune el 12 de agosto de 2009. Si el texto a continuación aparece distorsionado, por favor pulse aquí para una versión sin errores de formato. Para ver la versión original en inglés, por favor pulse aquí.


Había grandes esperanzas en América Latina cuando el presidente Obama fue elegido. La posición de EE.UU. en la región había alcanzado un punto muy bajo durante el mandato de George W. Bush, y todos los gobiernos de izquierda del hemisferio se mostraban optimistas de que Obama tomaría una dirección diferente.

Estas esperanzas se han desvanecido. El Presidente Obama ha continuado las políticas de Bush y en algunos casos las ha empeorado.

El derrocamiento militar del democráticamente elegido Presidente de Honduras Mel Zelaya el 28 de junio se ha convertido en un claro ejemplo del fracaso de Obama en el hemisferio. Había indicios de que algo andaba mal en Washington desde el comienzo, cuando la primera declaración de la Casa Blanca ni siquiera criticó, y mucho menos condenó el golpe. Era la única declaración de un gobierno tomando una posición neutral. La Asamblea General de las Naciones Unidas y la Organización de Estados Americanos votó unánimemente por “el regreso incondicional e inmediato” del Presidente Zelaya.

Algunas declaraciones contradictorias emergieron de la Casa Blanca y del Departamento de Estado en los días siguientes, pero el viernes pasado el Departamento de Estado dejó en claro su “neutralidad” entre la dictadura y el presidente democráticamente electo de Honduras. En una carta dirigida al senador Richard Lugar, el Departamento de Estado dijo que “nuestra política y estrategia para la acción no se basa en el apoyo a cualquier político o persona”, y pareció culpar Presidente Zelaya por el golpe: “la insistencia del Presidente Zelaya en emprender acciones de provocación contribuyó a la polarización de la sociedad hondureña y condujo a un enfrentamiento que desencadenó los acontecimientos que llevaron a su expulsión. ”

Esta carta se divulgó en todos los medios de comunicación de  Honduras, los cuales están controlados por el gobierno golpista y sus partidarios, y una vez más los fortaleció políticamente. Los congresistas republicanos que han apoyado el golpe de inmediato cantaron victoria.

El lunes el Presidente Obama repitió su anterior declaración de que Zelaya debe retornar al poder. Pero para entonces ya no engañó a nadie.

Obama ha dicho que “no puede apretar un botón y de repente restablecer al Sr. Zelaya.” Pero él no ha accionado las palancas que tiene a su disposición, tales como la congelación de los activos en los EE.UU. pertenecientes a los líderes del gobierno golpista y sus partidarios, o la cancelación de sus visas. (El Departamento de Estado canceló cinco visados diplomáticos de miembros del gobierno golpista, pero ellos aún pueden entrar en los Estados Unidos con una visa normal — por lo que este gesto no tuvo ningún efecto).

Con individuos asociados a Clinton como Lanny Davis y Bennett Ratcliff ejecutando la estrategia para el gobierno golpista, el Pentágono procurando su base militar en Honduras, y los republicanos vinculados ideológicamente a los líderes del golpe, no debería sorprender que Washington esté más preocupado por la protección de sus amigos en la dictadura que por principios como la democracia o el cumplimiento de la ley.

Esto, sin embargo, no justifica la política de Obama ni la hace menos vergonzosa. Washington también ha mantenido un silencio revelador sobre las atrocidades y violaciones de los derechos humanos cometidas por la dictadura: el asesinato de al menos diez activistas de la oposición, la detención e intimidación de periodistas, el cierre de las estaciones de televisión y radio independientes, y otros abusos condenados por  Amnistía Internacional, Human Rights Watch y organizaciones de derechos humanos en todo el mundo.

Además de su fracaso en Honduras, la administración Obama provocó declaraciones públicas de preocupación la semana pasada provenientes de líderes como el Presidente Lula da Silva de Brasil y Michelle Bachelet de Chile — junto con otros presidentes — con su decisión de aumentar la presencia militar de los EE.UU. en siete bases en Colombia. Al parecer Washington no consultó con los gobiernos de América del Sur — excepto Colombia — antes de actuar. El pretexto para la expansión, como de costumbre, es la “guerra contra las drogas”. Sin embargo la legislación en el Congreso que financiaría esta expansión permite un papel mucho más amplio, no es de extrañar que América del Sur sospeche. Obama no ha revertido la decisión del Gobierno de Bush de reactivar la Cuarta Flota de la Armada de EE.UU. en el Caribe, por primera vez desde 1950 — una decisión que motivó preocupación en Brasil y otros países

El Presidente Obama también mantuvo las sanciones comerciales de la Administración Bush contra Bolivia, que se perciben en toda la región como una afrenta a la soberanía nacional de Bolivia.  Y también, a pesar del mundialmente famoso apretón de manos de Obama con el Presidente Chávez, el Departamento de Estado ha mantenido el mismo nivel de hostilidad hacia Venezuela — en su mayoría en forma de denuncias públicas — como el Presidente Bush hizo en sus últimos dos años.

Las políticas de Obama sólo han provocado reproches leves porque aun goza de su luna de miel, y porque él no es Bush, y porque la mayoría de los medios de comunicación lo sobrelleva. Pero está haciendo un daño grave a  las relaciones de Estados Unidos con América Latina, y a las perspectivas de democracia y progreso social en la región.


Rafael Correa inizia formalmente il suo secondo mandato

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In Ecuador il presidente Rafael  Correa dà inizio formale al suo secondo mandato dopo le elezioni dell’aprile scorso. Nella foto,  riceve proprio nella giornata Internazionale delle Popolazioni Indigene,  il bastone sacro del comando, un simbolo importante dei nativi andini. Ha promesso di governare altro quattri anni dando priorità “ai poveri, ai giovani e ai popoli ancestrali”. Nonostante le critiche di alcuni settori più radicali dei movimenti indigeni e sindacali del suo paese, può contare ancora con una popolarità superiore al 50%. Qui un interessante articolo (in spagnolo) sulle ragioni del suo successo.

Evo Morales y Rafael Correa

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Ecuador, 9 agosto 2009. Cerimonia della consegna del sacro bastone di comando indigeno in occasione dell’inizio formale del secondo mandato del presidente Rafael Correa

 


Entrevista esclusiva de Mario Casasús a Zoe Zelaya Castro, hija de Manuel Zelaya

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Zoe Zelaya Castro

L’amico giornalista Mario Casasús     ha intervistato in esclusiva per TeleSUR,  Zoe Zelaya Castro, la figlia del presidente legittimo dell’Honduras Manuel Zelaya:
 
TeleSUR _ 07/08/2009 Licenciada en Ciencias Jurídicas y Sociales por la Universidad Nacional Autónoma de Honduras; desde hace 4 años, y en un ejemplo de honestidad, Zoe Zelaya, hizo una pausa en su ejercicio de litigante: “en nuestro país el accionar de un abogado está íntimamente relacionado –de una u otra forma– con los Poderes del Estado y lo que quería evitar era que se mal interpretara cualquier acción mía, como una forma de injerencia o coacción por parte de la administración de mi padre”; al igual que su hermana Xiomara, Zoe trabajó ad honorem: “Los primeros 6 meses del gobierno del Presidente Zelaya, voluntariamente ayudé a mi madre en la organización de su despacho; creando y poniendo a funcionar una oficina para Atención Social y Gestión de Ayudas”     
 
MC.- En entrevista con teleSUR, Xiomara Castro y Xiomara Zelaya narraron las primeras horas después del golpe de Estado; usted ¿cómo vivió la angustia del 28 de junio?
 
ZZ.- Estaba junto a mi esposo y mi hija en nuestra casa, todavía dormidos, cuando nos despertó el sonido de los primeros impactos de bala y la llamada de mi hermana, informándonos que los militares estaban disparando afuera de la casa de mis padres, y que ella estaba allí al igual que mi padre. Vivimos relativamente cerca, y eso nos permitía escuchar cada detonación, con la angustia de no saber cómo estaban ocurriendo las cosas. Fueron minutos y segundos eternos, me dediqué cada instante de ese tiempo a realizar llamadas telefónicas para denunciar y poner en aviso lo que estaba sucediendo, después de la primera llamada de mi hermana, pensé que teníamos tiempo para evitar que se consumara el golpe de Estado, localizando algunos periodistas amigos y llamando al canal oficial, para que estos comenzaran a transmitir y se movilizaran hasta la residencia, llamé a pedir refuerzos a la Guardia Presidencial, llamé a la asistente de mi padre para que ella pusiera sobre aviso a los colaboradores, ministros y sectores sociales. Pero en una de las comunicaciones con mi hermana, me informó que ya los militares habían logrado ingresar y que ella estaba escondida dentro de la casa, le pregunté por mi papá y me dijo que no sabía, pero creía que también estaba escondido; todavía se escuchaban las detonaciones, fue el momento con mayor temor por la vida de ellos, junto a mi esposo nos pusimos de rodillas a pedirle a Dios por el bienestar de ellos. Aquí ya no se podía evitar nada y la única arma que teníamos era la denuncia internacional, así que procedí a llamar a nuestro Embajador acreditado ante la OEA, le pedí que avisaran al Embajador ante la ONU, al Departamento de Estado Americano y que comenzaran a llamar a la prensa Internacional, porque en los medios locales era imposible hacer las denuncias. 
 
“Hoy los pueblos del mundo tienen un llamado ineludible, y es el de adoptar medidas fuertes, para garantizar la estabilidad democrática de los países, hoy los líderes mundiales deben actuar con energía condenando a los homicidas del régimen de facto. Sólo el pueblo por la vía de participación directa en una urna, puede y tiene el derecho a nombrar a sus autoridades, no existe ni debe existir en una República democrática y representativa, manera alguna de suplantar la voluntad del Soberano”
“Pasaron unos minutos cuando escuchamos sobrevolar un avión, ingenuamente pensamos que la Guardia de Honor había logrado rescatar al Presidente y ponerlo a salvo. En ese mismo instante vinieron miembros de la Guardia de Honor a mi casa a pedirnos que nos movilizáramos a un lugar seguro, que no frecuentáramos, y que ellos nos escoltarían. Así que salimos de nuestra casa, con algunas cosas esenciales y decidimos trasladarnos a una Embajada”
 
“Poco después recibimos una llamada informándonos que el Presidente había sido trasladado, por las Fuerzas Armadas, hasta Costa Rica y que se encontraba bien. Esto fue un gran alivio como hija, aunque sabíamos el terrible golpe que esto significaba para Honduras, como hermana mayor todavía tenía la angustia de mis hermanos, ya que todos estábamos separados y sin mis padres tenía que velar porque ellos estuvieran seguros. Fue difícil saber sus ubicaciones, ya que no las podíamos revelar vía teléfono. Hasta por la noche, logramos con mi hermano Héctor, coordinar movilización a lugares resguardados de cada uno de ellos”
 
MC.- Su familia ha recibido toda la solidaridad del pueblo hondureño, ¿a qué atribuye ese cariño y respeto?
 
ZZ.- En nuestro país el 60% de la población vive en situación de extrema pobreza, sin oportunidades para satisfacer las necesidades básicas de alimentación, salud y educación; el Presidente y la Primera Dama han dedicado cada día de su gobierno a atender a este sector de la población. Entre los logros obtenidos durante 3 años y medio, puedo apuntar algunos: Por primera vez las personas en extrema pobreza fueron identificadas con nombre y apellido en un mapa de pobreza, y fueron atendidos directamente, llevándoles hasta sus comunidades salud, educación, acceso al agua, luz, carreteras y capacitándolos para la obtención de financiamiento y creación de microempresas. Lograron un cambio en la fórmula que se aplicaba en los combustibles, permitiendo una rebaja del precio para el consumidor final; el Presidente Zelaya aumentó el salario mínimo, que anteriormente era aproximadamente, de $40.00USD a $289.00USD mensuales; apoyó con financiamiento blando a los productores agrícolas y con la titulación de tierras; en el ámbito educativo fortaleció la merienda escolar y la matricula gratis para los niños y jóvenes en las Escuelas y Colegios. Entre otras cosas, fue la actitud de apertura y cercanía al pueblo, como nunca antes de un Presidente de Honduras, todo esto contribuye al cariño demostrado por el pueblo hondureño y su alto sentido democrático que reconoce como único Presidente al que eligió por medio del ejercicio del sufragio. Creo a la vez, que el pueblo hondureño, me refiero a esa mayoría al que nunca se escucha, el que está callado en una comunidad lejana, cultivando las tierras o luchando día a día en el olvido y con las iniquidades provocadas por un sistema injusto, fue el pueblo quien realmente entendió la propuesta del Presidente Zelaya y vio en ella una forma de tener una opción de verdadera participación en las decisiones importantes del país, hoy al pueblo le están vulnerando este derecho, y por eso se manifiestan en las calles. 
 
MC.- El Presidente Zelaya preguntó a los golpistas: “¿Qué delito comete mi familia al venir a reunirse conmigo, que soy padre de mis hijos y el esposo que está esperando abrazarse con su esposa y su madre?”; usted estaba ahí, a unos metros de Ocotal (Nicaragua), ¿qué explicación tendría esta sinrazón?
 
ZZ.- Nosotros nos trasladamos hasta El Paraíso con la ilusión y bajo la promesa de poder ver a nuestro padre, motivados sobre todo por mi pequeña hija de 4 años quien era la más feliz de poder ver a su abuelo, gozando de la libertad constitucional a la que ahora sólo teníamos derecho bajo una “supuesta” orden judicial, pero para una nueva sorpresa, es que al transcurrir la tarde nos informaron que los militares sólo nos permitían a la familia cruzar la frontera, sin todas las personas que nos acompañaban. Esto después de todo lo que hemos vivido en este último mes, nos hizo desconfiar sobre cuál era el verdadero objetivo de los militares, ¿por qué no permitirnos ir junto a la gente que nos acompañaba a ver al Presidente? Es terrible estar a 10km de la Frontera y no poder llegar hasta allí, y lo que puedo decir es que cada acción de este régimen de represión no deja duda: no conocen la razón y su único fin es consolidar su poder bajo el imperio del miedo, muerte y desesperanza en nuestra gente.
 
MC.- ¿Qué atmósfera rodeaba la zona limítrofe entre Honduras y Nicaragua?, ¿se sintieron acosadas cuando la policía cercó a la familia Zelaya Castro?
 
ZZ.- Estábamos a la expectativa, cada instante llegaban más personas que venían de otros departamentos del país, y que al igual que nosotros lo único que querían era abrazar a su Presidente, y se acercaban a mi madre, a contarle todos los atropellos a los que habían sido sometidos, algunos tenían días escondidos en las montañas, huyendo de los policías, habían sido capturados, interrogados por horas y se les negaba en algunos lugares el acceso a la comida.
“Creo que el momento más terrible fue cuando las ‘fuerzas vivas del Paraíso’, alentados por los militares y escoltados por la policía, llegaron hasta el lugar donde estábamos descansando, haciendo disparos y con altoparlantes amenazándonos que si no salíamos del departamento antes de las 6am, no respondían, porque iba a correr sangre. A pesar de esta amenaza nos mantuvimos y al día siguiente mi madre junto a mi hermano, solicitaron una reunión con quienes nos estaban amenazando, para escucharlos y para que ellos la escucharan”
 
“Lo que nosotros hemos vivido y sufrido nos ha servido para solidarizarnos con más fuerza, con todos los héroes anónimos que andan por las calles y montañas clamando Justicia y que se encuentran enfrentados con la represión, proveniente de los que antes eran los encargados de brindarles seguridad y que ahora los desconocen, impidiéndoles su derecho a manifestarse pacíficamente. Acompañamos en su dolor a las familias de los que han dejado sus vidas como símbolo de lucha para nuestras generaciones; nos sentimos acompañados con los periodistas a los que todos los días les aplican la Ley mordaza”
 
MC.- ¿Es muy alto el riesgo de salir del país, so pena de no regresar de un exilio forzado por los golpistas? 
 
ZZ.- Desde el día del Golpe de Estado, cuando vimos la forma en que sacaron a nuestro padre, sobre todo la insistencia por convencernos para que nosotros también saliéramos del país, individualmente tomamos la decisión de quedarnos aquí, como una manera de manifestar nuestra resistencia a lo sucedido, para demostrarle a este régimen que no nos rendimos y darle la seguridad al pueblo de que el Presidente Zelaya regresará; tomamos la decisión con el convencimiento de que si el pueblo iba a ser perseguido y sufriría la represión, no se sintieran solos porque la familia presidencial estaba a la par del pueblo manifestándose. Mi padre nos formó con su ejemplo de valentía y fe, nunca hemos visto en él rastros de un cobarde, por qué huir en estos momentos o arriesgarnos a quedarnos en el exilio. Si ahora nosotros somos sus ojos, oídos, voz, con y por los reprimidos.
 
MC.- Los golpistas son incapaces de respetar un Habea Corpus que les permitiría, a ustedes, ir con el Presidente Zelaya; ¿qué mensaje envía el régimen de facto?, ¿no procederá ningún Habea Corpus?
 
ZZ.- El mensaje de los golpistas al mundo y a los hondureños, es demostrar la unidad de todos los poderes del Estado y las elites económicas de nuestro país, apoyados por fuerzas extranjeras, que yo llamaría de Derecha Imperiosa, aprovechándose que Honduras es un país pequeño, ellos están gritando a nuestros oídos: “Honduras es nuestra hacienda particular y en ella hacemos y aplicamos las leyes de acuerdo a nuestra interpretación, aquí no puede venir nadie a oponerse o atreverse a no obedecer nuestros deseos, sólo miren lo que le pasó al Presidente de la Republica, democráticamente electo, quien no se sometió a nuestra voluntad”. ¿Qué respeto a nuestras garantías constitucionales podemos esperar los demás hondureños?, y para dar una simple muestra fueron capaces de falsificar la firma del Presidente en una Carta de renuncia, ¿qué otras mentiras podrían inventar los golpistas?
 
MC.- En referencia a ese tema, el Comisionado de “Derechos Humanos”, Custodio fue expulsado de la Federación Internacional de Derechos Humanos y el gobierno de Estados Unidos canceló la visa al nefasto Ramón Custodio (persona non grata), paralelamente al castigo simbólico, ¿Custodio debe renunciar?
 
ZZ.- En Honduras existe un tipo de totalitarismo ejercido desde el Congreso Nacional, es allí donde se eligen y remueven los Magistrados de la Corte Suprema de Justicia, Fiscales General y Adjunto de la República, Procurador General de la Republica (Apoderado legal del Estado), Magistrados del Tribunal Superior de Cuentas (ente encargado de la regulación de la conducta administrativa de los funcionarios), Magistrados del Tribunal Supremo Electoral (encargado de la ejecución de las elecciones generales) y el nombramiento del Comisionado Nacional de los Derechos Humanos.
 
“Se necesitaría ser demasiado ingenuo para no ver y entender que fueron todas estas instituciones las que utilizaron para orquestar y dar por válido este golpe de Estado. Conozco las luchas que en la década de 1980 realizara Ramón Custodio, en Defensa de los Derechos Humanos; pero han pasado más de veinte años, y ahora él pertenece a una elite política, así que oponerse después de que ha sido ratificado por segunda vez en el mismo cargo, debe ser difícil (sic). El precio de los favores políticos, se paga caro”
 
MC.- ¿Llegó a conocer a otros traidores golpistas en el Partido Liberal?, después del 28 de junio, ¿quién la ha decepcionado? 
 
ZZ.- Me da tristeza presenciar lo que estos mercenarios y políticos están haciendo con el legado histórico de nuestro Partido Liberal; los golpes de Estado habían sido una herencia fatídica del opositor y conservador Partido Nacional; los Liberales nunca se habían unido con los que oprimen al pueblo, ni habían avalado un golpe de Estado, el Partido Liberal siempre había repudiado las acciones tendientes a atenazar la voluntad soberana del pueblo; ahora el Partido Liberal permite que las elites económicas repriman al pueblo, cambiando la historia, estos malos dirigentes han mercantilizado a nuestro Partido Liberal.
 
“Prefiero desconocer a estos usurpadores, ya que han demostrado su desvergüenza, desde antes del 28 de junio, en primer lugar el Candidato Liberal, quien fuere electo en la fórmula de mi padre como Vicepresidente de la República, Elvin Santos Ordóñez renunció a ese mandato del pueblo, violentando la Constitución, porque como Vicepresidente no saciaba su ambición de poder, aquí nos dio la primera muestra de lo que hoy es una conducta; luego impuso en contra de la voluntad de los convencionales del Partido Liberal a Micheletti como Presidente del Consejo Central Ejecutivo del Partido Liberal, violentado además de los estatutos del Partido, la voluntad del liberalismo, que en las elecciones internas había dejado claro su mandato”
 
“Así que no me extraña su actuar a espaldas de la Ley, traicionando al pueblo, guardando silencio, ocultando y permitiendo la represión y crímenes de los golpistas y sobre todo su sumisión a la voluntad de grupos económicos. Existe un juicio infalible que se realiza ante el Tribunal Supremo de la Historia, allí serán juzgados ellos y sus familiares, lastimosamente”
 
MC.- La democracia hondureña está secuestrada desde el 28 de junio, el Presidente Zelaya confía en la mediación y presión de la Comunidad Internacional, ¿qué secuelas traería para la región la consolidación de la vía golpista?
 
ZZ.- Quiero aclarar que la democracia hondureña está secuestrada por malos representantes, que la han prostituido acomodándola al mejor postor, lo que pasó el 28 de junio, sólo es la materialización sin descaros de esta aseveración. Nosotros respetamos la decisión de nuestro Presidente, lo conocemos y sabemos que él tiene fe en que la razón siempre debe prevalecer, por eso confiamos en la necesidad del diálogo, tenemos la certeza que ningún país del mundo validará al régimen de facto, ni mucho menos la Comunidad Internacional permitirá este tipo de aberraciones, funestas contra la existencia de un Estado de Derecho, más bien es necesario sentar un precedente y tomar las medidas necesarias, para que estos ultrajes no vuelvan a ocurrir.
 
“Hoy los pueblos del mundo tienen un llamado ineludible, y es el de adoptar medidas fuertes, para garantizar la estabilidad democrática de los países, hoy los líderes mundiales deben actuar con energía condenando a los homicidas del régimen de facto. Sólo el pueblo por la vía de participación directa en una urna, puede y tiene el derecho a nombrar a sus autoridades, no existe ni debe existir en una República democrática y representativa, manera alguna de suplantar la voluntad del Soberano”
 
MC.- Finalmente, trascendió a la prensa la buena nueva de su embarazo, ¿en qué tipo de país quiere que nazca su hijo?
 
ZZ.- Sí, estoy esperando a mi segundo hijo, quiero que crezca y viva aquí en Honduras, al igual que Irene mi hija mayor, en la Honduras por la que nuestros ancestros lucharon y por la que seguimos trabajando, donde se respete la integridad del Ser Humano y a éste como miembro de una comunidad, donde tengan la oportunidad de decidir su futuro y el de su país en paz, ejerciendo sus derechos ciudadanos amparados en leyes justas y sobre todo en una Democracia Participativa.
 
 
Mario Casasús    /teleSUR

Via Campesina sollecita aiuti economici in sostegno alla lotta contro il golpe in Honduras

2 commenti
Qualsiasi resistenza ha bisogno di denaro e aiuti per poter procedere nella lotta. Il popolo honduregno da più di un mese è in lotta contro il colpo di Stato. E’ nostro dovere aiutarlo non solo a parole, anche un piccolo contributo può essere importante.
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Via Campesina lancia un appello a tutti i movimenti sociali e ai suoi sostenitori:
 
Abbiamo bisogno di donazioni per appoggiare la lotta in Honduras!
 
La popolazione dell’Honduras è da giorni in strada. Uomini e donne di ogni estrazione sociale stanno protestando ormai da più di un mese, da quando il 28 giugno un Colpo di Stato ha cacciato dal paese il presidente eletto José Manuel Zelaya sostituendolo con Roberto Micheletti. Il leader golpista è appoggiato dall’elite reazionaria, oltre che da settori dell’esercito, della chiesa e dell’imprenditoria, ai quali le politiche sociali di Zelaya stavano riducendo notevolmente gli interessi.
 
Da quel giorno migliaia di cittadini hanno iniziato una marcia verso la frontiera con il Nicaragua per dare il benvenuto al   possibile ritorno del Presidente eletto, che tuttavia non è potuto ancora rientrare. Tutti coloro che ancora continuano a protestare si trovano in accampamenti situati ad ambo i lati della frontiera, mantenendo alta l’attenzione. Anche nelle città, le organizzazioni contadine, i sindacati dei lavoratori, le organizzazioni di studenti, i maestri e molti altri movimenti sociali, così come i cittadini comuni stanno manifestando contro il colpo di Stato, organizzati nel Fronte di Resistenza.
 
La repressione non è mai stata così violenta: centinaia di persone sono state picchiate dalla polizia e dall’esercito, i mezzi di comunicazione sono stati chiusi e per lo meno 8 persone sono state assassinate.
 
Ciò nonostante i movimenti sociali honduregni stanno crescendo in forza  e non sono stati mai così organizzati e mobilitati.
 
Ieri, 5 agosto, migliaia di persone hanno iniziato una marcia partendo dalle zone di provincia  fino alle due principali città del paese: Tegucigalpa e San Pedro Sula . Camminano 15 chilometri al giorno, mostrando a tutti la loro forza e la determinazione della resistenza contro il Golpe cruento. Questa marcia culminerà il giorno 11 agosto, giornata in cui si è convocata la  Giornata di Azione Globale per l’Honduras.
 
I manifestanti chiedono il ritorno del Presidente eletto, ma stanno anche  marciando per una nuova società, dove contadini , maestri, operai, studenti  e gente comune siano al centro della vita politica . Una società basata sulla solidarietà e la giustizia e non sui privilegi e il denaro.
 
Il risultato della crisi in Honduras determinerà il destino di tutta la regione e dei suoi popoli e abitanti, e la sua eco avrà ripercussioni a livello internazionale.
 
Siamo tutti preoccupati.
 
La popolazione  in resistenza in Honduras ha bisogno di un appoggio economico per poter continuare la lotta.
 
Dopo un mese di lotta,  Via Campesina  in  Honduras lancia un appello chiedendo  aiuto economico per mantenere viva la protesta di massa
 
La gente  ha bisogno di acqua, cibo, coperte  e medicine, negli accampamenti e  nelle strade.
 
Gli organizzatori  hanno bisogno di credito nei cellulari e accesso a internet per continuare a lavorare in rete e a tenere informato il mondo – soprattutto adesso che i mezzi di comunicazione sono controllati.
 
Le vittime e i loro familiari hanno bisogno di appoggio legale: alcuni attivisti sono scomparsi, altri sono stati uccisi e la repressione sanguinaria continua giorno dopo giorno.
 
Delegazioni internazionalai sono in viaggio verso l’Honduras per testimoniare di ciò che accade e denunciare gli abusi commessi contro i diritti umani  e per portare solidarietà agli uomini e alle donne che si mantengono in lotta. Anche loro hanno bisogno di sostegno economico per le spese dei viaggi.
 
Si possono trovare tutte le informazioni necessarie per  le donazioni sul sito www.viacampesina.org o qui di seguito:
 
CONTO  Nº 1
Banca: IPAR KUTXA
Titolare del conto: ASOCIACIÓN LURBIDE – EL CAMINO DE LA TIERRA
Paese: ESPAÑA
SWIFT: CVRVES2B
IBAN: ES54 3084 0023 5364 0006 1004
Nº del conto: 3084 0023 53 6400061004
Causale: Lucha Honduras

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CONTO  Nº 2
Banca: BANCA POPOLARE ETICA
Titulare del conto: ASOCIACIÓN LURBIDE – EL CAMINO DE LA TIERRA
Paese: ITALIA
SWIFT: CCRTIT2T84A
IBAN: IT21 O 050 1812 1000 0000 0125 127 (distinguere tra la lettera  “O” e il numero “0”)
Nº del conto: 000000125127
Causale: Lucha Honduras

Potete anche organizzare una azione di solidarietà per il popolo honduregno nel vostro luogo di residenza il prossimo 11 agosto.

La Via Campesina — International Secretariat

Ulteriori informazioni sulla resistenza al colpo di Stato in Honduras:
http://www.movimientos.org/honduras.php

Collegamento  Twitter:
http://twitter.com/mingahonduras

Iscrizione RSS:
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