Sisto Turra desafió el gobierno de Bogotá en memoria de su hijo

0 commenti

Guido Piccoli
traducción Simone Bruno

El pasado martes por la noche murió Sisto Turra. Un hombre brusco, irónico y cariñoso como pocos. Un anarquista que amaba provocar a la gente que le hablaba de política. Un excelente maestro para los estudiantes del Policlinico de Padua, hospital principal de esa ciudad. Mucho más que el presidente de la Sociedad Italiana de Ortopedia y Traumatología para los colegas de uniforme blanco que hoy a las 11 de la mañana, le harán un homenaje homenaje en el patio del antiguo Palacio del Bo. Pero lejos de Padua, donde vivió y murió, y de Feltre, donde nació hace 70 años y donde reposarán sus cenizas; Sisto fue principalmente “el padre de Giacomo” asesinado en Cartagena el 3 de septiembre de 1995 cuando contaba solo con 24 años. Sisto empezó a morir en este momento, cuando fue informado por un mariscal del comado de policía de Padua y, a poco después, cuando un oficial del Ministerio de Relaciones Exteriores de la Farnesina habló de sobredosis. En la narco-Colombia, Giacomo había “razonablemente” muerto por abuso de drogas. Razonable para todos, pero no para Sisto. Cuando, después de atravesar el Atlántico, le fue presentado un cadáver sobre un mármol de la morgue, quedó atónito. “Resígnese” ordenó el oficial del consulado. Pero ese no era el cuerpo de un muerto de sobredosis, sino el de un muchacho masacrado a palizas. Sisto lo gritó a todos aquellos que le aconsejaban de cargar el cuerpo en el primer avión para Italia; a los periodistas que hablaban de un italiano más “que vino a embutirse de coca y marihuana”; a la policía local, que alegó que el muchacho, bajo efectos de las drogas, se había golpeado a sí mismo, brazos, piernas, pelvis, costillas y fémur contra un poste de la luz.

Sisto en aquel entonces no entendía el motivo de tal barbarie. Al igual que Giacomo, graduado en antropología y fascinado por los indígenas de la Sierra Nevada, hacia caso omiso de la otra cara de Colombia: el terrorismo de Estado y los abusos de los hombres en uniforme que, esa noche, por casualidad, no atropellaron a sus víctimas habituales — pobre u opositores -, sino a un joven turista que se había rebelado contra unos ladrones y sus cómplices en uniforme. Sisto encontró una razón para vivir, la de hacerle justicia a su hijo. Movió montañas con el apoyo especialmente de Simonetta, Judith y Battistina, madre, hermana y tía de Giacomo; de la compañera Franca, de tantos amigos tan diferentes entre ellos como los del Centro Social Pedro de la ciudad de Padua o del oficial anti-droga Piero Innocenti de la embajada italiana en Bogotá. Empleó abogados, involucró parlamentarios y parlamentos, jueces y tribunales internacionales, logró debilitar las relaciones entre Roma y Bogotá y hacer encarcelar durante unos pocos meses a los cinco asesinos de Cartagena; hizo publicar un libro de poemas de Giacomo ( “Mi viaje”) y titularle un salón de la Universidad de Padua, estimuló la curiosidad de investigación de García Márquez, miró en la cara y le hizo bajar los ojos a Alvaro Uribe. “Tengo la sensación de no hacer algo por él, sino de hacer algo que él habría hecho” escribió un día. Empezó incluso a amar a Colombia y a los colombianos que reconoció como víctimas, de la misma manera que Giacomo, de la violencia estatal. Leyó que Giacomo se había convertido en un símbolo también en Colombia, donde la prensa había definido “Turra colombianos ” a otras personas asesinadas. Quiso creer en la seriedad del proceso, de la apelación y de la casación. Cuando se acabó la última payasada legal, Sisto empezó a morir de nuevo, rindiéndose de inmediato . Así cómo se rindió el martes, cansado de estar en una cama de hospital, atravesado por sondas y tubos, ya privado de los últimos placeres: Seneca, su whiskey, la Fórmula Uno, el coche rápido sintonizado en la emisora Marilú. Sisto Turra no podía ganar sus batallas. Pero hizo jugó su papel hasta el final. Por lo tanto se quedará en el corazón y en la memoria de quienes lo amaban. Para siempre.


Sisto Turra, sfidó Bogotá in nome del figlio

3 commenti

 

SISTO TURRA, SFIDÒ BOGOTÀ IN NOME DEL FIGLIO
Guido Piccoli
 
Martedi notte è morto Sisto Turra. Un uomo brusco, ironico e affettuoso come pochi. Un anarchico che amava provocare chi gli parlasse di politica. Un eccellente professore per gli studenti del Policlinico. Molto più che iI presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia per i colleghi in camice bianco che oggi, alle 11, gli tributeranno l’alzabara nel cortile antico del Palazzo del Bo. Ma lontano da Padova, dov’è vissuto e morto, e da Feltre, dove nacque 70 anni fa e dove finiranno le sue ceneri, Sisto era soprattutto «il papà di Giacomo» ucciso a Cartagena il 3 settembre 1995 a soli 24 anni. Sisto cominciò a morire allora, quando fu informato da un maresciallo della questura di Padova, e poi quando un funzionario della Farnesina parlò di overdose. Nella narco-Colombia, Giacomo era «ragionevolmente» morto per droga. Ragionevolmente per tutti, ma non per Sisto. Quando, dopo il viaggio sull’Atlantico, gli fu presentato un cadavere sul marmo dell’obitorio, rimase attonito. «Si rassegni» gli ingiunse il funzionario del consolato. Ma quello non era il corpo di un morto d’overdose, bensì di un ragazzo massacrato di botte. Sisto lo urlò a tutti coloro che gli consigliavano di caricare la bara sul primo aereo per l’Italia, ai giornalisti che parlarono dell’ennesimo italiano «venuto a riempirsi di coca e marijuana», alla polizia locale che sosteneva che il ragazzo, sotto effetto della droga, si fosse fracassato da solo, contro un palo della luce, braccia, gambe, bacino, costole e femore.
Allora Sisto non capiva la ragione di tanta barbarie. Così come Giacomo, laureando in antropologia e affascinato dagli indigeni della Sierra Nevada, ignorava l’altra faccia della Colombia: il terrorismo statale e gli abusi degli uomini in uniforme che quella sera, per caso, se l’erano presa non con le solite vittime — poveri o oppositori — ma con un giovane turista che si era ribellato a alcuni ladroni e ai loro complici in divisa. Sisto trovò una ragione di vita nell’intento di rendergli giustizia. Spostò montagne col sostegno prima di tutto di Simonetta, Giuditta e Battistina, madre, sorella e zia di Giacomo, della compagna Franca, di tanti amici così diversi tra loro, da quelli del centro sociale Pedro di Padova all’ufficiale anti-droga Piero Innocenti. Ingaggiò avvocati, coinvolse parlamentari e parlamenti, giudici e tribunali internazionali, riuscì a incrinare le relazioni tra Roma e Bogotà e a far detenere per qualche mese i cinque assassini di Cartagena, fece pubblicare un libro di poesie di Giacomo («Il mio viaggio») e intitolargli un’aula dell’università di Padova, sollecitò la curiosità investigativa di Garcia Marquez, guardò in faccia e fece abbassare gli occhi a Alvaro Uribe. Giacomo Turra«Ho la sensazione non di fare qualcosa per lui, ma di fare qualcosa che lui avrebbe fatto» scrisse un giorno. Prese perfino a amare la Colombia e i colombiani che riconobbe vittime al pari, e ancora più, di Giacomo della violenza statale. Lesse che Giacomo era diventato un simbolo anche in Colombia, dove i giornali avevano definito «Turra colombianos» altri morti ammazzati. Volle credere alla serietà del processo, dell’appello e infine della cassazione. Quando fu consumata l’ultima pagliacciata giuridica, Sisto riprese a morire, arrendendosi di colpo. Come si è arreso martedì, stanco di stare in un letto d’ospedale, infilzato da sonde e tubicini, ormai privo degli ultimi piaceri: Seneca, il suo whisky, la Formula Uno, l’auto veloce sintonizzata su radio Marilù. Sisto Turra non poteva vincere le sue battaglie. Ma ha fatto la sua parte fino in fondo. Perciò rimarrà nel cuore e nella memoria di chi l’ha amato. Per sempre.
 

Siluro per John McCain parte da Montevideo

2 commenti

Joao Goulart

Guai in vista per John McCain. La notizia potrebbe rappresentare il colpo di grazia per la corsa alla Casa Bianca del senatore repubblicano, giunta ormai alle battute finali.

Il “siluro” per McCain è partito oggi dal quotidiano uruguaiano la República, con la pubblicazione in prima pagina dell’articolo a firma di Roger Rodriguez , il giornalista che sta seguendo questo caso  fin dal 2002,   ed è stata già passata alle agenzie statunitensi.

Frederick W. Latrash,   consigliere e segretario personale di Mc Cain,  nonché ex   capo della CIA in Uruguay nel 1976,  sarebbe coinvolto direttamente nell’omicidio dell’ex presidente brasiliano di sinistra, Joao Goulart morto in quello stesso anno, nel mese di dicembre.

La denuncia è stata fatta da uno dei figli di  Goulart,  che accusa Latrash di essere stato colui che ha portato direttamente in Argentina, dove l’ex presidente si trovava in esilio dopo la destituzione a causa del colpo di stato del 1964  appoggiato  dagli Stati Uniti, le pasticche avvelenate  a base di cloruro di potassio o di sodio, preparate  in Uruguay dal dottor  Carlos Milies (alias capitano  Adonis) e che agenti dei servizi segreti avrebbero scambiato nella residenza di Goulart con le medicine che lui prendeva abitualmente.

La decisione di uccidere l’ex presidente brasiliano sarebbe stata maturata nel corso di una riunione segreta avvenuta nel mese di novembre 1976 a Montevideo e alla quale oltre a Latrash parteciparono Sergio Paranhos Fleury , un ufficiale di polizia brasiliano noto torturatore sanguinario dei giovani sacerdoti della Teologia della Liberazione  (tra i quali Frei Tito, che incapace di dimenticare le torture subite da Paranhos si suiciderà in Francia nel 1974) e il colonnello uruguayano  Luis V. Queirolo

Questo dettaglio della riunione del novembre 1976 è stato confermato nel corso del suo interrogatorio svoltosi a Montevideo nel maggio di quest’anno,  da   Mario Ronald Barreiro Neira, ex agente dei servizi  segreti uruguaiani, che già nel 2002 aveva  rivelato al giornalista de la República , Roger Rodriguez, che  l’ex presidente brasiliano non sarebbe morto per un arresto cardiaco come si era creduto fino a quel momento,  ma era stato ucciso  da un potente veleno. L’uomo si trova attualmente  in un carcere di massima sicurezza in Brasile scontando una pena per traffico di armi e rapina in banca.

L’omicidio  dell’ex presidente brasiliano, sarebbe pertanto avvenuto nell’ambito del plan Condor, dal momento che oltre agli Stati Uniti hanno partecipato alla sua realizzazione anche il Brasile e  l’Uruguay.

E’ stata avanzata la richiesta intanto, allo Stato brasiliano,  da parte di associazioni per la difesa dei diritti umani, da una  commissione parlamentare e dalla magistratura di  Río Grande do Sul, di riaprire gli archivi relativi  alla dittatura brasiliana e la desecretazione di documenti agli Stati Uniti.


Campagna internazionale per il trasferimento di Victor Polay Campos dal carcere della Base Navale del Callao a un carcere civile

7 commenti

Comité Pro libertad de Victor Poaly
Contro la stigmatizzazione dei prigionieri politici.
Per la solidarietà. Per i nostri connazionali e cittadini: neanche  un giorno più di silenzio.
 
Trasferimento immediato di Victor Polay e dei suoi compagni dalla Base Navale del Callao a un Centro Penitenziario Civile.
 
L’11 settembre del 2005 con il quotidiano La República (Lima,  Perù) è stato pubblicato il Manifesto “Victor Polay: L’America latina chiede un giusto giudizio” firmato da Senatori, Deputati, Sindaci, Governatori e personalità di Argentina, Cile, Colombia, Nicaragua, Uruguay e Venezuela.
 
Successivamente il 17 marzo del 2006 (La República, Lima)  alcuni intellettuali, personalità, professionisti ed operai del nostro paese chiesero inoltre pubblicamente : “Giusto giudizio per Victor Polay”.
 
Nonostante ciò,  nel maggio del 2008, la Corte Suprema ha condannato  Victor Polay a 35 anni di carcere. Questa è di fatto una condanna all’ergastolo , considerate le aspettative di vita di un peruviano medio e il fatto che a Victor Polay restano da scontare ancora 18 anni di carcere.
 
La Corte Suprema nella sua sentenza non ha tenuto conto che per un decennio Victor Polay è stato torturato e sottoposto a condizioni di vita disumane come riportato dalle relazioni della Croce Rossa Internazionale e come ha ben descritto il poeta Tomas Borge: “E’ vero,  ogni giorno di carcere trascorso in quel periodo  dovrebbe valere cento giorni. Non è ammissibile tenere un prigioniero in quelle condizioni e chi lo ha tenuto così è stato un maledetto codardo e merita di essere punito” (Caretas, 4 agosto 2005).
La Corte non ha nemmeno accolto quanto segnalato dalla Commissione di Verità e Riconciliazione del Perù (CVR): “… a differenza di  Sendero, … l’MRTA rivendicava le sue azioni e i suoi membri usavano dei distintivi per differenziarsi dalla popolazione civile, l’MRTA si è sempre astenuto dall’attaccare la popolazione inerme e in alcune occasioni ha mostrato intenzione di essere disposto  a trattative  di pace…”
 
Nonostante che  Victor  nel 2003 abbia ammesso come guerrigliero e in veste di  Comandante del MRTA, che le sue truppe non hanno mai assassinato prigionieri o nemici che si erano arresi, non hanno mai attaccato centri abitati, né ucciso civili innocenti, che la loro azione militare è stata sempre subordinata agli obiettivi politici,  perché  come movimento politico hanno contemplato  sempre la possibilità di un ritorno alla pace sociale.
 
Nonostante che nel 2003 Victor Polay abbia affermato che era ormai giunto il momento che l’MRTA si incorporasse attivamente  alla lotta politica, all’interno dei binari della democrazia, fondando un nuovo partito, raccogliendo le esperienze di altri movimenti guerriglieri dell’America latina; perchè riconoscendo la  sconfitta militare era necessario continuare la lotta per le vie  democratiche conquistate dal paese.
 
Nonostante che nel dicembre del 2005 Victor Polay  abbia  reso noto  ai giudici di aver accettato la candidatura della presidenza della Repubblica, non per sfuggire alle sue responsabilità e nemmeno per venir meno al suo impegno con il popolo, ma perchè le sue motivazioni di violenza  non potevano più essere accettate dal momento che era a favore della democrazia.
 
Nonostante che il parlamento europeo  non consideri l’MRTA un’organizzazione terrorista.
 
Nonostante che tre anni fa la Marina di Guerra  del Perù abbia  chiesto all’Istituto Nazionale Penitenziario (INPE) di trasferire nel più breve tempo possibile i detenuti che si trovano nella  Base Navale del Callao a un carcere comune.
 
Nonostante  quanto sopra citato, Victor Polay e i suoi compagni continuano ad essere reclusi all’interno della Base Navale del Callao, conosciuto come la “Guantanamo peruviana” o “Nemesis” dal nome della dea greca della vendetta.
Pertanto secondo quanto esposto  nel punto 20 dell’ 139 della Costituzione Politica del Perù, consideriamo che la sentenza a 35 anni di Victor Polay sia  arbitraria e ingiusta, e  che la sua attuale reclusione alla base navale del Callao sia una vendetta politica.
Pertanto i firmatari del citato appello sollecitiamo al Presidente della Repubblica, al Pubblico Ministero e alle autorità competenti l’immediato trasferimento di Victor Polay e dei suoi compagni ad un centro penitenziario amministrato dall’INPE.
 
Comitaté Pro libertad Victor Polay, Lima 27 settembre del 2008
 
Si può  sottoscrivere l’appello al nostro indirizzo di posta elettronica, grazie:
comiteprolibertadvictorpolayathotmaildotcom  (comiteprolibertadvictorpolayathotmaildotcom)  
FIRMAS al 23 de octubre, 08:40 p.m hora Perú
 1.  Otilia Campos de Polay. Madre del líder Víctor Polay y luchadora social. Perú.
 2.  Violeta Carnero Hoke. dni. 07549802. Periodista y luchadora social. Perú
 3.  Arturo Corcuera. Poeta. Premio Casa de las Américas. Peru..
 4.  Cristina Castello. Poeta  y periodista. Argentina
 5.  Rosina Valcárcel. Escritora y antropóloga, del Comité pro libertad Víctor  Polay. Lima Perú.
 6.  Juan Aurelio Apaza Martin. Ex dirigente minero, del Comité pro libertad Víctor        Polay.Peru.  Lima-Perú
 7.  Ernesto Kakumei, Sociologo, del Comité pro libertad Víctor Polay. Perú
 8.  Josmel Muñoz Córdoba– Ex Constituyente– ex Parlamentario. Perú
 9.  Marcela Pérez Silva.
Cantautora– Perú
 10. Annalisa Melandri. Periodista– Roma, Italia
 11. Gabriel Impaglione, poeta y periodista.
Argentina.
 12. Oscar Balbuena Marroquín, abogado-Perú.
 13. Federico García Hurtado. Cineasta y Literato DNI 10319074. Perú.
 14. Pilar Roca: Cineasta y escritora. Perú.
 15. Delfina Paredes Aparicio. Dramaturga y actriz. Perú
 16. Gladys Basagoitia D. Escritora y traductora. Perú; desde Perugia, Italia
 17. Raúl Isman. Periodista y escritor. Argentina
 18. Eduardo González-Viaña. Escritor y periodista. Perú, desde EEUU.
 19. Diana Ávila. Periodista y socióloga. Perú.
 20. Ana María Intili. Médico y escritora. Argentina.
 21. Alfredo Pita, escritor peruano, desde Francia.
 22. Moravia Ochoa. Escritora y promotora cultural, miembro de Unamup. Panamà.
 23. Lidia Añaños Galindo, responsable: Perú– por justicia de un prisionero ‘Asociación ‘América Latina    Publicaciones’
 24. Humberto Rodríguez Pastor. Historiador y antropólogo. Perú.
 25. Winston Orrillo  DNI 06031515. Escritor, periodista, Premio Nacional de periodismo. Perú.
 26. Maynor Freyre, escritor, periodista y profesor universitario. Perú.
 27. Carlos A. Ostolaza. Artista plástico-Perú
 28. Carlos Angulo Rivas. Escritor y periodista (Perú) desde Canadá
 29. Cecilia Tello, Socióloga y periodista (Perú) desde Canadá
 30. Ricardo Suarez, empresario. Perú
 31. Aurora Tumanischwili Penelón.
 32. Guillermo López: representantes de Fetera Flores: colectivo de base de la Federación de trabajadores de la energía de   la República Argentina, en CTA.
 33. Manuel Mosquera. Poeta y periodista. Perú
 34. Lucila Walqui. Fotógrafa y socióloga. Perú
 35. José Collazos — Reportero residente en Suecia.
 36. Feliciano Mejía Hidalgo, escritor, Perú. DNI 09142115.
 37. Eldi Toro López. Catedrática y crítica literaria. Lima. Perú
 38. Roger Taboada Rodríguez. Periodista. (Vocero Nacional de Patria Libre). Perú.
 39. Raúl-Ernesto De La Tierra, Escritor y poeta (Perú) desde Suecia
 40. Teofilo Ayala Cuevas. Frente Estatal Contra la Represión del Estado de Sonora y    Movimiento Ciudadano de Vecinos del Nuevo Colorado, Costa de Hermosillo, Sonora. México.
 41. Héctor Abarca — periodista radial – Estocolmo. Suecia.
 42. Víctor Santillán Ruiz. Empresario. Perú.
 43. Víctor Hugo Chacón. Promotor cultural. Perú
 44. Alonso Valcárcel. Fotógrafo. Perú.
 45. Julio Rogers Vásquez,  Pintor, Centro de Estudios Andinos Pucará, Santiago-Chile.
 46. Juan Mendoza Montesinos, ingeniero, Perú.
 47. Dra. Martha Luza Zamalloa. Abogada DDHH. Cusco– Perú
 48. Emeterio Tacuri .Parlamentario Accesitario Andino. Perú
 49. Luis Ottivo Dirigente Nacional de PL. Perú
 50. Dr. Cesar Oyola, Abogado de DDHH. Perú
51. Juan Carlos Abarca.Periodista Radial y Sociólogo. Perú
52. Aníbal Apari. Dirigente Nacional y Vocero de Patria Libre.Perú–
53. Manuel Padilla, Sociólogo. Perú
 54. Ricardo Dello Buono, sociólogo, FL, Estados Unidos
 55. Roger Antonio Muro. Guardián. DNI 08893238. Perú
 56. Eleuterio Martinez Sanchez. Perú
 57. Juan Cristóbal. Poeta y periodista; dni 08705429. Perú
 58. Milena Carranza Valcárcel. Comunicadora Audiovisual. Lima, Perú
 59. Camilo Castellanos. Abogado e investigador social. Colombia
 60. Aulides García. G. Venezuela.
 61. Miguel Tupalaya Velásquez. Dirigente de Villa El Salvador.Peru.
 62. Eva Velázquez Lecca. Profesora y poeta. Lima. Perú
 63. Roberto Villar Gamboa. Ex preso político. Hoy PL. Perú.
 64. Moisés Vega Romero. Secretario de Organización. CGTP.Perú
 65. Carlos Meneses Cárdenas. Escritor y periodista.Perú, desde España.
 66. Juan Carlos Pino. Músico. Chile
 67. Michel Chossudovsky. Director Centre for Research on Globalization (CRG).          Canadá
 68. German Rodas.Escritor e historiador. Ecuador.
 69.. Jorge Carpio. Director Ejecutivo  Foro Ciudadano de Participación por la Justicia y los  Derechos Humanos. FOCO. Buenos Aires, Argentina
70. Alejandrina Pacheco Peña…(¿  ?) Perú.
71. Carlos Ruiz-Eldredge, Ingeniero. Perú
72. Rosa Patricia Mosquera Pinto. Estudiante de Comunicaciones. Lima .Perú
73. Anahi Durand Guevara. Socióloga. Perú.
74. Carlos Bernales, periodista y caricaturista, ex-colaborador del diario La Primera. Perú, desde EEUU.
75. Leonel Falcón Guerra. Periodista-Abogado, activista y defensor de los DDHH y  Líder delL FRENTE POPULAR INDEPENDIENTE DE LA REGIÓN ICA.Perú
76. Jorge Guibert Alva. Secretario General de la “Célula Aprista Felipe Santiago Salaverry”. Barcelona. .España.
77. María Elena Saludas — Presidenta ATTAC -  Argentina
78. Gerardo Benavides Caldas. Docente universitario, UNMSM, Lima Perú
79. Felipe Daniel Escobar Rivero, autor, compositor interprete. Perú.
80. Lic. Igor Calvo, sociólogo, escritor, actor, Lima, Perú. 
81. Olga Lucía Fuentes, Colombia.
82. Miguel Angel Yañez Villa. Resistencia civil pacífica, Hermosillo, Sonora, México.
83. Vicent Boix, escritor, autor del libro El parque de las hamacas. España
84. Javier Mujica, abogado, Perú.
85. Alberto Chirif, antropólogo. Perú.
86. José Diez Salazar, poeta y pintor, reside en Holanda.
87. Manuel Flores Calderon. DNI Nº 08344171. Dirigente vecinal del distrito de San Juan de Lurigancho (Lima, Peru)
88. Fernando Bellido Pelegrina, poeta, Espa&ntilde
;a.
89. Eva Aguilar, ex exiliada política, c.i 1.197.407–6, Uruguay
90. Marco Tulio Rotondo M.  Ex Regidor Provincia. Callao. Perú
91. Antenor Maraví I. Profesor cesante, periodista y escritor. Presidente de la Asociación Nacional de Escritores y Artistas– Ica (ANEA-ICA): Perú.
92. Carlos Oriundo Infante. DNI 28314881. Abogado, escritor, periodista y analista      político en diversos medios,  en el Valle del Río Apurimac y el Ene VRAE.  Fue          militante activo  del PAP, VRAE. Perú.
93. Javier Valle-Riestra, ex congresista, DNI N° 08222102. Lima. Perú
94. Sandrine Féraud.  Poète. Saint-Raphaël. France
95. Jorge Ariel Madrazo, poeta y periodista. Argentina
96. Julio Dagnino. Periodista. Lima. Perú.
97. Antonio Giaimo, periodista, ex redactor de Ansa America Latina, ITALIA.
98. Dra. Marta R. Zabaleta, Economista, Profesora Universitaria e Investigadora ‚   Londres, Inglaterra.
99. Gonzalo Espino. DNI 07207593. Poeta y crítico literario, Perú.
100. Fernando Ochoa, Comité resistencia civil, Hermosillo, Sonora, México.
101. Ramón García Rodríguez . DNI 06446440. Perú.
102. Gorki Tapia, sociólogo, catedrático, Perú.
103. Yury Castro R., presidente casa de amistad con RPDC.
104. César Krûger, filósofo, ex decano de letras de UNMSM; Perú.
105. Dandira Picasso, magíster en comunicación social y fotágrafa internacional;
106. Máximo Damián Humaní, músico. Perú.
107. Manuel Cabanillas, fotógrafo político y del mundo.
108.  Manuel Ruano, poeta, Argentina.
109.  Walter Garib, premio nacional de cultura. Chile.
110. Arturo Volantines, poeta nacional. Chile.
111. Rosa Baéz, periodista y bibliotecaria. Cuba; 
112. Vicente Rodríguez Nietzsche, poeta nacional. Puerto Rico;
113. Dr. Óscar Baltodano, creador de método de medicina alternativa. Lima, Perú.
114. Pere Besso i Gonzalez, Mislata, Valencia, Profesor, Traductor, Escritor y Poeta.
115. Pedro Ismael León Arias. DNI 07720667. Periodista. Lima. Perú.
116. José Antonio Alvarez Pachas, periodista y poeta. Lima Perú
117. LIC. PATRICIA COLLAZOS BASCOPE (56 AÑOS) POETA, ESCRITORA Y PEDAGOGA PRESIDENTA VITALICIA DE LA SOCIEDAD DE ARTE. BOLIVIA
118. Samuel Prado Franco. Profesor de Filosofia, Escritor y Militante del Movimiento Popular y Social  Panameño. Panamá.
119.Jorge Aliaga, narrador peruano, desde Escocia
120. Pedro Lovatón Sarco, catedrático de comunicación de San Marcos. Perú
121 Atilio Bonilla, catedrático de cine, magíster en comunicación por San Marcos. Perú
122. Raymundo Prado, filósofo, catedrático principal de letras de san marcos. Perú
123. Manuel Castillo, músico, dirigente político. Perú.
124. Ricardo Melgar, filósofo, anropólogo peruano, desde México.
125. .Edwin Loayza Alferez ..DNI..09928280..Lima –Peru
126. Felipe de J. Pérez Cruz, cubano, historiador, miembro de la Unión de Escritores y Artistas de Cuba (UNEAC), Cuba.

127.Miguel Siu–  estudiante, aprista. Perú
128. Raul Gomelski, Ingeniero y traductor (Peru), desde Polonia.
129. José Rejas Saal, economista, DNI Nº 096257887.
130. Dr. Fernando Durand Mejía — Alcalde del distrito de San Luís y 1er Vicepresidente de la Federación de Municipios Libres del Perú. Perú.
131. Franklin Ledezma Candanedo,  desde Panamá. Escritor, periodista. Luchador social.
132. Luis Miguel Bracamonte, escritor, periodista peruano. Desde Suecia.
133. Olivia Miranda, filósofa, catedrática, escritora.
Desde Cuba
134. Jean-Claude Koutchouk. Poète– nouvelliste. Nantes-Orvault (44700). France
135. Louis Brachet. Sculpteur. Ventavon. France.
136.. Michel Berthelot — Citoyen du monde — St Félicien (07410) – France
137.. Christiane Cayre — Comédienne — St Félicien (07410) – France
138.. Jean-Claude PICAVET. Sculpteur.
Paris –France
139. Dante Castro Arrasco. d.n.i: 25402972. Escritor, Premio Casa de las Américas.
Dirección del ML-19. Lima, Perú. 
140. Jean Dornac. Auteur. Grasse. France
141. Jean-Jacques Rey.  Poète-écrivain. Tonnay-Charente –France.
142. .Isabel Gallardo M. Socióloga. Santiago de Chile. Chile.
143. AIDÉE ROUSSEAU-ROMERO, ABOGADO, POETA FRANCO PERUANA
144.
MICHEL ROUSSEAU, CAMPEÓN DE CICLISMO SOBRE PISTA DE FRANCIA, DEL MUNDO Y OLÍMPICO.
145. Luis Lagos. Poeta, profesor y promotor cultural. Lima. Perú.
146. Carlos Garrido Chalén, poeta, abogado y periodista. Perú
147. Carlo Porta, escritor, historiador y periodista. Pozzallo — Italia
148. Roque Gonzales La Rosa . Preso de conciencia del Gobierno Aprista. Perú
149. Martha Velasco Huiza.  Luchadora social y  Ama de casa. Perú.
150. Damaris Velasco de Gonzales. Ex Presa Política, Administradota Turística. Perú.
151. Andrea De Lotto, profesor de la Escuela italiana de Barcelona. Italia.
152. Yásser Gómez.Periodista. Editor de la revista Mariátegui. (Perú) 
 153. César Vásquez Bazán.  militante del Partido Aprista Peruano, ex-ministro de Economía y Finanzas del Perú,  y profesor de Economía en Webster University y Red Rocks College. 
 154. Carlos F. Arce Villamonte. Psicoterapeuta desde Suecia.
155.Francesco Maria Mantero. Director de Reserva Natural. Roma, Italia. 156.
 156. Mario Casasús, periodista. México.
157. Alejandrina Salgado: Coordinadora del Comité de Derechos humanos y solidaridad — Estocolmo-Suecia
158. Silvia Morachimo: Estudiante de ciencia Estocolmo– Suecia
159. Ingrid Storgen: comunicadora social. Responsable del colectivo de trabajo bolivariano, antiimperialista: Amigos de la PAZ en COLOMBIA y en el MUNDO.
160. Julio Yao, Presidente del Servicio de Paz y Justicia en Panamá (Serpaj-Panamá), catedrático universitario, escritor.
161. Gianni Innocenti. Assessore comune di Guidonia Montecelio (Roma). Italy.
162. Merche Mas.
Ecología y ambiente. Italia.
163. Jesus Alegria Argomedo. Coreógrafo y Gestor Cultural.
164. Eduardo Bueno Leon. Co moderador Aulamagna Groups ‚Investigador CELA-UNAM. México.
165. Rodolfo Ybarra, poeta y periodista. Perú.
166. Avelino Barboza Trigozo. Ex preso político y militante. Perú.
167. Dania Betzy Batista G. Profesora de Filosofía. Presidenta de la AAPEBCAP-Panamá
168.  Conrado Cuevas Zelaya. Ingeniero Industrial. Militante del movimiento revolucionario. Miembro de la AAPEBCAP-.
169. Pamela Contreras Premel. Cantante intérprete y profesora
de españolen Bordeaux Francia.
170. Nicoletta Manuzzato, periodista, Milano (Italia).
171..Tullio Quaianni, médico, Milano (Italia).
172.. Claudia Figueroa. Panamá
173.. Zulay Flores, Panamá.
174.. René Martínez Paredes, Panamá.
175. Karl Robert Scott Pino, Panamá.
176. Elizabeth de Hoces, Panamá.
177.
Sócrates Zuzunaga Huaita. Escritor. DNI: 09900323. Perú.

178. Hugo Cabieses Cubas. Economista, DNI 1058595. Lima, Perú.
179. Dra. Elda Maud De León.Catedrática Universidad de Panamá. Panamá.
180. Ricardo Sánchez Carlessi, Ingeniero Civil y escritor. Profesor de San Marcos y la UNI. Lima. Perú.
181. Claudio Velando. Sociólogo y agrónomo. Perú.
182. Juan Benavente. Escritor y promotor cultural. Lima Perú.
183. Daniel Mathews Carmelino, Frente de Defensa de Chilca. Perú.
184. Norberto GanciI. El Club de la Pluma. Universidad Tecnológica Nacional Regional Córdoba. — Argentina.
185. Teresa de Jesús Vilca Rengifo. Socióloga y luchadora social. Reside en Lima. Perú.
186. Juan Carlos Villavicencio. Poeta, literato y barman. Chile.
187. Roberto Ornano. Movimiento Popular Unificado de Panamá. Panamá.
188. María del Rosario Maríñez. Periodista y socióloga. México, D.F. México.
189. José Collazos. Reportero peruano, desde Suecia.
190. Walter Buendia Gilvonio. Asesor técnico. Estocolmo. Suecia.
191. Juan Rojas Martinez. Profesor Educ. Técnica Profesional. Chile.
192. Vladimir Sokolic Stipanicic.. Sociólogo peruano, Consultor Internacional.
193
.- Luis Rodriguez. Ingeniero. Estocolmo Suecia.
194. Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos.(Limeddh). México.
195.- Isauro Fuentes Guzman. Dirigente del Frente Andino Revolucionario FAR. Puno — Peru.
196. José Ignacio Mantecón. Sacerdote. Perú.
 
 

Uribe ammette che la polizia ha sparato sugli indigeni che partecipavano alla marcia

2 commenti

uno dei due giovani indigeni assassinati martedì

Álvaro Uribe è stato costretto ad ammettere ieri che la polizia ha usato armi da fuoco contro la folla, di fronte al video della CNN che mostra inequivocabilmente un poliziotto della ESMAD  (Escuadrón Móvil Antidisturbios)  nell’atto di sparare  contro un obiettivo non ben identificato durante la protesta di martedì scorso organizzata dalle comunità indigene e contadine  nel sud del paese. Il  CRIC ( Consejo  Regional Indígena del departamento del  Cauca ) ha denunciato la morte   di due indigeni di etnia Paez avvenuta durante la marcia  che si stava svolgendo lungo la strada Panamericana e indicando come responsabili degli omicidi proprio i membri della Polizia che si trovavano sul luogo.
 
Il presidente colombiano, nel corso di una  conferenza stampa ha  negato  tuttavia che gli spari dei poliziotti abbiano causato morti e afferma invece che i due decessi sono avvenuti mentre gli indigeni stavano maneggiando esplosivi.
Versione che tra l’altro sarebbe in contraddittorio con quella fornita da questo video:

.
 
nel quale un colonnello della Polizia immediatamente dopo il decesso delle due persone conferma che questo è avvenuto per arma da fuoco ma fornisce una  versione secondo la quale a sparare sarebbero state persone che si trovavano tra la folla dei partecipanti alla marcia.
Versioni discordanti che dimostrerebbero confusione, incapacità e nervosismo nel gestire una protesta che si sta ingigantendo sempre di più.
 
Intanto si fanno sentire pesantemente anche le condanne a livello internazionale delle continue violazioni dei diritti umani commesse dal governo colombiano e della criminalizzazione e repressione delle legittime proteste del popolo.
 
La F.I.D.H. (Federazione Internazionale dei Diritti Umani) in un recente documento ha espresso una condanna durissima per quanto sta avvenendo in Colombia ed ha manifestato “profonda preoccupazione” tra l’altro di fronte alle “denunce della presenza di civili armati protetti dalla polizia che sparano ai manifestanti dalle colline, così come per gli atti di barbarie commessi da elementi dell’ESMAD, i quali hanno ferito gravemente un indigeno con il machete, lasciandolo varie ore ferito senza permettere l’accesso ai mezzi di soccorso”.  
 
Alcuni parlamentari europei invece, tra i quali l’onorevole Vittorio Agnoletto,    hanno espresso pubblicamente condanna,  tramite una dichiarazione parlamentare,   della repressione del movimento indigeno e sindacale che sta avvenendo in questi giorni nel paese.

Protesta pacifica soffocata nel sangue

1 commento
Scritto per Peace Reporter da
Simone Bruno
 
A María-Piendamó, ne cuore del Cauca, si sono concentrati 20.000 indigeni tra cui moltissimi bambini, donne e anziani e in maniera collettiva hanno deciso di occupare la Carretera Panamericana per attirare l’attenzione internazionale e nazionale sulla loro situazione. Questa strada unisce Cali a Popayan e la Colombia con L’Ecuador ed è di vitale importanza.
 
Il bastone della pace. I Nasa non usano armi, ma sono protetti da una Guardia Indigena munita di un simbolico bastone colorato simbolo di comando, che da sempre fa parte della loro cultura. Guardia possono essere tutti: bambini, donne, uomini, vecchi e giovani. Solo con questo si sono riversati in due punti equidistanti dall’ entrata della Maria per bloccare la strada. Dopo pochi minuti sono arrivati gli Esmad (squadroni antisommossa della polizia) che hanno attaccato con gas e manganelli. Gli indigeni hanno resistito eroicamente fino a quando la polizia ha cominciato a usare fucili a pallettoni e granate non convenzionali composte da polvere da sparo, schegge, chiodi e pezzi di vetro.
 
Due morti e settanta feriti. Il bilancio solo nel primo giorno di scontri è di settanta feriti e due morti, tra cui Ramos Valencia il cui cranio è stato trapassato da parte a parte da un proiettile. Insieme al piombo sono piovute le accuse presidenziali, echeggiate dal governatore del Cauca Guillermo González Mosquera e dal capo della polizia Oscar Naranjo Trujillo (ex zar antidroga, costretto alle dimissioni dopo che suo fratello è stato arrestato per narcotraffico in Germania), secondo le quali gli indigeni erano armati e istigati dalla guerriglia, mentre l’ Esmad non aveva armi da fuoco.
 
Le verità. I mezzi di comunicazione colombiani, dimenticando una cosa elementare come verificare le notizie, hanno subito stigmatizzato la protesta facendo da eco alla rabbia presidenziale. Nella Maria non c’è stata istigazione, ma un processo decisionale che viene dal basso e di cui i governatori indigeni non sono che portavoce. Gli indigeni non avevano armi da fuoco, che invece impugnavano i poliziotti, come dimostrano i morti e i feriti, come dimostra il cranio esploso Ramos Valencia e la carne lacerata di altre decine di persone.
 
Colpa delle Farc. La criminalizzazione della protesta è un esercizio molto comune in Colombia, dove le Farc si trasformano nella scusa perfetta per attaccare i movimenti sociali. Per il presidente i guerriglieri sono: gli studenti, i tagliatori di canna, i giudici, i trasportatoti, i professori, gli Indigeni e i contadini. Se davvero fosse così allora vorrebbe dire che la sua politica di seguridad democratica è un fallimento totale dato che la guerriglia si sarebbe infiltrata in tutto il paese.
 
Reali sono altre cose. Chi accusa il movimento indigeno è un governo che conta 60 parlamentari coinvolti nello scandalo della Parapolitica. Scandalo che lo stesso governo cerca di insabbiare come confessa José Miguel Vivanco direttore per le Americhe di HRW che ha dichiarato: “L’esecutivo è arrivato a estremi non conosciuti in America Latina per screditare una corte (Corte Suprema di Giustizia) che sta processando a più di 60 congressisti, quasi tutti del governo, per paramilitarismo”. Oppure l’ex governatore del Cauca Juan José Chaux Mosquera, che era uso criminalizzare gli indigeni Nasa e che alla fine del suo mandato è stato premiato dal presidente Uribe con l’ambasciata della Repubblica Domenicana. Incarico a cui è stato costretto a rinunciare una volta rese note alla opinione pubblica le sue frequentazioni. L’ex governatore si incontrava nel palazzo di Narì (nomignolo con il quale nelle intercettazioni telefoniche i paramilitari si riferiscono, mostrando una certa familiarità, al palazzo di Nariño, sede presidenziale) con esponenti di noti paramilitari per contrattare il loro silenzio.
 
 
Sul sito di ASud invece continui aggiornamenti, anche in Italiano sulla situazione

Minga indígena del Chocó

0 commenti


Campaña por el regreso de Lucía Morett a México

0 commenti


Indigeni colombiani: Álvaro Uribe ci ha dichiarato guerra

2 commenti

Movilización indígena en todo el país
di Simone Bruno
(qui l’articolo in italiano)
 
El castillo construido sobre una burbuja de popularidad del presidente Uribe parece empezar a caerse. Nunca en los 6 años que lleva el mandatario en la presidencia se habían registrada tantas protestas ni en duración, ni en intensidad, ni en participación.
La figura presidencial construida sobre una retórica beligerante ha escondido los temas sociales detrás del “sacrificio para ganar la guerra contra los terroristas”. Pero ahora los problemas de la vida real de los colombianos están explotando agraviados por una crisis económica que golpea muy duro al país.

Desde el 12 de Octubre, el mal llamado día de la raza, que la retórica occidental señala como el día en que América fue descubierta, olvidando que ya estuvo habitada, la protesta Indígena se ha sumado a la de varios sectores sociales ya movilizados. El sector judicial ha terminado ayer un paro de 43 días, algo sin precedentes;  los corteros de caña de la región del Valle del Cauca llevan más de un mes ocupando los ingenios, pidiendo dignidad y contratación directa con un salario justo;  los transportadores han terminado un largo paro hace pocos días. El sector estudiantil prepara un levantamiento para el día 23 y la Registraduría General empieza hoy un paro indefinido.

El 12 se  inició  la Minga de los pueblos  conmemorando los 516 años de resistencia, las movilizaciones se desarrollan por todo el país y esto ha sido un catalizador de la protesta recibiendo apoyo moral y material nacional e internacional. A la Minga se han sumado la CUT (Central Unitaria de los Trabajadores), la más grande del país, el sector judicial (Asonal Judicial), los corteros de caña, el sector de la educación, sectores campesinos y muchos más. Una vez más los pueblos indígenas colombianos, 102 contando los que no son oficialmente reconocidos, están demostrando ser la consciencia y la fuerza moral de un país que se ha olvidado cómo pelear por sus  derechos, emborrachado por la retórica presidencial. Este resultado no es casual, los indígenas colombianos, y más que todo los Nasa,  ha venido tejiendo relaciones con otros sectores sociales desde hace años en el intento de encontrar  puntos comunes mínimos sobre los cuales construir una serie de acciones comunes para intentar romper las divisiones históricas de los actores sociales colombianos.

Las razones de la lucha

En esto momento, en varios  departamentos del país (Guajira, Córdoba, Sucre, Atlántico, Chocó, Norte de Santander, Risaralda, Caldas, Quindío, Valle del Cauca, Cauca, Tolima, Huila, Casanare, Meta y Boyacá) miles de indígenas siguen movilizándose pidiendo diálogo con el gobierno sobre 5 puntos fundamentales, que, como ellos dicen, contienen muchos más. (1)

Una de las razones de las movilizaciones es el número de homicidios de indígenas que se ha incrementado mucho en las últimas semanas. Según la ONIC (Organización Nacional Indígena de Colombia): “Durante los últimos seis años han sido asesinados 1.253 indígenas en todo el país […] cada 53 horas un indígena es asesinado […] y por lo menos 54.000 han sido expulsados de sus territorios ancestrales”. Solo en los últimos 15 días han sido asesinados 19 indígenas.

Otra razón es el incumplimiento del Estado de los acuerdos firmados con las comunidades. Un ejemplo representativo es el del pueblo Nasa. El 21 de diciembre de 1991,  20 indígenas, incluidos mujeres y niños, fueron masacrados con la complicidad de la fuerza pública en lo que se conoce como la masacre del Nilo. El Estado fue responsable de esta masacre y así lo reconoció internacionalmente y se comprometió a cumplir con las recomendaciones de la CIDH (Comisión Interamericana de Derechos Humanos), en materia de justicia, reparación individual y colectiva. El propio ex Presidente Ernesto Samper pidió perdón públicamente a nombre del Estado colombiano a las víctimas de esta masacre, a sus familiares y al pueblo Nasa. Hasta hoy estos acuerdos no han sido  respetados, mas aun,  el actual Gobierno se comprometió, el 13 de septiembre de 2005,  a través del último acuerdo, a dar cumplimiento a todas las obligaciones pendientes en un plazo máximo de dos años. Hasta hoy no se ha cumplido la restitución de 15.000 hectáreas al pueblo Nasa.

Los indígenas se oponen también a una serie de leyes como el Estatuto Rural, el Código de Minas, Leyes y planes de aguas, la ley de bosques, impulsadas por el gobierno de Uribe, que “optan por favorecer los intereses económicos y contribuyen al despojo territorial”,  según la ONIC. Estas leyes se oponen al artículo 120 de la constitución del 1991 que señala: “el aprovechamiento de los recursos naturales en los hábitats indígenas por parte del Estado se hará sin lesionar la integridad cultural, social y económica de los mismos e, igualmente, está sujeto a previa información y consulta a las comunidades indígenas respectivas. Los beneficios de este aprovechamiento por parte de los pueblos indígenas están sujetos a la Constitución y a la ley”.

En los últimos 6 años,  siempre según la ONIC, 53.885 indígenas han tenido que dejar sus tierras y hoy 18 pueblos indígenas colombianos están en riesgo de desaparecer porque les quedan actualmente menos de 200 habitantes y diez tienen menos de 100. Como ellos reiteran: “indígena sin tierra es indígena muerto”.

Estos derechos a la tierra y a la vida están contenidos en la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas, aprobada en septiembre de 2007, firmada por todos los países latinoamericanos con excepción de Colombia. Hoy los indígenas se movilizan también por su aprobación en este país.

Estas son las razones que están atrás de la gran movilización de los Indígenas que piden un encuentro directo con el presidente Uribe.

Los comunicados de la ONIC traen la siguiente información sobre las acciones:  en Tolima, cerca de 2.000 indígenas Pijaos y Nasas marchan entre El Guamo y El Espinal de forma pacífica, al igual que otros 400 indígenas Embera Chamí en Armenia, capital de Quindío. En Caldas, sigue la concentración en el municipio de Riosucio, así como los indígenas en El Chocó mantienen la toma pacífica de la Defensoría del Pueblo en Quibdó. Dentro de la sede de la Defensoría hay más de 300 indígenas Emberá Dóvida y Katios trabajando en comisiones con autoridades regionales en temas como salud, educación o seguridad alimentaria. Afuera, una cantidad similar de indígenas respaldan la toma pacífica.

En el Valle del Cauca, en la vía que conecta a  Palmira con Popayán, la Florida y Pradera, en la glorieta del puente de ese lugar, están  más de mil indígenas Emberas Chami, Eperaras Siapidaras y Wannan. En Huila,  9 “chivas” que salían desde los resguardos han sido detenidas por las autoridades, luego de requisar a cada uno de los más de 500 indígenas, no los quisieron dejar pasar.

En Guajira: a pesar del invierno y los desastres en muchas de sus rancherías en Manauare y en las mediaciones de Riohacha,  los Wayúu se movilizan en la ruta de
l Sombrero con rumbo a la capital de la Guajira. Los marchantes,  desde el viernes,  vienen sanando el territorio con cantos, danzas, ceremonias y con la reafirmación de la palabra;  los recibirán indígenas Wiwas, estudiantes indígenas y otros sectores. El punto de encuentro es la Universidad de la Guajira.

En Córdoba: miles de indígenas Zenú y Emberas Katios del Alto Sinú y del Alto San Jorge, se unen en esta Minga, por la dignidad y derechos de los pueblos indígenas, En total, se calcula que alrededor de 40 mil indígenas han salido a carreteras y centros municipales para unirse a la Minga Nacional de Resistencia Indígena.

La María

Los enfrentamientos más duros se han dado en La María-Piendamó (Cauca) en donde 20.000 indígenas de las etnias Guambiana, Nasa, Yanacona, Totoró, Coconuco y Eperara-Siapirara se han tomado la carretera Panamericana entre Cali y Popayan, para llamar la atención nacional.

El Estado ha enviando el  escuadrón móvil antidisturbios (ESMAD), declarando que en 10 minutos despejaría  la carretera. La resistencia de los Indígenas se ha mantenido por más de 24 horas y después de dos días,  en este momento la carretera parece nuevamente tomada.

En la María se generó un enfrentamiento extremamente violento durante el cual se han registrado más de 70 heridos entre los indígenas y dos muertos, uno de los cuales es Ramos Valencia, proveniente del resguardo Tacueyó, que ha recibido una bala en la cabeza, que le atravesó de lado a lado.

Lo que ha pasado en este resguardo ha sido de extrema gravedad. La policía nacional, bajo la responsabilidad del presidente Álvaro Uribe, el gobernador del Cauca Guillermo González Mosquera y el comandante del ESMAD, coronel Jorge Cartagena, ha utilizado armas no convencionales contra la población indígena que se defendía solo con bastones de mando  y piedras. La fuerzas policiales,  además de gases, machetes y garrotes,   han utilizados fusiles de balas y tiros recalzados que son una mezcla de pólvora negra, puntillas, tachuelas y vidrios que, al detonar, generan una descarga de esquirlas. Algunas de estas granadas no convencionales no explotadas han sido entregadas a delegados internacionales que desde el día miércoles están  presentes Maria Piendamó.

La comunidad internacional se dio cuenta de la gravedad de los hechos y está acompañando la movilización. Han llegado funcionarios de las embajadas de Canadá, Suecia, Suiza, Estados Unidos y España y representantes de Naciones Unidas y de la Comunidad Europea, ACNUR, OCHA y UNICEF. Los visitantes han pedido a la fuerza pública  no invadir el resguardo de la Maria porque,  según la Constitución nacional, las autoridades indígenas son autoridad estatal en sus resguardos. Y los resguardos no pueden ser allanados sin la previa aprobación indígena. La fuerza pública,  una vez recuperada la carretera,  se infiltraron en el resguardo y quemaron varias viviendas. 

Además del ataque a bala,  los comuneros indígenas han sido víctimas de una ofensiva  mediática vergonzosa.

Ofensiva mediática

Varios medios de comunicación no han hecho más que citar fuentes gubernamentales, sin darse la pena de ir a verificar las noticias, y acusan a las Indígenas de utilizar armas de fuego y de estar  infiltrados por la guerrilla de las FARC.

Contra estas mentiras hablan los hechos, los muertos y los heridos indígenas documentados en  fotos. El proceso de toma de la carretera es una decisión que viene desde abajo, los comuneros en asamblea proponen a los gobernadores de sus cabildos las acciones a tomar, ellos se reúnen,  deciden y reportan a las asambleas, no hay guerrilla, hay las decisiones de un pueblo extremamente consciente que toma decisiones en manera comunitaria.

La criminalización de la protesta es un ejercicio muy practicado en Colombia en donde las FARC se trasforman en la excusa para aplastar los movimientos sociales. Según el Presidente,  guerrilleros son los estudiantes,  los corteros, los jueces, los indígenas, los profesores, los trasportadores y los campesinos. Si así fuese,  su política de seguridad democrática seria un verdadero fracaso, estando todo el país infiltrado por la guerrilla.

Los mismos que acusan de ser guerrilleros a los campesinos son los que están juzgados por crímenes de paramilitarismo, estos si reales, como demuestran los 60 parlamentarios involucrados en el escándalo de la parapolitica, o el mismo ex gobernador del Cauca, Juan José Chaux Mosquera, que tanto ha atacado los indígenas Nasa.  Chaux,  luego de haber desempeñado el cargo de gobernador, fue nombrado por el presidente Uribe, embajador en República Dominicana, función a la tuvo que renunciar por sus probadas conexiones con el paramilitarismo.

Mientras terminamos estas notas llegan noticias de una nueva toma de la carretera en la María y nuevos ataques con armas de fuego por parte de la policía y el ejército.

La represión de estos días se está dando en el marco de las más grandes protestas contra el gobierno Uribe, hoy mismo se espera una gran marcha de apoyo a los pueblos Indígenas en la capital Bogotá.

( Simone Bruno  es periodista italiano.)

Notas

(1)                 Los 5 puntos se pueden consultar en: http://www.nasaacin.org/noticias.htm?x=8925
(2)                 Escuchar los últimos audios difundidos en: http://www.nasaacin.org/audios/octubre_08/17mingareportepescador9am17oct.mp3

 

Francisco Paredes Ruiz: novedades en la campaña de información del caso promovida por este blog en Italia

0 commenti

Francisco paredes Ruiz

Es necesario aplazar sobre los progresos de la campaña promovida por ese blog a un año de la desaparición de Francisco Paredes Ruiz, ocurrida en México el 26 de septiembre de 2007.
 
El Embajador mexicano en Italia, señor Jorge Chen, ha contestado (acá) a la carta que le he enviado y esta es mi última respuesta dirigida  a él.
 
Por conocimientos, ambas cartas han sido transmitidas a la Liga mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos y a la Fundación Diego Lucero A.S, organización civil a la que pertenecía Francisco Paredes Ruiz, que promueve y defiende los Derechos Humanos, especializada en la lucha por la presentación  con vida de los detenidos desaparecidos en México. Ha sido enviada también a los familiares del señor Paredes.
 
Estará a mi cuidado avisarles sobre cada progreso de la situación y por el momento agradezco a quienes se han comprometidos a escribir a las autoridades mexicanas y a quienes en diferentes maneras han expresado solidaridad y partecipación en esta triste e innoble historia.
 

Pagina 65 di 87« Prima...102030...6364656667...7080...Ultima »