Ormai il diritto su quelle rovine lo hanno pagato con il sangue e quindi non se ne andranno. Così affermano dopo la mattanza di venerdì scorso, gli abitanti del ejido (una sorta di fondo collettivo) di Miguel Hidalgo, Chiapas, che dal 7 settembre avevano occupato le rovine del sito archeologico di Chincultik in quanto lasciate in grave stato di abbandono e di degrado dall’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia. L’occupazione della zona archeologica è costata la vita infatti a 6 contadini, barbaramente uccisi da membri della polizia intervenuti sul luogo per cacciarli via. Una decina i feriti e circa trenta le persone in stato di arresto.
Gli abitanti della zona, una comunità composta da circa settemila persone, stavano realizzando una autogestione del sito archeologico con l’obiettivo di rivalutare una risorsa turistica importantissima del loro territorio, tenuta in pessime condizioni fino a quel momento. Le trattative con le autorità e con l’Istituto di Antropologia e di Storia erano in corso e si stavano svolgendo apparentemente in modo tranquillo fino all’operativo di venerdì, quando circa 300 uomini della Polizia Federale hanno circondato la zona e il paese, lanciando gas lacrimogeni anche in una scuola e arrestando diversi membri della comunità mentre altri uomini a cavallo presidiavano la zona.
Sono nati scontri con la popolazione, e alcuni contadini hanno neutralizzato e disarmato 77 poliziotti chiudendoli nella casa comunale. Questo ha scatenato poco più tardi la reazione violenta della polizia che ha iniziato a sparare contro la gente disarmata e a “picchiare indistintamente bambini, donne e anziani”.
Ci sono state almeno tre esecuzioni extragiudiziali di persone ferite che stavano per essere trasportate in ospedale. L’uomo che era alla guida del mezzo è stato fatto scendere ed è stato ucciso dopo essere stato torturato. Cinque agenti degli 11 accusati a vario grado di concorso in omicidio, sono stati arrestati, due di essi hanno già confessato, mentre sono in corso indagini su tutta l’operazione svoltasi il 3 ottobre.
Il Rettore Renato Guarini con il poncho tradizionale boliviano (Foto A Sud)
L’ UPEA (Università Pubblica di El Alto) rappresenta senza dubbio un’esperienza particolarissima in Bolivia ma anche in tutta l’America latina nell’ambito del recupero del diritto all’istruzione dei popoli indigeni ma soprattutto rappresenta la battaglia per l’autonomia universitaria e per l’affermazione dell’identità indigena del paese.
L’UPEA è un’università indigena, perchè El Alto, cittadina sorta inizialmente come quartiere di la Paz e poi cresciuta esponenzialmente, è abitata prevalentemente da indigeni Quechua e Aymara.
La battaglia per l’autonomia universitaria in Bolivia ha origini antichissime. Risale infatti al 1930, quando un referendum popolare si espresse a favore di un’università autonoma e libera da vincoli con lo Stato.
L’università boliviana che ne risultò fu un’università libera e indipendente che però con il passare del tempo si è trovata anche sempre più lontano dal popolo mentre sempre più facilmente ha adottato il pensiero neoliberale imperante nel continente. L’altra grande università pubblica del municipio di La Paz, per esempio, la UMSA (Universidad Mayor de San Andrés) rimase completamente estranea alla lotta per il gas del 2003, nonostante fra le sue facoltà ve ne sia anche una di Ingegneria Petrolifera.
La UPEA nasce invece da un’esigenza reale e sentita del popolo alteño che ha origine nel 1989 quando venne stipulato un accordo con la UMSA per formare un’ università autonoma di discipline tecniche. L’indipendenza dell’UPEA si concretizzò poi soltanto nel novembre del 2003, con l’entrata in vigore della legge a garanzia dell’autonomia universitaria.
Nello stesso anno 2003 l’UPEA si è distinta per essere stata al fianco dei cittadini di El Alto e della Bolivia tutta nella battaglia per il gas, terminata con la fuga dal paese del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada.
Nei giorni scorsi è stato firmato uno storico accordo, promosso dall’associazione A Sud tra l’università la Sapienza e l’università Pubblica di El Alto.
Il rettore della Sapienza Renato Guarini, indossando il caratteristico poncho, dono della delegazione boliviana rappresentata da Benecio Quispe Gutierrez, ex rettore e preside della facoltà di sociologia dell’UPEA, ha firmato il protocollo d’intesa e collaborazione delle due università.
Ieri 1 ottobre, nei locali del rettorato dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma, è stato firmato il protocollo di intesa e collaborazione tra l’Ateneo La Sapienza e l’UPEA — Università Pubblica di El Alto, Bolivia.
Si tratta di un accordo storico, promosso dall’Associazione A Sud al fine di consolidare spazi di dialogo tra le esperienze boliviane ed italiane in materia di diritto allo studio, formazione ed educazione e favorire lo scambio di informazioni, studenti e docenti, rendendo possibile il rafforzamento di relazioni di solidarietà e la costruzione di ponti di reciproca comprensione tra i popoli e gli atenei del nord e del sud del mondo.
Alla cerimonia hanno partecipato il rettore della Sapienza Renato Guarini, l’ambasciatore boliviano in Italia Elmer Catarina, il preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini, il docente Marco Cilento che è stato il promotore accademico dell’iniziativa, Giuseppe De Marzo e Laura Greco di A Sud e — per l’UPEA — l’ex rettore e preside della facoltà di sociologia Benecio Quispe Gutierrez, invitato in Italia per un ciclo di iniziative organizzato da A Sud.
L’accordo – declinato in protocolli esecutivi che stabiliscono forme e tempi della collaborazione – assume un significato simbolico particolare perchè l’UPEA rappresenta uno dei baluardi delle rivendicazioni sociali che hanno portato al processo di cambiamento economico, politico e sociale in atto nel paese.
Nata come risultato delle rivendicazioni indigene della cittadina di El Alto, nel distretto di La Paz, l’UPEA testimonia una realtà unica al mondo, dove si insegna storia andina, epistemologia e lingue indigene e si propongono piani di studio elaborati congiuntamente da professori e studenti. E’ l’unica Università Boliviana ad avere un sistema di voto universale, grazie al quale studenti e docenti eleggono con pari poteri le più alte cariche accademiche. E’ stata il centro propulsore delle rivendicazioni per i beni comuni che hanno portato alla cacciata delle multinazionali dell’acqua e del gas dal paese nel 2003, all’elezione del primo presidente indigeno dell’America Latina, Evo Morales, ed alla nazionalizzazione degli idrocarburi nel 2006.
Il portavoce di A Sud, Giuseppe De Marzo ha spiegato che “questo accordo avvicina i nostri popoli sulla basa della reciprocità e del rispetto, contribuendo a costruire pace su fondamenta solide come la difesa e la valorizzazione dei saperi.”
Secondo Benecio Quispe della UPEA, che ha ringraziato il rettore della Sapienza per “l’apertura e la disponibilità di un ateneo storico come La Sapienza a allacciare relazioni con la più giovane università boliviana”, […] “in qualità di istituzioni accademiche, docenti e studenti abbiamo l’obbligo di impegnarci per fornire strumenti culturali che aiutano a ricostruire le coscienze, in un mondo in profonda crisi come quello in cui viviamo”.
Dopo la firma dell’accordo e lo scambio dei doni, con indosso il tradizionale poncho rosso portato in dono dalla Bolivia, il rettore Guarini ha ringraziato il docente boliviano spiegando che “l’importanza di questo accordo è ancora più viva se si tiene in considerazione la storia della UPEA e la sua valenza simbolica. Siamo convinti che questo protocollo assuma al giorno d’oggi un significato non solo accademico e culturale, ma un messaggio importante di avvicinamento e integrazione tra i popoli del mondo”.
Infine – ha ricordato il preside Morcellini “questi accordi dimostrano che esistono strumenti di politica internazionale diversi dagli atti governativi, che come istituzioni educative abbiamo il dovere di usare per implementare processi di comprensione e collaborazione”.
Les pido que envien esta nota por correo electrónico a todas las direcciones indicadas, además de la embadaja de México de su país.
Es importante que las instituciones mexicanas sepan que fuera del país hay personas, asociaciones o simples ciudadanos que vigilan y se enteran de lo que pasa en relacíon a las violaciones de los derechos humanos y eso es importante sobre todo (y no es poco) para que los familiares de las personas víctimas de esas violaciones no están solos.
Presidente de los Estados Unidos de México
Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF
Cumpliendo un año de la desaparición en México de Francisco Paredes Ruiz, nos unimos al pedido entregado al Gobierno Federal de México por algunas asociaciones de defensa de los derechos humanos entre las cuales la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Umanos (LIMEDDH) y la Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Víctimas de Violaciones a los Derechos Humanos en México (Afadem-Fedefam) y además al pedido de los hijos del Señor Paredes Ruiz, exigiendo su reaparición con vida.
Francisco Paredes Ruiz era un defensor de los derechos humanos particularmente comprometido en la lucha contra las desapariciones forzadas de personas sobre todo en el estado de Michoacán y además de ser co-fundador e integrante de la Fundación Diego Lucero A.C., asociación que desde años lucha por la defensa de los derechos humanos en el mismo estado y en todo el país.
Las autoridades mexicanas, cómo declarado por Yanahui Paredes Lachín, hija de Francisco Paredes Ruiz se han negado hasta la fecha de aceptar la denuncia por desaparición forzada de persona. El caso de Francisco Paredes por lo tanto está siendo investigado como secuestro de persona, mientras todas las evidencias testimonian que se trata de desaparición forzada y no obstante hay serios indicios que él haya sido detenido en un cuartel militar o un penal de maxima seguridad.
Es inaceptable que si bien el gobierno mexicano haya firmado acuerdos internacionales contra la desapareción forzada de personas que es universalmente reconocida como un crimén de lesa humanidad, las autoridaes del país no han demostrado hasta hoy voluntad para resolver ese caso.
Pedimos por lo tanto al gobierno de México que reciba el pedido de los hijos de Francisco Paredes Ruiz, Yanahui, Cristina y Francisco, aceptando la denuncia de desapareción forzada de su padre y que desarrolle las investigaciones con la seriedad y el respeto que la gravedad del caso requiere.
Exigimos además de la inmediata reaparición con vida de Francisco Paredes Ruiz, también la de Alberto Cruz Sánchez y de Edmundo Reyes Amaya, desaparecidos de Oaxaca el 25 de mayo de 2007 y de Lauro Juárez desaparecido el 30 de diciembre del mismo año, cómo la reaparición con vida de todos los desaparecidos de México.
Por favor enviar comunicaciones también a:
Cesar Nava Vázquez
Secretario Particular del C. Presidente de la República
E’ stato ritrovato il 24 settembre scorso, nello Stato di Oaxaca, Messico, il corpo senza vita di Marcela Salli Grace Ellier, cittadina statunitense, 21 anni, attivista da tempo impegnata in quella zona in difesa dei diritti umani e in solidarietà delle donne vittime di violenze e persecuzioni politiche. Ultimamente si stava occupando dei prigionieri politici e delle donne, mogli, compagne, madri, sorelle, figlie dei detenuti e delle persone scomparse o assassinate.
Salli aveva raccontato poco tempo fa di aver ricevuto minacce di morte e di essere controllata per questa sua attività che svolgeva unicamente per spirito di solidarietà senza fini economici o politici.
E’ stata violentata prima di essere barbaramente torturata e poi uccisa. Il suo corpo, trovato in una zona rurale nei dintorni di San José del Pacífíco, a circa 170 chilometri dalla città di Oaxaca, era irriconoscibile e in avanzato stato di decomposizione. E’ stato identificato da una amica solo grazie ad un tatuaggio.
Alcune organizzazioni femministe e sociali, tra le quali la APPO, oggi hanno realizzato un sit-in di fronte alla Procura della Giustizia dello Stato di Oaxaca chiedendo giustizia e che le indagini vengano effettuate velocemente e seriamente.
In realtà queste organizzazioni hanno espresso timori per il fatto che questo omicidio potrebbe essere relazionato con la repressione sempre più evidente contro i movimenti sociali della zona, rivolta soprattutto agli osservatori internazionali. “Potrebbe trattarsi di un chiaro messaggio rivolto a tutto il popolo di Oaxaca, nonché ai compagni solidali che provengono da differenti parti del mondo”.
Va rilevato che in questi giorni sta circolando la notizia sia a livello nazionale che internazionale che membri della APPO sono accusati dell’omicidio del giornalista Bradley Roland Will, avvenuto il 27 ottobre 2006, nonostante tutte le evidenze dimostrino che egli fu ucciso da persone armate in borghese appartenenti a corpi di polizia. La APPO ha respinto categoricamente questa versione dei fatti, accusando il governo Federale di voler gettere discerdito sul movimento sociale, mentre d’altro canto il pubblico ministero di Oaxaca, Lizbeth Caña cadeza afferma che l’omicidio di Bradley Will è stato organizzato dalla APPO o da gruppi vicini per “internazionalizzare” il conflitto politico e sociale di Oaxaca.
ULTIMORA: (da Gennaro Carotenuto): Una persona sarebbe stataarrestata e avrebbe confessato l’omicidio. La confessione parla di sesso consenziente, alcool e droga, niente stupro, niente politica, e il corpo verrà immediatamente cremato. E le minacce di morte? Non è tutto troppo semplice? Oppure ancora una volta in Messico quello che viene fatto apparire troppo semplice è perché è maledettamente complicato?
Inoltre, ammettiamo e non concediamo che questa verità di comodo sia come siano andate davvero le cose. In ogni caso la verità ufficiale proposta, con tanto di confessione dell’assassino (presunto) appare la migliore possibile per confermare la versione ufficiale (a Oaxaca non ci sarebbe alcun problema di repressione) e denigrare una militante per i diritti umani appena trovata morta ammazzata.
Non dico niente di nuovo, ma guarda caso nella verità ufficiale Marcela non è stata ammazzata per rapina, o per mille altre possibili cause. E’ stata ammazzata perché ha avuto rapporti sessuali col primo venuto, facendo abuso di alcool e droga, tutti comportamenti considerati pericolosi e socialmente riprovevoli. Ovvero ha avuto quello che si meritava e che si meriterebbero tutti questi pseudomilitanti per i diritti umani che vengono a disturbare la nostra quiete. Tutto maledettamente semplice.
La Federación Internacional de los Derechos Humanos (FIDH) con ocasión del 60° aniversario de la Declaración Universal de los Derechos Humanos, ha realizado en el curso del año 2007, del 25 de febrero al 13 de marzo, una misión en el marco de la Campaña internacional sobre “Migraciones y Derechos Humanos” en las dos zonas fronterizas que actualmente representan los dos lugares más críticos respecto a las violaciones de los derechos humanos que sistemáticamente son cometidos contra la población migrante. Las dos zonas fronterizas donde se desarrolló la misión son la frontera sur de México con Guatemala y la frontera norte entre México y Estados Unidos.
Particularmente la frontera con Estados Unidos representa una “línea de fractura entre una América rica y dominante en los planos económicos y políticos y una América pobre, sometida a las reglas del juego fijadas por el vecino del Norte” se lee en la relación presentada por la FIDH al cumplimento de la misión.
En los últimos 12 años han sido más de 4 mil los migrantes muertos atravesando el muro “material y virtual” que separa México de Estados Unidos.
Migrantes “ilegales” son llamados por las autoridades y los medios de comunicación, definición que la Federación Internacional de los Derechos Humanos, a la cual pertenece también la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos (LIMEDDH), rechaza firmamente, porqué considera aberrante la misma definición de “ilegal” aplicada a un ser humano. Ese término “ilegal” con el que se define un migrante demuestra también claramente una criminalización del fenómeno de la migracíón y con frecuencia se acompaña a una confusión entre migración y terrorismo, confusión que se ha incrementado durante la actual administración norteamericana y que tiene como consecuencia la legitimación de medidas siempre más represivas y violaciones de los derechos humanos siempre más graves en nombre de la seguridad nacional.
Cada vez más hombres y mujeres avanzan más allá de las fronteras de México, a toda costa, movidos por la esperanza de una vida mejor, y por lo tanto la causa principal de las migraciones es siempre la pobreza. Además, con la firma del tratado de Libre Comercio entre Canadá, Estados Unidos y México, el llamado NAFTA, las desigualdades entre México y los demás paises del tratado no se han reducidas, son aún más acentuadas dramáticamente. En diez años, entre el 1994 y el 2004, más de 1,3 millones de campesinos mexicanos han abandonado sus tierras por el ingreso en el mercado nacional de maíz y trigo proveniente de Estados Unidos a precios irrisorios.
Las violaciones de los derechos humanos que la FIDH ha relevado durante la misión en las dos zonas fronterizas antes citadas han sido inumerables.
Numerosas entrevistas y testimonios hablan de muchos hombres y mujeres muertos luego de caer de los “trenes de la muerte” que llevan los migrantes del sur hacia el norte de México hacia los Estados Unidos.
Los cuerpos luego son tirados en fosas comunes o enterrados en cementerios de zonas rurales ( tristemente conocido el de Tapachula) y los familiares generalmente no son advisados de la muerte de sus parientes.
En el curso de las operaciones de indentificación de migrantes y en el curso de los operativos sobre los “trenes de la muerte” ha sido relevada y denunciada una utilización desproporcionada y excesiva de la violencia por pare de las fuerzas policiacas.
La impunidad, luego, protege la acción de las autoridades en los casos acertados de violaciones de los derechos humanos.
Ulteriores y graves violaciones son cometidas cuando los migrantes son detenidos en las llamadas “estaciones migratorias” donde deberían permanecer “en tanto se aclara su situación migratoria o se llava a cabo su deportación” y siempre por no más de noventa días. Las violaciones más comunes en estos casos van desde la prolongación de los términos de detención, hasta las malas condiciones sanitarias e higiénicas de las instalaciones físicas, además de graves violencias físicas y maltratos a los migrantes.
A esas detenciones “legales” se adjuntas detenciones ilegales de migrantes por parte de criminales con el fin de extorsionar a los mismos.
La relación de la FIDH concluye con la recomendaciones que la misma Federación Internacional y sus partners en territorio nacional, hacen al gobierno de México y de Estados Unidos por el respeto de los derechos de los migrantes cómo seres humanos.
Seminario Internacional
“Los derechos humanos de las personas migrantes en Américas”
16/17/18 de junio 2008 – México D.F.
En los días 16/17/18 de junio de 2008 en la Ciudad de México, cómo complemento del trabajo realizado por la FIDH el año anterios se ha llevado a cabo el Seminario Internacional “Los derechos humanos de las personas migrantes en las Américas” promovido propio por la Federacioón Internacional de los Derechos Humanos y por sus dos ligas méxicanas, la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos (LIMEDDH) y la Comisión Mexicana de Promoción y Defensa de los Derechos Humanos, A.C. (CMDPDH), además de la organización Sin Frontersa I.A.P. con el objetivo primario de analizar las graves violaciones de lo derechos humanos que se presentaron en el curso de la misión relalizada apenas un año atrás en México.
Entre otros, esos también los temas afrontados:
- El manejo de los flujos migratorios en la frontera
- La detención y deportación de migrantes
- Los derechos de los trabajadores migrantes.
El Dr. Adrián Ramírez, presidente de la LIMEDDH en su intervención durante el seminario ha aportado su experiencia ventenal de defensor de los derechos humanos: “cuando nos acercamos al testimonio de las victímas cotidianas de esto, vemos la mutilación de los cuerpos de las personas, vemos la tristeza y las lagrimas de las mujeres violadas y el abuso que constantemente sufren en el trascurso hacia Estados Unidos. Y ese muro, que no detiene la migración, simplemente lo que hace es que después de brincar el muro están más aptos para trabajar en Estados Unidos”.
No podía no sobresalir en el seminario el tema reciente de la directiva de retorno de la Unión Europea qué cómo nos explica el Dr. Ramírez “representa un grave retroceso por los derechos humanos en el mundo” y lanza una amonestación a la Unión Europea: “desde aquí le decimos que lo que pasó en Francia con la muerte de estos dos ciudadanos migrantes de Africa y que después generó un montón de violencia es simplemente la expresión de no considerar a los seres humanos de cualquier parte del mundo cómo humanos y que la xenofobia lo único que alimenta es el odio y el retrazo de la solucíón de los problemas graves de la humanidad”.
Durante el seminario, al cual participaron más de 20 paises se lanzó la campaña internacional por los derechos de los migrantes y se eligíió cómo sede del evento no por casualidad, Ciudad de México por ser este país “origen, tránsito y destino de los migrantes”.
…
1)Video/Audio de la intervención del Dr. Adrián Ramírez, presidente de la LIMEDDH al seminario internacional “Los derechos humanos de las personas migrantes en Américas”
…
2)Ver Informe de la FIDH, Muros, abusos y muertos en las fronteras : Violaciones flagrantes de los derechos humanos de los migrantes indocumentados en camino a Estados Unidos, marzo de 2008|fr->http://www.fidh.org/spip.php?article5336
…
3)Recomendados sobre el tema de los migrantes en México
Es con el analista político Carlos Montemayor, más que con el escritor de novelas y poemas con quien conversamos en México. “En realidad las personas enfermas que quieren controlar el mundo son gabinetes como los de George Bush” nos dice en esa entrevista esclusiva concedida a Annalisa Melandri. En su casa de Ciudad de México, durante una conversación exquisita y agradable, rodeados de pilas de libros en casi todos lo idiomas del mundo (Carlos Montemayor habla perfectamente cinco idiomas además de el Grieco clásico y modermo y el Latín) él aborda temas importantes y difíciles como el terrorismo y la guerrilla, además de la grave situación colombiana y nos explica porqué cree que “Colombia es un ejemplo de lo que no debe seguir siendo América latina”.
Carlos Montemayor (México, 1947) no solamente es autor de una cantidad infinita de obras narrativas, poéticas y de ensayismo, traducidas en casi todos los idiomas, ganador de premios nacionales e internacionales (Premio internacional Juan Rulfo por Operativo en el Trópico, 1994 y Premio Colima por Guerra en el Paraíso, 1991) e integrante de la Academia Mexicana de la Lengua y de la Real Academia Española. Él es además y sobretodo un profundo conocedor de la realidad social y política de su país, amante de la historia y de la tradición oral indígena y agudo observador de las condiciones sociales y económicas que desencadenan los conflictos civiles y armados.
Nombrado por el Ejército Popular Revolucionario (EPR) como mediador junto con: el antropólogo Gilberto López y Rivas; el abogado y periodista Miguel Ángel Granados Chapa; el obispo Samuel Ruiz y la senadora Rosario Ibarra de Piedra, para las negociaciones con el Estado mexicano por la presentación con vida de dos militantes del grupo armado, desaparecidos en Oaxaca el 25 de mayo de 2007.
Carlos Montemayor nos explica los orígenes de los conflictos sociales en su país y más generalmente sobre el uso instrumental que se hace del concepto de terrorismo, sobre todo desde el 11 de septiembre de 2001. Algunos de los temas tratados en esa entrevista se pueden profundizar en sus últimos libros: La guerrilla recurrente (Debate, 2007) y Los pueblos indios de México (Deboslillo, 2008)
AM.-Usted ha sido invitado por el EPR (Ejército Popular Revolucionario) en la mediación que el grupo insurgente propuso al gobierno de México el 24 de abril de 2008 pidiendo la reaparición con vida de los dos militantes de esa organización, desaparecidos en Oaxaca desde el mes de julio de 2007. En calidad de mediador ¿Cómo está evaluando la postura del gobierno ante esa negociación?
CM.-Lo hemos explicado ya pormenorizadamente en los documentos presentados el 14 de agosto. Gran parte de las acciones emprendidas por el Gobierno Federal en la búsqueda de estos eperristas desaparecidos, no forman parte de la información que proporcionan a la Comisión de Mediación. Estas acciones las hemos conocido –los mediadores– directamente por las consultas que hemos hecho en muchos sectores de la sociedad mexicana, tanto a nivel nacional como a nivel regional. Lo que ha quedado muy claro para nosotros después de la entrega de los primeros documentos de análisis procesales y políticos el 13 de junio es que los representantes del Gobierno Federal se negaron a considerar como planteamientos al Gobierno Federal las preguntas y análisis que les entregamos el 13 de junio.
A partir de esa negativa expresa, la Comisión intensificó sus consultas, sus entrevistas con ex militantes de organizaciones como el PROCUP y el PDLPEPR, de familiares de los desaparecidos y particularmente con la Comisión Nacional de Derechos Humanos y ahora podemos decir que hay suficientes elementos para entender que en algunos sectores policiales, en algunos sectores políticos, en algunos sectores militares del Gobierno mexicano hay una confusión sobre las posibilidades reales de la Comisión de Mediación. Estas confusiones derivan del intento de establecer canales de comunicación con el EPR desde el año 2007. Tanto el ejército, como el CISEN han creído establecer contactos a través o de familiares o a través de presiones a ex militantes o a los familiares de los mismos desaparecidos. Esto ha hecho borrosa yo creo, la imagen del propio Gobierno Federal en el proceso de mediación. Por lo tanto desde el 14 de agosto hemos suspendido provisionalmente las tareas de mediación hasta tanto respondan el EPR y el Gobierno Federal si quieren que continúe este proceso.
AM.- El gobierno en su último boletín del 14 de agosto ha aceptado definitivamente que se trata de un caso de desaparición forzada, en vez de secuestro como fue planteado desde el principio. ¿Qué significa esto y cómo actuará la Comisión de Mediación ante esa afirmación de responsabilidad?
CM.- No tiene ninguna trascendencia ese comunicado, porqué ya lo habíamos dicho reiteradas veces, tanto por la CNDH, como por el abogado defensor de los policías oaxaqueños arraigados. Por la nota aclaratoria del director del CISEN sabíamos que uno de los expedientes o uno de los cargos acumulados en el expediente n. 047/2008 era por desaparición forzada de persona en perjuicio de los dos eperristas. Esto es solamente una hipótesis procesal, no es una resolución judicial y el comunicado de gobernación aclara perfectamente que se está manejando como una hipótesis procesal, de ninguna manera es una verdad jurídica porque no se trata de un dictamen de un juez. De tal manera que ni sorprende, ni agrega nada y por supuesto es una mínima parte comparado con los 39 puntos del informe y del anexo técnico que forma la documentación del 14 de agosto y hemos planteado al Gobierno Federal y al EPR. No tiene la menor relevancia ese comunicado y estamos a la espera de que respondan, tanto el Gobierno Federal cómo el EPR.
AM. – Las desapariciones forzadas en México y en toda América Latina eran una representación de la “guerra sucia”. ¿Continúa el Estado mexicano con la práctica de desaparecer personas? ¿cómo reacciona la sociedad civil ante eso?
CM.- Creo que el único avance que ha habido en el Estado mexicano y en el país, contra la desaparición forzada de personas ha provenido de la sociedad civil. El gobierno mexicano ha firmado, ha subscrito convenios internacionales, contra la desaparición forzada, tanto en el seno de la OEA, como en el seno de la ONU. Sin embargo no ha habido ninguna adaptación de la legislación nacional para modificar y favorecer institucionalmente en la Procuración de Justicia o en los ejercicios de los tribunales estos compromisos internacionales. De tal manera que no ha habido ningún avance en cuanto al Gobierno mexicano; en el Estado mexicano, no ha habido ningún castigado, no ha habido ningún procesado, la impunidad es permanente, desde la guerra sucia para acá. Estamos viviendo en México en un marco de impunidad total y los únicos cambios que se advierten son en las organizaciones civiles. La sociedad civil es la que va adelante, el Estado mexicano el que va rezagado.
AM.- En su libro de reciente publicación “La guerrilla recurrente”, Usted aborda el tema del conflicto político, social y armado en México en sus diferentes aspectos ¿por qué “guerrilla recurrente”?
CM.- Lo que explico en este libro, que puede comprobarse, es que cada cierto tiempo hay un reavivamiento de los movimientos guerrilleros y que el análisis oficial de los movimientos guerrilleros es un análisis equivocado e incompleto. Confunden el alzamiento popular armado, lo confunden con la totalidad de los miembros propiamente armados, sin conexión con condiciones sociales. En la medida en que solamente la estrategia del Estado mexicano se dirige a aniquilar físicamente estos grupos armados y a no modificar las condiciones sociales, entonces de manera recurrente las condiciones sociales vuelven a propiciar los alzamientos y de manera recurrente el Gobierno mexicano responde con procesos de aniquilación o procesos de arrasamiento de zonas rurales y momentáneamente se sofocan los movimientos y tiempo después vuelven a aparecer. Esta recurrencia se refiere entonces, no solamente, a los alzamientos guerrilleros, sino a las estrategias equivocadas del Gobierno mexicano para controlar estas insurrecciones.
AM.- ¿Qué características tiene y de dónde surge el movimiento armado mexicano?
CM.- Tiene numerosas razones. En uno de mis libros que se llama “Los pueblos indios de México”, hago una reseña de los movimientos armados indígenas desde los años de la conquista hasta nuestros días. La invasión territorial, el despojo de tierras, la violencia institucional, van provocando descontentos sociales que gradualmente van acentuando sus respuestas, van aumentando la violencia de la respuesta social y estos procesos que se desencadenan de manera recurrente pueden caracterizarse sobre todo como despojo de tierras. Por ejemplo, en el Estado de Chiapas, en la segunda parte del siglo XX, hubo un flujo migratorio muy importante a las Cañadas, a la zona selvática de la Lacandona. En ese momento, México tenía una legislación que permitía el asentamiento y el reconocimiento de derechos agrarios o derechos sobre territorios no colonizados, a comunidades que por razones de expansión demográfica o por otro motivo como el desplazamiento de las comunidades de sus territorios originales, podían permitir este reajuste de asentamientos humanos. Durante muchos años, tanto por razones demográficas, como por la construcción de las grandes hidroeléctricas en Chiapas, se originaron desplazamientos importantes de comunidades. El presidente Díaz Ordaz, antes de que terminara su mandato, emitió un decreto presidencial, en el año 1969, para que se legalizara y se regulara la tenencia de tierras a más de 40 comunidades indígenas. Esta fue una buena medida, pragmática, útil, lógica, sensata. Pero algunas de estas comunidades tenían ya 20 años asentadas o 15 o 10, y también tenían años de estar solicitando la regulación de sus tierras, estaban ya pidiendo incluso ampliación para las dotaciones de territorios. A pesar de eso, el decreto presidencial no llegó a modificar la realidad regional porque las propias fuerzas regionales impidieron que este decreto tuviera efectos. En 1972, por si fuera poco, un nuevo mandatario emite otro decreto presidencial, que cancela el anterior, y en este caso lo que establece es que toda la selva Lacandona pertenece a los 66 cabezas de familia lacandonas, que de la noche a la mañana se convierten aparentemente en dueños de la selva y de la noche a la mañana convierten a las comunidades que tienen hasta 20 años ya ahí establecidas, en invasoras de territorios. Curiosamente surge con ese decreto presidencial, una compañía forestal, la Compañía Forestal Lacandona S.A. que con préstamos del propio Estado mexicano contrata con los 66 “verdaderos” dueños la explotación de las maderas preciosas de la selva y exige al ejército que expulse a los “invasores”, es decir, las comunidades que tenían ya 20 años esperando que se les regularizaran sus tierras. Este despojo territorial produce la resistencia que desde el mismo 1972 se manifiesta y que irá creciendo en los mismos sitios en 1994 hasta la fecha. Lo mismo podemos decir del despojo territorial que provocó que surgiera el movimiento guerrillero de Chihuahua en Madera y podemos decir que está ocurriendo ahora con la minera canadiense Minefinders en la propia región de Madera, pues están despojando o intentando despojar de sus tierras a los campesinos en Chihuahua. Principalmente el despojo de tierras ha sido un detonante de los movimientos armados en México, pero podemos agregar también comportamientos e injusticias notables y recurrentes contra comunidades. O es el despojo o es la represión y la agresión de Estado; despojo de tierras o despojo de cultivos o acaparamientos de productos.
AM.- Entonces en 1994 estalla el movimiento zapatista. Ahora parece haber perdido fuerza. ¿Tiene todavía vigencia?
CM.– Sí, por supuesto. No ha perdido fuerza, ha ganado fuerza. Lo que ha perdido es atención de los medios. Cuando los zapatistas hablaban no los queríamos oír, y cuando los zapatistas callan, tampoco los queremos oír, pero nos preguntamos por qué no siguen hablando. No siguen hablando primero porque no están locos para seguir hablando cuando nadie los oye, segundo no siguen hablando porque están actuando. La acción de ellos es la materialización de los Acuerdos de San Andrés. Las Juntas de Buen Gobierno en los caracoles es la respuesta política del zapatismo a la negativa de Estado para reformular la constitución mexicana en materia de derechos de los pueblos indios. Acuerdos que fueron incumplidos por el Gobierno mexicano, pero que los zapatistas ya los impusieron en La Realidad, y eso es una realidad diaria, cotidiana y es el fortalecimiento de la estructura política de los zapatistas. Cuando la Comisión de Mediación en la que yo participo, estaba esperando la respuesta del Gobierno Federal para que se iniciara la mediación y cuando no iniciaba la Comisión todavía sus consultas, la atención mediática era inmensa, diaria. En el momento en que la Comisión de Mediación recabó una información suficiente como para que el Gobierno Federal tuviera que responder a esos planteamientos específicos, en ese momento, no solamente el Gobierno Federal se negó a responder, sino que desapareció todo el interés mediático por la Comisión de Mediación. Hay algún aire de familia en este silencio mediático.
AM.- ¿Tiene todavía razón de ser la lucha armada en el siglo XXI o es anacrónica?
CM.- Si se le pregunta a los afganos, a los palestinos, si se le pregunta a los iraquíes, si se le pregunta a cualquier punto conflictivo de Oriente medio o de Oriente extremo o de América, dirán que sí. Yo creo que no se trata de calificar los movimientos armados populares como actuales o arcaicos, sino entenderlos como lo que son, las respuestas posibles a presiones sociales recurrentes e injustas.
AM. — En su libro plantea que “en los planes estadounidenses de seguridad hemisférica y mundial se esté considerando cada vez con mayor claridad convertir a los ejércitos latinoamericanos en reservas domesticas”. ¿No parece contradictorio con el hecho que América latina esté viviendo una nueva identidad caracterizada por unos gobiernos de izquierda o de centro izquierda?
CM.- No todos los gobiernos, hay gobiernos dóciles en México, en Centroamérica, incluso en Suramérica. No es lo mismo un Gobierno colombiano, con un Plan Colombia o un Gobierno peruano que el Gobierno actual boliviano o el Gobierno actual venezolano. Tenemos que matizar.
AM. — Con referencia a lo que decíamos antes de la militarización de la región hacia donde va México?
CM.- México va hacia la destrucción de sus propias fuerzas militares por el excesivo compromiso del ejército en tareas policíacas, en tareas de criminalidad organizada. Esto inicia un proceso de debilitamiento mayúsculo. En el momento en que el ejército mexicano esté totalmente debilitado como lo están ahora los cuerpos policiales, entonces el asunto de la seguridad será recibido por instancias militares hemisféricas y ya no domesticas. Por eso esa conformación de los ejércitos latinoamericanos en fuerzas de complemento de apoyo regional a la política hemisférica de control, se hace cada vez más claro.
AM.- Cuando Hugo Chávez planteó al principio de este año el reconocimiento de las FARC como fuerzas beligerantes, Usted escribió en un editorial que hay que poner en la mesa nacional e internacional el “sesgado y utilitario concepto de terrorismo”. ¿Qué quiere decir con eso?
CM.- Que el terrorismo no es un término objetivo, sino un término subjetivo, un término parcial. Terrorismo es un concepto que se aplica sobre todo a las luchas de resistencia social justificadas contra invasiones de países o de territorios o de ocupaciones militares de territorios. En este sentido el terrorismo no responde a un análisis o una descripción de realidad social y de realidad política. El terrorismo que maneja Estados Unidos si se analiza a través de las producciones de Hollywood, se convierte en el movimiento de personas enfermas que quieren controlar el mundo, en realidad las personas enfermas que quieren controlar el mundo son gabinetes como los de George Bush o estructuras como la Exxon Mobil, o las de Gargil, o las del mismo Hollywood, o la de Halliburton. Este control provoca resistencias. A los palestinos les quitaron su territorio, los han estado masacrando, los han estado reprimiendo, lo menos que se puede esperar de los palestinos es que se defiendan con armas, a los iraquíes los han estado matando y ocupando territorial y militarmente, lo menos que se puede esperar es que se defiendan. A todas estas resistencias sociales y mundiales los llaman terroristas, ¿por qué? Porque es una forma de descalificar los motivos sociales que tienen esos grupos para levantarse en armas.
AM. Finalmente las FARC, la guerrilla más antigua de América Latina. ¿Cómo evalúa el conflicto colombiano?
CM. — El conflicto colombiano es uno de los procesos más claros de cómo puede complicarse la vida social de un país cuando se introducen en procesos de crisis social estrategias de corrección, que a la larga van a producir un caos mayor y una polarización social mayor. Es impresionante el apoyo que tanto del gobierno como de las trasnacionales han recibido las fuerzas paramilitares. Pero es también notable el apoyo y la penetración que ha tenido el crimen organizado, el narcotráfico en la vida política, económica y social del país. Es también notable la pérdida territorial que el Estado colombiano tuvo durante décadas, ya sea para apartar y concentrar la violencia de paramilitares y guerrilleros o entre paramilitares y narcotraficantes. Pero también es notabilísima la docilidad del gobierno colombiano a las necesidades y ordenanzas militares de Estados Unidos. Aquí las FARC son una parte mínima del conflicto complejísimo colombiano. Colombia es un ejemplo de lo que no debe seguir siendo América Latina.
In Messico, il principale movimento armato del paese, l’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario), attraverso la diffusione di un comunicato trasmesso il 24 aprile di quest’anno, ha proposto l’avvio di un dialogo con il Governo chiedendo la riapparizione in vita di Edmundo Reyes Amaya e di Gabriel Alberto Cruz Sánchez, due militanti del gruppo ribelle scomparsi dalla città di Oaxaca il 25 maggio del 2007. In realtà esistono prove sufficienti, raccolte da alcune organizzazioni civili per la difesa dei diritti umani e dalla Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) che i due militanti del gruppo insorgente sono stati arrestati da agenti di polizia nel corso di un’operazione svoltasi il 25 maggio 2007 nella città di Oaxaca.
“Ci sono prove del fatto che sono stati arrestati da forze di polizia, e che sono stati torturati negli uffici della Procura, dai quali sono stati poi portati via feriti in autombulanze dell’esercito”, denuncia l’EPR nel suo comunicato, nominando come intermediari nel dialogo con il Governo alcune figure di spicco della società civile messicana e cioè l’arcivescovo Samuel Ruiz, lo scrittore Carlos Montemayor, l’avvocato e giornalista Miguel Ángel Granados Chapa, l’antropologo Gilberto López y Rivas e il Fronte Nazionale Contro la Repressione rappresentato dalla senatrice Rosario Ibarra de Piedra.
Il Governo ha chiesto che il gruppo armato ponga fine ad ogni azione di violenza o di sabotaggio e che le trattative siano volte anche alla smilitarizzazione futura dell’EPR. L’EPR invece, oltre ovviamente alla riapparizione in vita di Edmundo Reyes Amaya e di Gabriel Alberto Cruz Sánchez, ha chiesto che lo Stato cessi ogni azione di provocazione e di violenza contro i loro militanti e i loro familiari, così come contro i familiari dei due desaparecidos. Tuttavia le trattative e i dialoghi si sono arenati a questo punto, soprattutto di fronte alla evidente mancanza di volontà politica da parte del Governo di assumersi le responsabilità della scomparsa dei due uomini.
Pertanto, la Commissione di Mediazione in una lunga relazione presentata il 14 agosto scorso, dopo aver raccolto diverso materiale, frutto di ricerche e di interviste effettuate a organizzazioni, istituzioni, simpatizzanti dell’EPR e militanti, nonché ai familiari stessi delle due persone scomparse (materiale raccolto poi in un dossier formato da 39 punti e da un annesso tecnico), rende noto che sono chiare le intenzioni del Governo messicano di non rispondere alle questioni e alle domande sollevate dalla Mediazione tempo prima, e che oltre alla dimostrazione palese della mancanza di volontà politica dello stesso, risulta evidente che alcuni organi dello Stato sono a conoscenza di elementi e di notizie sui due scomparsi che non sono stati messi a disposizione della stessa Commissione.
Da tali incontri ed interviste e anche in seguito a un incontro svoltosi con la Commissione Nazionale dei Diritti umani, è risultato chiaramente alla Commissione di Mediazione che si tratta questo di un caso di desaparición forzada (sparizione forzata) e non di sequestro come è stato prospettato fin dall’inizio dal Governo messicano.
La sparizione forzata, come ricordano e sottolineano gli stessi membri della Commissione, nell’allegato tecnico presentato alle parti il 14 agosto scorso, è un crimine contro l’umanità, che è stato lungamente applicato in passato “come un metodo per ottenere governabilità attraverso la paura che tale pratica produce nella popolazione. E questo nonostante il Messico abbia firmato diversi trattati internazionali che ripudiano questo crimine”. Purtroppo in Messico è ancora una pratica tristemente attuale
C’è da dire che il 14 agosto, giorno in cui la Commissione di Mediazione informava le parti della sospensione dei dialoghi in attesa di atti chiari ed inequivocabili a dimostrare l’intenzione delle istituzioni messicane di dare notizie certe sulla sorte di Edmundo Reyes Amaya e di Gabriel Alberto Cruz Sánchez, giungeva un comunicato stampa da parte del di Governo, scarno e affrettato nei contenuti e nella forma, che informava le parti che la Procura Generale della Repubblica sta svolgendo indagini per il reato di sparizione forzata di persona.
Tuttavia sia Carlos Montemayor, membro della Commissione di Mediazione, che Pablo Romo, membro di SERAPAZ, associazione civile che sta seguendo da vicino le trattative, assicurano in interviste rilasciate a chi scrive (qui e qui) che si tratta di un comunicato che non aggiunge nulla a quanto già noto, dal momento che a Oaxaca il Procuratore di Giustizia dello Stato medesimo, aveva già aperto d’ufficio un’indagine preliminare per sparizione forzata e due agenti di polizia che erano stati in carcere preventivo con questa accusa. Praticamente pertanto è solo lo Stato federale del Messico che non riconosce la sparizione forzata dei due membri dell’EPR e che continua a non dare significativi segnali di voler rendere noto cosa ne è stato di loro. Accettare che si tratti di un caso di desaparecion forzada sarebbe infatti un passo di rilevanza “politica, sociale e democratica” storico nel paese, che getterebbe le basi per una visione diversa di quanto accaduto in passato e di quanto accade tutt’ora in Messico e che farebbe traballare pesantemente i concetti stessi di impunità e corruzione, sui quali si basa gran parte del sistema giudiziario del paese.
L’Esercito Popolare Rivoluzionario al momento, ha confermato la volontà di non compiere azioni armate fintanto che non giungano segnali importanti, ma la tregua potrebbe durare ben poco. Ricordiamo che l’EPR, nato inizialmente dalla fusione del PROCUP – PDLP ( Partido Revolucionario Obrero Clandestino Unión del Pueblo — Partido de los Pobres) è alla testa di altri 4 gruppi armati minori che secondo il Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN) possono “colpire la pace sociale e la sicurezza nazionale”.
L’EPR, movimento di stampo socialista, nazionalista e fortemente contrario alle privatizzazioni delle risorse del paese, proprio un anno fa si rese protagonista di una serie di attentati ai danni della PEMEX, l’azienda petrolifera di Stato, che sebbene non abbiano causato vittime tra la popolazione civile sicuramente provocarono ingenti danni economici. Ne rivendicarono la paternità in un comunicato, minacciando di compierne ulteriori fino alla riapparizione in vita di Edmundo Reyes Amaya e di Gabriel Alberto Cruz Sánchez. Adesso l’EPR ha intrapreso la via della mediazione e delle trattative, dimostrando di essere in grado di trattare politicamente e civilmente con il Governo. Che tace e non risponde.
Delle 140 persone raggiunte da mandati di cattura internazionali nell’ambito delle indagini sul Plan Condor, Nestor Troccoli era l’unico ad essere finito in carcere. In Italia il 23 dicembre 2007. Una serie di “disguidi burocratici”, per i quali ha perso il posto anche Carlos Abin, ambasciatore uruguaiano nel nostro paese, lo hanno però rimesso in libertà lo scorso 23 aprile.
Era accusato della scomparsa di sei cittadini italiani ed era stato arrestato a Salerno a fine dicembre 2007.
Troccoli, che ha anche il passaporto italiano, adesso vive e gira tranquillamente per le strade di Roma.
Oggi si sta svolgendo l’udienza della Cassazione che deciderà in merito all’estradizione richiesta dall’Uruguay in quanto Troccoli è accusato nel suo paese di aver fatto sparire dall’Argentina anche 21 cittadini uruguaiani, suoi connazionali, nell’ambito delle operazioni del Plan Condor.
“Ho denunciato anche lo Stato, per il caso della scarcerazione di Nestor Trocccoli, chiedendo un risarcimento danni” dice Cristina Mihura moglie del desaparecido Bernardo Arnone, cittadino uruguaiano scomparso dall’Argentina il 1 ottobre del 1976.
“Eravamo rifugiati politici in Argentina, quello di mio marito è un caso classico di desaparecido del Plan Condor”. Mi spiega infatti che circa 5 giorni dopo l’arresto del marito, un aereo della Forza Aerea uruguaiana trasportò in Uruguay tra le 16 e le 20 persone, tra le quali probabilmente Bernardo, che vennero poi torturate e fucilate una volta giunte a destinazione.
“Questo volo, conosciuto come il secondo volo, la cui esistenza è stata riconosciuta dalla Forza Aerea dell’Uruguay appena due anni fa, è stato effettuato nella notte tra il 5 e il 6 ottobre del 1976”, racconta Cristina, la quale chiede soltanto di “poter chiudere le ferite e dare una sepoltura dignitosa al marito” del quale il corpo non è ancora stato ritrovato.
In Uruguay si cercano ancora i resti di 220 desaparecidos, ma le ricerche fino a questo momento sono riuscite a riportare alla luce soltanto gli scheletri di due persone.
La richiesta di Cristina dei danni allo Stato è stata accolta favorevolmente dal magistrato e già al ministro degli Affari Esteri e alle istituzioni competenti è stata richiesta la documentazione necessaria per le opportune verifiche.
“Dalla scomparsa di mio marito, non faccio altro che girare per tribunali, non solo per il mio caso, ma anche in rappresentanza di numerosi altri familiari di desaparecidos, abbiamo passato i nostri ultimi anni, tra tribunali, avvocati, e giudici, coordinando le attività e i casi di vari paesi, superando i confini e le ovvie difficoltà, siamo l’altro Plan Condor, quello che cerca giustizia ai crimini commessi dal primo, terribile Plan Condor”.
La scarcerazione di Troccoli rappresenta pertanto per tutte queste persone un crimine e un’ingiustizia che si va a sommare al dolore già sofferto per la perdita dei loro cari.
L’Ambasciatore Abin che è stato rimosso dal suo incarico sembra la persona che più responsabilità ha avuto nella scarcerazione di Troccoli. Aveva tre giorni di tempo per valutare la documentazione di richiesta di estradizione giunta dall’Uruguay, ci ha messo una settimana per leggerla.
Ma altri disguidi, altre inadempienze, altri errori vengono commesse nella gestione difficile di questi delicati processi.
Lo stesso Capaldo, dice Cristina, il pubblico ministero che per primo in Italia ha chiesto il mandato di cattura nei confronti di Troccoli, ha unificato due processi che in realtà hanno poco in comune, quello del caso dei 4 cileni desaparecidos in Cile, tra i quali Omar Venturelli e quello del Plan Condor contro Troccoli.
Il caso dei cileni scomparsi in Cile non ha niente a che vedere con il Plan Condor in quanto questo stesso implicava che i cittadini fossero fatti sparire in luoghi diversi dal loro paese, come nel caso del marito di Cristina.
Inoltre, il processo dei cileni ebbe inizio nel 1998, la prima denuncia per quello del Plan Condor è del 9 giugno 1999. Tuttavia quello che li accomuna è che a distanza di 10 anni per il primo e di 9 anni per il secondo, il pubblico ministero Capaldo non ha ancora depositato le conclusioni e l’istruttoria pertanto è ancora segreta. Ciò ha fatto sì che le parti querelanti (cioè i familiari dei desaparecidos) non abbiano potuto contribuire con nuove prove e nel caso di Troccoli purtroppo questo ha reso possibile che il Tribunale della Libertà il 17 gennaio del 2007 ha confermato la sua scarcerazione per mancanza di prove. Era rimasto in carcere fino ad aprile solo perchè c’era una richiesta di estradizione da parte dell’Uruguay, ad affossare la quale ci ha pensato poi l’ambasciatore Abin.
Si tratta di processi importantissimi che potrebbero far calare il velo di impunità che rappresenta ancora il vero grande scoglio da superare per ottenere finalmente giustizia. Riflette Cristina amaramente come oggi sia più facile ottenere documentazione da parte del governo degli Stati Uniti che non da parte dei governi dei paesi latinoamericani implicati nel Plan Condor.
Per la giustizia, e in solidarietà con Julio Lopez, il 30.001 desaparecido argentino scomparso due anni fa, proprio il 18 settembre, poco prima di recarsi a testimoniare contro Miguel Osvaldo Etchecolatz, commissario della polizia della provincia di Buenos Aires, Cristina Mihura sarà oggi alle 18, insieme all’associazione HIJOS e ad altri amici e compagni a protestare davanti all’ambasciata argentina a Roma.
MORELIA, Messico (Reuters) — Dei presunti membri di una gang di trafficanti di droga hanno lanciato due bombe contro la folla che stava celebrando il giorno dell’indipendenza del Messico, uccidendo almeno otto persone e ferendone oltre 100 nell’ambito di una escalation della guerra fra il governo e i cartelli della droga.
Le esplosioni sono avvenute in una piazza della città coloniale di Morelia nella notte di lunedì, al culmine della “fiesta” alla presenza del governatore dello stato di Michoan per festeggiare la giornata nazionale del Messico.
Decine di persone ferite, fra cui donne e bambini, giacevano a terra in pozze di sangue.
Il governatore Leonel Godoy ha detto che la polizia sospetta che l’attentato sia opera del “crimine organizzato” — un termine usato per definire i cartelli della droga messicani. I cartelli quest’anno hanno ucciso 2.700 persone nella guerra fra bande e in quella contro l’esercito.
I trafficanti spesso torturano e decapitano i rivali e si scontrano con le forze di sicurezza, ma finora non avevano mai lanciato attacchi con un numero tanto alto di vittime civili.
Ringrazio marneven che mi ha segnalato la notizia e gli amici della Patria Grande per l’articolo che riprendo.
.
Vergognosa decisione del Vaticano che concede asilo politico al venezuelano Nixon Moreno, accusato di stupro e tentato omicidio.
Fonte: LPG, 16/09/2008
E’ veramente vergognosa la decisione presa dal Vaticano di concedere asilo politico ad una persona accustata di stupro e tentativo di omicidio. Nixon Moreno il 25/05/2006, all’epoca studente dell’Universitá delle Ande (ULA) di Merida, in Venezuela, fu uno dei protagonisti dei violenti disturbi che si ebbero in quella cittá. La polizia intervenne per sedare tali disturbi che i giovani studenti borghesi inscenavano contro il governo di Hugo Chávez.
Ad un certo punto due poliziotti, un uomo ed una donna, si ritrovano accerchiati dai facinorosi; uno di questi sparó un colpo di pistola al poliziotto che cadde ferito a terra; poi si diressero contro la poliziotta, che nel frattempo aveva cercato di sfuggire all’aggressione, ma venne rincorsa ed acciuffata da tre di questi facinorosi, i quali minacciandola con una pistola, la denudarono e tentarono di violentarla. La poliziotta vittima di questo tentativo di stupro, Sofia Aguilar, descrive con somma luciditá l’accaduto nel video annesso (in spagnolo), di fonte VTV, Venezolana de Television, ossia la televisone dello Stato Venezuelano.
La poliziotta dichiara, sia nel video che in Tribunale, di aver riconosciuto solo uno dei suoi assalitori, tale Nixon Moreno, leader studentesco di opposizione e che fu anche colui che sparó al collega poliziotto. Per la cronaca la violenza sessuale a danno della poliziota non si consumó per l’intervento dei colleghi poliziotti, allertati dalle grida di una donna, la stessa che offri poi una tuta da ginnastica alla poliziotta lasciata nuda a terra.
Sulla base della testimonianza della poliziotta, Nixon Moreno venne incriminato di tentato omicidio e stupro, ma non è mai finito in galera perchè riuscì a sfuggire la giustizia venezuelana, rifugiarsi nella Nunziatura Apostolica di Caracas e chidendo asilo politico al Papa Benedetto XVI. La Nunziatura Apostolica del Vaticano è equivalente ad una ambascita e quindi gode di immunità diplomatica.
Si è appreso oggi, che il Vaticano ha concesso asilo politico a Nixon Moreno per ragioni umanitarie! E’ la prima volta che uno Stato sovrano, in questo caso il Vaticano, concede asilo politico ad una persona accusata di gravissimi reati comuni, quali sono appunto il tentato omicido e lo stupro. Una decisione veramente vergognosa.
Nel caso non lo avesse ancora fatto, imvitiamo il Capo dello Stato del Vaticano, il Papa Benedetto XVI, a visionare il filmato della testimonianza della poliziotta vittima delle violenze di Nixon Moreno in modo da rendersi conto a che razza di delinquente ha concesso asilo politico.
Per concludere invitiamo ad apprfondire le tematiche sul Vaticano e dei preti pedofili, sia nel sito de La Patria Grande che in quello dell’agenzia di notizie specializzata Axteismo Press.
C'è chi usa la penna come un fucile al servizio di giustizia e verità e chi invece, come strumento di potere. E menzogna e falsità sono strumenti di potere. (AM)
“Colombia Invisible” largometraje de Unai Aranzadi. El nuevo teaser.
Lo que hizo Trujillo en el Rio Masacre fu un GENOCIDIO si asumimos la definición de genocidio dada por la el estatuto de Roma de la Corte Penal Internacional en su artículo n. 6:
A los efectos del presente Estatuto, se entenderá por “genocidio” cualquiera de los actos mencionados a continuación, perpetrados con la intención de destruir total o parcialmente a un grupo nacional, étnico, racial o religioso como tal:
a) Matanza de miembros del grupo;
b) Lesión grave a la integridad física o mental de los miembros del grupo;
c) Sometimiento intencional del grupo a condiciones de existencia que hayan de acarrear su destrucción física, total o parcial;
d) Medidas destinadas a impedir nacimientos en el seno del grupo;
e) Traslado por la fuerza de niños del grupo a otro grupo.
Reflexionando… cooperación internacional
Creo que la cooperación internacional tenga que dejar definitivamente ese rol compasivo y caritativo que caracteriza sus acciones, que además de permitirle recaudar mucho dinero (sobre el cual hasta cierto punto hay control) y una estructuración demasiado burocrática y clientelar de su aparato, funciona solo como paliativo de las situaciones de subdesarrollo. Si la cooperación no asume la tarea de impulsar cambios ESTRUCTURALES y definitivos en las realidades en las que trabaja nunca, nunca lograremos reducir pobreza y miseria, ya que estas confirmarán, definitivamente ser funcionales al mismo sistema neoliberista.
«Nadie es una isla completo en si mismo; cada hombre es un pedazo del continente, una parte de la Tierra. Si el mar se lleva una porción de tierra, toda Europa queda disminuida, como si fuera un promontorio, o la casa de uno de tus amigos, o la tuya propia; por eso la muerte de cualquier hombre me disminuye, porque estoy ligado a la humanidad; y por consiguiente, nunca preguntes por quién doblan las campanas porque están doblando por ti».
HONDURAS
23/9 E' stato ucciso l'avvocato Antonio Trejo difensore dei contadini che stanno portando avanti le lotte per la recuperazione delle terre appartenenti ai movimenti MOCSAM, MARCA y el MUCA; aveva presentato inoltre un ricorso di incostituzionalità delle Citta Modello
COLOMBIA/URIBE
El expresidente de Colombia, Álvaro Uribe, concedió docenas de licencias para disponer de pistas de aterrizaje al capo del narcotráfico Pablo Escobar, aseguró la periodista Virginia Vallejo, quien fuera amante del jefe del Cartel de Medellín.
"Por Pablo (Escobar) pude saber que (Álvaro) Uribe le concedió docenas de licencias para disponer de pistas de aterrizaje. Me decía que sin la ayuda de 'ese muchachito bendito' estaría trayendo la pasta de coca a pie desde Bolivia", dijo Vallejo en una entrevista a la revista argentina 'Noticias'. Fue organizada con el motivo de la reedición en Argentina de su libro 'Amando a Pablo, odiando a Escobar', lanzado en 2007.
Texto completo en: http://actualidad.rt.com/actualidad/view/124476-escobar-uribe-narcotrafico-colombia-aterrizaje-vallejo
MEMORIA
El 3 de octubre de 1984, Luis Fernando Lalinde Lalinde, de 26 años de edad, fue detenido y posteriormente desaparecido por el Ejercito colombiano. Desde ese día, Fabiola Lalinde emprendió la búsqueda de su hijo. Aunque sufrió constantes hostigamientos e intimidaciones, logró encontrar el cadáver de Luis Fernando después de 4.428 días de incesante búsqueda. Fue detenido en el marco de la “Operación Cuervos” adelantada por el ejército, cuando se encontraba en Jardín (Antioquia) tratando de rescatar un guerrillero herido del EPL, en 1984, durante el Proceso de Paz del Presidente Belisario Betancur, cuando este movimiento político se encontraba en cese al fuego.