In Colombia lo Stato applica sistematicamente la tortura

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Alcune ONG hanno reso noto in questi giorni i dati relativi all’applicazione della tortura in Colombia.
In tre anni, tra il giugno del 2004 e  il mese di luglio del 2007,  346 persone sono state torturate, delle quali 234 prima di essere uccise. Soltanto nel 2007 sono stati denunciati  93 casi di tortura, 43 dei quali relativi a persone che poi sono state uccise.
Nel 90% di questi casi la responsabilità è da attribuirsi allo Stato, di cui nel  70,4% dei casi deriva da  azione diretta di soldati o forze di polizia. Un 19,7% dei casi è da attribuirsi a violazioni dei diritti umani commesse da paramilitari e  il  9,8% dai gruppi della guerriglia.
Tra il giugno 2002 e luglio 2007 i casi di esecuzioni extragiudiziali attribuibili alla Forza Pubblica sono stati 955, una percentuale in netto aumento rispetto agli anni precedenti. Erano infatti 577 i casi registrati nei quattro anni precedenti al 2002.
Lo studio è stato presentato dalla Coalizione Colombiana contro la Tortura, il cui portavoce Franklin Castañeda insieme al rappresentante in Colombia della Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e della direzione del Collettivo di Avvocati José Alvear Restrepo, Alirio Uribe fanno notare come questo periodo di tempo preso in considerazione sia quello in cui è stata applicata la “politica di sicurezza democratica” nel paese.
Il rapporto è stato inoltre reso noto alla presenza dello svizzero Eric Sottas, direttore dell’Organizzazione Mondiale Contro la  Tortura il quale ha espresso la sua preoccupazione e quella dell’organismo della quale si trova a capo per la grave situazione dei diritti umani in Colombia.

John McCain e Colombia

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Mc Cain nel suo recente viaggio in Colombia

 “Sono un sostenitore totale del Trattato di Libero Commercio con il Centroamerica e del Trattato di Libero Commercio con la Colombia, e questa è la ragione per la quale un Trattato di Libero Commercio emisferico è una meta necessaria e degna per la quale è giunta l’ora”.
 

 


La sconsiderata logorrea di Ingrid Betancourt

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Sono sempre più convinta  che la mossa più saggia che poteva  fare Ingrid  Betancourt una volta liberata e che ovviamente non ha fatto,  era quella di decretare un saggio e prudente silenzio stampa e godersi la sua famiglia per un mese.
Giusto il tempo di riprendersi, farsi un’idea di quanto accaduto nel frattempo, parlare con i suoi familiari della linea da seguire e poi agire di conseguenza.
Mi stupisce e mi infastidisce quest’irruenza logorroica che sta caratterizzando la sua prima settimana di libertà.
Mi stupiscono certe sue dichiarazioni che ad analisi non dettate  dalla pietà e dal buonismo sembrano eccessivamente affrettate.
Tutti noi proviamo  compassione per l’aspetto umano e doloroso che ha caratterizzato la sua vicenda, la lontananza dai figli, la lunga prigionia in condizioni non certo facilissime. Ovviamente consideriamo inaccettabile il  sequestro come pratica di lotta rivoluzionaria.
Ma noi,  che  con scritti, articoli, mobilitazioni, appelli e solidarietà alle vittime silenziose e dimenticate di una guerra civile che dura ormai da mezzo secolo, noi che ci impegnamo perchè sulla Colombia non cali mai il silenzio rigorosamente imposto dalle multinazionali dell’informazione , abbiamo ora più che mai il dovere di ricordare che in Colombia vengono continuamente commessi crimini e barbarie dalla parte “legittima” del paese. La stessa  che ora si fregia agli occhi del mondo come paladina delle libertà civili  per aver restituito Ingrid Betancourt alla sua vita.  Noi coerentemente con le nostre posizioni,  per esempio  non possiamo accettare che un presidente corrompa una deputata comprandogli il voto per la sua rielezione. Coerentemente con le nostre posizioni,  non possiamo accettare che in una democrazia che si vanta di essere tale,  a innocenti contadini metta  le uniformi della guerriglia e li ammazzi   per testimoniare il successo della politica governativa di sicurezza nazionale o che utilizzi i loro cadaveri come giustificativo di spesa  davanti al Congresso degli Stati Uniti. Non possiamo accettare e tacere il fatto che in Colombia la Fiscalía sta indagando sulla sparizione di 15.645 persone di cui il 97% ad opera di paramilitari e agenti dello stato. Di queste, 1.259 denunce di sparizione forzata  si collocano nel periodo compreso tra l’inizio del primo mandato di Uribe e la  metà del 2007.
E quindi, coerentemente con le nostre posizioni,  espresse sempre con forza e determinazione, proprio per questi motivi  non comprendiamo come Ingrid Betancourt, che al momento del suo sequestro era in prima linea nella lotta alla corruzione in Colombia e favorevole al dialogo con la guerriglia,  appena libera dichiari che “Uribe è stato un buon presidente” o che i “colombiani hanno scelto liberamente Uribe”, o il “perchè no?” che si è lasciata sfuggire commentando l’opportunità di un  terzo mandato del presidente colombiano.
Sono dichiarazioni pesanti e cariche di significato politico. Che pertanto potevano attendere.
Dire che Felipe Calderón, presidente del Messico, possa essere un valido aiuto alla Colombia per la liberazione di tutti gli ostaggi è un’affermazione grave oltre che avventata. Non credo che Ingrid Betancourt non sappia nulla di quanto accaduto a Oaxaca due anni fa, non credo che Ingrid Betancourt non conosca la grave situazione di violazione dei diritti umani in Messico, tanto che perfino gli Stati Uniti hanno vincolato la concessione degli aiuti previsti al paese centroamericano nell’ambito del Plan Mérida al rispetto di tali diritti. E se Ingrid Betancour non sapeva queste cose, avrebbe comunque fatto bene a tacere e a informarsi prima. E’ difficile pensare che lei  nella selva sia stata tenuta all’oscuro di quanto accadeva nel paese e fuori. Era  in grado di ascoltare la radio ogni giorno ed  era perfino informata sulla testata di Zidane a Materazzi, figuriamoci se non sapeva che il secondo mandato di Uribe rischia di essere giudicato illegale. Altro che il terzo. Figuriamoci se la guerriglia, se i capi della sorveglianza dei prigionieri, con uno dei quali ha ammesso di avere un rapporto intimo di amicizia, non commentavano fra loro e  magari con lei gli scandali quasi quotidiani della parapolitica, con circa 70 parlamentari  inquisiti e 30 in carcere per reati di vario tipo e per vincoli con il paramilitarismo.
Ora se è vero che nessuno ha il diritto di giudicare e criticare chi ha passato sei anni da prigioniera in una foresta, strappata all’affetto dei suoi cari, pensando giorno dopo giorno ai suoi figli che altri gli hanno negato la gioia di veder crescere,  è pur  vero che a un certo punto ci sono delle assunzioni di responsabilità ben precise che vanno rispettate quando si decide di rivestire un ruolo pubblico e politico. E Ingrid Betancourt il ruolo di paladina dei diritti del popolo colombiano lo aveva assunto prima del suo sequestro e,  ipotizzando o lasciando immaginare una sua candidatura presidenziale lo assume tutt’ora. E lo assume anche e maggiormente,  dichiarando di voler fare della liberazione degli altri ostaggi nelle mani della guerriglia la sua battaglia. Ma è una battaglia politica quella che dovrà condurre e non militare, anche se ha dichiarato di voler essere un soldato in più dell’esercito colombiano. Politica perchè  in Colombia i prigionieri nella selva non stanno lì per giocare a  mosca cieca. Il fatto che lei stessa sia stata prigioniera per sei anni, il fatto che ci siano altri ostaggi da più  tempo ancora (ricordiamo il figlio del maestro Moncayo, sequestrato da 10 anni),  il fatto che nelle carceri colombiane ci siono centinaia di guerriglieri  in condizioni non certo migliori di quelle in cui si trovano i prigionieri delle FARC,   dimostra chiaramente anche ai più ignoranti in materia, che nel paese è in corso una guerra. E per liberare gli ostaggi di una guerra o sei un soldato o sei un politico. E cosa può fare Ingrid Betancourt una volta smesso l’elmetto da soldato che le hanno infilato in testa nell’aereo che la stava riportando a casa? Una volta finito il concerto a Parigi dove canterà con Miguel Bosé, Manu Chao e Juanes, cosa potrà fare Ingrid Betancourt per tutti gli ostaggi che ancora sono prigionieri della Colombia? E ha chiaro  lei che liberare gli ostaggi vuol dire anche mediare per uno scambio umanitario, trattare per una smobilitazione che non sia mandare diecimila uomini a marcire in carcere o peggio ad essere sventrati dalla rappresaglia delle motoseghe dei paramilitari? Ha chiaro  Ingrid Betancourt che esiste la guerriglia perchè esiste conflitto sociale ed esiste conflitto sociale perchè c’è ingiustizia, perchè c’è povertà, perchè c’è repressione? Sembrerebbe di sì, perchè ha dichiarato che mentre Uribe concepisce il problema della Colombia legato alla sicurezza e alla violenza, lei lo concepisce come un problema legato al malessere sociale che conseguentemente produce violenza. E allora, visto che lo sa,  come si fa a dire che Uribe ha fatto molto per la Colombia e che è stato un buon presidente?
Ingrid non scarta a priori l’ipotesi di candidarsi alle prossime elezioni  e un suo compagno di prigionia liberato prima di lei parla anche di  un programma elettorale  già pronto  di circa 200 punti, che lei stessa avrebbe preparato e scritto  durante la sua prigionia.
Un’assunzione di responsabilità del genere implica comunque, obbligatoriamente prudenza. Chi dice di non scartare  l’ipotesi di candidarsi a futuro presidente della Colombia,  non può tre giorni dopo dire che per il momento non metterà piede in Colombia.
Chi si proclama leader della battaglia per la liberazione di tutti i sequestrati nelle mani della guerriglia non può dire tre giorni dopo che non andrà alla manifestazione del 20 luglio prossimo a Bogotà organizzata per le vittime dei sequestri perchè teme rappresaglie e quindi ne  organizza una alternativa nella più comoda e sicura Parigi.
Chiediamolo a Iván Cepeda, a Piedad Cordoba, al maestro Moncayo, a tanti altri anonimi coraggiosi e umili difensori dei diritti umani quanta paura hanno di lottare e nonostante tutto  continuano a vivere in Colombia,  magari senza scorta, magari con Uribe che non li abbraccia come ha fatto con Ingrid Betancourt in questi giorni, mentre invece  dalle televisioni e dai giornali li mette continuamente a rischio accusandoli di essere simpatizzanti della guerriglia.
Avremmo potuto chiederlo a   John Fredy Correa Falla,  membro dei Comitati Permanenti per la Difesa dei Diritti Umani di Chinchiná e di Caldas se ha avuto paura nel momento  in cui sabato scorso è stato avvicinato da quattro uomini ed è stato  ucciso a colpi di arma da fuoco.
Godeva di qualche misura di protezione, evidentemente insufficiente, John Fredy,  perchè lui e la sua famiglia avevano ricevuto minacce di morte da alcuni paramilitari della zona.
Allora mi chiedo,  come si fa a parlare di liberazione di tutti gli ostaggi colombiani nella maniera in cui  lo sta facendo Ingrid Betancourt, tra  un accenno ai capelli lunghi e un altro ai vestiti e i rossetti che le sono mancati, tra un viaggio a Lourdes e un’udienza papale?
Comprendiamo benissimo i timori di Ingrid e della sua famiglia legati ad evidenti motivi di sicurezza, comprendiamo che le FARC le possano sembrare quanto di peggio ci sia in Colombia e in tutto il mondo in questo momento, comprendiamo anche che se l’avesse liberata Hitler in persona lo avrebbe abbracciato come ha abbracciato il generale Montoya (controversa figura dell’esercito colombiano, vicino a gruppi paramilitari) ma la Colombia, e Ingrid Betancourt non può non saperlo,  è un paese difficile, dove si muore da tutte le parti e dove la violenza di Stato supera di gran lunga quella della guerriglia e se non altro è meno accettabile.  Per tutti questi motivi,  forse, era  auspicabile un decoroso silenzio da parte di Ingrid Betancourt. Almeno per il momento.
 
 
 
 

Il comunicato delle FARC sulla liberazione degli ostaggi

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E’ stato pubblicato in queste ore sul sito dell’ Agencia Bolivariana de Prensa  il comunicato delle FARC relativo alla  liberazione dei 15 ostaggi nelle mani della guerriglia colombiana, tra i quali Ingrid Betancourt,  avvenuta il 2 luglio scorso. Poche righe per affermare sostanzialmente quanto segue:
 
Le FARC attribuiscono la liberazione degli ostaggi alla “conseguenza diretta della spregevole condotta di Cesar ed Enrique, che hanno tradito il loro impegno rivoluzionario e la fiducia che era stata riposta in essi”. Un tradimento quindi, come era stato già ipotizzato.
 
Confermano inoltre la loro politica volta al conseguimento di accordi umanitari anche per proteggere la popolazione civile dagli effetti del conflitto. Continuando nell’opzione militare come unica soluzione per la liberazione dei prigionieri, il governo si dovrà assumere tutte le responsabilità della sua temeraria decisione.
 

Declaración parlamentaria relativa a Colombia

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Sirvase encontrar aqui anexada una declaración parlamentaria relativa a Colombia, qur firmaron 15 diputados europeos de 4 diferentes grupos políticos, en el marco de la visita al Parlamento europeo de la Senadora colombiana Piedad Cordoba.
 
 
DECLARACION PARLAMENTARIA
 
   
Por el derecho a la oposición política, el trabajo por la paz, y el respeto de la separación de los poderes en Colombia
 
 
 
Cuatro parlamentarios colombianos de oposición, Piedad Córdoba, Álvaro Leyva, Gloria Inés Ramírez, y Wilson Borja, el periodista Carlos Lozano, y otras personalidades cuyo trabajo a favor del acuerdo humanitario y de la paz es ampliamente reconocido, han sido acusados por el Fiscal General de la Nación de supuestos nexos con las FARC. 
 
También, un delegado suizo, conocido por su papel de buenos oficios, fue acusado públicamente de tener nexos con las FARC cuando hizo unas declaraciones poco placenteras por el Gobierno.
 
Unos ataques han sido dirigidos igualmente contra la Corte Suprema de Justicia, que ha emitido fallos sobre los lazos entre políticos y paramilitares y sobre los actos de corrupción que permitieron la reelección del Presidente Uribe en el año 2006.
 
Como diputados europeos, rechazamos estas persecuciones que son obstáculos puestos al proceso de paz. Expresamos nuestra total solidaridad con los parlamentarios, periodistas y las otras personalidades perseguidas por sus opiniones políticas, y reiteramos nuestro apoyo a su labor a favor de una solución pacifica del conflicto colombiano.
 
Pedimos igualmente que los representantes de la Unión Europea en Colombia insistan ante las autoridades de dicho país para que sea respetado el derecho de hacer oposición, para que se posibilite las gestiones humanitarias, y para que el Gobierno respete la independencia del sistema judicial y acate las decisiones de la Corte Suprema de Justicia.
 
 
 
- Vittorio Agnoletto,  
Diputado europeo por Italia, Miembro de la Comisión de Asuntos exteriores del Parlamento europeo   
 
- Giusto Catania, 
 Diputado europeo por Italia, Vice-presidente de la  Comisión de Libertades civiles, Justicia y asunto interiores  
 
  
- Hélène Flautre,   
Diputada europea por Francia,  Presidente de la Sub-comisión de derechos humanos  
 
- Monica Frassoni ,  
Diputada europea por Italia, Presidente del  Grupo de los Verdes / Alianza Libre Europea
 
- Vicente Garcés,  
Diputado europeo por España,   Miembro de la Comisión de Presupuestos
 
- Pedro Guerreiro ,  
Diputado europeo por el Portugal ,  Miembro de la  Comisión de desarrollo regional 
 
- Jens Holm ,  
Diputado europeo por Suecia ,  Comisión de Medio Ambiente, Salud Pública y Seguridad Alimentaria  
 
- Richard Howitt,   
Diputado europeo por el Reino-Unido, Vice presidente de la Sub-comisión de derechos humanos   
 
- Helmuth Markov,   
Diputado europeo por Alemania,  Presidente de la Comisión de comercio internacional   
 
- Willy Meyer-Pleite,  
Diputado europeo por España, Vice-presidente  de la Asamblea parlamentaria bi-regional EUROLAT  
 
- Luisa Morgantini,  
Diputada europea  por  Italia,  Vice-presidente del Parlamento europeo 
 
- Josu Ortuondo Larrea,
Diputado europeo por España, Miembro de la Comisión de Transporte y turismo    
 
- Raul Romeva ,
Diputado europeo por España, Miembro de la Comisión de Derechos de la Mujer e Igualdad de Género
 
- Eva-Britt Svensson,
Diputada europea por Suecia,  Vice-presidente de la Comisión de derechos de la mujer e igualdad de género 
 
- Francis Wurtz,  
Diputado  europeo  por Francia, Presidente del grupo Izquierda Unitaria Europea– Izquierda Verde Nórdica   

Lo sciopero nazionale in Perú

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Circa 200 persone in stato di arresto  e una cinquantina di feriti, questo il saldo dello sciopero nazionale agrario organizzato dalla Central General de Trabajadores del Perú (il quarto durante la presidenza di Alan García), che nella giornata di ieri ha paralizzato il paese.
Il governo aveva disposto imponenti misure di sicurezza e dispiegato notevoli mezzi dell’esercito per le strade, negli aeroporti e in aree giudicate più a rischio come le centrali idriche ed elettriche.
Una sede governativa è stata data alle fiamme e moltissime strade e vie di comunicazione sono state bloccate, in quella che soprattutto nelle zone interne del paese e sicuramente con minor intensità a Lima,  si è dimostrata essere una giornata di protesta a tutto tondo contro Alan García.
Nonostante le fonti governative tentino di sminuire l’esito dell’iniziativa, Mario Huamán segretario generale della CGTP,  informa che si è trattato di un successo sia a livello organizzativo che di partecipazione. Da da questa grande occasione di ripudio alla politica neoliberale del presidente Alan García è nato inoltre un impegno importante per il futuro sia sul piano di  incontro di istanze diverse che su quello prettamente politico in vista delle prossime elezioni del 2011.
E’ stata annunciata infatti per il prossimo 4 novembre, (giorno in cui ricorre la grande rivolta indigena guidata da Túpac Amaru) la costituzione della Asamblea Nacional de Los Pueblos (Assemblea Nazionale dei Popoli) che avrà l’intento di “promuovere cambiamenti” a livello sociale nel paese e che presenterà un fronte politico elettorale per il prossimo appuntamento  del 2011.
L’Assemblea Nazionale dei Popoli sarà formata da due grandi sindacati, da settori organizzati della società civile e da diverse realtà regionali dislocate in tutto il paese.
Alan García, usando toni concilianti, promette di impegnarsi entro la fine dell’anno a portare l’inflazione del paese ai livelli più bassi di tutta l’America Latina, eludendo d’altra parte quelle che erano poi le vere richieste dello sciopero nazionale e cioè la revoca dei decreti legge approvati quest’anno che di fatto svendono risorse e terre alle multinazionali straniere sottraendole alle comunità indigene e contadine.
Intanto il governo si trova a fare i conti anche con uno  scandalo  a livello mediatico,  che coinvolge direttamente il Partito Aprista e probabilmente la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E’stato infatti trasmesso il giorno precedente allo sciopero un video nel quale appare Valdimiro Montesinos,  ex capo dei servizi segreti nonché braccio destro del dittatore Fujimori, ripreso proprio nel corso di una sua  testimonianza al processo contro Fujimori e  nel quale da questa viene estrapolata la seguente  frase: “è proprio così che la SUTEP (il sindacato unico dei lavoratori del settore educazione del Perù) tra il 1990 e il 2000 non ha mai organizzato uno sciopero contro il  governo Fujimori) accompagnata dalla scritta “assenti in dittatura”. Il video è stato trasmesso dalla tv nazionale con il chiaro intento di screditare il movimento sindacale che i giorni successivi sarebbe sceso in piazza aveva dichiarato allora il segretario generale della CGTP Mario Huamán, criticando duramente il governo per aver usato un personaggio come Montesinos, che attualmente sta scontando una condanna a 20 anni di carcere per traffico di armi ed ha numerosi processi pendenti, per gettare discredito sui sindacati del paese.
Nonostante il premier Jorge del Castillo abbia successivamente affermato che lo spot era stato preparato e pagato dalla direzione del Partito Aprista, ieri è stato diffuso da Canal N un documento nel quale risulta inequivocabilmente che lo spot è stato realizzato su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri e come cliente risulta il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo del Perú (PNUD).
Si parla di errore nella trascrizione dei codici dei clienti, di fatturazioni errate, di “confusione”. L’unica cosa certa è che verrà aperta un’inchiesta.  
 

Perú in rivolta : due giorni di sciopero nazionale e l’esercito in strada

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I due giorni di sciopero nazionale agrario del 8 e 9 luglio promossi  in Perú da varie organizzazioni tra le quali la Confederación General de Trabajadores del Perú (CGTP),  la Confederacíon Nacional Agraria (CNA), la Confederación Campesina del Perú (CCP) e la Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (CAOI) rischiano di paralizzare il paese e di trasformarsi in un momento di rivolta nazionale contro un governo, quello del presidente Alan García. Questo sordo fino a questo momento alle varie voci di protesta che si levavano più o meno isolatamente, si trova ora a fare i conti con un movimento  ben organizzato e soprattutto unito. Un movimento contadino e indigeno ben strutturato  al quale si sono aggiunti altri settori, come quello dei lavoratori e degli imprenditori dell’attività estrattiva e mineraria, i trasportatori,  i lavoratori del  settore della pesca. Un movimento oggi  forte  dell’appoggio internazionale ottenuto anche da varie organizzazioni non governative europee (tra le quali la nostra ASud) soprattutto durante i giorni della Cumbre de los Pueblos, realizzata a Lima tra il 13 e il 16 di maggio di quest’anno, in contrapposizione al vertice istituzionale dei paesi dell’Europa e dell’America Latina e dei Caraibi. Enlazando Alternativas è il nome che è stato dato a questo grande progetto di gemellaggio di intenti e movimenti tra i due continenti.
E nonostante  in questi giorni il premier Jorge del Castillo, appoggiato  anche da una campagna mediatica non indifferente realizzata attraverso stampa e televisione,  abbia cercato di sminuire la portata dell’adesione allo sciopero nazionale, in una conferenza stampa di oggi i portavoce delle maggiori associazioni e cioè  Antolín Huascar, presidente della CNA, Melchor Lima della Confederación Campesina del Perú, Mario Palacios di CONACAMI, Miguel Palacín del CAOI, Luis Valer dela CUT-Perú e il Segretario General de la CGTP, Mario Huamán fanno sapere che almeno il 70% degli agricoltori aderisce allo sciopero nazionale. Hanno aggiunto inoltre che  a causa del disinteresse dello Stato è aumentata la povertà nelle regioni rurali e agricole del paese e si è nello stesso tempo incrementata la perdita della diversità biologica e culturale nel momento in cui si verificano  anche imponenti abbandoni delle terre da parte dei contadini.
Oggi in almeno sei regioni si sono registrate proteste contro le ultime misure adottate dal governo in materia  di agricoltura e di redistribuzione della terra. Queste sono: Uyacali, Madre de Dios, Huánuco, Tacna, Puno, Ayacucho e Cusco. Praticamente ogni regione ha da esprimere particolari e peculiari motivi di lotta e di protesta e quello che si profila all’orizzonte è un enorme grattacapo per il governo di Alan García.
La regione amazzonica di Madre de Dios, conosciuta anche come capitale della biodiversità del Perú è completamente paralizzata in ogni settore della vita sociale. Indigeni, agricoltori,   imprenditori del settore minerario e del legno, coltivatori di castagne, commercianti, si  sono recati in massa  e con ogni mezzo verso Puerto Maldonado,  il centro  più importante.
Non è un caso che in questa zona la protesta sia particolarmente sentita. La terra qui rappresenta praticamente l’unico mezzo di sostentamento per centinaia di comunità indigene e contadine,  è la loro stessa casa, la loro madre, la vita stessa,  in una sintonia creatasi attraverso i secoli. Le leggi varate dal governo centrale  di fatto formalizzano l’espropriazione delle terre che qui vengono coltivate e abitate da generazioni di contadini e di popolazioni indigene. Il DL 994,  per esempio, approvato dal governo nel marzo scorso,  facilita l’applicazione del Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti e favorisce gli investimenti da parte delle multinazionali straniere nel paese.  Soprattutto favorisce gli investimenti privati nei progetti di irrigazione di zone incolte che verrebbero affidati a grandi investitori stranieri sottraendo le terre così ai contadini della zona che potrebbero invece, con incentivi statali coltivare e rendere produttive e che invece sono stati sempre più esclusi nel tempo dalla loro gestione e sfruttamento.
Inoltre nel mese di maggio  è stato approvato il DL 1015 per il quale  “per l’acquisizione di proprietà da parte dei proprietari comunitari sulla terra che possiedono da più di un anno, l’Accordo Generale della Comunità richiederà il voto favorevole di non meno del cinquanta per cento dei comunitari proprietari da più di un anno”. Praticamente i contadini vedranno il loro diritto alla terra essere messo in discussione dal miglior offerente. E questo risulta particolarmente grave soprattutto in determinate  zone rurali come la regione di Huancavelica, nella sierra,  costituita da 580 comunità contadine riconosciute ufficialmente. Di queste almeno  100 non hanno titoli di proprietà e le loro terre non sono iscritte nei registri pubblici. Lo stesso ministro dell’Agricoltura ha riconosciuto che alla fine del 2007 circa mille comunità contadine non erano in possesso di titolo di proprietà della terra , anche in virtù del fatto che in Perú la trascrizione delle proprietà nei registri pubblici è facoltativa e non obbligatoria.  Se venisse  applicato il DL 1015 automaticamente queste comunità perderanno ogni  diritto su quelle  terre, diritto che esercitano ormai da centinaia di anni, di generazione in generazione. Terre che fanno particolarmente  gola agli investitori in quanto ricche di materie prime non ancora sfruttate.
Le organizzazioni contadine chiedono inoltre  al governo che adegui la legislazione nazionale vigente in materia di diritto del lavoro alle convenzioni internazionali e che vengano rispettate le direttive della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’ONU secondo le quali non devono essere  fatte ulteriori concessioni a multinazionali operanti nel settore estrattivo nei territori appartenenti alle comunità contadine ed indigene.
Ad   Ayacucho si chiede invece che vengano ritirate le truppe nordamericane dislocate nel territorio nel compimento di azioni umanitarie di vario tipo.
A Trujillo la protesta sarà contro la privatizzazione del porto di  Salaverry e così via via in tutto il paese si protesta e si manifesta contro gli innumerevoli e diversi aspetti di una politica neoliberale che sta svendendo le enormi risorse e ricchezze ai capitali stranieri e che sta facendo del Perù uno degli ultimi alunni modello del FMI e della BM della regione.
Si protesta per migliori condizioni lavorative come per diritti sindacali ancora spesso negati, contro attività estrattive in zone ad elevato interesse turistico, così come per  il pagamento di prezzi più giusti  per le produzioni  locali quali ad esempio  quella del cotone.
Una protesta a tutto tondo che deve fare particolarmente paura al governo viste le imponenti misure di sicurezza adottate per i prossimi giorni e l’imponente  militarizzazione in atto nel paese.
Con la Risoluzione Suprema n. 242‑2008-DE pubblicata nella giornata di ieri nel quotidiano “El Peruano” il governo del presidente Alan García ha disposto infatti che sia l’Esercito che la Forza Aerea mettano a disposizione uomini e mezzi per questi due giorni di sciopero nazionale. Un coro di voci unanime si è levato contro la misura disposta dal governo, definita come “incostituzionale” e “pericolosa per la democrazia” da alcuni analisti politici e sociali del paese.
Molti dirigenti sindacali responsabilizzano il governo per qualsiasi episodio di violenza possa accadere nei prossimi giorni in quanto affermano, mettere le Forze Armate per strada  “è una provocazione” e una risposta “estremamente sproporzionata” alla una protesta “legale e prevista dalla Costituzione” come ha dichiarato Carmela Sifuentes presidente della CGTP.
La stessa CGTP conferma inoltre che elementi dell’esercito sono infiltrati in tutto il paese. A Trujillo soldati si sono insediati senza previa informazione ai  responsabili,  nella centrale di distribuzione dell’acqua potabile, lo stesso è avvenuto nelle centrali elettriche e in alcuni aeroporti di altre località.
Si denunciano inoltre infiltrazioni da parte di elementi  vicino al partito aprista nell’organizzazione sindacale, con lo scopo di dividerla al suo interno in modo da sabotare l’adesione allo sciopero e le iniziative future.
Quello che è certo è che sembra una guerra sporca che il governo sta conducendo nel peggiore dei modi contro una legittima protesta del popolo che vuole solo ricordare al suo presidente le innumerevoli promesse incompiute della sua campagna elettorale.
 
 

Dos días de paro nacional en el Perú con el ejército en las calles

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Los dos días de huelga nacional agraria, 8 y 9 de Julio, en el Perú promovida por diversas organizaciones, entre ellas la Confederación General de Trabajadores del Perú (CGTP), la Confederacíon Nacional Agraria (CNA), la Confederación Campesina del Perú (CCP) y Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (CAOI) amenazan con paralizar el país y se convierten en un momento de rebelión contra el gobierno del Presidente Alan García. Este se ha mantenido sordo hasta la fecha a las distintas voces de protesta que se levantaban más o menos de forma aislada, y que es ahora –contrariamente– la manifestación de un movimiento bien organizado y, sobre todo, unitario. Un movimiento campesino e indígena bien estructurado al que se añadieron otros sectores, tales como los trabajadores del carbón y la minería, transportistas, trabajadores de la industria pesquera.
Un movimiento que además tiene un fuerte apoyo internacional obtenido por varias organizaciones no gubernamentales europeas (entre las cuales nuestro ASud), especialmente durante los días de la Cumbre de los Pueblos, llevada a cabo en Lima entre el 13 y el 16 de Mayo de este año, en contraposición a la cumbre institucional de los países de Europa y América Latina y el Caribe. Enlazando Alternativas es el nombre que se le dio a este gran proyecto de hermanamiento de intenciones y movimientos entre los dos continentes.
Y aunque en estos días el primer ministro Jorge del Castillo, también apoyado por una campaña mediática a través de la prensa y la televisión, ha tratado de minimizar el alcance de la huelga nacional, en una conferencia de prensa, hoy Antolín Huáscar Melchor, presidente de la CNA Confederación Campesina de Lima de Perú, y portavoz de las mayores asociaciones convocantes, como son:, Mario Palacios de CONACAMI, Miguel Palacín la CAOI, Luis VALER dela CUT-Perú y Secretario General de la CGTP, Mario Huamán, sí sabemos que al menos que el 70% de los agricultores se adhiere a la huelga nacional. También añadió que debido a la ausencia del Estado en las zonas rurales y agrícolas del país se ha incrementado la pobreza y, al mismo tiempo, ha aumentado la pérdida de la diversidad biológica y cultural, produciéndose incluso una impresionante caída de las tierras de los campesinos.
Hoy, por lo menos, en seis regiones se han registrado protestas contra las últimas medidas adoptadas por el gobierno en la agricultura y la redistribución de la tierra. Estos son: Uyacali, Madre de Dios, Huánuco, Tacna, Puno, Ayacucho y Cusco. Prácticamente todas las regiones están dando detalles específicos y motivos de lucha y de protesta contra el gobierno de Alan García. La región amazónica de Madre de Dios, también conocida como capital de la biodiversidad de Perú está totalmente paralizada, en todos los sectores de la vida social. Indígenas, campesinos, empresarios, la minería y la madera, castaña productores, comerciantes, fueron en masa y con todos los medios a Puerto Maldonado, el más importante puerto de la región.
No es casualidad que en ese ámbito regional la protesta se haga sentir de manera especial. La tierra aquí es prácticamente el único medio de subsistencia de cientos de comunidades indígenas y campesinas, es su casa, su madre, la vida misma, en una melodía creada a través de los siglos. Las leyes promulgadas por el gobierno central tienden, realmente, a formalizar la expropiación de tierras que cultivan y habitan –por generaciones– los campesinos y pueblos indígenas. El DL 994, por ejemplo, aprobado por el gobierno en marzo del año pasado, facilita la aplicación del Tratado de Libre Comercio (TLC) con los Estados Unidos y alienta a las inversiones de las multinacionales extranjeras en el país. Especialmente alienta la inversión privada en proyectos de riego de zonas sin cultivar que se confiará a grandes inversores extranjeros, restando las tierras a los campesinos de la zona que podrían, con incentivos para cultivar y hacer productiva la región, y que son cada vez más excluidos en el momento de su gestión y explotación.
También en mayo se aprobó el DL 1015 de que “para la adquisición de bienes de la Comunidad a los propietarios de las tierras que poseen más de un año, el Acuerdo General de la Comunidad requerirá el voto favorable de no menos del cincuenta por ciento de la Comunidad.” Prácticamente los agricultores consideran que su derecho a la tierra va a ser impugnada por el mejor postor. Y esto es especialmente grave sobre todo en algunas zonas rurales como la región de Huancavelica, en la sierra, que tiene 580 comunidades campesinas reconocidas oficialmente. De éstas al menos 100 no tienen la propiedad de sus tierras por no estar inscritas en los registros públicos. El mismo Ministro de Agricultura ha reconocido que a finales de 2007 alrededor de un millar de comunidades campesinas no estaban en posesión de título de propiedad de la tierra, ello debido al hecho de que en el Perú la transcripción de la propiedad en los registros públicos es voluntaria y no obligatoria. Si se aplica automáticamente el DL 1015 esas comunidades perderán todos los derechos sobre esas tierras, que han ejercido durante cientos de años, de generación en generación. Tierras que son ricas en materias primas aún no explotadas.
Las organizaciones también piden al Gobierno la adaptación de la legislación nacional vigente en el ámbito de la legislación laboral con los convenios internacionales y que cumplan con las directrices de la Declaración de los Derechos de los Pueblos Indígenas, especialmente de la segunda en la que se establece que no deberían hacerse más concesiones a las multinacionales que operan en la minería en los territorios pertenecientes a comunidades campesinas y nativas.
En Ayacucho se pide que EE.UU. retire las tropas desplegadas en su territorio para llevar a cabo acciones diz que humanitarias. En Trujillo la protesta será contra la privatización del puerto de Salaverry, la misma que está proyectada a hacerse de manera gradual en todo el país, lo cual manifiesta que el paro es una protesta contra los innumerables y diversos aspectos de una política neoliberal que vende la enorme cantidad de recursos y la riqueza al capital extranjero y que está haciendo de Perú uno de los últimos alumnos modelo del FMI y del BM en la región. Se protesta por mejores condiciones de trabajo como de los derechos sindicales que todavía se siguen negando; contra las actividades mineras en zonas con alto interés turístico, así como el pago de precios justos para los productos locales como el algodón.
Una protesta que todos debemos hacer, sobre todo por el temor que existe de que el gobierno ha implementado una serie de medidas de seguridad adoptadas de imponente militarización en el país. Con la Resolución Suprema No 242 a 2008-ED publicada ayer por el diario “El Peruano” el gobierno del presidente Alan García ha ordenado que tanto el Ejército como la Fuerza Aérea debe poner a disposición recursos humanos y materiales para estos dos días de huelga nacional. Un coro unánime de voces se ha levantado en contra de la medida dispuesta por el gobierno, que se define como “inconstitucional” y “peligroso para la democracia” por algunos analistas políticos y sociales del país.
Muchos dirigentes sindicales responsabiliza al gobierno de cualquier episodio de violencia que pueda ocurrir en los próximos días, señalando que un Estado que pone las Fuerzas Armadas en la calle “es una provocación” y una respuesta “muy desproporcionada” en contra de una protesta “jurídica y prevista por la Constitución”, dijo Carmela Sifuentes secrtaria de CGTP. La CGTP también confirma que elementos del ejército se infiltraron en todo el país. En Trujillo grupos de soldados fueron impuestos, sin información previa, a los dirigentes de la central de distribución de agua potable; y lo mismo ha ocurrido en las centrales eléctricas y aeropuertos en otros lugares del país. Asimismo se informó de la infiltración de elementos próximos al partido aprista en el sindicato, con el objetivo de dividir al interior y con el fin de sabotear la adhesión a la huelga y las iniciativas futuras. Lo que es cierto es que parece una guerra sucia que el gobierno está llevando a la peor forma posible en contra de una protesta legítima del pueblo que sólo quiere recordar a su presidente que ha olvidado las innumerables promesas de su campaña electoral.

Juan Carlos Lecompte: Uribe como un cerdito

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“Si usted me quema el carro, y después salva a mi papá, yo le agradezco que lo haya salvado, pero sí le digo que se portó como un cerdito al quemar mi carro”.
 
Juan Carlos Lecompte, esposo di Ingrid Betancourt hablando de Àlvaro Uribe en una entrevista de esos días.
 

La liberazione di Ingrid Betancourt o il coniglio dal cilindro di Uribe?

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E’ la grande notizia.  Forse la notizia più attesa degli ultimi tempi.
Quella che dall’Europa all’America da tempo avremmo voluto ricevere. Ingrid Betancourt, 46 anni, di cui gli ultimi sei trascorsi nella foresta nelle mani della guerriglia colombiana delle FARC è stata liberata insieme a tre cittadini americani (tre “contractors” accusati dalla guerriglia di essere al soldo della Cia)   e a 11 colombiani membri dell’Esercito e della Polizia.
Le ultime notizie che avevamo di lei, pochi mesi fa, la davano quasi in fin di vita. Probabilmente le sue condizioni non erano così gravi, certo è che le sue immagini e  le sue parole giunte fino a noi sotto forma di una missiva riservata inviata alla madre e poi invece fatta circolare su tutti i giornali e pubblicata anche sotto forma di libro, testimoniavano di una donna visibilmente provata nel fisico e nell’animo da anni di prigionia in condizioni difficili.
Si è già ricongiunta  ai suoi familiari, ai figli, al marito, alla madre e alla sorella, che con fiducia e speranza ammirevoli le sono stati   vicini in tutto questo tempo, che hanno sempre parlato in nome e per conto di Ingrid, madre, sorella, figlia e moglie, ma anche in nome e per conto di tutti gli altri ostaggi, spesso dimenticati dai media, e in nome e per conto di un popolo, quello colombiano che non merita di vivere un conflitto così lungo e violento sulla  propria pelle. Familiari che pur nella tragedia della situazione, anche in momenti particolarmente drammatici,  hanno sempre dovuto con dignità e umiltà mediare tra le intemperanze di Uribe che premeva per mettere a ferro e fuoco la selva per liberarla e dimostrare così il successo della sua politica del “pugno duro” e la guerriglia,  per la quale non hanno mai, nonostante il dolore che ha inflitto loro con il sequestro, avuto parole  dure.
Probabilmente hanno saputo soltanto al momento di ricevere la notizia della liberazione di Ingrid,  del blitz che le forze armate colombiane stavano preparando da tempo, loro che si sono sempre opposti, perchè considerati troppo rischiosi per la vita degli ostaggi,  ai progetti di “rescate a sangre y fuego”, riscatti a sangue e fuoco, tanto cari al presidente colombiano.
 
Il blitz – Stranezze e coincidenze sospette
“Operazione Scacco” è stata chiamata l’operazione.  E a giudicare dal nome il suo successo era scontato. Come mai? “L’operazione Scacco” non è stata  un’operazione militare nel senso stretto del termine, piuttosto una vera e propria operazione di intelligence risolta senza nemmeno sparare un solo colpo. Perfetta, forse anche troppo. Proprio la perfezione dei dettagli con i quali è stata portata a termine potrebbe nascondere dei risvolti. Si sa che in Colombia erano da giorni presenti due europei, l’ex console francese a Bogotá  Noël Sáenz e il diplomatico svizzero  Jean-Pierre Gontard. Avevano avuto perfino l’ autorizzazione dal governo colombiano per intraprendere trattative con i nuovi vertici della guerriglia, dopo la promessa che era stata fatta della  liberazione di 40 ostaggi tra i quali Ingrid Betancourt e i tre americani. Probabilmente, ma è ovvio che al momento si tratta solo di supposizioni,  gli ostaggi erano pronti per essere già liberati e qui la facilità con la quale il capo dei carcerieri sarebbe stato convinto ad accettare il trasferimento in elicottero o si è invece trattato di una liberazione già in atto con l’intervento dell’esercito nelle ultime fasi per farla passare come esclusivo successo governativo.
Il ministro della difesa Manuel Santos nella conferenza stampa di ieri, descrivendone  i dettagli rende noto invece che l’operazione  era stata studiata e programmata già da molto tempo e che per poterla mettere in atto è stato necessario l’utilizzo di soldati infiltrati nel campo dove erano tenuti in ostaggio i prigionieri. Questi sono   riusciti a   convincere Gerardo Antonio Aguilar, alias “Cesar” il capo dei carcerieri di Ingrid e degli altri prigionieri liberati, dell’opportunità di trasferire gli ostaggi in un elicottero messo a disposizione da un’ associazione umanitaria, fino al luogo dove si sarebbero dovuti incontrare con  Alfonso Cano, il nuovo leader delle Farc succeduto a Manuel Marulanda alla sua morte, avvenuta probabilmente per cause naturali qualche tempo fa. L’elicottero, opportunamente modificato, era invece un velivolo dell’esercito, e soltanto una volta in volo il comandante  “Cesar” è stato neutralizzato  e ai prigionieri data la notizia della loro liberazione. Senza spargimenti di sangue, senza mettere a rischio la vita degli ostaggi. Ingrid Betancourt stessa,  nella sua prima conferenza stampa la definisce “un’operazione impeccabile” paragonandola a quelle israeliane ben note per precisione e successo. Un’operazione che sebbene il ministro della difesa Santos affermi sia stata condotta esclusivamente grazie all’intelligence colombiana non abbiamo difficoltà a immaginare che invece sia stata organizzata e studiata in accordo con quella statunitense e probabilmente anche con quella israeliana, che avrebbe  fornito l’ avanzatissima tecnologia satellitare con la quale il luogo in cui si trovavano gli ostaggi era stato identificato già da alcune settimane. Identificazione favorita dai rilievi effettuati sulle prove in vita degli ostaggi, (alcune riprese video) sequestrate alla guerrigliera che le stava consegnando alla  fine dell’anno scorso.
Un’operazione, il cui successo dimostrerebbe, se fosse vera la versione fornita, (al momento soltanto quella ufficiale)   delle difficoltà organizzative e strutturali in cui si troverebbe la guerriglia colombiana, che solo nell’ultimo anno ha perso almeno quattro suoi capi.
Le Farc infatti non hanno fornito ancora nessuna versione dell’accaduto e il sito ANNCOL, considerato il più vicino al gruppo guerrigliero è nuovamente inaccessibile da circa due giorni. Stranamente.
Come sospetta sembra essere anche la presenza  proprio nella giornata di ieri in Colombia  del canditato statunitense McCain, il quale ha dichiarato che lo stesso Uribe lo aveva informato il giorno precedente dell’operazione che stava per svolgersi per la liberazione di Ingrid Betancourt. Nel teatrino Colombia abbiamo imparato da tempo che le coincidenze difficilmente sono causali e che la verità è un bene prezioso al servizio del miglior offerente. Probabilmente in questo caso non la sapremo mai, perchè il miglior offerente è proprio il presidente colombiano Álvaro Uribe.
 
Il coniglio dal cilindro di Uribe
Quel che è certo è infatti che la liberazione di Ingrid Betancourt appare in questo momento come il coniglio dal cilindro dei celebri giochi di prestigio.
La popolarità di Uribe che non era mai stata così bassa come nei giorni scorsi, con la sua seconda rielezione messa in discussione da un’accusa di corruzione alla  deputata Yidis Medina che si trova ora in carcere per aver venduto il suo voto favorevole alla riforma costituzionale che ha permesso al presidente colombiano di ricandidarsi per la seconda volta, probabilmente già da oggi è in forte aumento. Intanto mentre la  Corte Suprema di Giustizia e la Corte Costituzionale stavano proprio in questi giorni esaminando tutti gli atti per stabilire o meno l’illegalità della seconda rielezione di Uribe, questi, mettendosi a muso duro contro l’unico potere di fatto ancora indipendente e scevro da scandali legati alla parapolitica e cioè quello giudiziario, ha proposto niente di meno che un referendum popolare per chiamare il popolo a esprimersi sulla conferma o meno della sua rielezione del 2006. Praticamente quindi,  chiamando il popolo colombiano a sostituirsi al potere giudiziario, e chiedendogli di assolverlo o meno dal reato gravissimo di aver comprato voti utili  per modificare la riforma costituzionale con la quale è stata possibile la sua seconda rielezione. Operazione che ha coinvolto in prima persona anche Sabas Pretelt de la Vega, allora ministro dell’interno e adesso ambasciatore a Roma.
Oggi Uribe agli occhi del paese, ma soprattutto agli occhi della comunità internazionale da sempre silenziosa sugli scandali legati alla parapolitica  che da tempo ormai lo lambiscono molto da vicino senza però colpirlo direttamente,  (nel parlamento colombiano, 30 parlamentari sono attualmente in carcere e 70 sono inquisiti, tutti legati al partito della U, quello della maggioranza)  è il grande salvatore di Ingrid Betancourt e questo probabilmente basta a far dimenticare il marcio sul quale poggia il suo potere e la sua carica  e a rilanciare l’ipotesi, disastrosa per la libertà e per lo stato sociale del paese, della sua terza rielezione.
Ne esce vincente senza doversi prendere la briga nemmeno per un momento di affrontare questioni come lo scambio umanitario o  il conflitto civile in corso nel paese, per le quali  tanto si erano adoperati anche con qualche successo nei mesi scorsi  il presidente venezuelano  Hugo Chávez e la senatrice colombiana Piedad Cordóba. L’ostaggio eccellente  ormai è stato tolto dalla selva e non sarà difficile immaginare che presto scenderà il sipario sugli altri prigionieri, tra i quali il figlio del maestro Moncayo, da 10 anni nelle mani delle FARC   e su  tutti i guerriglieri che sono attualmente reclusi nelle carceri colombiane, circa 500 e che si definiscono prigionieri politici in virtù del fatto che in Colombia è in corso  da mezzo secolo ormai un conflitto civile. Conflitto negato sia nel paese che all’estero. Per tutti, per gli Stati Uniti in testa, ma anche per l’Unione Europea che si è sempre rifiutata di riconoscere lo stato di belligeranza  alla guerriglia colombiana, i 500 guerriglieri che sono in carcere in condizioni non certo migliori di quelle in cui si trovava  Ingrid nella selva, sono soltanto terroristi.
E’ facile anche immaginare che adesso veramente la foresta sarà messa a ferro e fuoco per cercare di catturare il nuovo leader Alfonso Cano e piegare definitivamente i ribelli, senza Ingrid laggiù in pericolo e  senza la sua famiglia ingombrante e testarda pronta ad attaccare continuamente Uribe per i suoi tentativi di riscatto militare dei prigionieri.  Con i paramilitari di supporto ancora sguinzagliati perchè mai smobilitati del tutto.  Aguilas Negras adesso si fanno chiamare  e non più Autodefensas Unidas. La sostanza resta la stessa. E i rischi che correranno contadini, comunità di indigeni e comuni cittadini, con la caccia al guerrigliero formalmente aperta, anche.
 
Ingrid, e dopo?
Al momento della  sua liberazione, una delle prime dichiarazioni rilasciate da Ingrid Betancourt  ieri  sera è stata:” “Credo che questo sia un segnale di pace per la Colombia, possiamo ottenere la pace e abbiamo fiducia nella nostra forza militare e vorrei ringraziare ognuno dei soldati della Colombia”.
Che farà Ingrid Betancourt una volta ristabilitasi? Molte persone in Colombia e non solo,  sperano che possa e voglia dedicarsi alla politica attivamente, trasformandosi in una nuova speranza per i sogni di libertà  e di giustizia sociale del paese. Nel 2002 al momento del suo sequestro era candidata presidenziale. Fu rapita il 23 febbraio, il 26 maggio Uribe vinse le elezioni. Oggi lascia intendere che il suo desiderio di giustizia, di riforma  sociale  profonda del paese, sicuramente rafforzati dai sei anni di prigionia, sono ancora forti e vivi e potrebbero  ancora concretizzarsi in una prossima candidatura. Forse quella del 2010. Quando, se non dovesse trovarsi davanti un Uribe al suo terzo mandato, l’alternativa non sarebbe migliore. E’ quasi certa la candidatura di Juan Manuel Santos, attuale ministro della difesa colombiana, in linea con la politica dura sulla sicurezza e sulla lotta alla guerriglia. Intanto al 2010 mancano ancora 2 anni, nei quali  il paese dovrà affrontare ancora momenti difficili, con un esercito di ventimila persone nella foresta in bilico tra un passato di lotta  e di aspettative gloriose e un futuro quanto mai incerto, una sinistra ancora in via di definizione e pesantemente sotto attacco anche dallo stesso presidente, una miriade di piccoli focolai di speranza, piccole realtà organizzate, reti e movimenti sociali poco strutturati ma in continuo fermento, che si muovono costantemente in pericolo di vita e di sopravvivenza  e  una classe politica al governo  corrotta e pesantemente collusa  con il paramilitarismo più attivo che mai. E’ questo il paese  che accoglie oggi Ingrid Betancourt alla sua nuova vita, non molto diverso in fondo da quello per il quale stava lottando fino a sei anni fa.

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