E’ sempre 6 marzo in Colombia…

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Foto tratta da Yosmary

Raggiunto nel fine settimana al telefono da chi scrive, Iván Cepeda, che ho avuto occasione di intervistare qualche settimana fa,  promotore della marcia del 6 marzo in Colombia contro i crimini di Stato e del paramilitarismo, conferma che l’iniziativa,  nonostante  sia stata portata avanti in un clima di aperta ostilità   e tra le continue minacce da parte del governo e dei paramilitari, è stata un successo. Sono state realizzate manifestazioni in circa 100 città del mondo, tra le quali quelle italiane di Roma e Torino.
A Roma, è stato organizzato un sit-in in piazza Campo dei Fiori

 

(Foto Annalisa Melandri)

da alcuni movimenti tra cui l’associazione A Sud, il comitato Carlos Fonseca, i colombiani in Italia del Polo Democratico Alternativo e le associazioni Narni per la Pace e Colombia Vive che appoggiano da anni le Comunità di Pace colombiane. Sono stati distribuiti volantini e materiale informativo. Colombia Vive ha affisso uno striscione con le foto delle vittime della violenza.

 

A Torino, con il sostegno di Amnesty è stato realizzato un punto di informazione aperto tutta la giornata dove si è distribuito del materiale e dove erano affisse le foto delle vittime dei crimini di Stato.

In Colombia si sono svolte iniziative in circa 20 regioni diverse registrando un’affluenza di circa trecentomila persone.
Iván tuttavia mi conferma che le minacce agli organizzatori da parte dei paramilitari non sono cessate e stanno continuando anche in questi giorni. Come potrebbe essere altrimenti, la marcia, infatti,  lungi dall’essere stata soltanto la “otra marcha” come era stata definita, in risposta  alla mobilitazione governativa  del 4 febbraio contro i sequestri e le FARC,  è stata un momento di aggregazione e di lotta civile della  cui importanza probabilmente non si parlato abbastanza.
Immediatamente dopo la marcia è stato convocato il  IV Incontro del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato  per i giorni 6/7/8 Marzo nella città di Bogotà, al quale hanno partecipato i sopravvissuti al genocidio dei gruppi politici e dei movimenti sociali, i rappresentanti delle comunità afro discendenti, contadine ed indigene, i rappresentati degli smobilitati ed esiliati, praticamente ogni settore della società colombiana che ha dovuto in forma diversa confrontarsi con la violenza di Stato.
Dichiarazioni pesanti e denunce gravi sono scaturite dal documento conclusivo dell’incontro, sul ruolo dello Stato, sui suoi legami con il paramilitarismo, sulla necessità del processo di pace.
Il paramilitarismo non è stato affatto smantellato, anzi continua ad essere ben presente e radicato sul territorio. “La realtà della smobilitazione” riporta  il documento “è che soltanto 55 di questi criminali sono in carcere,  si  assiste quindi  alla più grande operazione di impunità del nostro tempo”. Il Movimento conferma l’esistenza di un “conflitto sociale, politico e armato in Colombia, che affligge il paese da più di 40 anni e che deve essere risolto a partire dalle sua cause strutturali”. Pertanto si conferma la necessità “di una soluzione politica negoziata del conflitto, l’impulso ad  accordi umanitari e lo scambio di prigionieri”.
Viene riconosciuto il lavoro politico della senatrice  Piedad Córdoba e la mediazione del presidente del Venezuela Hugo Chávez che hanno condotto a risultati concreti con la liberazione di 7 ostaggi nelle mani della guerriglia.
Viene proposta inoltre la realizzazione di due grandi conferenze nazionali, una  su “terre e territori” per la discussione di una vera riforma agraria, della restituzione di terre usurpate alle comunità rurali e indigene dai paramilitari, dalle multinazionali e dai narcotrafficanti e per la protezione delle coltivazioni dei popoli originari, nonché una conferenza nazionale sulla “democrazia e contro il genocidio” per discutere di impunità, di costruzione di democrazia, di diritti civili e umani.
Questa è la grande Colombia civile e democratica, spesso dimenticata alle nostre latitudini,  che ha manifestato il  6 marzo e alla quale idealmente e non solo,  siamo vicini


“Enlazando alternativas” , intrecciando alternative possibili tra America Latina e Unione Europea

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Le politiche neoliberali in America latina  portate avanti fino a questo momento attraverso le istituzioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale si sono dimostrate essere,  in questa regione, più che altro una “guerra economica contro la maggioranza della popolazione”.[1]
Questa ha cioè   sperimentato sulla propria pelle la scellerata politica economica per cui per esempio i diritti nazionali sulle enormi risorse dei vari stati sono stati completamente  svenduti alle  multinazionali straniere e agli investitori del nord.
L’Europa non ha giocato in tal senso un ruolo meno rilevante di quello degli Stati Uniti in questo gioco al saccheggio, anche se con peculiarità e caratteristiche che a prima vista potrebbero far pensare a un approccio di tipo molto diverso. “L’Unione Europea sta cercando di firmare con i governi latinoamericani accordi che comprendono capitoli di libero commercio e investimenti simili. A differenza degli Stati Uniti, l’UE ha presentato i suoi obiettivi di libero commercio all’interno di un ambito più ampio di cooperazione e per tanto gli “accordi di associazione” che l’UE sta negoziando con i distinti blocchi regionali in America latina includono capitoli sulla cooperazione e lo sviluppo e hanno un approccio di coesione sociale e dialogo politico”[2].
Praticamente un neoliberismo dal volto umano, l’economia dura e pura affiancata da elementi di cooperazione e progetti di sviluppo.  Purtroppo le differenze dal neoliberismo versione statunitense non sono poi molte e i risultati praticamente gli stessi. Nel maggio del 2006 organizzazioni della società civile di alcuni paesi latinoamericani   hanno presentato al Tribunale Permanente dei Popoli denunce gravissime contro i risultati  devastanti delle politiche di investimento delle multinazionali europee in alcuni paesi latinoamericani.
In questo contesto, mentre parte dell’America latina da un lato cerca di liberarsi dai vecchi legami con le strutture finanziare internazionali che hanno causato il collasso economico di alcune delle principali economie locali  (come fu nel caso nel caso argentino), svincolandosi dal FMI e dalla Banca Mondiale, contemporaneamente vengono portati  avanti accordi commerciali con l’Unione Europea, che differiscono ben poco da quanto proposto dai grandi centri economico-finanziari legati agli stati Uniti: liberalizzazione del commercio internazionale, privatizzazioni, investimenti protetti da parte di multinazionali straniere, passando quindi di fatto dal  “consenso di Washington” al “consenso di Vienna”.
A Vienna infatti, nel maggio del 2006,  fu tenuto il quarto vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e dell’America Latina e dei Caraibi  dove vennero gettate le basi di questo nuovo programma economico.  
Le trattative intraprese allora  tra l’Unione Europea  e l’America latina e i Caraibi  si concluderanno nel maggio prossimo a Lima in occasione del quinto vertice dei governi europei e latinoamericani con la firma e il perfezionamento di alcuni trattati di libero  commercio.
Questi vengono descritti nel documento “Europa Globale – in competizione nel mondo” redatto e pubblicato nell’ottobre del 2006 dalla Commissione di Commercio dell’Unione Europea,  come  “nuovi TLC (Trattati di Libero Commercio)  sviluppati dalla competitività …che si propongono di raggiungere il più alto grado possibile di liberalizzazione del commercio, includendo la liberalizzazione di lunga portata per servizi e investimenti”.[3]
E’ in questo contesto, caratterizzato dall’aggressività neoliberale sempre maggiore dell’Unione Europea verso i mercati latinoamericani e tenendo ben presenti queste premesse,  che si costituisce Enlazando Alternativas, una rete bicontinentale che manifesta la resistenza della società civile europea e latinoamericana al “progetto europeo” espresso così chiaramente nel documento Europa Globale, alle multinazionali e alle politiche in generale di libero commercio.
Si tratta di un vero e proprio esperimento di democrazia partecipativa che si caratterizza però per la sinergia e l’azione  espressa attraverso due continenti così diversi e lontani. Uno spazio politico di azione e riflessione dove la  società civile  reagisce in maniera costruttiva e propositiva verso la società economica e finanziaria la quale, nella migliore delle ipotesi opera  non conoscendo  la realtà nella quale si muove,  nella peggiore deliberatamente ignora esigenze collettive, ambientali,  diritti umani, giustizia sociale e autodeterminazione dei popoli.
La rete è costituita da una moltitudine di attori differenti: dalle ONG, ai sindacati, dalle organizzazioni indigene e contadine, da partiti politici, da associazioni ecologiste così come da singoli individui sia latinoamericani che europei.
Enlazando Alternativas è nata formalmente a Gudalajara nel 2004, in occasione del terzo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Praticamente un “contro vertice” dal basso, che si è definito meglio e ha preso forma e struttura in tutta una serie di incontri successivi avvenuti  a livello mondiale soprattutto in concomitanza degli incontri governativi e istituzionali.
Nel maggio 2006 mentre a Vienna si teneva il quarto vertice dei capi di stato europei e latinoamericani, Enlazando Alternativas 2 (EA2),  alla quale aderirono più di 200 organizzazioni civili di ambedue i continenti, concretizzava e stabiliva  le linee chiave da contrapporre alle politiche neoliberali oggetto del vertice governativo.
Queste consistono principalmente in un  deciso NO agli accordi di libero commercio tra l’Unione Europea e l’America latina e i Caraibi, l’abolizione del debito estero con l’Unione Europea, la condanna alla repressione dei migranti,  il  NO alla privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici all’interno dell’Unione Europea, il rafforzamento dell’unità dei movimenti sociali di ambedue i continenti per l’attuazione del  progetto comune di “un altro mondo possibile”.
E’ stato dato inoltre ampio risalto alle iniziative economiche regionali basate sull’integrazione  e sulla costruzione di alternative come l’ALBA (Alternativa Bolivariana per l’America Latina e i Caraibi) o il TCP (Trattato di Libero Commercio  dei Popoli) proposto dalla Bolivia, nonché del MERCOSUR.
Inoltre con il Tribunale Permanente dei Popoli è stata avviata una sezione specifica del Tribunale per le “Politiche Neoliberali e delle Multinazionali Europee in America latina e Caraibi”. dove sono state esposte le violazioni dei diritti umani ed ambientali commesse da più di 25 multinazionali europee (tra le quali Repsol YPF, Suez, Shell) e loro succursali in tutta la regione .[4]
Attualmente la rete sta preparando il suo terzo appuntamento,  Enlazando Alternativas 3 (EA3) che si terrà a Lima nel maggio di quest’anno in concomitanza del quinto vertice dei capi di Stato di ambedue i continenti.
Si preannuncia un appuntamento importante, soprattutto per la sede scelta,  il Perù, uno dei paesi latinoamericani più aderenti alle politiche economiche neoliberali,  uno dei meno tolleranti verso le domande sociali e con una lunga tradizione di criminalizzazione della protesta.
In questo contesto Enlazando Alternativas, si somma alla campagna nazionale che si sta  attualmente portando avanti nel paese andino per dichiarare l’incostituzionalità degli undici decreti legislativi emessi lo scorso anno,  che con l’intento di criminalizzare e reprimere ulteriormente le proteste sociali, danno ampi poteri alla polizia, tra i quali quello che consente agli agenti di non essere giudicati per l’uso delle armi da fuoco nelle  manifestazioni pubbliche. Appena un mese fa, infatti,  durante lo sciopero Nazionale Agrario  cinque manifestanti sono stati uccisi a sangue freddo dalla polizia. Agli impegni classici  di Enlazando Alternativas, e cioè quelli in difesa del territorio, della sovranità economica e di autodeteminazione dei popoli, si aggiunge pertanto quello più importante e difficile, e cioè la salvaguardia dei diritti dell’uomo, primo fra tutti quello alla vita.  Non solo economia, ambiente e sviluppo sostenibile quindi, ma anche rispetto dei diritti umani, è su queste basi che si organizza la solidarietà internazionale tra i movimenti sociali e la società civile dei due continenti.
 
 



[1] La critica del neoliberalismo – Luis Javier Garrido introduzione a: La Società Globale di N. Chomsky – H. Dieterich
[2] Roelien Knotterus – Acuerdos de Asociación UE-ALC: NEOLIBERISMO Estilo Europeo –Del Consenso de Washington al Consenso de Viena. pag. 6
[3] Commissione Europea, 2006:11
[4] per i casi documentati di violazioni delle multinazionali europee in America latina e Caraibi consultare il sito www.peoplesdialogue.org

Quale festa per le donne e le mamme del popolo mapuche?

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            Ci rivolgiamo a voi in quanto donne di associazioni per la Pace e per i Diritti Umani, chiedendo il vostro intervento solidale per la situazione delle donne mapuche, appartenenti a un popolo di cultura millenaria che abita il sud del Cile e dell’Argentina ancor prima dell’arrivo degli spagnoli.
Consideriamo la loro situazione drammatica. Molte sono in carcere, perseguitate, minacciate, torturate e criminalizzate perché lottano contro la repressione inflitta dal governo cileno al loro popolo, chiedono la fine dell’occupazione militare delle loro Comunità e il diritto ad una vita degna nella propria Madre Terra.
            Il popolo mapuche lotta contro l’etnocidio occultato dal silenzio dei media nazionali e internazionali in tacito accordo con le multinazionali forestali, idroelettriche, minerarie e del salmone.
Queste multinazionali, la maggior parte provenienti dall’Europa e dagli USA, hanno come alleati i governi cileni di turno, che permettono loro nei territori mapuche il saccheggio delle risorse naturali e la devastazione delle terre in nome del profitto, l’arricchimento di pochi e la povertà per molti.
            Chiediamo solidarietà con queste donne, aiuto nell’abbattere il muro di silenzio che le circonda e fare conoscere la verità.
            Siamo fermamente convinte che la solidarietà delle donne d’Europa e d’Italia, donne di paesi democratici, possa spingere il Governo cileno, il cui presidente é una donna, verso il rispetto dei Diritti Umani e degli Indigeni.
Oggi, questo governo “democratico”, vive con la “costituzione fascista” ereditata dal dittatore Pinochet e non esita a sparare contro i mapuche con le mitragliette UZI, usate anche in Irak. A gennaio di quest’anno i carabineros hanno ucciso uno studente mapuche, Matias Catrileo.
Questo governo non esita nemmeno ad usare le leggi antiterrorismo (create da Pinochet) contro le Comunità indigene mapuche nella IX Regione dell’Araucanía. Questo governo criminalizza la lotta sociale, la difesa dei diritti umani, e le giuste rivendicazioni sulle terre usurpate.
Patricia Troncoso, in carcere ha sostenuto fino al 30 gennaio 2008 un ennesimo sciopero della fame di 112 giorni. Rivendicava la libertà per lei e tutti i sui compagni, agevolazioni carcerarie, fine della persecuzione e della militarizzazione delle Comunità Mapuche.
Juana Calfunao, autorità mapuche, sostenitrice dei Diritti Umani e madre di quattro figli, anche lei in carcere così come quasi tutti i suoi familiari. Ha attuato lo sciopero della fame perché il marito aveva urgente bisogno di un intervento chirurgico e in carcere non concedevano prestazioni mediche.
Prima del processo, per anni fu perseguitata, nel 2005 fu maltrattata dai carabineros al punto di farla abortire. I carabineros hanno incendito anche la sua casa e tra le fiamme è morto un  anziano zio. Waikilaf Cadin, suo figlio, studente di giurisprudenza, è stato incarcerato per più di un anno, e durante la detenzione torturato (comunicato diffuso da Amnesty-Cile). Anche lui attuò lo sciopero della fame. In dicembre scorso fu scarcerato, ma poi nuovamente arrestato.  
Luisa Calfunao sorella di Juana, madre di quattro figli, in carcere anche lei da quattro mesi incatenata al letto dell’infermeria, è accusata di aver distrutto i documenti processuali.
Mirella Figueroa Araneda, vive in clandestinità, dopo avere auto un processo farsa,..
Miriam Reyes, avvocato, difensora dei prigionieri mapuche, perseguitata, minacciata (2004/05)
Daniela Ñancupil, bambina di 12 anni, perseguitata, molestata, minacciata, ferita da spari, tentativi di sequestro per impedirle la denuncia. (2001)
Le donne Mapuche pehuenche en Ralco, alla testa nella difesa del territorio dove la multinazionale Endesa costruì una centrale idroelettrica
María Huenchún, Sara Lefimil (Gorbea); Teresa Quilencheo (Pitrufquén), nella lotta contro le discariche con oltre 11.500 tonnellate di rifiuti mensili nella regione. a qualche metro dalle loro abitazioni.….
Ci sono tante donne mapuche che vengono perseguitate, sarebbe lungo nominarle tutte,..
Come ci sono anche tante donne, madri, mogli, figlie, sorelle delle prigioniere e dei prigionieri politici mapuche, che vengono quotidianamente offese nella loro dignità, discriminate,.…
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Documentiamo le nostre denunce con alcune fotografie, sull’accanimento contro le donne mapuche.
Con la speranza che la nostra richiesta abbia un riscontro, alleghiamo l’appello da spedire alle autorità indicate con copia alle organizzazioni internazionali ONU e dell’Unione Europea,
Invitiamo chi desidera esprimere la propria indignazione e la propria solidarietà ad inviare una e-mail indirizzata:
Presidenta de Chile: Michelle Bachelet : Palacio de la Moneda; Santiago, Chile.              Fax: (56 2) 698‑4656    E-mail: href=“jgarciaatpresidenciadotcl“>jgarciaatpresidenciadotcl
Ambasciata del Cile in Italia:                                                                                                Sr. Gabriel Valdés   Via Po 23,    00198 – Roma   Tel (39) 06 -   844091 Fax: (39) 06 — 8841452   href=“echileitatflashnetdotit“>echileitatflashnetdotit  
Per conoscenza a:
Sr. Rodolfo Stavenhagen, Relatore Speciale dei Diritti Umani e delle Libertà fondamentali per gli Indigeni.
Ufficio dell’ Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, OHCHR,
Nazioni Unite , 1211 Ginevra 10, Svizzera.
e-mail: href=“pespiniellaatohchrdotorg“>pespiniellaatohchrdotorg               href=“indigenousatohchrdotorg“>indigenousatohchrdotorg
 Tel: +41 (0) 22– 9179413 / Fax: +41 (0) 22 9179008
 
Per esprimere la vostra solidarietà e per informazioni potete rivolgervi a:
href=“wenuykanatgmaildotcom“>wenuykanatgmaildotcom
                                              
fac– simile mail da inviare a:
                                                                S.E. Presidente del Cile,
                                                                Sra. Michelle Bachelet
                                                                tramite
                                                                l’Ambasciatore del Cile in Italia,
                                                                Sr. Gabriel Valdés S.
 
               ci rivolgiamo a Lei per la grave   e ingiusta situazione dei prigionieri politici mapuche, in particolare delle donne, detenute nelle carceri del sud del Cile.
            Sappiamo dalle immagini, dalle notizie e dalle inchieste di Organismi internazionali quali la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, Human Rights Watch, il Relatore Speciale sulle libertà fondamentali e i diritti degli indigeni, Rodolfo Stavenhagen, il Comitato Diritti Economici e Sociali (DESC) dell’ONU, Amnesty International, la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e il Comitato dei Diritti Umani dell’ONU, che queste persone sono vittime delle violenze poliziesche, di processi artefatti e subiscono la violazione dei diritti umani.
 
            Le nostre Associazioni si rivolgono a Lei, al suo senso di giustizia e di umanità, affinché, in consonanza con le raccomandazioni degli Organismi internazionali sopra citati, molte delle quali sono vincolanti per lo Stato cileno, intervenga per la scarcerazione dei prigionieri politici mapuche, iniziando dai più deboli: donne e malati e si provveda alla revisione degli illegali processi che li hanno condannati.
 
                                                                       Con rispetto.
 
 
 
 
Sottoscrivono; 
 
Osservatorio per la Pace del Comune di Capannori, Lucca                                        Presidente Leana Quillici
Annalisa Melandri, Roma http://www.annalisamelandri.it
Marcela Quillici, assistente sociale
Armida Bandoni,   Lucca
Veronica Fabbri, musicista, Forli
Valentina Fabbri, mediatrice interculturale, Forli
Associazione Wenuykan Amicizia col Popolo Mapuche, Como                                                                      Presidente Violeta Valenzuela
 

Crisi delle Ande, pace fatta?

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La crisi delle Ande ha monopolizzato il XX vertice dei capi di stato del Gruppo di Río che è iniziato oggi a Santo Domingo nella Repubblica Dominicana.
Se ne sono sentite di tutti i colori:
  • Chávez ha detto che ha le prove in vita di altri sei sequestrati dalle FARC.
  • Correa ha chiesto a Uribe di impegnarsi a non aggredire più un paese latinoamericano e gli ha chiesto le sue scuse.
  • Uribe ha accettato e ha chiesto scusa a Correa.
  • Uribe ha deciso di ritirare la denuncia presentata alla Corte Penale Internzionale contro Chávez  per appoggio alle FARC.
  • Uribe ha dato la mano a Ortega e hanno deciso che le loro divergenze in materia di acque territoriali verranno discusse con la mediazione del Gruppo del Río (visto che funziona…).
  • Uribe ha ammesso di non aver informato Correa delle operazioni militari che hanno portato alla morte di Raúl Reyes ed ha ammesso che gli elicotteri colombiani hanno violato il territorio ecuadoriano.
  • Uribe ha  però anche confermato le accuse rivolte al governo ecuadoriano di avere legami con la guerriglia delle FARC e che queste  avrebbero anche finanziato la campagna elettorale di Correa
  • Correa ha risposto che sono tutte bugie.
  • Ortega ristabilisce le relazioni diplomatiche con Colombia.

Il presidente della Repubblica Dominicana Leonel Fernández alla fine è riuscito a stappare prima la stretta di mano e poi l’abbraccio.
La crisi sembra essere rientrata…per ora…


La risposta della Colombia democratica ai crimini di Stato e della parapolitica.

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Intervista esclusiva a Iván Cepeda, promotore della marcia del 6 marzo in solidarietà alle vittime della parapolitica e dei crimini di Stato in Colombia.
di Annalisa Melandri

 

Iván Cepeda è il figlio di Manuel Cepeda, che fu senatore dell’ Unidad Patriótica  quando venne ucciso da membri delle Forze Militari di Stato in accordo con le Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) il 9 agosto 1994. Egli stava indagando sul  “Plan Golpe de Gracia”, il piano organizzato dai vertici militari colombiani  per assassinare i leader del Partito Comunista Colombiano e della Unidad Patriotica e annientare così le forze di sinistra del paese. Lo stesso Carlos Castaño ha ammesso nel suo libro Mi confesión,  la sua partecipazione all’omicidio di Manuel Cepeda. Iván Cepeda,  è ora  presidente della Fondazione Manuel Cepeda e portavoce del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato (MOVICE).
 
A.M - Signor Iván Cepeda, lei è uno degli organizzatori della marcia del 6 di marzo in Colombia, un omaggio alle vittime del paramilitarismo, della parapolitica e dei crimini di Stato. Quali sono le motivazioni di questa iniziativa?
 
I.C.- In Colombia ci sono milioni di sfollati, 15.000 o più desaparecidos e ancora di più morti, vittime dell’esercito e dei paramilitari. Tutti i loro familiari non hanno nessun aiuto da parte dello Stato, sono circondati dal silenzio sociale e da quello delle autorità. Per questo bisogna lottare affinché si conosca la verità, contro l’impunità e per trovare una via di uscita dal conflitto sociale del paese.
 
A.M. —  Quali e quante adesioni ha raccolto fino a questo momento la marcia?
 
I.C. – Siamo riusciti ad organizzare iniziative in 80 città del mondo e a raccogliere le adesioni di moltissime personalità e organizzazioni internazionali, tra le quali quella della Commissione Etica per la Verità nei Crimini di Lesa Umanità, quella della Confederazione Sindacale Internazionale, che riunisce i sindacati di circa 150 paesi, quella della  Federazione Internazionale dei Diritti Umani e quella dell’intellettuale statunitense Noam Chomsky   tra le altre. In Colombia abbiamo realizzato eventi in 20 città e parteciperanno alla marcia la Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT) , il Partito Liberale, alcuni settori del Partito Conservatore e il Polo Democratico Alternativo. Parteciperanno inoltre gli ultimi ostaggi liberati dalle FARC in questi giorni e le associazioni dei familiari dei sequestrati.
 
A.M. —  La marcia del 4  febbraio contro le FARC ebbe l’appoggio del governo colombiano e così riuscì ad ottenere una partecipazione a livello mondiale all’evento. Voi avete avuto lo stesso appoggio delle istituzioni a questa marcia in omaggio alle vittime del paramilitarismo?
 
I.C. – Il 4 febbraio ci fu un appoggio totale nel senso di chiamare a raccolta tutti i cittadini per partecipare a quella iniziativa in tutto il mondo tramite le ambasciate colombiane. Invece il 6 marzo, per mezzo del portavoce del governo, José Obdulio Gaviria siamo stati attaccati preventivamente, accusati di essere amici delle FARC, in seguito siamo stati minacciati e un’organizzatrice è stata anche vittima di un attentato.
 
A.M. – Iván la morte di suo padre  fu una prova che lo Stato era coinvolto nel Plan Golpe de Gracia sul quale stava investigando. Noi in Italia abbiamo una lunga storia di terrorismo di Stato. Cosa si può dire del terrorismo di Stato nel suo paese?
 
I.C. – Noi consideriamo che “terrorismo” sia  un termine inappropriato. Non descrive bene quello che è successo. In Colombia  lo Stato  ha una lunga tradizione di pratiche criminali con lo scopo di neutralizzare i settori dell’opposizione per mezzo dei paramilitari mentre settori dello Stato hanno sviluppato una vera e propria pratica politica criminale.
 
A.M. – Come è continuata la sua vita dopo la morte di suo padre? E come riesce a rapportarsi con le autorità del suo paese?
 
I.C. — Sono il presidente della Fondazione Manuel Cepeda e portavoce del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato (MOVICE), le relazioni con il governo sono difficili nonostante con alcuni funzionari ci siano relazioni di dialogo a livello per lo più personale, ma in generale con il governo vige un clima di polemica permanente.
 
A.M. – Suo padre prima di essere stato ucciso era stato accusato di essere un leader della guerriglia dai mezzi di comunicazione. Ora il consigliere di Uribe José Obdulio Gaviria annuncia che il governo non parteciperà alla marcia perchè è organizzata dalla FARC . Sembra che nulla sia cambiato in Colombia…
 
I.C. — Il governo ha commesso un grave errore. Una delle organizzatrici della marcia, la leader Adriana Gonzáles è uscita illesa da un attentato contro di lei a Pereira. Lei è anche la Segretaria Generale del Comitato Permanente dei Diritti Umani nel dipartimento di Risaralda. Alcuni sicari hanno sparato dei colpi di arma da fuoco  contro la porta della sua abitazione. Ha ricevuto inoltre minacce di morte anche Guillermo Castaño, presidente dello stesso Comitato. Noi pensiamo che il consigliere José Obdulio Gaviria con le sue dichiarazioni abbia  messo a rischio le nostre vite.
 
A.M. – Come procede in Colombia il processo di smobilitazione dei paramilitari  iniziato nel 2003?
 
I.C. – Il processo è stato parziale e non trasparente e i militari sono ancora operanti nel territorio colombiano. Sono riusciti a controllare  circa il 30 il Congresso e ed avere alleati e uomini in tutte le istituzioni.
 
A.M. – I giorni scorsi le FARC hanno liberato altri 4 parlamentari grazie alla mediazione del presidente del Venezuela Hugo Chávez e alla senatrice Piedad Córdoba. Adesso con  la morte  di Raúl Reyes si teme che possa arrestarsi il processo di scambio umanitario. Che ne pensa?
 
I.C. – La mediazione è uno sforzo necessario e utile da qualsiasi parte venga. Con l’assassinio di Raúl Reyes si è creata una situazione di crisi molto difficile. L’opinione pubblica è divisa, ci sono coloro che appoggiano la soluzione militare di Uribe e coloro che chiedono accordi di pace, in questo senso non c’è omogeneità nel popolo colombiano. Bisogna fare in modo che la guerra non si internazionalizzi nella regione. Bisogna aspettare per vedere come si svilupperà la situazione e compiere  tutti gli sforzi possibili per ottenere l’unica via d’uscita accettabile al conflitto sociale che non è quella dell’opzione militare. Noi siamo per lo scambio umanitario e per gli accordi di pace.
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La respuesta de la Colombia democrática a los crímines de Estado y de la parapolítica

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Entrevista esclusiva a Iván Cepeda, promotor de la marcha del 6 de marzo en solidariedad a las víctimas de la parapolítica y de los crímines de Estado en Colombia.
Iván Cepeda es el hijo de Manuel Cepeda, senador de la Unidad Patriótica cúando fue asesinado  por miembros de las Fuerzas Militares del Estado de acuerdo con las Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) el 9 de agosto de 1994. Entonces  estaba investigando sobre  el “Plan Golpe de Gracias”, organizado por altos mandos de las Fuerzas Armadas colombianas  para asesinar líderes del Partido Comunista Colombiano y de la Unidad Patriotica y acabar con las fuerzas de izquierda en el país.  El mismo Carlos Castaño admitiò su participació en el  magnicidio de Manuel Cepeda. Iván es ahora el presidente de la Fundación Manuel Cepeda y vocero del  Movimiento Nacional de Víctimas de Crímines de Estado (MOVICE).
 
A.M. — Señor Iván Cepeda, Usted es uno de los coordinadores  de la marcha del 6 de marzo en Colombia, un homenaje nacional e internacional a las víctimas del paramilitarismo, de la parapolítica y de los crímenes de Estado. ¿ Cuáles son las motivacione de esa iniciativa?
 
I.C. — En Colombia hay millones de desplazados, 15.000 o más desaparecidos y más asesinados,  victimas del ejercito e de los paramilitares. Los familiares de todos ellos no tienen ayuda del Estado, están rodeados por el silencio social y de las autoridades. Por eso hay que combatir para que se conozca la verdad, contra la impunidad y por buscar la salida del conflicto social del país.
 
A.M. — ¿ Cuáles són y cuántas adhesiones tiene hasta ahora la marcha?
 
I.C. — Hemos logrado organizar iniciativas en 80 ciudades en el mundo y la adhesión de muchisímas personalidades y organizaciones internacionales, entre ellas la Comisión Ética por la Verdad en Crímenes de Lesa Humanidad, la Confederación  Sindical Internacional que reune los sindicatos de 150 paises en el mundo, la Federacíon Internacional de Derechos Humanos y  el intelectual Noam Chomsky entre otros. En Colombia realizamos acotos en 20 ciudades y partecipan la Central Unitaria Trabajadores, el Partido Liberal, algunos sectores del Partido Conservador  y el Polo Democrático Alternativo, además de los ultímos rehenes liberados en esos días y las asociaciones de familiares de secuestrados.
 
A.M. — La marcha del 4 de febrero contra las FARC  tuvo el respaldo del govierno colombiano por lo que  logrò obtener una participación mundial al evento.  ¿Tuvieron el mismo apoyo de las instituciones a la marcha en solidariedad a las  victimas del paramilitarismo?
 
I.C. — El 4 de febrero hubo un apoyo en terminos de llamar los ciudadanos a participar a ese acto en todo el mundo a  través de las cancillerias colombianas.
Mientras el 6 del marzo a través del vocero del gobierno José Obdulio Gaviria hemos sido atacados preventivamente y luego amenazados y hubo también un atentado.
  
A.M. – El asesinato de su papà es  una prueba de que el Estado estaba involucrado en el “Plan Golpe de Gracia”,  para acabar con la Unidad Patriótica y el Partido Comunista Colombiano.  Nosotros en Italia tenemos una larga historia de terrorismo de Estado. Qué se puede decir del terrorismo de Estado en su país?
 
I.C. — Nosotros consideramos que “terrorismo” es un término inexacto. No describe lo que ha ocurrido. En Colombia el Estado   tiene una tradición de prácticas criminales con el intento de acabar con sectores de la oposición por medio de los paramiliatres y además sectores del Estado han desarrollado una verdadera práctica política criminal.
 
  
A.M. — ¿Cómo ha seguido su vida desde entonces? Como se mide Usted  con las autoridades de su país?
 
I.C. — Soy el presidente de la Fundacíon Manuel Cepeda y vocero del Movimiento Nacional Víctimas de los Crímenes de Estado, las relaciones con el gobierno son difíciles aún con algunos funcionarios hay relacciones de interlocución llevadas a nivel personal,  pero por lo general hay una polémica permanente con el Estado.
 
  
A.M. — Su papà antes de haber sido asesinado había sido acusado de ser un líder de la guerrilla en los medios de comunicación. Ahora el asesor José Obdulio Gaviria anuncia che el gobierno no participa a la marcha porqué  està organizada por las FARC. Parece que en Colombia sigue siempre todo igual.…
 
I.C. — El gobierno ha cometido un grave error. Una de las organizadoras de la marcha, la líder humanitaria Adriana Gonzáles ha salido ilesa de un atentado en su contra en Pereira. Ella es también la secretaria general del Comité Permanente por la Defensa de los Derechos Humanos del Risaralda. Ha sido atacada por unos sicarios en su residencia y los disparos se impactaron contra la puerta de su abitación. También ha sido amenazado Guiillermo Castaño, presidente del mismo Comité. Nosotros pensamos que el asesor José Obdulio Gaviria ha puesto en riezgo nuestras vidas.
 
 
A.M. — ?Cómo procede en Colombia el proceso de desmovilitación  de los paramilitares empezado en 2003?
 
I.C. — El proceso ha sido parcial y no transparente y los paramilitares siguen activos. Han logrado controlar el Congreso por un 30% y tener aliados y hombres en todo el gobierno.
 
 
A.M. —  En los días pasados  las FARC liberaron otros  quatro congresistas gracias a la mediación del Predidente del Venezuela Hugo Chávez y  de la senadora  Piedad Córdova. Pero ahora con el asesinato de Raul Reys se teme que el proceso de intercambio humanitario pueda pararse. ¿Que piensa usted?
 
I.C. — La mediación es un esfuerzo útil por cualquier lado venga. Con el asesinato de Raúl Reyes hay ahora  una situación de crisis muy dificil.La opinión pública está divida, hay los que apoyan la solución militar de Uribe y los que quieren acuerdos de paz, no hay omogenidad en ese sentido en el pueblo colombiano.  Hay que buscar que la guerra no se vaya internacionalizando.
Hay que esperar para ver cómo se desarrolla la situación y  hacer todos los esfuerzos para lograr la única salida posible que no es la de la opción militar. Nosotros somos por el intercambio umanitario y por los acuerdos de paz.
 
 

El computador de Raúl Reyes

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Luís Alberto Matta, especial para ABP noticias.

Desde los escombros de un bombardeo feroz, y en medio de los árboles destrozados, y de entre las rocas pulverizadas en un cráter humeante, el gobierno de Colombia ha encontrado tres computadores del comandante guerrillero Raúl Reyes, en perfecto estado, léase bien, en perfecto estado.
Como en los cuentos de hadas, las bombas cluster y los misiles fueron muy cuidadosos de no ir a estropear los computadores. Y los computadores de marras, vaya sorpresa, no tenían claves de acceso, y sus archivos no estaban encriptados. Como si se tratara del computador de un colegial, y no el de un experimentado jefe insurgente. Entonces, Reyes no sabía que estaba enfrentado a la maquinaria bélica de un gobierno narco-paramilitar que tiene todo el apoyo de los EE.UU… De ahí, que todos sus archivos estaban disponibles, y expeditos al primer sapo que los abriera.
Y así, abriéndose paso entre los discos duros destrozados, las cenizas y los cables retorcidos, aparecieron por obra y gracia del espíritu santo, varios documentos que comprometen a gobiernos y líderes de la América Latina, en el apoyo directo a las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, FARC-EP.
Y que casualidad que el primer implicado, por mera contingencia del destino, es el gobierno del Ecuador. Pero además, y no podía ser otro, el sospechoso de terrorismo es el ministro Gustavo Larrea.
Con esta jugada propagandista, queda claro, que aparte de narcotraficantes y paramilitares defensores de las transnacionales, Uribe Vélez cuenta con expertos en propaganda sucia, y son los mejores en su campo. Al fin y al cabo los contribuyentes norteamericanos, y el sufrido pueblo de Colombia contribuyen a financiar sus planes macabros.
Pues bien, con esto los EE.UU. aprietan las tuercas, y le giran cuenta de cobro al gobierno de Rafael Correa por su negativa a la permanencia de la base militar gringa en Manta.
A través de Uribe, el títere narcoparamilitar de los gringos, los USA organizan una burda provocación contra Ecuador, tratando de distraer la atención, y principalmente, evadir la responsabilidad por la flagrante violación a la soberanía Ecuatoriana.
La precisión del ataque aéreo que costó la vida al comandante guerrillero, deja ciertas preguntas, que apuntan a la participación de mercenarios extranjeros, gringos y/o Israelíes. No por nada, y de tiempo atrás, la insurgencia viene denunciando la presencia de tropas extranjeras en territorio colombiano. Inclusive, se cree, que los Diputados del Valle del Cauca fueron masacrados por un comando mercenario.
No por nada la ultraderecha entronizada en el gobierno de Uribe Vélez, prefiere que los cautivos regresen muertos, a realizar un acuerdo humanitario. Los soldados y policías le importan un comino al gobierno de Colombia, al fin y al cabo son empleados del régimen, que pueden ser sustituidos en el creciente mercado de los sin trabajo y sin futuro.
Y ni que decir de la ex-candidata presidencial Ingrid Betancourt. Uribe odia y teme la posibilidad de que Ingrid se enfrente a él o a uno de sus esbirros, en la próxima justa electoral del 2010. Se sospecha que su plan es asesinarla, antes que permitir su liberación viva por parte de las FARC.
Volviendo al ataque aéreo contra la guerrilla, se evidencia el derroche de alta tecnología militar, y también, máxima experiencia en la velocidad con que se ejecutó el posterior asalto de tropas mercenarias. Los mercenarios remataron a los sobrevivientes ya indefensos, y secuestraron no dos, sino varios cuerpos, y probablemente, según las primeras consideraciones, a uno en particular, aún con signos de vida. ¿Quién? ¿Por qué? No lo sabremos hasta que la insurgencia se pronuncie oficialmente.
 
Estas actuaciones comprueban que los gringos se lamen por un conflicto regional en América Latina. Por algo han armado hasta los dientes a su títere. Sueñan con un escenario similar al que arrojó la guerra de los seis días en Medio Oriente, cuando los sionistas coparon territorios del Líbano, el canal del Suez en Egipto, y se apropiaron de los territorios sagrados y las fuentes de agua en Palestina.
El presidente Chávez, en mi opinión, debería ser más cuidadoso al hacer sus pronunciamientos. Debe mantener su valiente firmeza, pero sin amenazar, pues los gringos andan desesperados por organizar una provocación contra Venezuela, y cualquier error de cálculo, o decisión apresurada, podría facilitarles su oscuro propósito.
Colombia tiene varias ratas de alcantarilla dedicadas al objetivo de una guerra contra Venezuela. Destaco entre ellas al multimillonario ministro de guerra Juan Manuel Santos, altamente comprometido con la cúpula militar ensangrentada con crímenes contra el movimiento campesino y sindical, y untada de cocaína, a juzgar por los pronunciamientos y  sospechas expresadas por el mismo Departamento de Estado de Los EE.UU.
El gobierno de Colombia necesita la guerra, como los retretes necesitan la mierda. Por eso, el peor misil contra el gobierno de narco-Uribe es el de la paz. El asesinato de Raúl Reyes responde al cálculo de cerrar todos los canales posibles que conduzcan a la salida política del conflicto colombiano.
Odian que las FARC tracen caminos de paz. Y acuden a todo tipo de artimañas para detener iniciativas que conduzcan a la reconciliación entre los colombianos. Y lo peor, algunas voces de oportunistas infiltrados en la izquierda, como es el caso del Senador Gustavo Petro, en vez de lamentarse por hechos sangrientos como la muerte del portavoz insurgente para la paz, salen a dar declaraciones contra la insurgencia. Ahí muestra el cobre.
La comunidad internacional queda notificada, que la única paz que le interesa a Uribe Vélez, es la que otorga impunidad a los paramilitares y reviste de protección a los narcotraficantes amigos suyos. A los narcos de medio pelo, los entrega a los gringos para que negocien con ellos su libertad, cambiando de identidad, como no pocas veces se ha denunciado.
Ojalá Barack Obama, o quien sea el próximo presidente gringo, re-direccione el rumbo de la política exterior de los EE.UU. en función de la paz. Colombia clama paz. La insurgencia clama por el acuerdo humanitario para obtener la libertad de los cautivos, incluyendo, los lideres insurgentes injustamente extraditados y juzgados por la potencia extranjera.
Pero no podemos desfallecer. Hay que insistir en el flanco que más le duele a los violentos y los corruptos. El flanco de los derechos humanos y de la paz con justicia social.
Salgamos entonces a marchar este próximo 6 de Marzo. Gritémosle al mundo, que Colombia también tiene entre sus hijos gente consciente, humanizada y comprometida con la paz. Y lo mejor, que no estamos solos. Por ejemplo, En Toronto y otras ciudades del Canadá, hemos recabado el apoyo de iglesias, integrantes de partidos políticos y sindicatos, y activistas por los derechos humanos y la paz.
Nos vemos el 6 de Marzo, unidos en un grito sonoro y ardiente, en la jornada mundial contra el terrorismo de Estado en Colombia y en homenaje a las víctimas.
¡Alzaremos nuestras manos hacia el cielo, para acariciar con nuestro grito solidario con los millones de desplazados a quienes le robaron sus tierras. Evocaremos a los prisioneros, y también a quienes han derramado su preciosa sangre en la lucha. Estará con nosotros la mirada calcinante de los desaparecidos, la memoria indeleble de los camaradas de la UP, y la mirada triste de los lideres campesinos, indígenas y sindicalistas asesinados!


L’attentato di Uribe alla vita di Ingrid Betancourt

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Le FARC con la liberazione degli ultimi quattro ostaggi, avvenuti nei giorni scorsi avevano di fatto passato la palla a Uribe. Nel loro ultimo comunicato del 28 febbraio avevano chiesto nuovamente la smilitarizzazione dei municipi di Florida e Pradera per poter avviare con la partecipazione della comunità internazionale, le trattative per lo scambio umanitario.

Uribe invece ha giocato malissimo questa palla. Ha segnato un bel tiro giocando con la vita di Ingrid Betancourt e di tutti gli altri ostaggi nelle mani delle FARC, che in questo momento,  a causa del loro presidente, stanno veramente rischiando la vita. Con un’operazione effettuata in territorio ecuadoriano e quindi violando apertamente  il diritto  internazionale, l’esercito colombiano ha ucciso nel sonno  il n. 2 delle FARC Raúl Reyes e l’ideologo del gruppo, Julián Conrado, oltre ad altri 17 guerriglieri.  Nonostante le smentite del governo colombiano, che in queste ore sta rilasciando  dichiarazioni sommarie e contraddittorie sulla violazione del territorio dell’Ecuador,   primi accertamenti sul luogo effettuati dall’esercito ecuadoriano che ha recuperato 15 cadaveri e due guerrigliere ferite, dimostrerebbero che si “è trattato di un massacro” e che Raúl Reyes e gli altri membri delle FARC sono stati uccisi mentre dormivano. Si suppone anche l’attacco sia stato effettuato con il supporto di  mezzi aerei di una potenza straniera.

E così ce l’ha fatta finalmente  Uribe a far fruttare i milioni di dollari messi a disposizione dal governo degli Stati Uniti da spendere per la sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo e arrivati sotto il nome di Plan Colombia,  un programma ambiguo e distruttivo  di “rafforzamento delle istituzioni colombiane” nonché di lotta al narcotraffico.

Ce l’ha fatta, violando sovranità nazionali, mettendo a rischio la vita degli ostaggi e compromettendo seriamente tutte le trattative per lo scambio umanitario che grazie alla mediazione di Chávez e all’ attuale e innegabile buona volontà delle FARC,  stavano muovendo i primi timidi passi, dando buoni risultati con la liberazione di Clara Rojas e Consuelo Gonzáles de Perdomo prima e degli ultimi parlamentari la settimana scorsa. Lo stesso Chávez aveva avviato un dialogo con Marulana, il capo delle FARC, che di Reyes era anche il suocero, affinché trasferisse la Betancourt, che versa  in gravi condizioni di salute, in un luogo più salutare per lei in attesa della prossima liberazione.

Raúl Reyes  si trovava in questi giorni  in territorio ecuadoriano proprio per portare ulteriormente avanti le trattative per lo scambio umanitario che significava la liberazione di tutti i prigionieri nelle mani della guerriglia e dei circa 500 nelle carceri colombiane, le cui condizioni,  non se ne parla mai, ma sicuramente non sono poi  tanto migliori di quelle della Betancourt e degli altri. Proprio per questo ultimamente Rául Reyes si stava esponendo tanto, dai continui viaggi a Caracas alle telefonate dal suo satellitare, l’ultima delle quali lo avrebbe tradito. Si dice che Uribe stia per consegnare due taglie milionarie a due collaboratori che avrebbero fatto “la soffiata” all’esercito relativamente alla presenza di Reyes e compagni in quella zona. Se ne sta parlando troppo, Uribe lo ripete in continuazione e questo a mio avviso, nel paese di Macondo, fa sorgere dubbi legittimi sulla veridicità del fatto. Si è trattato piuttosto “di un sabotaggio, di un golpe” del presidente Uribe, come ha dichiarato il marito della Betancourt.

D’altra parte la figura di Reyes era una figura estremamente a rischio, portavoce delle FARC, una specie di ambasciatore della guerriglia, “assolutamente non un terrorista” come ha dichiarato in un’ intervista a TeleSur, il segretario generale del Partito Comunista della Colombia Jaime Caicedo, ricordando come avesse avuto relazioni con quasi tutti i rappresentati dei governi stranieri e con i rappresentati della chiesa. In un momento talmente delicato, la sua morte non giova a nessuno. Non giova agli ostaggi, non giova al processo di pace che vede mancare il suo necessario portavoce, non giova nemmeno a Uribe, nonostante molti sostengano il contrario, perchè potrebbe trovarsi, anche se non tanto esplicitamente manifestata,  la condanna della comunità internazionale,  dal momento che con quest’azione  ha  evidentemente  commesso un gravissimo  errore. Non giova soprattutto in questo delicato momento, alla stabilità della regione, Correa e Chávez hanno rafforzato la difesa militare lungo le loro frontiere e ritirato i loro diplomatici da Bogotà, il primo in virtù di una evidente quanto gravissima violazione del territorio nazionale, il secondo ragionevolmente preoccupato che accada la stessa cosa in Venezuela e sicuramente provocato nella suo ruolo di mediatore con le FARC. Dietro Uribe ci sono comunque gli Stati Uniti e questi si sa, non aspettano altro che un buon pretesto per intervenire nella regione.

C’è solo da augurarsi che il buon senso prenda il sopravvento in questa situazione nella quale il presidente colombiano appare sempre più isolato nella sua posizione di guerra totale al nemico interno e nella quale, paradossalmente buon senso sembra stiano dimostrandolo proprio i “terribili terroristi narcotrafficanti” delle FARC, che avrebbero già dichiarato ieri che la morte di Raúl Reyes “non comprometterà l’accordo umanitario”.

Grande responsabilità ha a  questo punto la comunità internazionale, nella remota e improbabile ipotesi che riconoscesse le FARC come gruppo belligerante e non terrorista, la politica di Uribe sicuramente dovrebbe cambiare e si aprirebbe un tenue spiraglio di pace per la Colombia.

Leggi anche:

Uribe, Chávez e Correa, spettri di guerra di Diario dalla Colombia

Colombia, ucciso Raúl Reyes, tutto da rifare? di Diario dalla Colombia

Uribe taglia alle FARC la testa di Reyes di Guido Piccoli

L’omicidio mirato di  Raúl Reyes e la crisi tra Colombia, Ecuador e Venezuela di Gennaro Carotenuto.

Salgono i toni di Bogotalia


Liberati dalle FARC altri quattro ostaggi in Colombia, la palla passa a Uribe..

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Le FARC  hanno liberato oggi, come preannunciato nei giorni scorsi, i quattro ex-parlamentari  colombiani Luis Eladio Pérez, Gloria Polanco, Orlando Beltrán e Jorge Eduardo Gechen Turbay.

Si tratta, come rende noto il gruppo insorgente in un  comunicato odierno, “di un risultato ottenuto grazie alla perseveranza umanitaria e  alla sincera preoccupazione per la pace in Colombia del Presidente Hugo Chávez e della senatrice Piedad Córdova. E’ la più contundente manifestazione del fatto che ottiene di più l’umanità che l’intransigenza”.

Ora le FARC chiedono la smilitarizazzione per 45 giorni, con la presenza della comunità internazionale, dei municipi di Florida e Pradera  per poter avviare con il governo trattative per la liberazione degli altri ostaggi.

Fino a questo momento le FARC hanno liberato, oltre ai quattro ex parlamentari di oggi,  già 304 ostaggi, e  più recentemente Clara Rojas e Consuelo de Perdomo.

Si ribadisce inoltre nel comunicato che il considerare le FARC come forza belligerante è la via giusta da seguire per dare  impulso alla ricerca di una soluzione politica al lungo conflitto armato che affligge la Colombia.

Leggi anche:

Colombia i commenti del giorno dopo di Diario dalla Colombia

Ingrid Betancourt e gli altri tra la speranza e Uribe di Gennaro Carotenuto

 

 

 


“La otra marcha” . Il 6 marzo in Colombia con i familiari delle vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato.

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Tempo fa  scrissi  sulla  marcia contro le FARC del 4 febbraio, definendola  “la marcia della vergogna”.
Qualcuno si risentì anche per questo. Mi dispiace,  ma non posso che confermarlo.
E questo perchè lo stesso governo che con grande impegno e profusione di mezzi aveva appoggiato  quell’ iniziativa, trasformandola in uno show planetario,   adesso sta in varie occasioni, tramite i suoi portavoce più accreditati, bollando come è solito fare in questi casi  come “evento organizzato dalle FARC”,  la marcia in solidarietà per le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato organizzata  per il 6 marzo prossimo da  varie organizzazioni sociali tra le quali  il Movimento delle Vittime dei Crimini di Stato, la Confederazione Unitaria dei Lavoratori  (CUT)  e l’organizzazione Nazionale dei Popoli Indigeni (ONIC).  E’ la stessa musica di sempre che si ripete, quando lo stato colombiano desidera prendere le distanze da realtà troppo scomode le affianca alle FARC, quando vuole segnalare personaggi indesiderati ai paramilitari affinché provvedano di conseguenza,  li chiama pubblicamente “fiancheggiatori delle FARC”, quando vuole far credere che la lotta contro la guerriglia procede nel migliore dei modi trucida nelle campagne del paese qualche contadino innocente e gli piazza addosso divise delle FARC.
Niente di nuovo. Il governo colombiano ha confermato in questi giorni di non essere d’accordo con quanto si vuole esprimere con la manifestazione. E’ ovvio. Può il governo colombiano manifestare contro se stesso? Può marciare appoggiando le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato? Può esprimere solidarietà per i  familiari delle vittime del paramilitarismo, quando anni prima, mesi prima, passò i nomi dei loro figli, dei fratelli, dei genitori, ai capi paramilitari perchè fossero eliminati? Può farlo, quando  complice, ha fatto sì che quegli stessi figli, fratelli, genitori finissero nelle fosse comuni, sparissero o fossero tagliati a pezzettini dalle motoseghe?
Questa volta è stato José Obdulio Gaviria  a  sentenziare che “la marcia è un atto organizzato dalle FARC”. E che,  sia  “lui che il presidente non  prenderanno parte  alla manifestazione”.
Ora José Obdulio Gaviria non è un personaggio qualunque, è una delle persone più vicine al presidente Uribe, suo consigliere da circa un decennio, è praticamente considerato l’ideologo del governo. Egli è però anche cugino di Pablo Escobar e i  suoi fratelli e un cognato sono stati arrestati in passato negli Stati Uniti per traffico di stupefacenti. Dettagli di poco conto, ovviamente. Un uomo così in Colombia può essere perfino  consigliere del Presidente della Repubblica.
Intanto l’anatema che ha gettato sulla marcia del 6 febbraio ha già dato i primi effetti: alcuni organizzatori della manifestazione hanno infatti ricevuto varie minacce di morte.
Daniel Maestre ha denunciato intimidazioni  giunte via mail ad appartenenti dell’Organizzazione Nazionale Indigena (ONIC) con “l’invito” a non  partecipare alla marcia.
Di questa marcia contro “l’altra violenza”, quella di stato, se ne sta parlando pochissimo. Nessuno spazio sui  grandi social network, nessuna propaganda, niente magliette né volantini nelle università italiane.
Come mai? Da cosa dipende? Dipende forse dal fatto che i numeri della violenza paramilitare sono talmente trascurabili da diventare insignificanti al confronto di quelli prodotti dalla violenza  delle FARC? Sappiamo bene che è esattamente vero il contrario.
O piuttosto è quello che la circonda, soldi, corruzione, potere, che trasforma la sua natura fin quasi a farla diventare un non-problema per la Colombia?
La marcia del 6 marzo, a differenza di quella de 4 febbraio contro le FARC non è stata organizzata da un anonimo utente di internet che come per magia ha creato dal nulla una mobilitazione mondiale appoggiata dal governo e da tutti i suoi mezzi di comunicazione.
Uno degli organizzatori, Iván Cepeda Castro, il rappresentante delle Vittime dei Crimini di Stato, è il figlio di Manuel Cepeda, senatore dell’Unión Patriotica ucciso a Bogotà il 9 agosto del 1944 da alcuni membri delle Forze Militari colombiane e da appartenenti delle  AUC (Autodefensas Unidas de  Colombia).  Lo stesso Carlos Castaño Gil ha ammesso la sua partecipazione all’omicidio del senatore Cepeda.
Iván in una recente intervista a Semana dice che “la marcia reca implicita una condanna ai delitti dei paramilitari” ma anche al fatto che coloro che sono implicati negli scandali della parapolitica ricoprono ancora incarichi diplomatici e che ci siano ancora casi di esecuzioni extragiudiziali commesse dalla forza pubblica.
Ci auguriamo  che la marcia del 6 di marzo raccolga il pieno consenso e appoggio da parte di tutta la comunità internazionale, perchè come afferma Iván solo “avendo l’abitudine democratica di condannare senza nessun pregiudizio o ambiguità qualsiasi forma di violenza, si sarà tracciato il cammino per la pace”.
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Leggi anche: La Colombia contro i crimini di Stato di Nuova America
 

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