E’ iniziato martedì 19 febbraio a Buenos Aires il processo contro i due genitori adottivi e il capitano dell’Esercito in ritiro Enrique Berthier accusati di aver sottratto María Eugenia Sampallo Barragán ai suoi veri genitori e di aver annullato la sua vera identità.
Si tratta del primo processo nel quale una figlia di desaparecidos sequestrata dal regime militare argentino denuncia i suoi genitori adottivi.
I veri genitori di María Barragán, militanti del Partito Comunista Marxista Leninista, furono sequestrati nel 1977, insieme al loro bambino di appena tre anni che successivamente fu consegnato al nonno paterno. La donna era incinta di sei mesi e partorì María in un centro clandestino di detenzione, la bimba tre mesi dopo il parto fu consegnata ad una nuova famiglia adottiva.
Dei veri genitori di María non se ne è saputo più nulla e fanno ormai parte della lunga lista di trentamila persone scomparse in Argentina tra il 1976 e il 1983 durante il periodo della dittatura militare.
Nel 2001 la ragazza, oggi trentenne, per mezzo dell’esame del DNA ha potuto accertare la sua vera identità e dare seguito alla denuncia che ha portato a questo processo che la vedrà coinvolta come testimone. E’ la prima nipote recuperata dall’Associazione Abuelas de Plaza de Mayo.
“Loro credevano di essere dei salvatori. Pensano che quello che hanno fatto fu giusto” ha detto María Eugenia. “La condanna a chi si è appropriato di un bambino non è accettata socialmente. Credo che abbia a che fare con qualcosa di più generale che riguarda il fatto su chi siano le persone più adatte e quelle meno a crescere un bambino. In ogni momento e anche adesso potrebbero togliere i bambini ai poveri perchè ci sono altre classi sociali che possono crescerli meglio. Nel ’70 erano i militanti che non avevano i mezzi per crescere i loro figli. E la Giustizia, quando tratta un caso di sequestro di bambini durante la dittatura non lo fa come se fosse un caso grave, ma come se stesse trattando un caso di furto di automobili” denuncia inoltre.
Per la coppia che ha adottato la bambina e per il militare sono stati richiesti 15 anni di carcere, il medico che ha redatto il falso certificato di nascita invece è già deceduto da tempo.
Berthier nega di aver sequestrato e ceduto bambini e la coppia ha rifiutato qualsiasi dichiarazione ma un testimone ha dichiarato che in una occasione la madre adottiva avrebbe detto a María: “Se non fossi per me ti troveresti in una fossa, mocciosa capricciosa, dovevi essere figlia di una guerrigliera per essere così ribelle…”
…
AGGIORNAMENTO:
Il 4 aprile 2008 è stata emessa la sentenza con la quale sono stati condannati a 8 e 7 anni “los apropriadores”, i falsi genitori Osvaldo Arturo Rivas e María Cristina Gómez e a 10 anni l’ex capitano Enrique José Berthier.
Ascolta qui “Nel nome del popolo argentino…” la puntata del 5 aprile di Inviato Speciale di Cecilia Rinaldini.
La democrazia messicana, dopo le ultime elezioni presidenziali del 2 luglio 2006, vinte per una manciata di voti e in modo poco chiaro da Felipe Calderón Hinojosa, del PAN (Partito di Azione Nazionale) attualmente poggia le sue fragilissime basi proprio su questo contestatissimo e assolutamente poco trasparente processo elettorale che ha lasciato il paese nel dubbio se considerare o meno l’attuale presidente legittimo o espurio (illegittimo).
Qualunque sia la legittimità o meno della presidenza di Felipe Calderón, attualmente il Messico è ben lontano dal poter essere considerato una democrazia.
Segnato da questa debolezza originaria, l’attuale governo ha rafforzato il suo potere e il consenso intorno al suo mandato, avvalendosi dell’appoggio incondizionato delle Forze Armate.
La nomina di Francisco Ramirez Acuña come ministro degli Interni, ne è la dimostrazione.
Sul suo capo pendono infatti circa 640 denunce per tortura e il suo operato quando era governatore dello stato di Jalisco, ha all’attivo centinaia di casi di sparizioni forzate, abuso dell’uso della forza e torture.
Tristemente famoso per la brutale repressione dei manifestanti che protestavano contro il vertice euroamericano del 2004, dove centinaia di giovani furono arrestati arbitrariamente, furono picchiati e subirono violenze di ogni tipo dai reparti di polizia che eseguivano i suoi ordini.
Il Messico sta lentamente tornando così al clima della guerra sucia che ha caratterizzato gli anni ‘70.
La Limeddh (Lega Messicana dei Diritti Umani) denuncia in un lungo e dettagliato informe dal titolo: — Criminalizzazione della protesta sociale, una vecchia nuova grande sfida del campo dei diritti umani -, che “i metodi oggi sono più sofisticati ma la sostanza è la stessa, reprimere sistematicamente le proteste sociali utilizzando tutti i metodi a disposizione. Ogni volta si fa sempre più difficile dimostrare le violazioni dei diritti umani dal momento che per metterle in pratica si ricorre alla scienza e alla tecnica; la criminalizzazione sociale contro le riforme giuridiche.”
L’11 settembre 2001
Questa data ha rappresentato a livello mondiale un evento limite per il quale, a partire da quel momento, nel nome della sicurezza tutto è diventato lecito.
E questo imperativo ha travalicato i confini degli Stati Uniti, cioè del paese direttamente interessato, finendo per stabilire un principio universalmente valido e cioè che l’uso della forza viene legittimato in situazioni particolarmente difficili e soprattutto quando manca la volontà politica di condurre trattative diplomatiche dei conflitti in corso.
La lotta contro il terrorismo è diventata, si legge nella relazione della Limeddh, “la principale arma giuridica e politica usata nella criminalizzazione delle proteste sociali e si articola attraverso una vasta gamma di mezzi e risorse che permettono violazioni dei diritti umani rispettando nello stesso momento le leggi interne degli Stati”.
Mentre a livello mondiale si assiste all’assoluta impunità dell’esercito statunitense anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, i governi dei paesi del centro e sud America si vedono sollecitati da Washington a militarizzare fortemente la loro risposta interna ai problemi di sicurezza. In particolare in Messico, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato nell’ottobre del 2007, il bilancio di spesa di 1400 milioni di dollari da destinare nell’ambito del Plan México per le spese militari nella regione.
Sebbene tale sforzo sia destinato alla lotta al narcotraffico è evidente che un’estrema militarizzazione della sicurezza pubblica in un paese come il Messico già caratterizzato da un profondo conflitto sociale non può che avere come conseguenza una criminalizzazione estrema della protesta sociale e delle categorie sociali ad essa collegate che risultano essere anche e sempre le più deboli.
La perdita di consenso intorno all’operato del governo, unitamente alla richiesta da parte degli Stati Uniti di un maggiore impegno militare nella lotta al narcotraffico fa sì che vengano attuate nuove tipologie di repressione.
Gli apparati di sicurezza, lungi dall’assicurare tranquillità al paese, vengono sempre più spesso utilizzati per criminalizzare e perseguitare i cittadini.
Si registrano denunce sempre più frequenti da parte degli enti nazionali e internazionali, tra i quali la Limeddh (che è affiliata alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e all’ Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) di sistematiche violazioni dei diritti umani verso tutti coloro che nei documenti degli apparati di sicurezza vengono indicati genericamente con il nome di “oppositori”, violazioni che vanno dalle semplici minacce alle percosse, per finire a casi documentati e accertati di torture, detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali e scomparse.
Si ricordano a titolo di esempio i gravi fatti avvenuti a Guadalajara nel 2004, a Michoacán nel 2005, a San Salvador Atenco nel maggio del 2006, a Mérida nel marzo 2007 durante l’incontro Calderón-Bush e per finire a Oaxaca nel 2006, in cui forze di sicurezza e di intelligence sono state utilizzate massivamente per reprimere le manifestazioni utilizzando metodi diversi come il “compiere provocazioni” e l’utilizzo di infiltrati.
Come negli anni della guerra sucia del passato, in Messico si sono registrati solo nel corso del 2007 tre casi di persone scomparse e cioè i due integranti dell’EPR (Ejercito Popoluar Revolucionario), Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez e Francisco Paredes della Fondazione Diego Lucero del quale non si hanno più notizie dal 4 ottobre scorso.
Oaxaca
Oaxaca ha rappresentato il momento in cui una situazione di repressione fino ad allora tenuta “sotto controllo” a livello nazionale, si è manifestata agli occhi del mondo in tutta la sua violenza, anche e sopratutto per la morte di Brad Will, il reporter di Indymedia ucciso da un poliziotto in abiti civili il 27 ottobre 2006.
La repressione a Oaxaca ha lasciato un saldo di 23 morti, numerosissimi feriti, più di 500 detenzioni arbitrarie e numerosi casi di tortura.
A Oaxaca possiamo dire che sono stati ripetutamente violati da parte della PFP (Polizia federale preventiva) i diritti umani di centinaia di persone in un contesto di assoluta mancanza di rispetto di ogni principio dello Stato di Diritto.
In tutti i casi registrati di detenzioni arbitrarie avvenute ad Oaxaca, per le quali si può legittimamente parlare di prigionieri e perseguitati politici, (molti di essi accusati di crimini comuni), esiste un denominatore comune, e cioè il fatto che i loro processi presentano gravi irregolarità commesse soprattutto dalla Magistratura e dall’Autorità giudiziaria.
Esistono inoltre forti indizi di mancanza di indipendenza del Potere Giuridico da quello Esecutivo.
La Riforma penale in Messico
“Dentro la legge è tutto permesso, al di fuori della legge niente”.
“Si attuerà con profondo rispetto dello Stato di Diritto”
Queste frasi ricorrono spesso nei discorsi dei politici e nei mezzi di comunicazione, la realtà è che si tratta di frasi vuote che mascherano una situazione costante di violazione dello Stato di Diritto.
“Oggi la legge nel nostro paese, permette la violazione dei diritti umani rispettando l’ambito giuridico” denunciano alla Limeddh.
Nel marzo del 2007 è stato presentato dall’Esecutivo al Congresso un pacchetto di riforme in materia penale , che sebbene contenga alcuni elementi positivi e di apertura sociale, rende molto più difficile la difesa dei diritti umani da parte delle associazioni preposte.
Alcune di queste riforme sono:
–La Legge sulla Criminalità Organizzata, creata con il pretesto di legiferare su una serie di azioni o fatti giuridici ma che in realtà può nasconde gravi insidie relativamente a violazioni dei diritti umani e criminalizzazione della protesta sociale.
–La Legge di Sicurezza Pubblica e Basi di Coordinazione in cui si trasferiscono ruoli di polizia all’esercito e con la quale sembra più facilitata la tortura e la creazione o la falsificazione di prove.
–La Legge sulla Polizia Federale Preventiva , che viola la Costituzione in quanto stabilisce che la persecuzione dei crimini è compito del Pubblico Ministero e conferisce poteri di Pubblico Ministero alla polizia giudiziaria che diventa pertanto una “super polizia” con poteri illimitati e integrata anche da elementi dell’Esercito.
–L’allargamento del concetto di flagranza e di urgenza, in virtù dei quali il Pubblico Ministero può detenere senza ordine preventivo di custodia cautelare.
–La riforma dell’articolo 20 della Costituzione che nega la libertà su cauzione a coloro che sono privi di precedenti penali e nonostante i delitti per i quali sono stati accusati non siano stati considerati gravi, su richiesta del Pubblico Ministero motivata dalla pericolosità sociale. In questi casi non è previsto il “recurso de amparo”( e cioè la possibilità da parte del cittadino di richiedere un ricorso quando esiste violazione dei suoi diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione).
José Luis Soberanes, presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha dichiarato relativamente alla riforma che così come è concepita “rappresenta un passo indietro in quanto contempla disposizioni che non tutelano le garanzie individuali dei messicani”.
Metodi e luoghi di repressione
Il fatto di essere il Messico uno Stato federale, fa sì che nonostante il paese abbia aderito alle convenzioni ONU e OEA in materia di rispetto dei diritti umani, in realtà nelle costituzioni politiche dei singoli stati esistono delle lacune che rendono difficile il controllo della situazione nel paese da parte degli enti preposti alla tutela dei diritti umani dei cittadini.
I crimini spesso vengono fabbricati e così anche le prove, gli avvocati o non ci sono o si corrompono.
La situazione carceraria nel paese è disastrosa, tanto che le carceri sono diventate delle vere e proprie “università del crimine” e il narcotraffico le ha trasformate in centrali di smercio e spaccio di stupefacenti.
La popolazione carceraria in Messico è composta per l’85% da giovani tra i 18 e i 25 anni con scarsi mezzi economici.
Per l’attiva e capillare presenza nel territorio dei movimenti a difesa dei diritti umani, si può affermare che non si registrano quasi più casi di esecuzioni extragiudiziarie, ma continuano e si fanno sempre più violente altre forme di repressione contro gli attivisti sociali.
Queste altre forme sono più subdole e di più difficile individuazione perchè di minor impatto mediatico e consistono prevalentemente nella fabbricazione di capi d’accusa e nella manipolazione degli atti giuridici.
La criminalità organizzata e il terrorismo rappresentano due categorie di capi d’accusa che ben si prestano ad essere utilizzati come forma repressiva contro gli attivisti sociali.
Si rende inoltre spesso difficile da parte di chi è vittima di abusi commessi dall’autorità giudiziaria il riconoscimento dei colpevoli, e quindi la denuncia, in quanto le violazioni sono commesse da agenti di polizia dal volto coperto o addirittura da civili che lavorano per le autorità, mentre gli stessi detenuti sono incappucciati. Si ricorre con sempre maggior frequenza inoltre alla pratica della “tortura scientifica” con la quale si cerca di lasciare meno tracce possibili.
Nonostante esista il Protocollo di Istanbul, documento redatto da un gruppo di lavoro dell’ONU nel 1999 con lo scopo di combattere la tortura nel mondo e che rappresenta uno strumento internazionale di controllo pur senza essere vincolante, il governo messicano, con l’accordo A/057/2003 della Procura della Repubblica (una versione rivista del Protocollo di Istanbul) ha stabilito le direttive istituzionali che devono essere seguite dai periti e dai medici legali forensi nella valutazione dei casi di tortura e/o maltrattamenti.
Ciò nonostante, per elaborare l’accordo, il governo di Vicente Fox ha utilizzato in qualità di specialisti, militari ed esperti di pubblica sicurezza che hanno redatto pertanto una versione mutilata e incompleta del protocollo di Istanbul soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto psicologico della tortura.
E’ interessante notare, sottolineano alla Limeddh, che dalla data in vigore dell’accordo A/057/2003 e cioè dal 18 agosto del 2003, nessun caso di tortura è stato registrato dai periti della Procura Generale della Repubblica nell’applicazione di detto documento, per cui paradossalmente possiamo affermare che in Messico il protocollo di Istanbul viene utilizzato per coprire o nascondere i casi di tortura.
Molti detenuti segnalano inoltre di essere stati arrestati senza che il Pubblico Ministero abbia mai emesso nessun ordine in tal senso, sebbene il mandato di arresto sia poi “miracolosamente” apparso in un momento successivo nei fascicoli del caso.
Le detenzioni senza mandato di arresto avvengono con la motivazione del “caso urgente” per cui possono essere attuate in qualsiasi momento o circostanza.
Altri metodi repressivi messi in atto consistono nel “seminare prove” quali ad esempio droga, armi o propaganda sovversiva nel corso delle operazioni di polizia con lo scopo di legittimare le detenzioni successive.
Alcune volte si utilizzano gli avvisi di comparizione per poter compiere detenzioni arbitrarie, la persona viene invitata a presentarsi per generici accertamenti in un posto di polizia dove poi viene immediatamente arrestata.
Casi più gravi di detenzioni arbitrarie riguardano quelli in cui le persone sono detenute in regime di arresti domiciliari presso case di sicurezza o stanze di alberghi dove, sebbene possano ricevere le visite degli avvocati e dei familiari, la loro limitazione della libertà non è tutelata da un giudice.
In tali luoghi sono stati documentati anche gravi casi di tortura.
Negli anni dal 1995 al 2000, soprattutto negli stati di Oaxaca, Guerrero e Distrito Federal, si è registrata una recrudescenza dell’utilizzo delle carceri clandestine e delle sparizioni forzate transitorie che hanno caratterizzato la repressione degli anni ’70.
I casi sono stati documentati e presentati alla magistratura in attesa che compia gli accertamenti anche se purtroppo ci sono poche speranze che si possano stabilire le responsabilità penali.
Attualmente sono sotto l’occhio vigile dei difensori dei diritti umani, i CEFERESOS, cioè i Centri federali di massima sicurezza, dove spesso vengono commessi abusi verso i detenuti che vanno dalla negazione del diritto di difesa, alla mancanza di riservatezza nel rapporto con i legali, (tanto che le conversazioni che i detenuti hanno con i loro avvocati vengono sistematicamente registrate nei parlatori), a trasferimenti che non avvengono nei termini di legge, tanto per citare i meno gravi e i più comuni.
Riguardo ai termini in cui debba avvenire un processo, nonostante esista una legge che stabilisce il periodo di un anno affinché il giudice emetta la sentenza, ci sono casi incontestabili di persone che hanno atteso vari anni prima di essere giudicati.
La repressione contro gli attivisti sociali, oltre che in campo giuridico e penale si manifesta anche nei rapporti lavorativi, personali e di studio.
Ci sono frequenti casi di persecuzioni sul lavoro, licenziamenti ingiustificati, retribuzioni ridotte e gli studenti segnalano la presenza di gruppi di scontro (porros) cioè di provocatori finanziati e promossi dalle autorità, sanzioni amministrative o accademiche, sospensione o espulsione dalle attività didattiche.
Gli attori della criminalizzazione della protesta sociale
Il Pubblico Ministero
Un capitolo a parte nella relazione presentata dalla Limeddh riguardo alla criminalizzazione della protesta sociale spetta alla la figura del Pubblico Ministero.
Questa come viene intesa in Messico e con i poteri che ha in questo paese, viene definita dalla stessa Lega come la figura “che rompe con le regole elementari di ogni giusto processo, che possiede il monopolio della persecuzione e dei diritti e l’esercizio dell’azione penale, senza sospensione giuridica”.
In Messico l’80% delle denunce di violazione dei diritti umani riguarda l’operato del Pubblico Ministero.
La riforma dell’articolo 16 del Codice Penale attualmente in vigore, stabilisce il principio di quasi flagranza o flagranza equiparata.
Questo particolare modo di intendere la flagranza limita il concetto di presunzione di innocenza stabilito in quasi tutti i trattati internazionali ratificati dal Messico.
Anche nella riforma dell’art. 20 con la quale il Pubblico Ministero può negare la libertà su cauzione a quelle persone prive di precedenti penali accusate di reati non gravi, inserendoli nella categoria generica di delinquenti socialmente pericolosi, si può ravvisare un agire che potrebbe permettere giudizi sommari e la criminalizzazione degli attivisti sociali.
Come già testimoniato dal relatore dell’ONU per l’indipendenza della magistratura, in Messico esiste una diffusa corruzione nel potere giuridico.
Mentre gli attivisti e i lottatori sociali vengono condannati con pene altissime per reati comuni, gli agenti dello stato che torturano fino alla morte vengono condannati solo per omicidio colposo senza considerare il reato di tortura.
Inoltre è stato dimostrato nel tempo che l’applicazione di pene detentive più severe, in alcuni casi sono state infatti emesse sentenze che prevedevano una detenzione fino a 100 anni di carcere, successivamente ribassata a 40 anni, invece che essere un deterrente contro il crimine, rendono la criminalità ancora più violenta.
Il potere giudiziario in Messico ha creato una gran quantità di precedenti giuridici in cui viene legittimata la violazione dei diritti umani, questo fa sì che si inneschi una spirale di repressione e violenza dalla quale è sempre più difficile venire fuori mentre nel contempo l’esercito è stato autorizzato a svolgere sempre più spesso funzioni di polizia .
Gli enti pubblici di difesa dei diritti umani
Il principale problema consiste nel fatto che le organizzazioni in difesa dei diritti umani eludono le loro responsabilità argomentando il fatto che il loro compito consiste esclusivamente nel fornire linee guida che inevitabilmente non vengono attese e cadono nel mare dell’impunità.
Il principale ente pubblico preposto alla difesa dei diritti umani, diventato una vera e propria istituzione pubblica nel 1999 è la Commissione Nazionale dei Diritti Umani , nata nel 1990 sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari e riconosciuta nella costituzione del paese nel 1992.
Il suo compito è quello di indagare su violazioni dei diritti umani nei quali sia accertata o anche solo presunta la responsabilità o la complicità di autorità pubbliche.
La CNDH però può solo formulare raccomandazioni agli enti preposti che purtroppo non hanno carattere vincolante. Può anche sporgere denunce alle autorità preposte.
Una delle più grosse difficoltà nel lavoro svolto dalla CNDH è rappresentata dall’impossibilità di avere accesso a tutti i casi di violazioni dei diritti umani che si registrano a livello nazionale, tanto che spesso si dichiara incompetente a dare risposta a molte situazioni.
Si dovrebbe pertanto, raccomandano alla Limeddh, realizzare un lavoro congiunto tra le varie associazioni rappresentative dei diversi settori della società per poter monitorare interamente la realtà del paese e determinare così l’operato della CNDH.
Queste sono le linee guida che andrebbero tenute, tenendo presente che, per gli errori che vengono commessi e per le limitazioni, la gente non ha molta fiducia nel lavoro della CNDH:
- Il ruolo del Difensore del Popolo è molto importante e andrebbe rivalutato, egli deve far fronte alle richieste nel minor tempo possibile e in nessun modo deve legittimare lo Stato.
- Il consiglio direttivo della CNDH dovrebbe avere una partecipazione attiva maggiore e dovrebbe poter lavorare congiuntamente con le ONG e le organizzazioni in difesa dei diritti umani
- Andrebbero migliorate e incrementate le leggi in difesa dei diritti umani
- Dovrebbe essere mantenuto un contatto costante con le vittime. Una stretta vigilanza sull’attuazione delle raccomandazioni dell’ONU e dell’OEA non dovrebbe essere compito delle vittime ma piuttosto un impegno costante della CNDH.
- Riguardo alle raccomandazioni della CNDH, le sanzioni in caso di inadempienza dovrebbero essere più severe, dal momento che la loro inadeguatezza ai crimini commessi favorisce l’impunità. Nel caso di violazioni commesse direttamente da militari i rapporti dei casi relativi dovrebbero essere inviati direttamente al Presidente della Repubblica come capo supremo delle Forze Armate.
- Rafforzare l’operato della CNDH ed eliminare gli ostacoli amministrativi secondo quanto raccomandato dall’articolo 4 della Legge della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Già durante il governo di Vicente Fox si ebbero dei cambiamenti importanti nelle istituzioni responsabili della sicurezza nazionale nel paese. In particolare Il CISEN (Centro de Investigaciones y Seguridad Nacional) si trasformò in un apparato di sicurezza e di intelligence e le funzioni specifiche dei suoi uomini adesso sono svolte dalla Polizia Federale Preventiva. Gli archivi precedenti al 1985 inoltre sono aperti al pubblico ma sotto vigilanza stretta di uomini del CISEN.
Nonostante la CNDH abbia emesso nel 2001 la raccomandazione n. 26 sulle persone scomparse e sia stata creata dal governo Fox un tribunale speciale, è un dato di fatto che ad oggi non è stata avviata nessuna azione penale e lo stesso tribunale si è dichiarato incompetente in alcuni casi in cui erano coinvolti militari nella violazione dei diritti umani contro la popolazione civile.
Purtroppo queste istituzioni che nei fatti legittimano l’impunità dei responsabili nei crimini di lesa umanità, non fanno altro che applicare nuove versioni, più moderne, delle leggi di punto finale.
Lo stesso Vicente Fox il 2 dicembre del 2000 ha firmato l’Accordo di Cooperazione Tecnica tra il governo del Messico e l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani che ha tra gli altri, il fine della creazione di un Programma Nazionale per i Diritti Umani. Questo importante strumento purtroppo ha dimostrato essere lacunoso sotto molti aspetti e ha incontrato nella realizzazione del progetto una gran quantità di ostacoli, dovuti principalmente al fatto che la politica del governo non ha assunto come compito principale la difesa dei diritti umani, anzi molti passi indietro purtroppo sono stati fatti in tal senso, come per esempio la cancellazione della segreteria dei Diritti Umani nella Cancelleria. La realizzazione del Programma Nazionale invece non è stata minimamente presa in considerazione dall’attuale presidente Felipe Calderón.
La prevenzione
La prevenzione dovrebbe realizzarsi partendo da una adeguata interpretazione dei fatti sociali, che non sono fenomeni imprevisti , ma al contrario rispondono a leggi determinate.
Uno degli aspetti importanti è quello che riguarda la spesa pubblica.
“Dimmi come spendi e ti dirò cosa realmente vuoi per il tuo popolo”.
In materia di sicurezza pubblica, in Messico le spese maggiori vengono sostenute per l’equipaggiamento delle forze di polizia e per le loro attrezzature, trascurando la spesa necessaria per la sicurezza e la protezione civile, atteggiamento che pertanto lascia il popolo indifeso di fronte a gravi catastrofi e disastri naturali e senza gli strumenti necessari per far fronte alle emergenze.
L’altro aspetto fondamentale nel campo della prevenzione riguarda la possibilità di poter presentare le denunce di gravi violazioni dei Diritti Umani presso la Corte Penale Internazionale e la Giurisdizione Universale dal momento che l’occhio vigile e la condanna della comunità internazionale aprono spesso importanti fronti di lotta contro l’impunità.
Mary Robinson, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, ricordava spesso la necessità di prevenzione e la messa in pratica di azioni urgenti per evitare che situazioni a rischio degenerino.
La Limeddh è fortemente impegnata nell’ambito della prevenzione delle violazioni dei diritti umani, intensificando la formazione di personale e reti locali in quelle regioni più colpite dalla violenza, orientare il lavoro educativo della popolazione relativamente alle violazioni dei diritti umani più frequenti e studiando i meccanismi giuridici che favorisco l’impunità.
Tuttavia il primo passo consiste nel riscattare la memoria storica e nel sistematizzare i dati, lavoro che può essere compiuto sia ampliando la capacità di dar seguito al maggior numero possibile di denunce, sia approntando sistemi di registrazione comuni in tutto il paese, creando gruppi di lavoro a livello nazionale e individuando vuoti e carenze legislative che possano favorire la violazione dei diritti umani.
E’ necessario inoltre che il Potere Legislativo diventi un organo di controllo e vigilanza sempre più efficace e che sia uno strumento di garanzia dell’impegno del Messico di fronte alle raccomandazioni della comunità internazionale, in accordo alla Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, approvata dal Senato nel 1972.
E’ urgente inoltre una più stretta collaborazione tra le diverse ONG operanti sul territorio e le varie organizzazioni politiche e sociali, collaborazione, che senza nulla togliere al carattere fondamentale di neutralità e indipendenza delle ONG, riesca a fornire strumenti importanti alla popolazione affinché le richieste della società siano accolte con dovizia di mezzi e competenza.
Il ruolo della politica
La Limeddh crede che attualmente lo Stato di Diritto in Messico permette la continua violazione dei diritti umani nel “rispetto della legge”.
Per questo motivo sarebbe necessario:
- approntare una politica pubblica che si rifaccia completamente al rispetto della Giurisdizione Internazionale dei Diritti Umani.
- eliminare le clausole con riserva e le dichiarazioni che danno adito a interpretazioni nei trattati.
- armonizzare la legislazione nazionale e statale secondo la Giurisdizione Internazionale dei Diritti Umani
- creare leggi che rendano attuabili gli altri diritti economici, sociali e culturali.
Sarebbero auspicabili inoltre tutta una serie di iniziative politiche che vadano dallo sviluppo costante di forme di democrazia partecipativa (il plebiscito, il referendum, la consultazione pubblica) alla promozione di un’ Amnistia per tutti i prigionieri politici e di coscienza del paese, alla verifica delle nuove riforme penali, alla possibilità di rinvigorire la pressione giuridica e le sanzioni sui delitti commessi dai servitori dello Stato, all’accettazione incondizionata da parte del Governo del Messico alla Corte Penale Internazionale, tra le altre proposte.
Infatti bisogna ricordare che nel 2002 il Senato della Repubblica ha approvato la riforma all’articolo 21 della Costituzione secondo la quale il Potere Esecutivo può riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale caso per caso e con l’avallo del Senato, nonostante il 7 settembre del 2000 sia stato firmato lo Statuto di Roma da parte del Governo Messicano.
La Colazione Messicana per la Corte Penale Internazionale ha manifestato la sua preoccupazione per la messa in atto di questa grave limitazione che potrebbe in alcune occasioni ostruire il lavoro della CPI.
Piano d’azione
1) Laboratori permanenti con il proposito di scambiare esperienze e mettere in pratica le proposte di un’Agenda Nazionale.
2) Un’ Agenda Comune di azioni e attività rivolte all’opinione pubblica, soprattutto in concomitanza di eventi importanti o date commemorative.
La legge di Amnistia
In questo particolare momento di gravità della situazione, relativamente ai diritti umani nel paese e soprattutto per la risposta forte del popolo, si può osservare che il governo si vede costretto a riconoscere l’esistenza di prigionieri politici e di coscienza e a favorire i ricorsi presentati dalla Limeddh tra le altre associazioni, che possono creare strumenti giudiziari tali da poter mettere in atto misure veloci per ottenere la loro liberazione.
La Legge di Amnistia, riconoscendo l’esistenza di prigionieri politici rappresenta un potente mezzo di distensione nei conflitti sociali e nei casi di negazione dello Stato di Diritto, cosa che propizia la formazione di gruppi ribelli che non vedono altra forma che la belligeranza per far valere i proprio diritti.
La Limeddh tiene a precisare che sebbene la richiesta di un’amnistia viene da diversi settori della popolazione e da varie organizzazioni sociali anche in riconoscimento del valore e dell’apporto sociale del lavoro degli attivisti, questa mai diventerà un modo per confermare l’impunità di coloro che si sono macchiati di gravi crimini contro l’umanità. In nessun modo si potranno accettare nuovamente le leggi della dimenticanza e del punto finale che tanti danni hanno causato ai popoli quando sono state applicate.
“Si ricorda che le violazioni gravi dei diritti umani, come le esecuzioni extragiudiziarie, la sparizione forzata, la tortura e i crimini di guerra sono delitti di lesa umanità, cioè violano l’umanità nel suo insieme, e in accordo alla Giurisdizione Internazionale de Diritti Umani e al Diritto Internazionale Umanitario essi sono imprescrittibili e di competenza universale”.
I delitti contro l’umanità pertanto non sono amnistiabili, né si può invocare per essi l’immunità politica, non si può concedere asilo e sono imprescrittibili.
Molti detenuti si rifiutano di beneficiare di un’amnistia in quanto erroneamente credono che questa significhi un’ammissione di colpevolezza o un pentimento per aver commesso il reato.
Bisogna inoltre ricordare che il governo del Messico non ha ratificato il Protocollo della convenzione di Ginevra, in cui si stabiliscono le norme internazionali in casi di conflitto armato interno al paese. In questi casi, gli scontri tra forze insorgenti ed esercito non vengono assimilati ad azioni di guerra e quindi i belligeranti vengono considerati come delinquenti comuni o terroristi, non riconoscendogli le motivazioni politiche dei loro atti.
Inoltre è urgente che la legge d’Amnistia possa avere sostegno in una commissione apposita detta Commissione d’Amnistia , che dovrebbe essere formata dalla Camera dei Deputati, dall’Esecutivo e dalle ONG per vigilare sulla sua applicazione, dal momento che le istituzioni pubbliche per la difesa dei diritti umani non hanno competenze sufficienti in materia giuridica e la difesa d’ufficio non garantisce il diritto alla difesa e al giusto processo.
Strumenti
- Rapporto annuale della situazione degli attivisti sociali e politici
Verrà realizzato un rapporto annuale nel quale verranno esaminati, caso per caso, le situazioni in cui sono coinvolti gli attivisti sociali e politici, differenziandoli a seconda se siano prigionieri di coscienza ( perseguitati per le loro idee) prigionieri politici (legati a gruppi armati contro il governo), quelli relazionati indirettamente alla politica e quelli accusati ingiustamente.
Verranno inoltre visitate le carceri che si trovano negli stati a rischio più elevato, come quelli del Chiapas, Guerrero e Oaxaca. E’ necessario per svolgere questo lavoro che comunque ci sia una coordinazione con le organizzazioni dei vari stati della Repubblica.
- Osservatorio Nazionale delle Carceri
Prendendo spunto dall’operato e dalle metodologie dell’ Osservatorio Internazionale delle Carceri, verranno monitorate le condizioni carcerarie del paese rispetto ai servizi e alle condizioni di detenzione dei prigionieri.
I prigionieri politici e di coscienza sono divisi in diverse categorie: prigionieri politici e di coscienza, prigionieri per motivi politici, ostaggi politici, perseguitati politici e di coscienza.
Inoltre le violazioni dei diritti umani riguardano anche i numerosi prigionieri in carcere accusati di aver commesso crimini comuni,
Vanno inoltre considerate per la gravità e importanza dei casi, le detenute migranti, i detenuti minorenni, le donne con bambini, le indigene e i pazienti malati mentalmente.
Sono oggetto di studio anche le varie forme di repressione lavorative o sindacali o contro gli studenti.
Verrà stilato un rapporto annuale sulla situazione dei prigionieri politici e di coscienza del paese e tramite dei corsi di formazione formare personale specializzato che possa seguire i casi e le necessità e i bisogni dei familiari dei detenuti, nonché deglii stessi.
Observatorio Nacional de Prisiones : onpmexicogmailcom
Ha lo scopo di creare un fondo economico di supporto alle vittime e finanziare reti di servizi volti alla protezione, alle esigenze sanitarie, scolastiche e abitative delle vittime di repressione.
- Il Giudizio Popolare Nazionale e il fronte Nazionale Contro la Repressione.
Questi due spazi sono uno sforzo congiunto a livello politico in difesa delle organizzazioni e dei soggetti che hanno subito repressione.
Questi spazi permettono di avvicinare gli obiettivi e monitorare i casi di organizzazioni che sono a rischio di violazione di diritti umani.
L’obiettivo del Giudizio Popolare Nazionale è lavorare dalla base con le persone che sono state vittime di violazione dei diritti umanai e con le loro organizzazioni e fare in modo che nessuno dimentichi il passato
Sono numerosissimi i casi di sparizione forzata, tortura ed esecuzioni extragiudiziarie che si sono registrate in Messico soprattutto intorno alla decade degli anni’ 70. Sebbene negli anni successivi il loro numero sia andato progressivamente riducendosi, tali pratiche purtroppo sono messe in atto ancora oggi, soprattutto nei tra stati già citati di Guerrero, Oaxaca e Chiapas.
Tutti i casi registrati fino a questo momento sono oggetto di studio e investigazione da parte delle varie associazioni dei Familiari di Detenuti Scomparsi, delle ONG, e di persone singole.
Questo studio ha il nome di Progetto Nunca Más.
Il 30 agosto del 2000 furono arrestati i generali Mario Arturo Acosta Chaparro e Francesco Quieroz Hermosillo, con l’accusa di traffico di stupefacenti, associazione a delinquere e corruzione.
Entrambi i generali inoltre sono stati accusati di aver commesso delitti di lesa umanità come la tortura, sparizione forzata, ed esecuzioni extragiudiziarie negli anni ’70 contro gli oppositori politici e i gruppi insorgenti.
Mario Arturo Acosta Chaparro inoltre è accusato di aver preso parte al massacro di Aguas Blancas quando nel 1995 circa duecento uomini della polizia comandati dal maggiore Manuel Moreno Gonzales, uccisero in un’imboscata dei contadini membri dell’Organizzazione Contadina della Sierra del Sud (OCSS) che in quei giorni erano in rivolta per con il governo dello stato di Guerrero.
In quella che si dimostrò successivamente essere stata una vera e propria operazione pianificata a tavolino contro i contadini, morirono 17 persone, 23 furono i feriti e molte altre furono detenute e torturate.
La detenzione di questi due generali ha aperto la possibilità pertanto che possano essere giudicati per questi gravi delitti di lesa umanità, e le associazioni dei familiari degli scomparsi nonché le organizzazioni dei diritti umani hanno raccolto così tanta documentazione da stabilire con certezza la loro responsabilità nei delitti di lesa umanità, mentre la CNDH ha emesso la raccomandazione relativa ed è stato creato il tribunale speciale.
Tuttavia, le leggi messicane prevedono la prescrizione per i delitti di omicidio e tortura, ed inoltre non è previsto il delitto di sparizione forzata ma è contemplato solo quello di privazione illegale della libertà come modalità di sequestro. Questo fatto purtroppo favorisce l’impunità.
Sia l’Associazione delle Famiglie dei Detenuti Scomparsi e Vittime di Violazioni dei Diritti Umani in Messico (FADEM) , che la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) organizzazioni con 18 anni di esperienza, stanno portando avanti un progetto complesso in sinergia con volontari, familiari delle vittime, amici e ONG per lo studio, la classificazione e il recupero dei dati riguardanti i casi violazione dei diritti umani registrati in Messico dagli anni ’70 ad oggi.
Il progetto Nunca Más ha la finalità di fare pressioni anche sul sistema legislativo affinché reati come la sparizione forzata, la tortura e il genocidio diventino imprescrittibili.
Annalisa Melandri
(in collaborazione con la Limeddh – Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani)
[1] Carlos Fazio La democrazia en Pie de Guerra de Calderón La Jornada 17/12/2007 http://www.jornada.unam.mx/2007/12/17/index.php?section=opinion&article=019a2pol
[2] Devoto-Oli vocabolario della lingua italiana 2008 Le Monnier , pag.112
Este poema ha sido leído en Italia en ocasión de la Palabra errante – recital y rueda de prensa por los prisioneros políticos mapuche del 25 de enero en Roma.
Ya se ha tomado en todo Chile cómo himno y canto de lucha del pueblo mapuche:
…
BAILA LA MUERTE
Baila la muerte
en la mesa
de los poderosos comensales.
Aplauden y callan,
callan y aplauden
bajo la cómplice sombra
de las blancas leyes.
Se rompe el silencio
en los barrotes-muros.
La huelga de hambre
cabalga por las venas
de los prisioneros políticos mapuche.
En las negras trenzas
de Patricia Troncoso
se enreda el silencio
de las vocesancestrales.
Baila la muerte
sobre los pinos de pascua
de artificial nieve
y luces de colores.
Se rompe el silencio.
La huelga de hambre
cabalga los caminos
solidarios
atravesando fronteras
rompiendo barreras.
Ruge el Llaima.
Rompe el silencio.
Vomita fuego.
Vomita piedras.
El rojo rugido
de la ardiente lava
arrasa las montanas.
Baila la muerte
sobre la balanza de la justicia
de los poderosos comensales.
Bailan las leyes.
Ano nuevo.
Nuevas armas.
Mano dura– blanca mano.
Terrorista — blanca mente.
Moneda dura — blanca plusvalía.
Baila la muerte.
Bailan Las leyes
con champán y vino.
Se rompe el silencio.
La huelga de hambre
cabalga los usurpados caminos
del territorio mapuche.
Baila la muerte
en el escritorio
de los poderosos comensales.
Bailan las armas.
Baila la muerte.
La bala asesina
apunta a la espalda.
Matías Catrileo asesinado.
Baila la muerte
en la mesa
de los poderosos comensales.
Los terroristas bailan
la cueca final.
Bailan las leyes
cantando el himno nacional.
CASO CERRADO
En las negras trenzas
de Patricia Troncoso
se enreda el silencio
de las voces ancestrales.
Rompen el silencio
las voces de los vientos.
Lemun, Catrileo, Epul
se levantan
en las cuatro fuerzas de la tierra.
Matías Catrileo cae
besando la tierra.
Las voces de los vientos
rompen el silencio
Sus ojos se cierran
iluminando
los senderos anchos y estrechos
de la NACION MAPUCHE
Las voces ancestrales
rompen el silencio
Matías Catrileo camina
por las cuatro fuerzas de la tierra
“Si Carlos Gaviria participa en la concentración del próximo lunes 4 de febrero y por lo tanto, sale a “tirarse la marcha, te volveremos picarillo vivo a machete y hacha…”.
E’ la minaccia inviata da un gruppo paramilitare operante in località Ciudad Bólivar, a sud di Bogotá al presidente del Polo Democratico Alternativo e consegnata alla sede del Partito.
Praticamente se Gaviria non partecipa alla marcia di domani verrà fatto a pezzettini con ascia e machete.…
Per chi avesse ancora dubbi.…
Con una lettera indirizzata al “suo caro popolo Mapuche” e a tutti coloro che hanno appoggiato con solidarietà, e generosità la sua causa, Patricia Troncoso ha comunicato mercoledì scorso la sua decisione di porre termine allo sciopero della fame che ormai portava avanti da più di 112 giorni.
La decisione è stata presa con l’appoggio e le garanzie della Chiesa Cattolica nella persona del vescovo Alejandro Goic, presidente della conferenza episcopale cilena.
Le notizie dei giorni scorsi erano state altalenanti tra comunicati di conferma e di smentita in merito alla notizia della fine dello sciopero della fame.
Patricia Troncoso chiedeva al governo cileno un documento scritto ed un impegno formale ad accogliere le sue richieste. Di fatto fino a mercoledì il documento non era ancora arrivato e non sarebbe mai arrivato, aveva fatto sapere il ministro dell’Interno cileno, Edmundo Pérez Yoma.
La Chepa, come è chiamata Patricia Troncoso, nella sua lettera fa sapere che sì esiste un documento di impegno ma che sebbene non sia firmato, porta come garanzia la parola del vescovo Goic.
Goic si è mostrato d’altra parte molto fiducioso del lavoro dell’incaricato presidenziale della commissione interministeriale per il tema mapuche nominata a gennaio di quest’anno dal governo, Rodrigo Egaña.
Gli accordi presi con la mediazione del vescovo Goic, prevedono che Patricia Troncoso sia condotta nei prossimi giorni all’ospedale di Temuco per il suo recupero e successivamente in un centro di educazione e lavoro (CET) di Angol.
Da marzo inoltre godrà dei benefici per i prigionieri comuni quali la libertà nei fine settimana, benefici che come da sua richiesta verranno applicati anche a Jaime Matrileo e a Juan Millalen, e che attualmente sono negati ai detenuti ai quali è applicata la legge antiterrorista. Questo in effetti potrebbe essere un primo passo verso la ridiscussione della tristemente nota Legge Antiterrorista, che in vigore dai tempi della dittatura militare, viene oggi applicata ai prigionieri politici mapuche, i quali sono condannati a pene pari a dieci anni di carcere anche soltanto per atti di protesta o di rivendicazioni sociali.
Il papà di Patricia Troncoso sollevato e felice, in compagnia della madre di Matías Catrileo, il giovane mapuche ucciso un paio di settimane fa durante un’azione di recupero di terre, ha dichiarato che finalmente il suo calvario è finito. Egli ha evidenziato inoltre il ruolo positivo svolto dalla Chiesa tramite il vescovo Alejandro Goic e del sacerdote Fernando Varas, cappellano dell’ospedale del Chillán, dove si trova Patricia. Ha però criticato l’operato del Governo, che a suo avviso ha tirato troppo per le lunghe la situazione. Le condizioni di Patricia infatti negli ultimi giorni erano molto critiche, fin quasi a far temere il peggio. Ora il suo recupero sarà lento e graduale, e anche il processo di rialimentazione dovrà avvenire per gradi e secondo la tolleranza del suo fisico, se avvenisse troppo in fretta potrebbe causarle infatti danni ben peggiori del digiuno stesso.
Nella lunga lettera Patricia Troncoso si chiede cosa sia stato ottenuto con le mobilitazioni popolari e con il suo sciopero della fame.
Innanzitutto, aspetto che appare secondario ma che non lo è rispetto a quelle che erano state le sue richieste originali (e che ricordiamo sono la libertà per tutti i prigionieri politici, la smilitarizzazione dei territori mapuche dell’Araucanía, l’abrogazione della legge Antiterrorista, la fine della repressione contro il popolo mapuche, attuata soprattutto tramite la legge Antiterrorista,) si è ottenuto attraverso una grande mobilitazione sia a livello nazionale che internazionale l’ aver portato a conoscenza dell’opinione pubblica la gravità della violenza e della militarizzazione dei territori dove vivono le comunità.
Il Cile non è ancora pronto evidentemente, afferma Patricia, per affrontare il tema della Legge Antiterrorista e della criminalizzazione giudiziaria della protesta. Per questo motivo la risoluzione di questo tema verrà affrontato nella Commissione Interamericana dei Diritti Umani, dove si spera si giunga a un accordo sulla legge Antiterrorista, sui giusti processi e sulla presunzione di innocenza .
Un’ altra vittoria importante è stata l’aver ottenuto i benefici carcerari per lei e per gli altri suoi due compagni mapuche, benefici che spettano generalmente ai detenuti comuni. A Patricia e agli altri fino a questo momento erano stati negati in quanto condannati come “terroristi”.
Ma forse la cosa più importante che è stata ottenuta è stato l’incontro di tutto il popolo mapuche, i popoli dei due lati della cordigliera, i Puelches e i Wallmapu adesso rappresentano “una sola proposta politica”, quella ereditata dagli antenati e cioè “terra e autonomia”.
Patricia Troncoso si sta rivelando come la principale leader del movimento in difesa del popolo mapuche e probabilmente la sua voce politica sta tracciando le linee guida che dovranno segnare il cammino delle battaglie future, che lei, comunicando la decisione di porre fine allo sciopero della fame conferma che saranno:
–definire una linea politica che permetta di affrontare in modo responsabile, senza protagonismo e mediocrità il tema di fondo del nostro popolo: territorio e autonomia e il diritto a sfruttarlo in forma integrale con progetti che vengano direttamente dalle comunità mapuche.
–cercare di affrontare anche grazie all’appoggio delle reti di solidarietà cilene e straniere la grande repressione alla quale sono esposti continuamente bambini,. giovani, donne e anziani.
Dalla destra sono giunte infine forti critiche al governo e particolarmente al ministro dell’ Interno Edmundo Perez Yoma per gli accordi stipulati con Patricia Troncoso. “Il governo è stato sconfitto e questo è pericoloso perchè non si può pensare che la legge sia applicata in alcune parti del territorio ed in altre no e che ci sono persone per le quali è applicata e invece per altre no. Non è un buon segnale per il futuro”, ha affermato il senatore Jovino Novoa della Unión Demócrata Independiente.
Il timore è che si sia creato un precedente pericoloso e che in futuro sarà pertanto impossibile respingere eventuali altre richieste che verranno da parte degli attivisti del popolo mapuche. Un fatto è certo, che nessuno in Cile, né la destra, né la Concertación può più ignorare la voce di un popolo che si sta battendo con tanta determinazione. Una nuova “Bobby Sand” (l’attivista dell’IRA che morì in carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame durante il governo di Margaret Thatcher) avrebbe scatenato fortissime proteste popolari in un governo, quello di Michelle Bachelet già più volte accusato di non rispettare i diritti umani e civili delle minoranze.
Alla comunità internazionale e a noi tutti che in questi giorni abbiamo sostenuto Patricia nella sua battaglia che l’ha portata a un passo dalla morte, il compito di vigilare affinchè vengano rispettati gli impegni presi e venga confermata quella solidarietà che si è sviluppata in questi mesi attraverso una moltitudine di reti e di iniziative in sostegno del popolo mapuche.
La marcia del quattro.
editoriale di
Carlos A. Lozano Guillén.
Non prenderò parte alla marcia del 4 febbraio prossimo, convocata dal governo indecente di Álvaro Uribe Vélez, dalla terrorista Fondazione Cubano Nordamericana di Miami, dal criminale di lesa umanità Salvatore Mancuso e dai partiti della “parapolitica”, tra le altre “bellezze” che si esibiranno per le strade della Colombia e dei paesi di altre latitudini.
Non è una marcia contro il sequestro e ancor meno a favore dello scambio umanitario. Si sbaglia chi crede ingenuamente che questo argomento rientra nei propositi bellici e intolleranti dei promotori. Non è casuale la scelta della data della marcia che coincide con la stessa in cui quale vari anni fa, il colonnello Hugo Chávez e altri militari venezuelani cercarono di rovesciare Carlos Andrés Pérez.
La manifestazione è stata convocata contro Chávez e contro la Rivoluzione Bolivariana ed è parte del consenso forzato, manipolato da inchieste per aprire la strada alla seconda rielezione di Uribe Vélez. L’atmosfera nel paese, creata dalla marcia, diffusa con l’isterica pubblicità dei grandi mezzi di comunicazione, è di intolleranza e di aggressività. Quello che è successo a Piedad Córdoba all’aeroporto di Bogotà, quando fu aggredita verbalmente con i peggiori insulti da un energumeno uribista, rivela il grado di sfrontatezza e aggressività di questi scagnozzi. A maggior ragione quando vengono incoraggiati dall’alto del potere con le dichiarazioni del ministro dell’interno Carlos Holguín Sardi, erede della virulenza e del settarismo di Laureano Gómez.
Unirsi a questa marcia vuol dire rinforzare le aspirazioni generali dell’uribismo.
Vuol dire sommarsi all’orda di violenza e intolleranza. E si sbagliano anche quelli che credono che in questo mucchio ci possa essere una “pesca miracolosa” di voti per le prossime elezioni. La sinistra ha principi e convinzioni che vanno mantenute. E’ l’ identità che la differenzia dalla destra reazionaria e dagli opportunisti dei brogli elettorali che vanno al viavai delle congiunture politiche a seconda degli interessi particolari.
La sinistra e il movimento sociale devono avere la loro propria agenda in materia di intercambio umanitario e di pace con democrazia e giustizia sociale. Non si può cadere nel tranello del governo di far credere che l’unico problema del paese è il sequestro, mentre i suoi amici della motosega assassinano i militanti dell’opposizione e gli attivisti sociali.
L’ amén del silenzio uribista davanti alle migliaia di desaparecidos per la pratica del terrorismo di Stato. La sinistra sta contro il sequestro e contro ogni pratica, anche quelle governative che violino la dignità dell’essere umano.
Questa è la differenza principale, che non permette nessuna condivisione con la marcia del 4 febbraio.
Traduzione di Annalisa Melandri
Con una coincidenza temporale quanto mai sospetta, proprio mentre il presidente venezuelano Hugo Chávez, dopo la liberazione di Clara Rojas e Consuelo González de Perdomo, chiedeva che le FARC fossero considerate non come un gruppo terroristico ma come un movimento belligerante, ecco che appare da FACEBOOK, il noto social network statunitense, un gruppo che in meno di un mese riesce ad organizzare una marcia mondiale contro le FARC.
“Un milione di voci contro le FARC” è il nome che è stato dato all’iniziativa che inizierà alle ore 12 (ora colombiana) del 4 febbraio contemporaneamente in circa 100 città di tutto il mondo.
Il sito creato per l’occasione si chiama “colombiasoyyo” e pubblica il medesimo appello in dieci lingue diverse.
Dal quotidiano El Tiempo si legge che l’organizzatore della marcia è un tal Óscar Morales, ingegnere civile la cui massima esperienza politica era stata fino a quel momento soltanto l’esercizio del diritto di voto e qualche discussione familiare sull’andamento del paese.
E’ difficile credergli, se nel giro di appena un mese, quello che era iniziato come un gioco, e mosso dall’ indignazione per il “miserevole inganno delle FARC”, ha fatto il giro del mondo e ha raccolto più di 242.000 adesioni.
Difficile credergli se la marcia verrà realizzata contemporaneamente in 27 città colombiane e circa 100 altre città di tutto il mondo.
Difficile credergli inoltre visto che ha raccolto immediatamente l’appoggio formale del governo colombiano che si è attivato con le ambasciate di tutto il pianeta, affinché forniscano assistenza e supporto ai vari organizzatori locali. L’iniziativa ha raccolto inoltre le adesioni di vari media colombiani, primo fra tutti il governativo El Tiempo.
Vale la pena riportare inoltre ciò che si vocifera su FACEBOOK, e cioè che questo sia una specie di agenzia della CIA. Dietro FACEBOOK ci sono tre giovani americani legati all’alta finanza e all’ultraconservatorismo di estrema destra. Facile comprendere come sia stata possibile una così rapida diffusione dell’iniziativa contro le FARC.
Quello che inoltre rende tutto quanto “molto politico” sono i continui riferimenti a Hugo Chávez e alla sua proposta sulle FARC che appaiono negli appelli diramati in rete dagli organizzatori. La senatrice colombiana Marta Lucía Ramírez del partito de la U ha proposto di approfittare di quest’occasione per manifestare con cartelli che riportino la scritta “no all’appoggio del presidente del Venezuela alle FARC”.
In realtà sembra che si tratti più di un’ iniziativa organizzata contro Chávez e tesa a destabilizzare il Venezuela che per protesta contro i sequestri e le FARC.
E’ forse una coincidenza anche il fatto che in Colombia proprio in questi giorni si siano alternate le visite del capo di stato maggiore degli Stati Uniti Michael Mullen, di John Walters (DEA) e di Condoleeza Rice?
..
Ci voleva Mastella per far sì che sul web cominciasse finalmente a circolare la verità sulla falsa poesia di Neruda.
“Lentamente muore”, poesia scritta dalla brasiliana Martha Medeiros, è da anni ormai erroneamente attribuita al grande poeta cileno in centinaia di siti e pagine internet, nonché in numerose raccolte di poesie.
Una sorta di leggenda metropolitana in internet. Un apocrifo.
In realtà la poesia non è stata mai scritta da Pablo Neruda e infatti chi conosce Neruda non ne riconosce lo stile in questa lirica un po’ adolescenziale.
L’editore delle opere di Neruda Stefano Passigli ha confermato infatti (come editore) che “chi conosce la sua poesia si accorge all’istante che quei versi banali e vagamente new-age non possono certo essere opera di uno dei più grandi poeti del ‘900”, mentre afferma giustamente (da politico) che : “non credo che Pablo Neruda, che ha speso la vita per grandi ideali politici, sarebbe stato lusingato dal sentir citare una poesia davvero sua dalla voce di Clemente Mastella”
Anche la Fondazione Neruda, da Santiago del Cile fa sapere che la poesia in questione sicuramente non appartiene a Neruda.
In verità anche la Fondazione Neruda avrebbe ben pochi diritti ad intervenire sulla legittimità o meno dell’opera del poeta. La Fondazione che nelle intenzioni del grande poeta cileno, doveva essere “senza fini di lucro” per la “diffusione della letteratura, delle arti e delle scienze” , oggi non è altro che un’impresa che si dedica con profitto al riciclaggio di denaro e all’evasione fiscale e i cui proventi vengono investiti nelle imprese degli uomini di Pinochet.
Se Pablo Neruda, infatti, sicuramente non sarebbe stato contento della citazione di Mastella di una sua poesia, immaginiamoci quanto potrebbe esserlo se sapesse che Juan Austín Figueroa presidente della fondazione che porta il suo nome, è anche membro del consiglio direttivo di Cristalerías de Chile impresa di proprietà di Ricardo Claro, ex consigliere di Pinochet e proprietario de la Compañia Sudamericana de Vapores, le cui navi erano utilizzate come centri di detenzione e tortura all’epoca della dittatura.
La fondazione Neruda inoltre ha negato, espellendolo, un posto al suo interno anche all’unico parente in vita di Pablo Neruda e cioè allo scrittore e poeta cileno Bernardo Reyes, negandogli inoltre la paternità della scoperta di alcune poesie inedite giovanili di Pablo Neruda (Cuadernos de Temuco).
E’ importante inoltre ricordare proprio in questo momento che Patricia Troncoso sta scontando in carcere e sta portando avanti da oltre cento giorni uno sciopero della fame per essere stata condannata a dieci anni e un giorno di carcere con l’accusa (falsa e senza prove) di aver incendiato un terreno di proprietà di Juan Augustín Figueroa, il quale oltre ad essere presidente della Fondazione Neruda fu ministro dell’Agricoltura durante il governo di Patricio Aylwin ed è attualmente membro del Tribunale Costituzionale. Egli ha fatto pressioni sui giudici affinché applicassero la legge antiterrorista ai mapuche, retaggio della dittatura di Pinochet.
E che direbbe infine oggi Pablo Neruda se sapesse che la Fondazione Neruda in accordo con la casa editrice spagnola Edaf ha falsificato la Antología Popular 1972, un suo progetto (e di Unidad Popular) da distribuire gratuitamente al paese in un milione di copie?
Il libro è stato falsificato e pubblicato con il titolo di Antología Postuma con il silenzio complice della Fondazione Neruda.
…
Leggi anche:
La gestione della Fondazione Neruda — I parte (da un’inchiesta di Mario Casasús)
di Annalisa Melandri
nonchè tutti gli articoli dell’amico Mario Casasús, giornalista messicano, che da anni si occupa della Fondazione Neruda in articoli pubblicati su la Jornada Morelos e il Clarín.cl, nonchè autore di La gestión de la Fundación Neruda — una mirada crítica. Alcuni suoi articoli tradotti da me si trovano nella sezione “Fondazione Neruda” di questo sito.
Rayen Kvyeh, unica poeta del Cile, ha viaggiato da Temuco a Reggio Calabria, nel dicembre del 2007, per ricevere la Menzione Speciale come seconda classificata del prestigioso Premio di Poesia Internazionale Nosside.
Nosside è un “Progetto che guarda a un mondo senza barriere, dove la poesia vince sugli odi politici e religiosi, sui rancori tra i popoli e sui pregiudizi culturali e razziali”.
La poesia di Rayen Kvyen, pertanto trova il suo spazio naturale in questo contesto, e ancor di più in questo momento in cui il suo popolo, il popolo mapuche, è oggetto di una dura repressione da parte del governo “socialista” di Michelle Bachelet.
La incontro a Roma, tappa finale di questo lungo viaggio che l’ha portata anche in Germania (dove ha vissuto un lungo esilio) e in Austria, pochi giorni prima di far rientro nel suo paese, dove mi dice, sente di poter essere più necessaria al suo popolo, nonostante in questo viaggio abbia contribuito in modo imprescindibile alla diffusione della causa mapuche.
Per questo “parola errante” è il nome con il quale mi piace chiamare il recital e la conferenza stampa che terrà il 25 gennaio presso lo Spazio Odradek a Roma. La parola errante che viaggia e testimonia la voce di un popolo, ma la voce di Rayen, il suo “embrione ribelle” si è annidato nel suo ventre, come lei scrive in una poesia, nei lunghi giorni trascorsi in carcere, all’epoca della dittatura militare di Augusto Pinochet, a causa delle sue opere teatrali critiche del regime.
In quel ventre di donna fiera, torturata e privata della libertà, ha trovato però riparo e protezione in un “bosco di tenerezza”, in quel mondo di albe e di tramonti, di occhi di bambini, di una natura magica e ancestrale che rappresenta il filo conduttore del suo messaggio.
La poesia di Rayen Kvyeh viene dalla terra, perchè Mapuche vuol dire “uomini della terra” e viene dall’amore, che si percepisce in ogni suo verso: amore per il suo popolo, per la natura, per la libertà e per la vita.
E’ poesia lenta e sacra come la storia del popolo mapuche “scritta nel legno, nelle pagine del tempo…”
E’ la voce di Lautaro, figlio della Terra che “parla ai suoi fratelli” attraverso la saggezza degli antichi.
La poesia di Rayen Kvyeh è “terrena” nel senso di essere un vibrante canto di dignità, un potente strumento di lotta, una denuncia toccante e nello stesso momento è “lunare” (Kvyeh vuol dire luna) nel senso di contemplazione rapita e stregata delle montagne, degli “indimenticabili tramonti”, dell’ “aurora con il suo arcobaleno di colori” che apparirà per insegnare chi sono i figli di quella Terra.
L’embrione ribelle denuncia così in versi accompagnati dalla musica rituale del kultrun, la condizione del popolo mapuche che rivendica il diritto a ciò che gli è stato negato da secoli di colonizzazione prima e di sfruttamento selvaggio poi.
La parola errante di Rayen Kvyeh, in questo viaggio in Europa, denuncia il governo cileno e solidarizza con la Chepa Patricia Troncoso a quasi 100 giorni di sciopero della fame, portato avanti nel silenzio della comunità internazionale.
A.M. — Rayen, la tua poesia è vibrante e malinconica allo stesso tempo, racconta di albe e tramonti, ma anche della “voce di un popolo indomito protetta da migliaia di stelle”, del desiderio di non essere “servi e schiavi”, e di recuperare “la pace e la libertà”. Tu stessa da giovane hai subito il carcere e le crudeltà della dittatura sotto il regime di Pinochet. Vuoi raccontarci qualcosa su quei terribili anni?
R.K. – Ho subito da giovane la prigione politica e la tortura a causa delle opere teatrali che scrivevo e che erano critiche verso la dittatura di Pinochet. Sono stata in carcere una volta nel 1973, poi nel 1976 e poi ancora nel 1979 sono stata una “desaparecida” per 40 giorni e torturata in un carcere clandestino e successivamente nel carcere di rigore di Talcahuano e dopo in quello femminile di Concepción.
A.M. – E’ cambiato qualcosa da allora in Cile?
R.K. – Durante la dittatura la gente spariva o era uccisa con le armi. Oggi ci sono forme più moderne di repressione, per esempio la costruzione delle dighe nel fiume Bío Bío, uno dei più grandi disastri ecologici del paese e lo sfollamento della comunità mapuche-pewenche verso un altro territorio. Per esempio le imprese forestali delle monocolture di pino e di eucalipto, che vogliono dire la desertificazione della Madre Terra, la mancanza d’acqua e la contaminazione con prodotti chimici che si diffondono per via aerea, la costruzione delle grandi strade che distruggono i luoghi sacri e dividono le comunità, la contaminazione a causa delle discariche (il 75% delle discariche sono state installate nelle comunità mapuche e queste contaminano acqua, Madre Terra e ambiente e hanno prodotto malattie nelle persone), la contaminazione dei fiumi e dei mari con gli scarichi delle grandi cartiere e l’industrializzazione delle salmoniere.
Il popolo mapuche è assediato da nord, da sud, da est e da ovest . Non si può pensare forse a una pianificazione del genocidio del popolo mapuche, da parte dello Stato con l’installazione di questi grandi megaprogetti?
Oggi abbiamo minorenni martiri uccisi, e questo si giustifica con l’applicazione della Legge Antiterrorismo al popolo mapuche. I morti sono Mapuche, come si può parlare di terrorismo di un popolo che difende la vita e mentre difende la vita, la Madre Terra e recupera il suo territorio? Perchè invece non parliamo di terrorismo di Stato?
A.M. – Rayen come credi che la poesia possa essere d’aiuto al popolo mapuche?
R.K. - La poesia è il sogno di speranza. Speranza in un futuro migliore. La poesia rompe barriere, attraversa frontiere e difende la vita.
A.M. – Sei arrivata da Temuco alla fine del 2007, unico poeta del Cile, per ricevere il prestigioso Premio Intenazionale di Poesia Nosside dove hai ottenuto una Menzione Speciale (seconda classificata). Hai avuto appoggio dal tuo paese per affrontare questo viaggio?
R.K. – Non ho avuto nessun appoggio dallo Stato cileno. Ho avuto difficoltà a viaggiare per motivi economici, ho presentato richieste di aiuto al governo cileno e al ministro della Cultura e degli Affari esteri, al consiglio della cultura regionale di Temuco, al sindaco di Temuco, ma senza avere nessuna risposta positiva e allora fortunatamente sono riuscita a partire con l’aiuto delle mie amiche.
A.M. – In passato hai fondato a Temuco un’associazione culturale molto importante . Di cosa si trattava?
R.K. – Ho diretto dal 1989 e per quasi 12 anni la Casa di Arte Mapuche a Temuco Mapu Ñuke Kimce Wejin. Fu un progetto di autogestione degli artisiti mapuche. Dall’anno 1990 fino al 1993 le attività culturali della Casa di Arte arte realizzate pubblicamente furono proibite. Successivamente la Casa chiuse per ragioni economiche.
A.M. – Tu vivi a Temuco dove ha vissuto anche Pablo Neruda. Come fu il rapporto tra lui e il popolo mapuche?
R.K. – Pablo Neruda ammirava la storia del popolo mapuche per essere stato un popolo che ha resistito per più di 300 anni alla dominazione spagnola.
A.M. – Che rapporti ci sono tra la fondazione Neruda e i Mapuche?
R.K. – Nessun buon rapporto, anzi tutto il contrario. Juan Augustín Figueroa, il presidente della Fondazione Neruda è stato colui che ha criminalizzato le rivendicazioni sociali, culturali e territoriali del popolo mapuche. Mi spiego: non bisogna dimenticare che Juan Augustín Figueroa fu il ministro dell’Agricoltura del governo di Patricio Alwin ed attualmente forma parte della Commissione Costituzionale del Congresso ed quindi ha un enorme potere e influenza politica sul governo cileno. Per le sue azioni contro il popolo mapuche sono stati criminalizzati due lonko tradizionali come Pascual Pinchun e Aniceto Norin i quali hanno scontato cinque anni di carcere.
Inoltre le comunità dove vivono le famiglie dei lonko Temucuicui sono state sgombrate tantissime volte e i carabinieri hanno portato avanti una vera campagna di terrore contro di loro. Questa comunità confina con le terre di Juan Augustín Figueroa.
A.M. – Perchè il popolo mapuche fa tanta paura al governo cileno?
R.K. – Il popolo mapuche non è pericoloso, non ha un esercito armato, nel territorio mapuche non c’è petrolio, non c’è oro, non ci sono risorse materiali che possano rappresentare qualcosa per lo stato del Cile. Il governo cileno è ignorante e non riconosce il popolo mapuche. Lo spaventano le sue legittime rivendicazioni per i diritti ancestrali, la sua cultura, il suo territorio, il suo diritto alla vita e la sua visione del mondo. Il pensiero libertario e la consapevolezza storica di essere una regione autonoma con potere di autodeterminazione è quello che dà più fastidio allo stato cileno, che non ha una vera democrazia ma uno stato con leggi e costituzione politica eredità della dittatura militare. Per questo dico che lo stato cileno è molto retrogrado e molto arretrato nella sua legislazione.
A.M. – Il 13 gennaio è morta Patricia Verdugo, lei con la sua ricerca storica e giornalistica ha contribuito a fare luce su molti dei crimini commessi durante la dittatura di Pinochet. So che stai lavorando a un libro che è una grande opera di ricerca sulla repressione del popolo mapuche ai giorni nostri. Puoi anticiparci qualcosa?
R.K. – Il Cile ha perso una grande lottatrice per la difesa dei diritti umani, per la verità e la giustizia. Rivolgo a lei il mio abbraccio fraterno in quest’ultimo saluto.
Sono cinque anni che assisto ai processi politici dei prigionieri politici mapuche nei diversi tribunali della regione dell’Araucanía. Ho visitato i fratelli e le sorelle in carcere e anche le loro famiglie. Partecipando ad atti, proteste, riunioni e attività per la liberazione dei prigionieri politici mapuche, raccogliendo informazioni giuridiche, storiche, e testimonianze, aiutando a fare chiarezza storica sulle rivendicazioni attuali del popolo mapuche per i diritti culturali, sociali, politici , territoriali.
A.M. – Si parla molto del nuovo corso dell’America Latina, ci sono governi di sinistra come quello di Hugo Chávez e quello di Evo Morales che sono attenti alle realtà dei popoli originari, pensi che questo possa rappresentare una speranza per tutti i popoli originari dell’America Latina?
R.K. – Evo Morales è un fratello, originario dei popoli che sono stati emarginati e discriminati ed è la speranza dei popoli originari del continente americano. Dei popoli con il diritto alla vita, in accordo con la loro visione del mondo, con la loro cultura, con i territori liberi dallo sfruttamento indiscriminato delle multinazionali, con il diritto alla terra e alle sue risorse naturali. Il diritto a vivere, come popolo libero di decidere il futuro e di non essere sommessi alle leggi discriminatorie e razziste per una maggioranza o minoranza occidentale che ha prolungato nei paesi americani i meccanismi di colonizzazione.
Il presidente Chávez merita il mio rispetto, per affrontare con dignità l’imperialismo degli Stati Uniti che ha sottomesso il Cile e il resto dei paesi americani al potere militare ed economico, ha finanziato i colpi di stato intervenendo con questi contro la volontà dei popoli, sottomettendola alla povertà e al vivere sotto leggi senza leggi.
Lo rispetto, per non avere paura di dire la verità e per voler rendere realtà il sogno bolivariano, senza discriminazioni culturali in quest’america morena, dove i popoli devono decidere il suo destino, decidere di essere liberi.
A.M. – Siamo molto in ansia per le notizie che giungono dal Cile di Patricia Troncoso, lei rappresenta il coraggio di tutto il popolo mapuche. Che pensi che il governo della Bachelet parli con il padre di Patricia Troncoso ma nello stesso tempo non avvia una trattativa seria di dialogo per salvarle la vita?
Le rivendicazioni di Patricia Troncoso e dei prigionieri politici mapuche sono la libertà immediata a tutti i prigionieri politici, la revisione dei processi, la dissoluzione della legge antiterrorista, legge fatta da una dittatura che è arrivata al potere con un colpo militar e imponendo il terrore.
E’ incredibile che lo stato, che i governanti, che i politici, che il presidente Bachelet difendano le leggi, che costarono ai popoli dello stato cileno la vita, la tortura e il carcere a migliaia di uomini e donne.
Il governo tace o fa dichiarazioni per far rispettare la legge, una legge che è costata delle vite, che sta costando vite. La vita, vale meno di un dollaro nel mercato internazionale delle multinazionali nel sistema neoliberale. La vita vale meno di un dollaro perchè la legge cilena decide chi ha diritto alla vita.
Sanguina il cuore del padre di Patricia Troncoso, sanguinano le sue lacrime di impotenza, nel vedere come la vita scappa via dal cuore coraggioso di sua figlia, dalla coscienza trasparente delle acque del Bío Bío annidate negli umidi occhi di una donna, che vede come la vita fugge nella desertificazione di una Madre Terra sfruttata dalle imprese forestali nel grido silenzioso delle montagne e delle valli.
Sanguina il cuore del padre di Patricia e la sua imponente disperazione cerca di trattenere l’ultimo alito di vita di sua figlia. Patricia cammina e cammina in terra mapuche con la sua bandiera in alto, gridando libertà.
Rayen Kvyeh, es la única poeta de Chile que ha viajado desde Temuco hasta Reggio Calabria (Italia) en diciembre 2007, para recibir la Mención Especial (segunda clasificada) del prestigioso Premio Internacional de Poesía Nósside.
Nósside es un “Proyecto que mira hacia un mundo sin barreras, donde la poesía vence sobre odios políticos y religiosos, sobre rencores entre pueblos y sobre prejuicios culturales y raciales”.
La poesía de Rayen Kvyeh por tanto encuentra su espacio natural en ese contexto, y todavía más en ese momento en el que su pueblo, el pueblo mapuche, es objeto de una dura represión de parte del gobierno “socialista” de Michelle Bachelet.
Se encuentra en Roma, etapa final de ese largo viaje que la ha llevado también en Alemania (donde vivió un largo exilio) y en Austria, unos días antes de regresar a Chile donde dice sentirse más nacesaria a su pueblo, no obstante en ese viaje haya contribuido en manera imprescindible a la difusión de la causa mapuche.
Poe eso “palabra errante” es el nombre con que me gusta llamar el recital y la rueda de prensa que Rayen tendrà el 25 de enero en el Spazio Odradek en Roma. La palabra errante que viaja y testimonia la voz de un pueblo, pero la voz de Rayen, su “embrión rebelde”, alberga en su vientre, cómo ella escribe en un poema, en los largos días pasados en la cárcel , al tiempo de la dictatura militar de Augusto Pinochet , por sus obras teatrales críticas al régimen.
En aquel vientre de mujer orgullosa, torturada y privada de la libertad, ha encontrado refugio y protección en un “bosque de ternura”, en aquel mundo de amaneceres y atardeceres, de ojos de niños, de una naturaleza mágica y ancestral que representa el hilo conductor de su mensaje.
La poesía de Rayen viene desde la tierra, porqué Mapuche quiere decir “gente de la tierra” y viene desde el amor, que se percibe en cada verso: amor por su pueblo, por la naturaleza, por la libertad y la vida.
Es poesía lenta y sagrada cómo la historia del pueblo mapuche “escrita en la madera, en las páginas del tiempo…”
Es la voz de Lautaro, hijo de la Tierra, quien “habla a sus hermanos” por medio de la sabiduría de los antepasados.
La poesía de Rayen Kvyeh es “terrena”, en el sentido de ser un vibrante canto de dignidad, un potente instrumento de lucha , una denuncia conmovedora, pero en el mismo tiempo es “lunar” (Kvyeh quiere decir luna) en el sentido de contemplación arrobada y seducida de las montañas, de los “inolvidables atardeceres” , del “aurora con su arcoiris de colores” que irrumpirà enseñando a todos quienes son los hijos de aquella Tierra.
El embrión rebelde denuncia asì en versos acompañados por la música ritual del kultrun, la condición del pueblo mapuche quien reivindica el derecho a lo que le ha negado en siglos de coloniización antes y de explotación salvaje después.
La palabra errante de Rayen Kvyeh, en este viaje en Europa, denucia el gobierno chileno y solidariza con la Chepa Patricia Troncoso que està casi a los 100 días de huelga de hambre, llevado en el silencio de toda la comunidad internacional.
A.M. Rayen, tu poesía es vibrante y melancólica al mismo tiempo, habla de aterdereces y amaneceres pero también de “la voz de un indómito pueblo por miles de estrellas protegida”, del deseo de no ser “siervos y eslavos”, y de “recuperar “la paz y la libertad”. Tú misma en muy joven edad sufriste la cárcel y la dictatura bajo el régimen de Pinochet. ¿Quieres contarnos algo sobre esos años terribles?
R.K. Yo sufrí muy joven la prisión política y la tortura por las obras de teatro que escribía y que eran críticas a la dictadura de Pinochet en 1973 y otra vez en 1976 y luego en 1979 he sido desaparecida por 40 días y torturada en una cárcel clandestina y posteriormente en la cárcel de castigo de Talcahuano y después en la de mujeres de Concepción.
A.M. ¿Hoy día ha cambiado algo desde entonces en Chile?
R.K. Durante la dictatura la gente desaparecía o era ejecutada con las armas. Hoy día hay formas más modernas de reprimir, por ejemplo las represas en el alto Bío Bío , lo que significa uno de los más grandes desastres ecológicos del país y el desalojo de la comunidad mapuche-pewenche hacia otro territorio. Las empresas forestales del monocultivo de pino y eucalipto que significa la desertificación de la Madre Tierra, falta de agua y la contaminación con productos quimicos que se diseminan por vía aérea , la construcción de grandes carreteras que destruyen los lugares sagrados y rompen las comunidades.
La contaminación por los vertederos (el 75% de los vertederos han sido instalados en las comunidades mapuche, y esos contaminan agua, Madre Tierra y medio ambiente y han producido enfermedades en la gente).
La contaminación de los ríos y de los mares con los desagues de las grandes papeleras y la industrialización de las salmoneras.
El pueblo mapuche se encuentra acosado por el norte, el sur , el este y el oeste. ¿Acaso no se puede pensar de una planificación de genocidio del pueblo mapuche, por parte del Estado con la instalación de los grandes megaproyectos?
Hoy día tenemos martires caídos menores de edad y se justifica eso con la aplicación de la Ley Antiterrorista al pueblo mapuche. Los muertos son mapuches ¿cómo se puede hablar de terrorismo a un pueblo que defiende la vida y cuando defiende la vida, la Madre Tierra y recupera su territorio? ¿Porqué no hablamos mejor de terrorismo de Estado?
A.M. Rayen, ¿cómo crees que la poesía pueda ayudar el pueblo mapuche?
R.K. La poesía es el sueño de esperanza . Esperanza de un futuro mejor. La poesía rompe barreras, atraviesa fronteras y defiende la vida.
A.M. En diciembre de 2007 llegaste a Italia desde Temuko, siendo la única poeta chilena en recibir la Mención Especial del prestigiado Premio Internacional de Poesía Nósside ¿Tuviste respaldo del gobierno de tu país para enfrentar ese viaje?
R.K. No tuve apoyo por el Estado Chileno. Tuve dificultades para salir del país por razones económicas, presentè las solicitudes de apoyo al gobierno chileno y al ministerio de la cultura y de las relacciones exteriores, al consejo de cultura regional de Temuko, al alcalde de Temuko pero sin tener respuesta positiva y entonces afortunadamente viajé con el apoyo de mis amigas.
A.M. Fundaste en el pasado una asociación cultural muy importante en Temuko, de qué se trataba?
R.K. Yo dirigì desde 1989 durante 12 años la Casa de Arte Mapuche en Temuko Mapu Ñuke Kimce Wejiñ. Fue un projecto de autogestión de los artistas mapuches. Desde el año 1990 hasta el 1993 las actividades culturales de la Casa de Arte realizadas publicamente fueron reprimidas y prohibidas. Luego la Casa se tuvo que cerrar por razones económicas.
A.M. Tú vives en Temuko donde vivió también Pablo Neruda. ¿Cómo fue la relacción entre él y el pueblo mapuche?
R.K. Pablo Neruda admiraba la historia del pueblo mapuche, por ser un pueblo que resistió más de 300 años a la colonización española.
A.M. ¿Que relación hay hoy día entre la Fundación Neruda y los Mapuches?
R.K. No hay ninguna relacíon positiva, todo lo contrario. Juan Agustín Figueroa , el Presidente de la Fundación Neruda ha sido quien ha criminalizado las reivindicaciones sociales, culturales y territoriales del pueblo mapuche. Me explico: no hay que olvidar que Juan Augustín Figueroa fue ministro de agricultura del gobierno de Patricio Alwin y actualmente forma parte de la Comisión Constitucional del Congreso y tiene un enorme poder e influencia politíca el el gobierno chileno. Por su accíón contra el pueblo mapuche han sido criminalizados dos lonko tradicionales cómo Pascual Pinchun y Aniceto Norin quienes estubieron cinco años en la cárcel.
Además la comunidad donde viven las familias de los lonko Temucuicui han sido innumerables veces allanados y los carabineros han hecho una verdadera labor de terror contra las familias de estas comunidaes. Esa comunidad conlinda con el fundo de Juan Augustín Figueroa.
A.M. ¿Porqué el gobierno chileno le tiene miedo al pueblo Mapuche?
R.K. El pueblo mapuche no es peligroso, no tiene un ejercito armado, en el territorio del pueblo mapuche no hay petroleo, no hay oro, no hay recursos materiales que puedan significar un bien material para el estado de Chile. El gobierno chileno es ignorante, no conoce al pueblo mapuche . Le atemorizan las legítimas reivindicaciones por los derechos ancestrales, a su cultura, a su territorio, a su derecho a la vida con su cosmovisión. El pensamiento libertario y la jerencia historica de ser una región autónoma con poder de autodeterminación es lo que molesta al estado chileno, que no tiene una verdadera democracia sino un estado con las leyes y la constitución politíca jerencia de la dictatura militar. Por eso digo que el estado chileno es muy retrogrado y muy atrasado en su legislación.
A.M. El 13 de enero ha fallecido Patricia Verdugo, ella con su investigación historica y periodistica contribuyò a la aclaración de muchos crimines cometidos durante la dictatura de Pinochet. Se que estás trabajando a un libro que es una grande obra de investigación sobre la represión del pueblo mapuche hoy día. ¿Puedes adelantarnos algo?
R.K. Chile ha perdido una gran luchadora por los derechos humanos, por la verdad y la justicia en Patricia Verdugo. Vaya para ella mi abrazo fraterno en su última despedida.
Desde hace cinco anos, he estado asistiendo a los procesos de los prisioneros políticos mapuche.En los diferentes tribunales de la región de la Araucanía. He estado visitando a las hermanas y hermanos en las cárceles y también a sus familias.Participando en los actos y protestas, reuniones y actividades por la liberación de los prisioneros políticos mapuche.
Recopilando información jurídica,histórica,testimonios en fin, lo que ayude a un esclarecimiento histórico en el momento actual de las reivindicaciones del pueblo mapuche por los derechos culturales,sociales,políticos,territoriales.
A.M. En Europa se habla mucho del nuevo curso de América Latina y los gobiernos de izquierda en Venezuela con Hugo Chávez y Bolivia con Evo Morales ambos están atentos a las realidades de los pueblos originarios, ¿Piensas que pueden eso puede ser una esperanza para todos los pueblos originarios de latinoamerica?
R.K. Evo Morales es un hermano ‚originario de los pueblos que han sido marginados y discriminados y es la esperanza de los pueblos originarios del continente americano. De pueblos con el derecho a la vida de acuerdo a su cosmovisión a su cultura ‚con territorios libres de la explotación indiscriminada de las trasnacionales, con el derecho a la tierra y a sus recursos naturales. El derecho a vivir ‚como pueblos libres y decidir el futuro y no ser sometidos a leyes discriminatorias y racistas por una mayoría o minoría occidental que han prolongado en los paíces americanos los mecanismos colonizadores.
El presidente Chavez, merece mi respeto ‚por enfrentar con dignidad al imperialismo de Estados Unidos, que ha sometido a Chile y al resto de los paíces americanos al poder militar , económico ‚ha financiado los golpes de estado interviniendo la voluntad de los pueblos con los golpes militares, sometiendola a la pobreza y virir bajo leyes sin leyes.
Le tengo respeto, por no tener miedo de decir las verdades y querer hacer realidadel sueño bolivariano, sin discriminaciones culturales en esta américa morena, donde los pueblos deben decidir su destino, decidir ser libres.
A.M. Estamos muy pendientes por las noticias que llegan desde Cile de Patricia Troncoso, ella representa la valentía de todo el pueblo mapuche. ¿Qué opinas que el gobierno de Bachelet hable con el padre de Patricia Troncoso pero al mismo tempo no abre una mesa de dialogo seria para salvarle la vida?
R.K. Las reivindicaciones de Patricia Troncoso y de los prisioneros políticos mapuche , de libertad inmediata a todos los prisioneros políticos, la revisión de los procesos , la disolución de la ley antiterrorista, ley hecha por una dictadura militar, que llegó al poder con un golpe militar, imponiendo el terror.
Es increíble,que el estado, que los gobernantes, que los políticos ‚que la Presidenta Bachelet defiendan las leyes, que costaron a los pueblos del estado chileno, la vida, la tortura y la cárcel de miles de mujeres y hombres.
El gobierno calla o hace declaraciones de respetar la ley, una ley que costó vidas, que está costando vidas.La vida , no vale nada, vale un dólar en el mercado internacional de las trasnacionales en el sistema neoliberal. La vida ‚vale menos que un dólar, porque la ley chilena decide, quien tiene derecho a la vida.
Sangra el corazón del padre de Patricia Troncoso, sangran sus lágrimas de impotencia, de ver como la vida se escapa del corazón valiente de su hija de la conciencia transparente de las aguas del Bío Bío anidadas en los húmedos ojos de una mujer,que ve como la vida se escapa en la desertificación de una madre tierra explotada por las forestales en el grito silencioso de las montanas y valles .
Sangra el corazón del padre de Patricia y en su impotente desesperación busca retener el último álito de vida de su hija. Patricia camina y camina por el territorio mapuche con su bandera en alto, gritando libertad.