Fondazione Neruda e narcotraffico?

0 commenti
Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007
Riciclaggio di denaro  del narcotraffico nella Fondazione Neruda?
E’ una linea investigativa che non seguivo ormai da due anni, da quando pubblicai  in esclusiva la notizia dell’evasione fiscale  di 250 mila dollari, effettuata tramite false ricevute di pagamento di onorari, notizia che  la Fondazione Neruda non potè smentire.
Dieci giorni dopo l’uscita del mio articolo (La Jornada Morelos 11/08/2005) mi sono state comunicate  le dimissioni dell’allora direttore esecutivo Francisco Torres. (La Tercera 21/08/2005).
Ho tralasciato le notizie relative alle abitudini personali e al consumo di droga a cui sono soliti dedicarsi alcuni personaggi della Fondazione, mi è sembrato irrilevante rispetto i precedenti criminali del suo nuovo testamentario: il pinochettista Ricardo Claro.
La notizia  dell’evasione fiscale già era di per sé degna di richiamare l’attenzione del governo del Cile,  ho creduto che denunciare “l’elogio del terrorismo” con l’investimento di 2,3 milioni di dollari della Fondazione Neruda nelle imprese di  Ricardo Claro, le cose si sarebbero sistemate.
Ma lo Stato cileno è stato sopraffatto  sistematicamente da Ricardo Claro:  fin dal 12 di settembre 1973 fu consigliere di Pinochet  nel ministero più importante, quello degli Esteri;  Claro mise inoltre a disposizione due sue imbarcazioni  come centri di tortura e  organizzò il  golpe fascista contro l’Unidad Popoular nel suo tempo libero da civile. Ricardo Claro, l’amico di Kissinger, (al quale propose l’invasione di Cuba nel 1976), e nello stesso tempo,  Claro,  nemico di Sebastiàn Piñera (come dimenticare l’umiliazione a cui sottopose  l’ex candidato presidenziale con il caso dello spionaggio Kioto in Mega TV).  Nel mio paese Ricardo Claro, decide la politica editoriale di Televisa (di cui è azionista e dove ha trascorso sette anni  nel Consiglio di Amministrazione, dove vengono convocati solo membri del Club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la famiglia Azcárraga);  infatti la  dottoressa Michelle Bachelet durante la sua prima visita ufficiale in Messico si fece accompagnare da Ricardo Claro, in veste di addetto alle pubbliche relazioni. Il quotidiano ufficiale La Nación pubblicò: “L’agenda di visite della Bachelet continuerà oggi con un incontro imprenditoriale bilaterale che riunirà importanti impresari cileni come Ricardo Claro, con i suoi omologhi messicani” (21/04/2007). Ora tutto è “claro”… (chiaro)…
Neruda muore ipotecato, di cancro e tristezza fulminante nel 1973.
La dittatura di Pinochet  già aveva fatto  programmi a lungo termine per amministrare le risorse del poeta. Negli anni 1950 quando erano studenti universitari, Ricardo Claro aveva alle sue dipendenze Juan Augustín Figueroa e già in democrazia egli ne ha approfittato  per ottenere accordi con la Concertación.
Nel 1986, la Fondazione Neruda ottiene personalità giuridica come vessillo del neoliberalismo, ovviamente la dittatura ha lasciato agire  un uomo di sua fiducia come J.A. Figueroa e per il Centenario di Neruda nel 2004,  ingannandoci tutti con il recupero poetico e delle memorie, al punto di cedere il nome al Premio Neruda ed impossessarsene.
I poeti José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli e Fina García Marruz, di riconosciuto valore letterario e di sinistra, furono ingannati  quando Juan Austín Figueroa  apparì ogni anno nella foto ufficiale del Premio Neruda o quando annunciò loro  per telefono la buona notizia, o quando li invitò per un cocktail  alla Chascona per darne notizia alle agenzie di stampa. La colpa non fu dei poeti ma del governo cileno. Ho insistito con la giuria del Premio Neruda, nel senso che si faccia una dichiarazione pubblica per evitare il protagonismo di  Juan Agustín Figueroa ma non ho ottenuto risultati. Poco opportunamente ho informato  Jaime Concha e a Hernán Loyola (giurati nel 2004 e nel 2005) e nel 2006 la scrittrice Margo Glantz  che chiaramente non mi dette nessuna credibilità e anzi dette ragione ai funzionari quando le comunicarono che” tutto andava  bene nella Fondazione Neruda”.
L’anno successivo, partecipò come giurato lo scrittore Roberto Fernández Retamar, il quale alla mia domanda dichiarò:  “mi sono sentito sollevato con la coscienza  quando mi hanno informato  che il Premio Neruda lo consegna il governo cileno e non la Fondazione”, tuttavia  la poetessa cubana Fina García ha ricevuto la telefonata  di J.A. Figueroa che le ha annunciato la vittoria del Premio  e sicuramente sarà invitata ala Chascona per  un elegante cocktail. Spero che lei lo accetti protestando (in quanto l’esecutore testamentario della Fondazione Neruda, Ricardo Claro  propose a Kissinger di invadere Cuba nel 1976) e che sia José  Emilio Pacheco,  che Carlos Germán Belli e Juan Gelman assumano una  posizione politica davanti a un “Premio politico”  con il quale si riabilita J.A. Figueroa,  per mezzo del  governo del Cile, facendo parte  della Concertación tramite  il destrorso Partito Radicale.
Già c’erano stati sintomi della  decomposizione politica di J.A Figueroa. La legge Antiterrorista, applicata contro la comunità mapuche,  fu rispolverata,  dal momento che non la utilizzava più nemmeno la dittatura: invenzione di crimini, testimoni con il volto coperto. Tutto il peso dello Stato contro il popolo originario del Sud.
Prigionieri politici in democrazia?
La D.ssa Bachelet  ha dichiarato in Svezia che i mapuche “hanno commesso dei crimini”. Per lei “mapuche” è sinonimo di terrorismo, ma che faceva la Fondazione Neruda il giorno dell’arresto dei mapuche Pascaul Pichún e Aniceto Norin? A titolo personale J.A. Figueroa, tramite conoscenze è riuscito a smontare lo stato di diritto di un paese servendosi  della legislatura  della dittatura con il primo caso di Legge Antiterrorista. Cinque anni fa, esattamente il giorno della sentenza, Figueroa consegnava il Premio Neruda 2003 (versione locale e precedente di quello dei 30 mila dollari per autore affermato)  a Jaime Huenún; la colpa fu  sua. Ma il poeta era mapuche, e fece parte del lavoro  mediatico e politico di Figueroa condannare   come terroristi e dare avvio alla persecuzione contro i mapuche e il giorno della sentenza dei giudici consegnare  il premio Neruda 2003 a un mapuche.
E lo Stato cileno?
Lascia correre tutto: la legge antiterrorista, l’evasione fiscale, la falsificazione dei libri nerudiani, gli investimenti con il terrorista Ricardo Claro. Né Mariel Bravo, addetta culturale dell’ambasciata cilena in Messico, né molto meno Paulina Urrutia, ministro della Cultura, sono disposte a rompere il circolo vizioso che vige all’interno della Fondazione Neruda, per diplomazia e in difesa dello status quo.
Il giorno che incendiai, (letteralmente e con la benzina) un’antologia di Neruda falsificata da Edaf/PP sulla scrivania di J.A. Figueroa, c’era il ministro e la stampa cilena. Sospetto che il suo intervento impedì un mandato  di arresto contro di me; Paulina Urrutia disse di essersi sentita “ostaggio della situazione”, che non capiva il mio atteggiamento  e che “non si può fare come se qui non fosse successo nulla, al momento che in Cile non si bruciano più libri dai tempi della  dittatura”. So che l’assessore del  ministro, il giornalista Willy Haltenhoff, le consegnò una relazione scritta sulle motivazioni del mio show, ma alla data odierna non ho ricevuto nessun altro gesto di  buona volontà da parte del governo cileno. Mariel Bravo l’ho conosciuta alla Fiera del Libro di Guadalajara del 2004, abbiamo parlato delle falsificazioni di Edaf, gli ho lasciato il quotidiano El Universal del Messico dove pubblicai la notizia sulla prima pagina culturale (24/10/2004) e due anni dopo tornammo a parlare dell’argomento.
Lei mi disse: “devi capire che per noi non è facile affrontare il problema degli investimenti della fondazione Neruda; sì,  leggo tutte le tue lettere e i tuoi articoli, buono quello dell’antologia di Edaf,   ma io ero appena scesa dall’aereo  nel 2004 con il mio nuovo impegno di addetta culturale in Messico. Il segretario esecutivo del Consiglio del Libro, Jorge Montealegre, mi disse ufficiosamente: “sto studiando con gli avvocati del Consiglio del Libro il modo di editare  
l’Antologia Popolare 1972 di Neruda senza gli errori di Edaf, se il libro è appartenuto allo stato cileno, non vedo perché lasciarlo nelle mani dei privati.”  Almeno mi resta la piccola soddisfazione di Madrid, quando la prestigiosa Agenzia Balcells prese atto della mia inchiesta  e chiese a Edaf di ritirare dalla circolazione  la sua Antologia postuma e prima  di ogni altra riedizione di sistemarne i suoi errori (Informe interno dell’Agenzia Balcells, 04/05/2006).
 
Il patrimonio culturale rubato da quelle  stesse mani
Il 27 maggio ho pubblicato un’intervista con lo scrittore ed accademico Jorge Aravena Llanca sulla   storia del carico di libri di proprietà dell’allora ambasciatore Neruda a Parigi; è noto che il poeta dopo aver ricevuto  il Nobel (1971) comprò una casa di campagna in Normandia e il resto del danaro lo concesse  a collezioni bibliofile francesi, spagnole e americane. Matilde Urrutia denunciò: “Quando arrivarono i miei containers a Valparaíso, successe qualcosa di insolito, al di fuori delle regole. Presero i miei pacchi dalla dogana e li misero in un recinto dell’esercito…la cosa più dolorosa fu il saccheggio che fecero dei miei libri, mi lasciarono molte collezioni incomplete. I libri più preziosi si persero” (Memorie; Seix Barral, 1986, Pag. 207)
Quello che Matilde Urrutia non sapeva è che Neruda ancora non era morto e Juan Augustín Figueroa già stava vendendo la collezione di libri in Germania, il carico fu  intercettato in Valparaíso (nel 1973)  dai militari, successivamente si “legalizzò il lotto” e i libri ritornarono in Europa per essere venduti finalmente nel Museo Regina Sofía di Madrid.
Lo stato cileno chiederà una spiegazione alla Corona Spagnola?
Nel caso della Fondazione Neruda, il ministero della giustizia pronunciò la Risoluzione 3296/22 nel maggio del 2007: “non si può accreditare o stabilire infrazioni di carattere giuridico” di fronte alla domanda dell’Associazione Americana di Giuristi (Valparaíso) che presentò il ricorso di disconoscimento della personalità giuridica contro la Fondazione.
Esistono però  statuti originali redatti da Neruda per la sua Fondazione, dove  egli specifica che la direzione deve essere composta da rappresentanti dell’Università del Cile, dell’ Università Cattolica, dell’Università Tecnica dello Stato(UASACH) e da dirigenti della Centrale Unitaria dei Lavoratori  (CUT) e della Società di Scrittori del Cile (SECH) più due persone di fiducia di Neruda (che potrebbe indicare il Ministero della Cultura tra due nerudologi).
Ad oggi il direttivo “vitalizio” include solo i quattro intimi di Juan Augistín Figueroa . E al ministero della Giustizia non gli interessa che “una associazione senza fini di lucro” evada le tasse, commetta tutta una serie di reati e falsificazioni e investa con “fini di lucro” 2.3 milioni di dollari nel pinochettismo. Fondazione Neruda e narcotraffico?
E’ il meno.
Il giorno che si ritireranno  gli investimenti della Fondazione Neruda a Ricardo Claro, sarà una condanna e un giudizio morale contro il terrorista di stato cileno.
Traduzione di Annalisa Melandri
 
Mario Casasús è un giornalista argentino editorialista de La Jornada Morelos e del Clarín del Cile
 
  

¿Fundación Neruda y narcotráfico?

2 commenti

 

Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007

¿Lavado de dinero del narcotráfico en la Fundación Neruda?
Es una línea de investigación que descuidé hace dos años, al publicar en exclusiva la evasión fiscal por 250 mil dólares, mediante boletas de honorarios falsas, situación que la Fundación Neruda no pudo desmentir. Diez días después de mi nota (La Jornada Morelos 11/08/2005), me concedieron la renuncia del entonces director ejecutivo, Francisco Torres (La Tercera 21/08/2005). Deseché los trascendidos sobre los hábitos personales y el consumo doméstico de drogas que acostumbran ciertos personeros de la Fundación, me pareció irrelevante comparando los antecedentes delictivos de su nuevo albacea: el pinochetista Ricardo Claro. El hecho de la evasión fiscal, por sí mismo era digno de llamar la atención del gobierno de Chile; creí que al denunciar el “enaltecimiento del terrorismo” con la inversión de 2.3 millones de dólares de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro las cosas se revertirían. Pero el Estado chileno ha sido rebasado por Ricardo Claro sistemáticamente: desde el 12 de septiembre de 1973 ya asesoraba a Pinochet en la cartera más importante, la de Relaciones Exteriores; Claro facilitaba dos barcos como centros de tortura y en sus ratos libres de civil organizó el golpe fascista contra la Unidad Popular. Ricardo Claro, el amigo de Kissinger (a quien le propuso invadir Cuba en 1976), y al mismo tiempo, Claro, enemigo de Sebastián Piñera (cómo olvidar la humillación que hizo pasar al ex candidato presidencial con el espionaje del Caso Kioto en Mega TV).

En mi país, Ricardo Claro decide la política editorial en Televisa (accionista y siete años en su Consejo de Administración, donde sólo son convocados el club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la familia Azcárraga); por lo tanto, la doctora Michelle Bachelet durante su primera gira oficial a México se hizo acompañar por Ricardo Claro, en el papel de relacionista público. El periódico oficialista La Nación publicó: “La agenda de Bachelet continuará hoy con un encuentro empresarial binacional que reunirá a destacados empresarios chilenos como Ricardo Claro, con sus pares mexicanos” (21/04/2007). Ahora todo queda Claro. Neruda muere intestado, de cáncer y tristeza fulminante en 1973. La dictadura de Pinochet ya tenía planes a largo plazo para administrar los recursos del poeta. Desde la década de 1950, cuando eran estudiantes universitarios, Ricardo Claro tiene de empleado a Juan Agustín Figueroa y en democracia ha sido aprovechado para lograr acuerdos con la Concertación. En 1986, la Fundación Neruda adquiere personalidad jurídica como mascarón de proa del neoliberalismo, obviamente la dictadura dejó trabajar a un hombre de su confianza como J. A. Figueroa y para el Centenario en 2004, nos engañó a todos, con la recuperación poética y memorística, al punto de ceder el nombre al Premio Neruda y apoderarse de él. Los poetas José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli y Fina García Marruz, de reconocida trayectoria literaria e identificados a la izquierda, fueron tergiversados cuando Juan Agustín Figueroa se tomó la foto oficial del Premio Neruda cada año o les anunciaba por teléfono la buena nueva, o los invitaba a un cóctel en La Chascona para subir la nota a las agencias de prensa. La culpa no es de los poetas, sino del gobierno chileno. He insistido con el Jurado del Premio Neruda, en el sentido de que se haga una declaración pública para evitar que Juan Agustín Figueroa se adjudique el protagonismo, pero no he obtenido resultado.

A destiempo le informé a Jaime Concha y Hernán Loyola (jurados en 2004 y 2005) y en 2006 la escritora Margo Glantz sencillamente no me dio credibilidad alguna y mejor le hizo caso a los funcionarios cuando le dicen que “todo está bien en la Fundación Neruda”. Al año siguiente, participó como jurado el escritor Roberto Fernández Retamar, quien ante mi pregunta declaró: “siento un alivio de conciencia cuando me informaron que el Premio Neruda lo otorga el gobierno y no la Fundación”, pero la poeta cubana Fina García recibió la llamada telefónica de J. A. Figueroa para anunciarle el Premio y seguramente será invitada a La Chascona a un elegante cóctel. Espero que ella lo reciba bajo protesta (con el argumento de que el albacea de la Fundación Neruda, Ricardo Claro, le propuso a Kissinger invadir Cuba en 1976) y que tanto José Emilio Pacheco, Carlos Germán Belli y Juan Gelman tomen una postura política, ante un “Premio político” con el que se reivindica J. A. Figueroa, vía gobierno de Chile, siendo parte de la Concertación mediante el derechista Partido Radical. Había síntomas de la descomposición política de J. A. Figueroa. La Ley Antiterrorista, aplicada contra la comunidad mapuche, fue desempolvada, pues ya ni la dictadura la utilizaba: fabricación de delitos, testigos con el rostro oculto. Todo el peso del Estado contra los pueblos originarios del Sur.

¿Presos políticos en democracia?

La Dra. Bachelet declaró en Suiza que los mapuches “cometieron delitos”. Para ella mapuche es sinónimo de terrorismo, pero ¿qué hacía la Fundación Neruda el día que se encarcelaba a los mapuches Pascual Pichún y Aniceto Norin? A título personal J. A. Figueroa, mediante tráfico de influencias, logró desbaratar el estado de derecho de un país al aprovecharse del marco legislativo de la dictadura con el primer caso de Ley Antiterrorista. Hace 5 años, exactamente el día de la sentencia, Figueroa entregaba el Premio Neruda 2003 (versión local y predecesora del de 30 mil dólares para autor consagrado) a Jaime Huenún; la culpa no es de él. Pero el poeta era mapuche, como parte del trabajo mediático y político de Figueroa, encarcela por terroristas e impulsa el acoso contra los mapuches y el día de la resolución judicial entrega el Premio Neruda 2003 a un mapuche.

¿Y el Estado chileno?

Deja que todo pase: la ley antiterrorista, la evasión fiscal, la falsificación de libros nerudianos, la inversión con el terrorista Ricardo Claro. Ni Mariel Bravo, agregada cultural de la Embajada chilena en México, ni mucho menos Paulina Urrutia, ministra de Cultura, están dispuestas a romper el ciclo vicioso al interior de la Fundación Neruda, por diplomacia y en defensa del estatus quo. El día que incendié (literalmente y con gasolina) una Antología de Neruda falsificada por Edaf/PP en el escritorio de J. A. Figueroa, estaba la ministra y la prensa chilena. Sospecho que su intervención impidió una orden de arraigo en mi contra; Paulina Urrutia dijo sentirse “rehén de la situación”, que no entendía mi actitud, “no se puede hacer como que aquí no pasó nada, ya que en Chile no se quemaban libros desde dictadura”. Sé que el asesor de la ministra, el periodista Willy Haltenhoff, le entregó un informe por escrito de las razones del performance, pero a la fecha no he recibido otro gesto de buena volunt
ad del gobierno chileno. A Mariel Bravo la conocí en la Feria del Libro de Guadalajara 2004, hablamos de la falsificación de Edaf, le dejé el periódico El Universal de México donde publiqué la noticia en primera plana cultural (24/10/2004) y dos años después volvimos a hablar. Ella dice: “tienes que entender que para nosotros no es fácil abordar el problema de la inversión de la Fundación Neruda; sí, leo todos tus correos y notas, pero bueno lo de la antología de Edaf, yo apenas estaba bajando del avión en 2004 con mi nuevo compromiso de agregada cultural en México”. El secretario ejecutivo del Consejo del Libro, Jorge Montealegre, me dijo extraoficialmente: “estoy estudiando con los abogados del Consejo del Libro la forma de editar la Antología Popular 1972 de Neruda sin los errores de Edaf, si el libro perteneció al Estado chileno, no veo por qué dejarla en manos de particulares”. Al menos me queda la pequeña victoria en Madrid, cuando la prestigiada Agencia Balcells certificó mi investigación y pidió a Edaf que retire de circulación su Antología póstuma y ante cualquier reedición Edaf debe arreglar su error (Informe interno de la Agencia Balcells, 4/05/2006).

El patrimonio cultural robado por las mismas manos

El 27 de mayo, publiqué una entrevista con el escritor y académico Jorge Aravena Llanca con la historia del embarque de libros propiedad del entonces embajador Neruda en París; es sabido que el poeta al recibir el Nobel (1971) compró una casona en Normandía y el resto de la plata fue a dar en colecciones bibliófilas francesas, españolas y americanas. Matilde Urrutia denunció: “Cuando llegaron mis containers a Valparaíso, pasó algo desusado, fuera de toda ley. Sacaron mis bultos de la aduana y los llevaron a un recinto militar… lo más doloroso fue el saqueo de los libros, me dejaron muchas colecciones incompletas. Los libros más valiosos se perdieron” (Memorias; Seix Barral, 1986, Pág. 207). Lo que Matilde Urrutia no sabía es que Neruda todavía no moría y Juan Agustín Figueroa ya andaba vendiendo la colección de libros en Alemania, el embarque fue interceptado en Valparaíso (en 1973) por los militares, posteriormente se “legalizó el lote” y los libros regresaron a Europa para ser vendidos finalmente en el Museo Reina Sofía de Madrid.

¿El Estado chileno pedirá una explicación a la Corona Española?

En el Caso Fundación Neruda, el ministerio de Justicia dictaminó la Resolución 3296/22 en mayo de 2007: “No se pudo acreditar o establecer infracciones de carácter estatutario” ante la solicitud de la Asociación Americana de Juristas (Valparaíso) que presentó un recurso de desconocimiento de la personalidad jurídica contra la Fundación. Existen estatutos originales redactados por Neruda para su Fundación, donde especifica que el directorio debe estar integrado por representantes de la Universidad de Chile, de la U Católica y la U Técnica del Estado (USACH) y por los dirigentes de la Central Unitaria de Trabajadores (CUT) y la Sociedad de Escritores de Chile (SECH) más dos personas de confianza de Neruda (que podría destinar el Ministerio de Cultura, entre dos nerudólogos). Hoy día el directorio “vitalicio” incluye sólo a los cuatro íntimos de Juan Agustín Figueroa. Y al Ministerio de Justicia no le interesa que una “asociación sin fines de lucro” evada impuestos, cometa toda una serie de negligencias, falsificaciones e invierta “con fines de lucro” 2.3 millones de dólares al pinochetismo. ¿Fundación Neruda y narcotráfico? Es lo de menos. El día que se retire la inversión de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro, será un castigo y un juicio moral contra el terrorista de Estado chileno.

Link su Rebelión: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=53569


Ingrid Storgen: Cuando el silencio es el peor asesino, la Iglesia Colombiana…

71 commenti
Por Ingrid Storgen
Julio 2007
Muchas cosas están sucediendo luego del desastre desatado en Colombia que costó la vida a 11 diputados, prisioneros políticos de la insurgencia, y que provocó un sacudón en las entrañas del mundo que se horroriza ante cualquier crimen.
Entre esas cosas podemos mencionar el pedido de siete militares y policías en poder de la guerrilla, quienes solicitan al gobierno que evite el rescate a sangre y fuego de los prisioneros.
 
Uno de los peticionantes es el cabo Moncayo, quien en un video público insta a Uribe para que busque una salida al terrible drama que está viviendo desde hace 10 años, e idéntico pedido realiza el capitán de policía, Edgar Yesid Duarte, quien asegura que intentar rescates militares en las condiciones en que ellos se encuentran, es lisa y llanamente una sentencia de muerte.
De la misma manera, pide el intercambio humanitario, la hermana de otro prisionero, el intendente jefe Luis Peña Bonilla, quien lleva nueve años en poder de la insurgencia.
 
Es lógica la preocupación de esta gente, sobre todo luego de la declaración de guerra emitida por el propio presidente Uribe, quien no pensó en las consecuencias que podría generar, a partir de su énfasis, al decir ante el mundo que: “procederemos al rescate de los prisioneros y lo haremos a sangre y fuego”.
Y cumplió su promesa, no importa quiénes pusieran el cuerpo para ingresar en la lista de los asesinados por el odio indiscriminado que bien podría haberse evitado.
 
A sangre y fuego, aunque en el medio de las balas hubiera seres humanos.
 
Con la simpleza con que habla un inconsciente que debería saber, a estas alturas, que no es improvisado el accionar de una organización que provocó el fracaso absoluto del Plan Colombia, la Iniciativa Andina, Plan Patriota y cuanto nombre se le haya dado a la millonada de dólares que Washington invirtió en Colombia, para exterminar a las organizaciones en armas hace ya tantos años.
 
Ahora y cuando parecía no existir en medio de tanta sangre vertida, aparece la voz de una Iglesia que se mantuvo muda cada vez que el paramilitarismo y su socio, el ejército colombiano, ejecutara masacres en las que centenares de niños, ancianos, jóvenes, mujeres, hombres, perdieran la vida por asesinato.
De la misma manera que enmudeció cuando el Ejército Nacional ametralló desde un helicóptero al equipo periodístico que siguieron la ruta de la columna guerrillera que había apresado a los 11 diputados hoy asesinados, en la Asamblea del Valle el 12 de abril de 2002.
 
Y es muy bueno que al menos ahora hable, la situación pasó ya de “castaño” oscuro y las papas queman demasiado. Quien rompió el silencio fue el presidente de la Conferencia Episcopal Colombiana y lo hizo diciendo que “el intercambio humanitario es un mecanismo para evitar más baños de sangre”, pero se equivoca cuando dice que la liberación de los prisioneros debe ser “un asunto humanitario y no político”.
Y se equivoca por segunda vez cuando puntualiza que la liberación debe ir más allá del despeje, cuando la exigencia de la insurgencia es precisamente el despeje.
¿Por qué tanto temor a que éste se lleve a cabo en momentos en que la vida de los detenidos pende de un hilo?
¿Por qué no simplificar las cosas y hacerlas como corresponde?
 
Vuelve a equivocarse cuando en un comunicado de prensa en el que exigen la entrega de los 11 cadáveres de los diputados, llama a participar en las marchas que se realizarán y que serán la continuación de la que ya se realizó, pero con tan mala fortuna que el presidente, el mismo que se niega hace años a realizar el intercambio humanitario, trató de capitalizar y salió mal parado.
Todos los colombianos, dijo monseñor Luis Castro, debemos superar el miedo de hablar, de protestar.
Pena grande que el prelado no haya dicho nada, ni siquiera haya intentado arengar para la pérdida de temor, cuando se reprimió brutalmente a los estudiantes que manifestaron en defensa de la educación pública.
Tampoco invitó a perder el miedo y salir a la calle hace pocos días, luego del brutal asesinato de Dairo Torres, coordinador de la zona humanitaria de Alto Bonito, precisamente el día 13 de julio, hecho cometido por paramilitares a escasos metros de un retén militar.
 
Continuó su histórico silencio cuando el asesinato de Carlos “Memo” Mario, o cuando fue detenida por el Ejército Nacional, el pasado 17 de julio, France Helena Navarro Toro, de 32 años y madre de siete menores.
Silencio sacrosanto cuando el asesinato de Mario Sereno Toscano, ocurrido el 14 de julio en la Asociación El Palmar, región con alta presencia de paramilitares, y el mismo silencio cuando el 17 de julio tropas de la Brigada Móvil 12 del Ejército, detuvieron la camioneta conducida por Ramiro Romero Bonilla a quien acompañaba Arnulfo Guerra, ambos cargados en un helicóptero militar y de quienes nada se supo hasta el momento.
 
Jamás habló la Iglesia, ni invitó a movilización alguna, cuando el 20 de julio Luis Carlos Angarita Rincón, de 25 años fue torturado hasta morir.
Y no levantó su voz tampoco cuando el ex vicepresidente de la República Bolivariana de Venezuela, José Vicente Rangel, alertó sobre las acciones ilegales de funcionarios de la seguridad colombiana que irrumpieron clandestinamente en la tierra vecina y a quienes se les encontraron datos de diputados, como sus teléfonos y direcciones, con el fin de desestabilizar la Revolución que hoy representa, para América del Sur, un fuerte muro de contención al más genocida de los imperios, y poniendo en peligro las relaciones fraternales entre las dos naciones.
 
No parecía existir la cúpula de la Iglesia cuando un grupo de militares y paramilitares llegaron a un pueblo cargando su botín: varios civiles atados, hasta que el comandante conocido como Maluco, tomó del pelo a uno de los ellos y en presencia de los otros prisioneros le clavó un cuchillo en la garganta.
Festejando su aberración y descomposició n mental, riendo, dio una lección del “arte de matar”, afirmando que eso se hace para que no puedan gritar, pero que había que tener cuidado con no cortar la yugular, porque la idea se centraba en ¡¡¡ qué sufran!!!
 
La Iglesia Católica Colombiana padece de una mudez parcial, que la convierte en cómplice desde el silencio, de la muerte por acciones violentas ejecutadas por los aparatos militar y paramilitar, que solamente durante el primer período presidencial de Álvaro Uribe Vélez, que abarcó los años 2002–2006, y en el cual fueron asesinados o desaparecidos por razones políticas más de 11084 personas.
Y no estamos mencionando a los desplazados, los perseguidos, los amenazados, quienes también merecían una palabra santificada que inste por el cese definitivo de las agresiones.
 
Es muy lamentable que para la alta jerarquía eclesiástica, el problema colombiano no esté claramente definido como problema político y se obvie la tortura que se produce de manera sistemática, organizada, con total impunidad.
Mientras los altos mandos mantengan su mutismo frente a hechos como los mencionados, éstos continuarán sucediendo y podrían ser, muchos 11 más, los que llore el pueblo colombiano.
 
Sin embargo no callaron, sino que actuaron en defensa, cuando el arzobispo católico Isaías Duarte, destapado por el “desmovilizado” jefe paramilitar Diego Murillo, se supo que fue uno de los seis ideólogos de los grupos de ultraderecha, relación entre cura y paramilitares que comenzó en 1988 en la región bananera de Urabá, donde tanta sangre inocente quedó abonando esa tierra que resistía los embates de las multinacionales.
 
Pero estaban distraídos cuando a un grupo de prisioneros de los paramilitares les colocaron hormigas en las orejas y en las fosas nasales, para luego continuar la perversidad colocándoles ají y sal en las brutales heridas. Tan distraídos como cuando encendieron hogueras con el fin de fatigar con humo al capturado, además de ejercer contra él, tortura psicológica.
 
Negar que en Colombia exista un terrible problema político es negar una realidad amarga, pretender tapar el sol con un dedo, omitir esta cuestión cotidiana es de alguna manera como manifestar una indolencia inaceptable y qué sólo asumiéndola como tal, puede llegarse a la solución que tanto anhela el pueblo.
 
La tortura que tantos pretenden minimizar, está asociada con la ejecución extrajudicial, no podemos, si somos concientes, evitar alzar la voz ante semejante atrocidad.
 
Y si lo hace la Iglesia,  está cometiendo una terrible herejía. Tengamos en cuenta que se puede ser asesino sin disparar balas, y el premio que obtendrá por los silencios malintencionados, será siempre el repudio de quienes sin ser religiosos, no blasfemaríamos jamás el 5to. Mandamiento: No matarás…
 
Ingrid Storgen
Julio 2007
 
Pido disculpas a los compañeros y compañeras por la descripción que se hace para denunciar una de las verdades más crueles que sufre un pueblo y que mañana podría ser el pueblo de cada uno de nosotros…

Oaxaca, un anno dopo la APPO ancora sotto il tiro della polizia di Ulises Rúiz.

48 commenti

Policia de Ulises Ruiz

Da Oaxaca giungono segnali preoccupanti che mostrano chiaramente che,  nonostante le rassicurazioni del governatore dello Stato  Ulises Rúiz, la situazione è tutt’altro che tornata alla normalità dopo i tragici avvenimenti dell’anno scorso.
La lucha sigue, la lotta continua,  come concludono i numerosi messaggi che giungono dalla cittadina messicana.
Il 16 luglio, giornata conclusiva della Guelaguetza magisterial — Popular, (come è stata ribattezzata l’antica festività indigena della Guelaguetza l’anno scorso dalla APPO e dalla XXII sezione del Sindacato dei Lavoratori dell’Istruzione di Oaxaca), ci sono stati violentissimi scontri tra gli organizzatori della manifestazione folkloristica e diversi reparti della polizia agli ordini del governatore Rúiz e della Presidenza della Repubblica.
La Guelaguetza Popular è stata organizzata dalla Appo e dal sindacato dei maestri per distinguere la festa popolare indigena dalle celebrazioni governative e ufficiali che si terranno a Oaxaca per tutto il mese di luglio e che hanno conferito ormai da anni un aspetto commerciale e consumistico a questa festività che ha a che fare con le antiche tradizioni di solidarietà e partecipazione comunitaria tra le 16 diverse etnie indigene dello stato di Oaxaca.
Purtroppo, l’ultimo giorno dei festeggiamenti, ai circa 10 mila manifestanti era stato negato l’uso dell’auditorium del Cerro del Fortín, luogo di grande valore simbolico per la città. Dopo due giorni di festeggiamenti svoltisi pacificamente per le vie del centro con sfilate in abiti tradizionali e con balli e canti, lunedì alcuni organizzatori tuttavia, pur avendo optato per svolgere lo spettacolo finale nella Plaza della Danza, avevano deciso di protestare contro la polizia che aveva vietato l’uso del Cerro e che si trovava nelle sue vicinanze per presidiarlo.
Ne sono nati violenti scontri in cui le forze dell’ordine  hanno  fatto un uso massiccio di gas lacrimogeni, lancio di sassi   e manganellate contro gli organizzatori della manifestazione. Il bilancio è stato di circa 76 detenuti di cui alcuni minorenni, e quaranta feriti alcuni gravi.
E così mentre nel Cerro del Fortín tra lacrimogeni e pestaggi si recitava l’ultimo atto di quello che era uno spettacolo annunciato da tempo, nella Plaza della Danza, sotto una pioggia leggera, migliaia di persone assistevano agli spettacoli di ogni delegazione indigena con le offerte al pubblico della “Guelaguetza”: frutta, artigianato e prodotti tipici nella manifestazione più tipica della solidarietà tra persone, quella dell’offrire doni.
Il giorno dopo l’accaduto la APPO in una conferenza stampa ha denunciato che “gli scontri e l’organizzazione sono stati perfettamente programmati e ci sono stati militari vestiti da civili con abiti scuri che hanno iniziato l’aggressione, attaccando con gas, pietre e sparando”.
A gran voce ora vengono nuovamente richieste le dimissioni di Ulises Rúiz.
È trascorso un anno dallo sciopero dei quasi sessantamila maestri dello stato di Oaxaca, che il 24 maggio 2006, riuniti nello Zócalo cittadino chiedevano niente altro che uno stipendio adeguato al costo della vita e condizioni lavorative più degne.
La violenta repressione delle forze di polizia ordinata dal governatore Ulises Rúiz del 14 giugno 2006 e la mancata volontà del governo di giungere ad un accordo,  hanno  fatto sì che uno sciopero iniziato esclusivamente per rivendicazioni sindacali  si trasformasse in una vera e propria mobilitazione popolare.
La società civile tutta, giovani, contadini, militanti della Otra campaña zapatista, associazioni di indigeni e privati cittadini,  si riunì allora intorno ai maestri e in una comunione d’agire e di intenti e con una rapidità sorprendente dette vita alla APPO, (Asamblea Popular de los   Pueblos de Oaxaca)  risposta civile e organizzata alla  repressione violenta contro una categoria da sempre considerata in Messico dalla  popolazione con grande rispetto per il ruolo spesso preponderante nell’intermediazione culturale tra le comunità indigene e la nuova società.
Si chiesero a gran voce le dimissioni del governatore violento dello stato, Ulises Rúiz Ortz, ritenuto il principale responsabile della situazione. Dimissioni che non sarebbero mai arrivate..
Questi duri mesi sono costati ad Oaxaca una ventina di morti  e centinaia tra feriti e detenuti, tra i quali Flavio Sosa Villavicencio, leader della Appo ancora in carcere,   numerosi sono stati inoltre i casi registrati di gravi violazioni dei diritti umani, come la tortura e la violenza sessuale.
Intanto, è notizia recente, il giudice Juan N. Silva Meza della Corte Suprema di Giustizia Messicana proponendo formalmente alla corte l’avvio di indagini nello stato di Oaxaca per le numerose violazioni dei diritti umani, come da resoconto della Commissione Nazionale per i Diritti Umani nonché da numerosi osservatori internazionali, ha detto che “le autorità federali, statali e municipali hanno violato gravemente le garanzie individuali nello stato di Oaxaca nel periodo che va dal 2 giugno al 31 gennaio scorso”.
Oaxaca rappresenta in questo momento il punto focale indicativo della direzione che prenderà il paese nei prossimi mesi, anche se ormai è ben chiaro che la svolta repressiva impressa dal governo del presidente Felipe Calderón sta già dando i suoi frutti.
Con una campagna mediatica puntigliosa, di quelle che di solito in Messico e in tutto il Sud America accompagnano episodi così gravi della violazione dei diritti umani e dello smantellamento improvviso dello stato di diritto, si stava cercando di far passare l’idea che la APPO si trovasse in un momento di difficoltà nell’indecisione sulla strategia da seguire,  ma questo nuovo tragico episodio e la risposta comune che ne è seguita hanno dimostrato che la sua forza di coesione tra le varie realtà sociali è ancora forte.
Soprattutto intorno alla APPO si vanno manifestando giorno dopo giorno sempre maggior  fiducia e rispetto da parte della popolazione. Hanno giocato particolarmente a favore della credibilità della APPO, dimostrando chiaramente la persecuzione a cui sono stati sottoposti i suoi membri un anno fa, le scarcerazioni che stanno avvenendo in massa delle centinaia di persone che erano state detenute e condotte nelle carceri di massima sicurezza con le accuse più gravi e senza motivazioni legittime.
Flavio Sosa, leader e portavoce principale della APPO, resta ancora nel carcere di massima sicurezza del Altiplano, probabilmente a mò di monito per chi dovesse seguirne l’esempio, dove per circa sei mesi è stato rinchiuso in una piccolissima cella con la luce accesa 24 ore al giorno e svegliato continuamente ogni ora.
Occorre poi riflettere sul particolare momento in cui è avvenuta questa nuova controffensiva verso la APPO.
A Oaxaca infatti, il prossimo 5 agosto ci saranno le elezioni per scegliere  42 deputati locali.
Probabilmente in un governo molto debole che riesce ad avere potere solo tramite l’uso della forza fa molta paura un movimento sociale, che sebbene non contempli la scena politica come luogo di agire, acquista sempre più maggior vigore e credibilità.
Si dice che la repressione contro la APPO sia stata una delle più violente che la storia del Messico moderno ricordi.
Probabilmente la APPO fa ancora più paura di Marcos e della Otra Campaña,   mentre questa si rivolgeva essenzialmente alle popolazioni indigene e contadine particolarmente del Sud del Messico, e aveva per lo più valenze “comunitarie” (e forse questa è stata la sua forza di immagine iniziale ma anche il suo limite) la APPO si ramifica anche nella cosiddetta società civile raccogliendo consensi anche fra comuni cittadini, dimostrandosi in questo senso potente come una forza politica. La APPO fa ancora più paura della Otra Campaña in un momento in cui si vocifera di un Marcos sempre più isolato in giro per il Messico e di una Otra in pausa di riflessione.
La Asamblea  ha invece chiaramente espresso, con voce unitaria la sua sfiducia nella politica, ha ribadito il suo essere movimento popolare dal basso, democratico e indipendente dallo Stato e dai palazzi.
Il PRI a Oaxaca d’altra parte ha fatto di tutto per escludere la partecipazione alla politica alle persone vicine alla APPO e al movimento sociale di Oaxaca e per far questo ha addirittura candidato figure vicine a Ulises Rúiz.
Probabilmente l’aggressione del 16 luglio non è altro che una manovra politica per indebolire un avversario che sta diventando  troppo scomodo.
Su una cosa probabilmente ha ragione Marcos, ed è quando dice che “il Messico si trasformerà in una pentola a pressione ed esploderà”. Egli prevede questo per il 2010, esattamente 100 anni dopo la rivoluzione messicana, ma potrebbe accadere anche prima.
 
.…
Leggi anche:


La gestione della Fondazione Neruda — I parte (da un’inchiesta di Mario Casasús)

1 commento

Pablo Neruda

Il 12 luglio scorso, lo ricordo ogni anno, è stato l’anniversario della nascita di Pablo Neruda.
Non lo dimentico mai perché personalmente ho un debito morale verso il grande Poeta in quanto  in un particolare momento della mia vita l’ho sentito talmente “vicino” da riuscire a trasmettermi    forza e coraggio nel prendere una decisione importante.
A volte il merito dei “Grandi” consiste proprio in  questo, l’universalità del loro messaggio.
Per questo Pablo Neruda è patrimonio di tutta l’umanità e  il suo messaggio è un imprescindibile punto di riferimento. L’umanità tutta non può fare a meno di Pablo Neruda e della sua Poesia per i valori eterni e universali in essa contenuti.
In gran parte pensata e scritta per la sua terra, il Cile,  e per il suo popolo ma talmente grande ed immensa da abbracciare l’intero pianeta.
Talmente viva e vibrante da essere sempre attuale perché purtroppo sempre attuali sono ingiustizie, abusi, violazioni dei diritti umani, il potere di pochi contro tanti.
Ci ha lasciato un grande compito Neruda, in cambio di tanta passione e di tanta grazia, un input al quale chi lo ama e lo sente ancora vivo, non riesce a sottrarsi.
Nella grande opera Canto Generale che anche Che Guevara portava nel suo zaino fino allo stesso giorno della sua morte, ci dice il poeta:
 
“Per questo ti parlerò di quelle pene che vorrei allontanare
ti costringerò a vivere ancora una volta fra quelle bruciature,
non per soffermarci come in una stazione alla partenza,
e neppure per battere la fronte come la terra,
né per riempirci il cuore d’acqua salata,
ma per camminare sapendo, per toccare l’onestà
con decisione infinitamente gravide di significato,
perché il rigore sia una condizione della gioia,
perché in tal modo possiamo essere invincibili.”
 
Compito impegnativo ha lasciato il Maestro, al suo popolo in particolare e a noi tutti più in generale: rigore ed onestà.
E per rigore ed onestà, rispondendo al messaggio di Pablo Neruda, ricordiamo che il Cile, tradito da tutti, tradito da sempre, (“il mio popolo è stato il più tradito di questo tempo” Egli scriveva) continua ad essere purtroppo tradito anche da chi dovrebbe proteggere la memoria del suo Poeta e quindi la dignità e l’orgoglio del popolo cileno: la Fondazione Neruda.
La Fondazione Neruda è gestita da Agustín Figueroa, figura scelta  da Matilde Urrutía alla morte del Poeta come amministratore della stessa.
Tale scelta, fu fatta in quanto egli era fratello di Aida Figueroa, amica di Pablo Neruda e militante comunista.
Il nome di Figueroa è strettamente legato a quello di Ricardo Claro, uomo di punta della dittatura di Pinochet ed elemento di collegamento con la CIA che quella stessa dittatura  ha sostenuto fin dall’inizio.
Il nome di Figueroa appare nel consiglio direttivo di molte imprese di Ricardo Claro. I proventi della Fondazione Neruda che nelle intenzioni del Poeta doveva essere un luogo di diffusione di pace e cultura e che invece è diventata un’impresa dedita all’evasione fiscale e al riciclaggio di danaro, vengono gestiti  in collaborazione con gli uomini forti del regime di Pinochet.
Al giornalista argentino, Mario Casasús, editorialista de La Jornada Morelos, va il merito di aver, in questi ultimi anni ricostruito la rete di interessi e traffici che esistono tra la Fondazione Neruda e Ricardo Claro, aver ricostruito l’evasione fiscale della Fondazione e aver più volte denunciato tale situazione.
Questo il suo primo articolo del 11/08/2005
La gestione della Fondazione Neruda, uno sguardo critico
di Mario Casasús

La Jornada, Morelos; Cuernavaca Messico 11.08.2005

La memoria dell’America s’estende dal pueblo natale di Neruda, Parral (nel
profondo sud del Cile) al nostro Parral (alla frontiera con gli Stati Uniti
e Chihuahua), dalle Alture di Macchu Pichu alle viscere della Valle di
Cuauhnahuac (Cuernavaca è legata a Neruda non meno della sua poesia e vita:
nel 1941 un gruppo di simpatizzanti nazisti lo colpirono brutalmente in un
ristorante del centro di Cuernavaca, così come nel 1966, Neruda per l’ultima
volta en Messico, visitò a La Tallera il suo intimo amico David Alfaro
Siqueiros).

Pablo Neruda fu sempre un testimone nell’occhio del ciclone; giusto a titolo
d’esempio: la guerra civile spagnola, la nascente Guerra Fredda tra USA e
URSS, il trionfo della Rivoluzione cubana, la proposta di via democratica al
socialismo di Unidad Popular (1970–1973), le azioni clandestine degli Stati
Uniti per far saltare il governo di Salvador Allende; fino allo stesso
funerale di Neruda, accadimento storico che dimostra che anche i morti ci
parlano, dato che assunse il carattere di prima marcia di ripudio contro la
dittatura di Pinochet.

Neruda perseguitato politico, poeta proibito, nell’anno 1948 se ritrova
senatore privato dei poteri e con sul capo un ordine di cattura, con il
Messico del PRI che gli nega un salvacondotto o l’asilo politico: “Neruda, a
quel punto, se rifugia nella ambasciata Messicana. Lo accoglie
l’ambasciatore Pedro di Alba. A sorpresa arriva l’ordine dal Messico di
negargli asilo. Erano gli anni del governo controrivoluzionario di Miguel
Alemán. Neruda –come ricorda Cardoza e Aragón nelle sue memorie Il río,
riterrà sempre colpevole del fatto ignominioso il cancelliere Jaime Torres
Bodet. E’ quel 1948 in cui, all’interno del Canto generale, scrive:
’…e quando il Messico aprì le sue porte
per ricevermi e proteggermi,
Torres Bodet, misero poeta,
ordinò che mi consegnassero
ai carcerieri furenti’”

(Ricerca di Marco Antonio Campos, in Neruda clandestino di José Miguel
Varas, pubblicato ne La Jornada Semanal del 18 Luglio 2004).

Lo stesso vecchio PRI che nel 1973, con il suo genocida Luis Echeverría
Álvarez, gli offre un aereo speciale per il suo nuovo esilio. Neruda non
poté ritornare in Messico nel 1973 (muore a causa d’un cancro e per
tristezza fulminante il 23 Settembre). Alla morte di Neruda, la vedova di
lui Matilde Urrutia fece quanto di meglio poté per preservare il patrimonio
e la memoria di Neruda, diede sistemazione organica ai versi sparsi e
inediti del poeta, li pubblicò, camminò solidale al fianco del suo popolo
quando il terrore militare era atroce, diede battaglia agguerrita a tutela
dei diritti umani denunciando all’estero le sistematiche violazioni compiute
dalla dittatura pinochetista. Il suo unico errore fu quello di fidarsi di
Juan Agustín Figueroa nominandolo presidente della Fondazione Neruda, e
questo perché era il fratello di Aída Figueroa Yávar (grande amica di
Neruda, che la conobbe durante la persecuzione del 1948).

Né Matilde Urrutia, men che meno Pablo Neruda, avrebbero potuto immaginare
che le lotte di tutta una vita ed i mille sforzi intrapresi affinché venisse
compiuta la propria volontà testamentaria sarebbero stati fatti naufragare
sotto il peso di una Fondazione azionista della oligarchia pinochetista
dominata da Juan Agustín Figueroa e Ricardo Claro. La vera intenzione di
Neruda era quella di una Fondazione Cantalao per mettere in piedi la quale
aveva donato un terreno in località Punta di Tralca, e redatto gli statuti
per il suo funzionamento, giammai progettando la creazione di case-museo
succursali, e ancor meno una Fondazione che rendesse culto alla sua
personalità.

Il documento di Neruda (inedito, datato 9 Maggio 1973, del quale se è
discusso solo all’interno del Partito Comunista del Cile — che ne ha
pubblicato una parte sul proprio organo di stampa– e all’interno del
Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda), documento che mi permetto di
citare visto che entrambi gli statuti, quello del 1973 e quello del 1982,
certificati presso pubblico notaio, sono in mio possesso): Originariamente
si trattava di una “Fondazione di Beneficenza senza fini di lucro il cui
obiettivo sarà la diffusione della letteratura, delle arti e delle scienze,
con particolare attenzione verso il litorale compreso tra San Antonio e
Valparaíso. a) messa in opera e realizzazione nel terreno donato alla
Fondazione di edifici  destinati a luoghi di riunione, e altresì di
alloggio, per scrittori, artisti e scienziati nazionali ed internazionali”.
Nell’articolo quinto, relativo alla composizione del Consiglio Direttivo e
Esecutivo: “Sarà composto di due rappresentanti di Pablo Neruda, dai Rettori
delle Università del Cile, Cattolica e Tecnica dello Stato, da un
rappresentante della Central Unitaria di Trabajadores (vale a dire il
Sindacato) e da un rappresentante della Sociedad di Escritores di Cile”.

Senza dubbio, il testo del 1982, non fa menzione della volontà di Neruda, e
nomina  cinque persone (quando invece nel 1973, erano sette, e ora nessuna è
rappresentante delle Università Cilene). Inoltre, Juan Agustín Figueroa
redige: “Le loro cariche saranno vitalizie a meno che non cessino per
rinuncia. In caso di posto vacante, gli altri quattro membri provvederanno
all’elezione del sostituto. Se i membri restanti sono solo uno o più membri
del Consiglio, a questi spetterà designare i rimpiazzi”. Una vera e propria
dittatura che perpetua il Consiglio Direttivo, grazie ai margini di manovra
legale degli statuti del 1982, redatti dall’avvocato Juan Agustín Figueroa a
mo’ di testamento di Matilde Urrutia.

Nella pagina ufficiale del suo sito web www.neruda.cl, la Fondazione se
definisce come “una persona giuridica di diritto privato costituita nel
1986″; solo che in nessun punto rendono pubbliche le loro attività
economiche: già solo nel 2003 lasciò nelle sue casse all’incirca un miliardo
di pesos Cileni — quasi due milioni di dollari USA -, suddivisi tra diritti
d’autore, vendita di biglietti d’ingresso alle case-museo e merchandising”
(secondo una nota di Andrés Gómez del quotidiano La Tercera del 10 Giugno
2004). Essendo “una persona giuridica di diritto privato” non devono rendere
conto allo Stato Cileno (se non per il pagamento delle imposte), ed ancor
meno alla popolazione in generale (grazie alla nota di La Tercera veniamo a
sapere che esiste un “buco di 25 milioni di pesos per appropriazione
indebita in una Casa Museo di Neruda”).

Per certi versi, forse all’avvocato Juan Agustín Figueroa dovrebbe andare il
nostro plauso, per il recupero della casa di Isla Negra, inizialmente donata
al Partito Comunista da Pablo Neruda, successivamente espropriata alla
collettività politica dalla dittatura di Pinochet e finalmente (a partire
dal 1991) amministrata dalla Fondazione. Se non fosse che… non è quello
che Neruda voleva, soprattutto se pensiamo alla sua poesia:

“lascio ai sindacati
del rame, del carbone e del salnitro
la mia casa sul mare d’Isla Negra.
Voglio che l&i
grave; abbiano riposo i maltrattati figli
della mia Patria, saccheggiata da asce e traditori,
distrutta nel suo sacro sangue,
ridotta in brandelli vulcanici.”
(Testamento, da Canto Generale. Messico, 1950.)

Juan Agustín Figueroa fu Ministro, titolare del dicastero dell’Agricoltura,
durante il governo di Patricio Aylwin (1990–1994), e la propria immagine
pubblica se l’è fatta soprattutto grazie alla sua carica di Presidente della
Fondazione Neruda. Il giornalista Cileno Ernesto Carmona descrive Figueroa
come: “una sorta di ponte politico tra l’estremista di destra Ricardo Claro
e la Concertación, la coalizione a maggioranza
socialista-democraticocristiana che governa il Paese”. “Io nominai Juan
Agustín Direttore (di Cristalerías Cile), perché siamo molto amici fin dai
tempi dell’Università”, dichiarò Ricardo Claro a Il Mercurio.”(vedi: Agencia
Cilena de Noticias del 17 Gennaio 2005).E’ possibile verificare chi sono i
membri del Direttivo di Cristalerías di Cile visitando il loro sito web,
www.cirstalCile.cl.  L’affinità ideologica tra Ricardo Claro e Juan Agustín
Figueroa viene chiaramente fuori quando il Presidente della Fondazione
Neruda invoca la ley antiterrorista contro due indigeni Mapuche (per un
presunto incendio e invasione delle sue proprietà nel sud del Cile, quando
la realtà è che i Mapuche da sempre vivono nel sud Cileno e Argentino); a
Figueroa è stata rivolta una richiesta di lasciare la Concertación,
(l’alleanza dei Partiti che governa il Cile) per aver violato i Diritti
Umani dei Mapuche attraverso l’impiego contro di loro della Ley
antiterrorista (Legge antiterrorista).

Il deputato socialista Alejandro Navarro Brain è autore di una durissima
Lettera aperta a Juan Agustín Figueroa in cui spiega quali retroscena
utilizzò la dittatura di Pinochet per far nascere la cosiddetta Ley
Antiterrorista.

Quanto all’altro membro del duo Figueroa-Claro, sul padrone di Cristalerías
Cile la rivista Rocinante, nel Novembre 2000, pubblicò la funa
(manifestazione contro i collaboratori di Pinochet) compiuta contro Ricardo
Claro: “Un migliaio di persone parteciparono il 14 Ottobre alla funa
(denuncia pubblica) dell’impresario Ricardo Claro, padrone di Megavisión,
delle imprese Cristalerías di Cile, ed altre ancora. I manifestanti
denunciarono di fronte alle sedi di Megavisión e Elecmetal la molteplice
complicità di Claro con la dittatura di Pinochet. Affermarono che il vertice
dell’impresa Elecmetal, presieduto da Ricardo Claro, consegnò a membri dei
carabineros (polizia) e dell’esercito i lavoratori José Devia, José
Maldonado, Augusto Alcaya, Miguel e Juan Fernández Cuevas e Guillermo
Flores. I sei furono assassinati brutalmente e i loro corpi fatti ritrovare
in varie vie di Santiago. I loro corpi presentavano segni di tortura e
numerosi colpi d’arma da fuoco”. Da parte sua, Ricardo Claro nega qualsiasi
tipo di collaborazione con la dittatura di Pinochet: “Il proprietario di la
Compañía Sudamericana di Vapores, Ricardo Claro, affermò con fastidio che è
una ‘stupidaggine’ credere che le navi della sua impresa furono utilizzate
come centri di tortura durante il regime di Augusto Pinochet, come viene
invece sostenuto da organizzazioni di difesa dei Diritti Umani” informò
Radio Cooperativa (notizia del 2 Dicembre 2004 sul loro sito web
www.cooperativa.cl).

Ora i ruoli s’invertono e si rendono i favori: se a Juan Agustín Figueroa
viene dato modo di far parte del Consiglio direttivo di Cristalerías Cile
(proprietà di Ricardo Claro) ora la Fondazione Neruda investire gran parte
del suo capitale a favore proprio della stessa Cristalería Cile, (è l’ultima
decisione del direttivo della Fondazione Neruda, decisione fino ad ora non
venuta pienamente a galla né sulla stampa nazionale né internazionale a
causa della enorme influenza di Ricardo Claro e della buona reputazione
ufficiale di cui la Fondazione Neruda gode). Si tratta di un investimento
iniziale di mille e 300 milioni di pesos Cileni (2.315.227,25 dollari USA) e
se calcoliamo che ogni anno visitano le case di Neruda all’incirca centomila
persone — cifre ufficiali — (x 2.500 pesos Cileni) Cristalerías Cile si vede
garantiti 250 milioni di pesos Cileni l’anno (445.236 dollari) senza far
cenno alle entrate derivanti dalle vendite di ogni libro di Neruda che si
venda in qualunque parte della Terra e in qualsivoglia traduzione.

Alla vigilia del Centenario di Neruda (2004) la Fondazione commise un grave
atto contro uno dei suoi impiegati, Luis Alberto Ocampo, accusandolo di
“appropriazione indebita” di 25 milioni di pesos Cileni, cosa incredibile se
consideriamo che Luis Alberto Ocampo era un modesto impiegato con l’unica
responsabilità di prestare il suo servizio presso l’emporio del museo. Una
fonte interna alla Fondazione mi ha confidato una versione diversa da quella
ufficiale: “La Fondazione Neruda incaricò degli investigatori interni, due
contadores capeggiati da Emilio Rojas, i quali stabilirono tramite perizia
contabile che la somma sottratta alla Fondazione Neruda è del tutto
dissimile da quella accertata dal procedimento giudiziario, dato che non si
trattava affatto di soli 25 milioni di pesos, (come pubblicato da La Tercera
del 10 Giugno 2004) bensì di perdite, tra il 2002 e il 2003, per 90 milioni
di pesos e nel 2004 (in sei mesi) per 50 milioni di pesos Cileni”. La stessa
fonte mi anticipò che Francisco Torres (Direttore Esecutivo della
Fondazione) si sarebbe dimesso “prima che la nave vada a fondo”, adducendo
come scusa la ricerca di “migliori prospettive di lavoro”. Inoltre, la fonte
mi spiegò: “Il meccanismo utilizzato per la sottrazione di 140 milioni di
pesos Cileni (249.309,95 dollari) avvenuta dentro la Fondazione Neruda è
stato quello di emettere fatture di onorari false, alcune delle quali
nemmeno furono dichiarate nel pagamento delle imposte da versare all’erario,
e se facciamo un confronto con la cifra contestata a  Luis Alberto Ocampo, è
davvero impossibile che abbia sottratto tutti quei soldi, visto il suo
incarico presso l’emporio di una delle case-museo di Neruda”. La mia fonte è
totalmente attendibile, le indagini condotte dal controllo tributario lo
dimostreranno. “Fare di Luis Alberto Ocampo un capro espiatorio mettendolo
in prigione è una mossa molto arbitraria”, dice telefonicamente il suo
avvocato, Alicia Meyer, che lo difende nella causa 1997–3 (anno 2004),
“Quando vuole può venire e visionare le mie carte” dichiara concludendo la
lunga chiacchierata telefonica che ho avuto con lei.

In definitiva:

La Fondazione Neruda non sta facendo assolutamente nulla per recuperare la
Antología Popular 1972 (progetto di Neruda e Unidad Popular per stampare un
milione di esemplari e distribuirlo gratuitamente a biblioteche pubbliche,
scuole e sindacati del Cile), anzi, avvalla il contratto della casa editrice
Spagnola EDAF con la Agencia Balcells per pubblicare una falsificazione del
libro, che ha ora per titolo Antología Póstuma con una presentazione zeppa
di bugie, scritta da Manuel Márque
z de la Plata. Il libro venne pubblicato
nella sua prima (ed unica) edizione in un totale di 150.000 esemplari.
Neruda desiderava una tiratura finale di un milione di copie ed impegnò
legalmente il suo editore Gonzalo Losada (e proprietario del Copyright) a
cedere tutti i diritti d’autore, con la clausola che il libro non avrebbe
potuto essere venduto. Tutto questo è stato volutamente omesso da Edaf,
Márquez de la Plata e Melquíades Prieto (direttore di Biblioteca Edaf): si
tratta di un furto compiuto ai danni del popolo del Cile, iniziato con la
dittatura di Pinochet e portato a conclusione (“legalmente”) da Edaf e dalle
omissioni della Fondazione Neruda.

Alla Fondazione Neruda non interessa cercare il prologo di Neruda al libro
Canción de gesta (stampato da Quimantú nel1973), inedito perché tutta la
tiratura venne distrutta dalla instauratasi dittatura di Pinochet, pur
sapendo che un unico esemplare sopravvissuto esiste, disperso in qualche
stanza della Biblioteca di Letteratura Straniera di Mosca (come da mia
inchiesta sulla rivista Rocinante dell’Agosto 2004), così come ugualmente la
Fondazione Neruda negò il proprio appoggio allo scrittore e architetto
Ramiro Insunza, per pubblicare il libro inedito Oda a las flores de Datitla,
che Neruda scrisse durante la propria permanenza in Uruguay, durante gli
anni 50, e che rimase impubblicato fino al 2003, data del trentennale della
morte del poeta.

La Fondazione Neruda mise fine al Tren de la poesia (evento culturale di
carattere gratuito che riuniva scrittori di tutto il Mondo ogni 23 di
Settembre, data della morte di Neruda, a Temuco) espellendo il poeta
Bernardo Reyes (nipote di Neruda) non solo dall’organizzazione dell’evento
ma dalla stessa Fondazione. Inoltre, continua a negargli la paternità della
scoperta dei leggendari Cuadernos di Temuco (poesie inedite di Neruda
scritte in gioventù) incaricando della loro presentazione Víctor Farías, un
completo neofito della poesia nerudiana.

La Fondazione non solo nega un posto al suo interno agli stessi familiari di
Neruda, ma fa anche omissione completa della militanza politica del poeta.
Ecco alcuni esempi: “Ha impedito, tramite ricorso al tribunale, la
pubblicazione di un libro, di Leonidas Aguirre, che raccoglieva i discorsi
parlamentari di Pablo Neruda, che tra il 1945 ed il 1948 era stato senatore
del Partito Comunista, adducendo una presunta violazione dei ‘diritti
d’autore’ che possiedono in esclusiva; e questo sebbene più tardi la Corte
d’Appello di Santiago abbia autorizzato la pubblicazione dell’opera,
evidenziando che gli atti delle sessioni del Senato non sottostanno alla
disciplina della Legge 17.336 riguardante la ‘proprietà intellettuale’,
(periodico Azkintuwe, numero 1, Ottobre 2003); poi censurò il saggio di
Julio Gálvolta (specializzato sul periodo che Neruda trascorse in Spagna),
intitolato Testigo ardiente di una época; lo scrittore Jaime Valdivieso si
dimise dal suo incarico all’interno del direttivo della rivista Cuadernos
della Fondazione Neruda, quando il suo saggio sulla poesia Mapuche,
approvato para dall’intero Consiglio Editoriale, venne successivamente
bloccato da Aída Figueroa perché i Mapuche, disse, erano quelli che aveva
incendiato uno dei fondi che il fratello possiede nel sud del Paese.
Inoltre, esistono non pochi intellettuali di fama internazionale in
disaccordo con i metodi dell’attuale amministrazione della Fondazione
Neruda; Jorge Edwards (Premio Cervantes 1999) fu il primo dissidente,
rinunciando a far parte del direttivo della Fondazione Neruda; Bernardo
Reyes (espulso dalla Fondazione) e due scrittori che non hanno bisogno di
presentazioni in Messico, dati i loro conosciuti trascorsi letterari: Poli
Délano e Gonzalo Rojas che solidarizzarono con Bernardo Reyes allorquando
questi subì l’ingiusto allontanamento. Ma la Fondazione non si preoccupa di
dar conto a nessuno, esclude dalle riunioni del suo direttivo i comités
asesores di Santiago e Valparaíso (si tratta di due comitati, composti da
artisti e intellettuali di valore), non fa nulla per chiarire che fine
abbiano fatto i 140 milioni di pesos Cileni scomparsi (249.309,95 dollari).

E la più grande incongruenza è che la Fondazione Neruda sta investendo le
proprie fortune (diritti d’autore e biglietti d’ingresso alle case-museo) a
favore dell’impresario Ricardo Claro (ex collaboratore di Pinochet), cosa
che se da un lato non è illegale è però totalmente immorale. Ricardo Claro
(proprietario della Compañía Sudamericana de Vapores) impresa che — è stato
segnalato da Organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani — permise che le
sue navi venissero utilizzate come centri di tortura durante la dittatura di
Augusto Pinochet. Preservare il patrimonio di Neruda (case, libri e archivi
personali) investendo in nuovi progetti in cui sono coinvolte le imprese di
Ricardo Claro — la memoria del nostro poeta lo grida -, semplicemente non
può e non deve accadere.

Nota Finale:

Ho inviato per lo meno cinque questionari al sito web della Fondazione
Neruda e all’indirizzo personale di Francisco Torres (Direttor Esecutivo
della Fondazione), perché volevo, prima di andare in stampa, dare una
possibilità alla Fondazione di una risposta ufficiale a quanto sostengo nel
presente saggio, ma tutto quello che ho ottenuto è stato: “Il suo messaggio
è stato ricevuto senza problemi. La Fondazione si riserva il diritto di
rispondere. Le ringraziamo per averci scritto. Fondazione Pablo Neruda”.

 
Traduzione di Michele Metta – Isla Infinita
.…
Leggi anche:l’articolo di Michele Metta
 
 

Unidad contra el genocida Fujimori

4 commenti

La notizia è importante, non ho purtroppo tempo per approfondire ulteriormente, comunque il Cile ha negato al Perù,   l’estradizione di Alberto Fujimori, dove doveva essere giudicato per crimini contro l’umanità. La sentenza verrà nuovamente discussa dal Tribunale Penale della Corte Suprema.
Por: Julio Carmona
Con estupor recibimos la noticia.  Desconociendo la sólida argumentación  de la fiscal Mónica Maldonado, los antecedentes del ingreso ilegal de Fujimori a Chile, el clamor del pueblo peruano, los llamamientos internacionales,  la larga lista de hechos que demuestran la actitud delincuencial del prófugo, incluida la maniobra de candidatear a una senaduría en Japón, ORLANDO ALVAREZ ha rechazado la extradicción de quien fugó del Perú dejando a los cómplices y operadores de sus délitos envueltos en juicios y ahora en cárceles.
Su resolución será revisada por la Sala Penal de la Corte Suprema  donde el peso de la justicia tendrá que estar de lado la vida de los asesinados, los miles de desaparecidos, el dolor de una sociedad mancillada, el destrozo de la institucionalidad, la verdad manipulada hasta la náusea y la ingente cantidad de dinero robado a un pueblo pobre.
Chile tiene que recordar que se trata de un delincuente, conocido como uno de los jefes de estado más corruptos del mundo.  Chile, el pueblo, que sufrió la dictadura de Pinochet, el mismo pueblo que en su momento recibió la concreta solidaridad de tantos hermanos peruanos que sufrimos y nos solidarizamos con su causa, no puede preferir la bolsa  a la vida.
De otro lado, los crímenes de lesa humanidad son imprescriptibles. Y si Chile exculpa al delincuente prófugo, no solo el Perú será ofendido sino la conciencia moral del planeta.
Una espera activa se impone.
Los gremios nacionales, ahora movilizados, las diversas instituciones del país, cada persona que se tenga un mínimo de respeto no puede dejar de hacer sentir  su estupor y su reclamo.
Para empezar, esta tarde en Lima, frente a la Embajada de Chile.

Colombia, gli undici martiri dello scambio umanitario

11 commenti
Gli undici deputati dell’Assemblea del Valle del Cauca che il Comando Congiunto d’Occidente delle FARC-EP, con un comunicato del 23 giugno scorso, informa che sono deceduti nel “mezzo del fuoco incrociato”, sono in ordine di tempo gli ultimi martiri del cosiddetto scambio umanitario.
Il comunicato delle FARC fa riferimento ad un “gruppo militare finora non identificato”, il quale avrebbe attaccato l’accampamento in cui si trovavano, addossando la responsabilità dell’accaduto alla “demenziale intransigenza” del presidente Uribe.
Uribe, dal canto suo, due giorni fa,  nella conferenza stampa ha dichiarato che “il governo accusa il gruppo terrorista delle FARC dell’omicidio dei deputati “.
Il Ministro della difesa Juan Manuel Santos appoggiando la versione del presidente, ha detto che in questo caso andrebbe applicato il buon senso per cui e’ impossibile che in uno scontro a fuoco siano morti solo gli ostaggi e nessun militare o nessun guerrigliero.
Il Ministro degli Interni Carlos Holguin Sardi non esclude invece la possibilità che ci sia stato uno scontro a fuoco con alcuni gruppi di paramilitari, probabilmente le  Aguilas Negras,  la nuova generazione di paramilitari che non hanno aderito alla smobilitazione.
Il comandante del ELN, Juan Carlos Cuellar si è sentito in dovere di assicurare che i suoi uomini ultimamente non hanno avuto scontri con le FARC e così fa sapere anche il capo dei paramilitari smobilitati Ernesto Baez  dal carcere di massima sicurezza di Itagui, scartando l’ipotesi del coinvolgimento delle Aguilas Negras  nella vicenda.
Fin qui  le versioni ufficiali  di tutte le parti in causa.
Secondo un’altra versione, invece, un po’ più “complottista” ma tuttavia non priva di riscontri,  un commando del Gaula (corpo speciale antisequestro dell’esercito colombiano)e paramilitari guidati da nordamericani hanno attaccato l’accampamento dove si trovavano le FARC, nella zona di confine tra il Valle e Nariño.
Secondo questa versione si sarebbe trattato di una delle operazioni segrete nell’ambito del Plan Patriota, utilizzando  tecniche già sperimentate con successo in Asia, Medio Oriente, nei  paesi arabi e quelli del centro America.
Questi corpi speciali sarebbero addestrati nelle basi americane di Manta e Aruba e in alcune basi  colombiane,tra cui la base di Castilletes sul Golfo del Venezuela con lo scopo di liberare gli ostaggi nelle mani della guerriglia e successivamente preparare attacchi al vicino Venezuela, dove   gruppi di Aguilas Negras, agenti del DAS (la sicurezza colombiana) e la SIJIN (un corpo della polizia giudiziaria)  già si sarebbero infiltrati  per provocare una guerra civile e giustificare così un intervento straniero.
Un interessante articolo su El Colombiano, quotidiano di Medellín, invece elenca questa  serie di ipotesi:
1)     alcuni analisti suppongono che un gruppo di Aguilas Negras, probabilmente patrocinati da un cartello del Nord del Valle, durante un’incursione nel territorio dove erano tenuti  nascosti gli 11 deputati abbiano causato la reazione delle FARC. Ciò nonostante risulta difficile credere, come ha fatto notare il Ministro della Difesa Santos,  che il fuoco incrociato abbia colpito solo gli ostaggi, è più probabile l’ipotesi secondo la quale il gruppo paramilitare abbia colto di sorpresa le FARC , le quali confondendoli con l’esercito abbiano attuato l’ordine ricevuto dai vertici  del gruppo armato di eliminare gli ostaggi, come già accaduto in passato in questi casi.
2)     L’accaduto potrebbe essere in relazione con la morte di Milton Sierra, alias JJ, noto come la mente dell’operazione che ha portato al sequestro dei deputati nell’aprile 2002. La morte di Sierra avrebbe lasciato il gruppo senza guida e alcuni dei suoi uomini per vendetta avrebbero deciso di eliminare gli ostaggi. JJ è stato ucciso approssimativamente il  15 giugno scorso in un’operazione congiunta di Esercito, Armata Nazionale e Forza Aerea, quindi appena pochi giorni prima del  comunicato delle FARC in cui la morte degli 11 deputati del Valle si fa risalire al 18 giugno. Anche in questa notizia, balletto di date, Juan Manuel Santos,   infatti  assicura che JJ fu ucciso il 6 giugno e quindi circa 12 o 13 giorni prima della morte dei deputati.
3)     Nonostante il governo abbia negato un’azione militare volta alla liberazione degli ostaggi non è detto che nelle immediate vicinanze non ci sia stato movimento di truppe, e che questo abbia provocato la tragica decisione di eliminare i deputati.
4)     Le FARC avrebbero deciso di eliminare gli ostaggi per provocare un’immediata reazione della comunità internazionale affinché faccia pressione  per una rapida soluzione dello scambio umanitario.
 
La situazione è intricata e  aperta ad ogni possibilità, se veramente fossero coinvolte le Aguilas Negras sarebbe anche più inquietante, come ha dichiarato infatti l’esperto dei servizi segreti Jairo Libreros “se questa ipotesi fosse reale, sarebbe preoccupante che le Aguilas Negras abbiano  un sistema di intelligence superiore a quello dell’ esercito , dal momento che avrebbero localizzato  le FARC e gli ostaggi prima dell’esercito, salvo il fatto che a loro non interessava salvare la loro vita”.
 
E’ grande il dolore e la rabbia dei familiari delle vittime che nonostante indicano come responsabile dell’accaduto la guerriglia, fanno sapere per tramite della portavoce Fabiola Perdomo, vedova di Juan Carlos Narvaéz, all’epoca del sequestro presidente dell’Assemblea Del Valle del Cauca, che   ritengono che il governo sia ugualmente colpevole nella tragedia  perché “ha avuto gli strumento politici e giuridici per lo scambio umanitario e non ha fatto nulla per realizzarlo”.
Altri familiari parlano di un “atteggiamento di intolleranza per cui non c’e’ stata volontà di raggiungere l’accordo umanitario”.
Tutti comunque manifestano la sensazione che il governo in questi cinque anni in cui è durato il sequestro, non abbia realmente mostrato la volontà politica per giungere ad uno scambio umanitario.
Tutti concordano sul fatto che il Governo dovrebbe accettare la smilitarizzazione dei municipi di Florida e Pratera come unica soluzione per riportare al paese gli altri ostaggi nelle mani della guerriglia ed avviare un processo di pace.
Le dichiarazioni di Uribe all’indomani della notizia della morte degli undici deputati non hanno effettivamente ottenuto pieno consenso, alcuni passaggi sono stati  criticati dai familiari delle vittime, come quello con il quale in cui il presidente apre  la conferenza stampa dichiarando che “per il Governo Nazionale la liberazione degli ostaggi è stata prioritaria” . Egli è stato inoltre smentito quando ha detto che le “FARC in modo sprezzante, hanno avvertito i familiari degli undici deputati telefonicamente”. Questi fanno sapere di non aver ricevuto nessuna telefonata dalle FARC e chiedono a Uribe  “molta delicatezza in questo momento di dolore”.
Álvaro Uribe ha distinto il suo governo per l’intransigenza e la politica militare con cui ha preteso di affrontare il delicato problema dell’accordo umanitario.
Ha considerato sempre il rifiuto alla smilitarizzazione dei territori di Florida e Pratera,  come una questione di principio o di onore militare e come più voci fanno notare, ha usato l’eventuale liberazione degli ostaggi come prova del suo successo politico. La famiglia di Ingrid Betancourt chiede ai paesi coinvolti nelle trattative, Francia, Spagna e Svizzera, (che nelle settimane scorse stavano conducendo trattative con il portavoce delle FARC Raùl Reyes) che si impegnino per ottenere con fermezza dal presidente colombiano la fine di qualsiasi operazione militare volta alla liberazione degli ostaggi e un impegno per il raggiungimento di un accordo umanitario.
Accordo umanitario che si profila ancora più lontano  dopo questa tragica notizia e dopo la reazione di Uribe, che in un intervento pubblico al nord del paese  ha tuonato che il Governo non lascerà che “in questo momento qualcuno si approfitti del dolore per esigere una zona di smilitarizzazione che permetta ai criminali delle FARC di sfuggire alla Forza Pubblica, che ha il compito di sconfiggerli”.
Opinione diffusa è che la stessa intransigenza governativa  non è stata dimostrata nello svolgimento delle trattative per la smobilitazione dei paramilitari.
In queste circostanze, nella ricerca affannosa del colpevole, tutte le parti chiamate in causa, sembrano dimenticare  che il sequestro degli 11 deputati si è protratto per ben 5 anni senza che si aprisse alcuno spiraglio di speranza nella loro liberazione, paradossalmente quando questa sembrava essere più vicina, il tragico epilogo.
Un attimo di paura delle FARC e quindi un segnale di debolezza? O una manifestazione di forza? L’esercito colombiano o le Aguilas Negras?
Probabilmente la verità come spesso accade in Colombia non si conoscerà mai, nel generale scaricabarile  che ne sta conseguendo.
L’anno scorso durante le trattative per la smilitarizzazione dei territori, scoppiò un’auto bomba nell’Università militare,   il Governo accusò le FARC e molti nutrirono dei dubbi, adesso nuovamente nel momento di trattative per la smilitarizzazione degli stessi territori, ci sono 11 deputati assassinati, non si sa bene da chi, le  FARC accusano il Governo e l’Esercito e molti nutrono dei dubbi.
Come ha scritto Antonio Caballero in un suo editoriale su  Semana, “la guerra non è la causa dei mali del paese, ma la sua conseguenza, per non essersi resi conto di questo, si è preteso risolvere questi mali con più guerra, come se la malattia fosse la cura. La dose più recente di questa cattiva medicina è stata quella somministrata dal governo ciarlatano di Uribe , la cui promessa è stata quella di vincere la guerra per poter poi arrivare alla pace: come se la guerra fosse il frutto della volontà malvagia di alcuni “cattivi colombiani” e non il prodotto (tra tanti altri) dell’ingiustizia essenziale che ha preteso mantenere tramite la stessa guerra, un forma estrema di repressione sociale”.
 
Questa ovviamente non vuole essere una giustificazione alla barbarie che sicuramente viene con la stessa violenza da ambo le parti (e il detenere per anni persone lontano dalle proprie famiglie sicuramente ne rappresenta un aspetto tragico) ma un invito alla riflessione sul fatto che rispondere alla violenza con la violenza non può che generare altra violenza e che il governo attuale nonostante tutto si è dimostrato incapace di condurre delle trattative,   prova ne è il fatto che probabilmente se un attore importante ci sarà in questo scenario, si tratterà sicuramente della comunità internazionale, a dispetto dei fondi e della demagogia spesi per la campagna di sicurezza del paese.

Segnalo inoltre:

Cómo nos duele su Semana

Y los que quedan? su Semana

Lo humanitario y lo político di Antonio Caballero

Uccisi 11 deputati sequestrati da cinque anni di Bogotalia

Vero e profondo dolore di Bogotalia  

 
  
 
 
 

Marcel Granier riparte dal Messico

1 commento

Marcel Granier La destra conservatrice messicana, rappresentata dal PAN, Partito di Azione Nazionale, ha sempre avuto un debole per i personaggi venezuelani legati in qualche  modo al fallito golpe dell’11 aprile 2002 contro il presidente Hugo Chávez..

Poco prima delle elezioni presidenziali dello scorso anno, Felipe Calderón , nel corso della campagna elettorale che lo portò alla presidenza del paese,  aveva manifestato in varie occasioni il suo disappunto riguardo al fatto che i messicani si recassero a Caracas per essere curati gratuitamente alla vista con  il programma Operación Milagro, argomentando che si trattava di un’evidente intromissione del Venezuela al processo elettorale messicano.

Non aveva invece disdegnato, sebbene fosse anche quella un’evidente intromissione al processo elettorale messicano,  l’appoggio dell’ex primo ministro spagnolo  José María Aznar, alla sua campagna elettorale.

In ogni evento organizzato dalla destra messicana  sono presenti attivisti venezuelani contrari a Chávez invitati per diffondere propaganda contro il governo del loro paese, ospitati dal PAN e dal movimento internazionale conservatore  che ad esso fa riferimento, l’ODCA (Organizzazione americana dei democratici cristiani, che riunisce più di trenta partiti politici latinoamericani) il cui presidente attuale  è Manuel Espino, dirigente del PAN, il quale dichiarò a suo tempo che il  PAN “intraprenderà tutte le azioni necessarie per mettere in difficoltà il Presidente del Venezuela, così come il Governo cubano”.

Poco prima della vittoria di Calderón alle presidenziali messicane del 2 luglio 2006 Espino rese note anche le linee guida per la politica estera del Partito di Azione Nazionale e dell’ODCA :“dopo aver vinto la Presidenza del Messico il 2 luglio 2006 vamos por Venezuela” .

In realtà è fitta e dinamica la  rete di legami e connivenze tra la  destra messicana e quella golpista venezuelana, sotto la sapiente regia di quella spagnola guidata da Aznar, di cui è noto il suo appoggio al golpe venezuelano, quando era ancora capo del governo.

Nel giugno del 2003 l’Associazione Nazionale Civica Femminile (Ancifem) un gruppo femminile con solidi legami nel PAN , organizzò a Città del Messico  il suo XIV congresso nazionale in cui una delle conferenze principali fu tenuta dal politico cattolico venezuelano Eduardo Fernàndez , del COPEI (Partito sociale cristiano venezuelano) che illuminò la platea sulla situazione del suo paese.

Fernández fu  presidente dell’ODCA e fece da  tramite tra la Spagna e il Venezuela nell’organizzazione del golpe contro Chávez, pochi giorni prima dell’11 aprile 2002 lo troviamo infatti a Madrid da cui ritornò a Caracas via Washington dove partecipò ad una riunione dell’ODCA.

 Il PAN rinnova in questi giorni il suo appoggio a quella parte della società venezuelana che sta cercando consensi nella comunità internazionale per la sua critica al governo eletto con il pieno consenso e in piena legittimità di Chávez. Marcel Granier, infatti, direttore di RCTV, al centro della polemica nei giorni scorsi per il mancato rinnovo della sua licenza, riparte dal Messico  per proseguire con la sua campagna di discredito e delegittimazione del suo Presidente.

In questa settimana infatti si trova a Città del Messico, accompagnato da José Maria Aznar , dove i due si  incontreranno con alcuni dirigenti del PAN.

Incontreranno anche  alcuni membri dell’ODCA, il cui presidente attuale è Manuel Espino, lo stesso Espino che evidentemente sta mantenendo la promessa fatta prima della vittoria del PAN alle elezioni, e cioè quel vamos por Venezuela di cui sopra.

Nella stessa sede dell’ODCA avverrà inoltre un incontro tra Aznar, Granier  e l’ex presidente messicano Vicente Fox. Aznar parlerà del suo programma  “America Latina , un’agenda per la libertà” e Granier  diffamerà a gran voce  il governo venezuelano.

“L’America Latina, un’agenda per la libertà”  fu presentata dalla FAES (Fondazione per l’Analisi e gli Studi Sociali) di cui Aznar è il presidente,   all’IRI (Istituto Repubblicano Internazionale) e al NDI (Istituto Democratico Nazionale per gli Affari Internazionali) a Washington  il 10 aprile scorso.

“L’agenda della libertà” di Aznar è un programma in cui il falangista spagnolo auspica  un futuro per il Sud America basato sui valori occidentali dove per “occidente” si intende “il mondo che ha le sue radici nella tradizione greco-romana classica” e che ora “prospera grazie al libero mercato”, da contrapporre a quelle istanze che si ispirano al Socialismo del XXI secolo e “cercano di allontanare questa regione del mondo dal progresso e metterla contro al resto del mondo”.

Ricordiamo che attraverso l’IRI  e l’NDI passarono  fondi statunitensi in appoggio al golpe venezuelano del 2001.

Trovando immediatamente campo di applicazione per la sua “agenda per la libertà” Aznar a Città del Messico ha confermato il suo appoggio a Marcel Granier dopo quello già concessogli in occasione del golpe a Caracas del 2002.

Marcel Granier dal canto suo ha confermato di aver già preso contatti   con importanti società televisive messicane  per trasmettere il segnale di RCTV dal Messico e per produrre insieme programmi televisivi.

“Il nostro impegno –ha detto Granier– con i nostri dipendenti, con il nostro pubblico televisivo e con i nostri azionisti è ristabilire quel contatto, che sia  dal Venezuela o dall’estero”  aggiungendo che “Chávez sta conducendo il Venezuela su di una strada pericolosa di totalitarismo, di confisca di tutti i poteri, di eliminazione della libertà e sta cercando di estendere questo progetto ad altri apesi”.

Le televisoni messicane che ovviamente offriranno appoggio a RCTV saranno Televisa e TV Azteca, che detengono il monopolio dell’offerta televisiva nel paese.

Televisa controlla  il potere mediatico in Messico, potere che si è ulteriormente consolidato con la così detta “Ley Televisa” dell’aprile 2006, che di fatto ha sancito la privatizzazione di un bene pubblico come quello delle frequenze televisive e radiofoniche.

Intanto il ministro degli esteri venezuelano, Nicólas Maduro ha denunciato che “continuano le ingerenze straniere  in affari interni del governo venezuelano”, riferendosi alla conferenza tenuta da Aznar a Città del Messico e con parole molto dure ha aggiunto che “Aznar crede di essere una specie di viceré in America e mercoledì scorso (a Città del Messico) si è sentito come chi va a colonizzare le nostre terre un’altra volta. Non lo ha fatto come presidente di un governo, ora pretende di farlo come portavoce di un impero finanziato da istituzioni nordamericane, nessuno dal nord può venire a darci lezioni di democrazia”.



 

 

 


Farc delegano Rogrigo Granda

3 commenti

Rodrigo Granda

Le FARC hanno dichiarato giovedì che sono disposte a delegare a Rodrigo Granda il compito di verificare che si compia la smilitarizzazione da parte del governo colombiano dei municipi  di Florida e Pratera, condizione necessaria per lo scambio umanitario.
 


Lettera al Parlamento Europeo in difesa dei diritti del Popolo Mapuche

1 commento

Alcune associazioni di cittadini cileni rifugiatisi in Europa in seguito alla dittatura di Pinochet e che agiscono in difesa dei diritti del popolo Mapuche del Cile, prendendo spunto dalle risoluzioni di alcuni comitati dell’ONU,  tra  i quali il Comitato dei diritti del bambino, quello per i Popoli Indigeni, il Comitato per i diritti Civili e Politici nonché dai rapporti di  Amnesty International,  hanno inviato e continueranno a farlo finchè non si interverrà in tal senso, una lettera al Parlamento Europeo e per conoscenza ad alcuni parlamentari cileni, denunciando le gravi violazioni dei diritti umani a cui è sottoposto sistematicamente il popolo Mapuche del Sud del Cile.
Viene inoltre fissata una scadenza che è quella di marzo 2008 per verificare se verranno compiuti progressi in questo senso.
Intanto in Cile la situazione continua ad essere sempre più difficile per tutte le popolazioni indigene, particolarmente per il popolo Mapuche (della Patagonia cilena ed argentina) che si vede sistematicamente negato il suo diritto alla terra.
Le multinazionali straniere, con la complicità del governo, distruggono l’ecosistema e negano il futuro al popolo originario.
La pacifica lotta  del popolo Mapuche per la  difesa dei suoi diritti   viene duramente repressa e i suoi sostenitori e leader vengono imprigionati e condannati come terroristi secondo la vecchia legge n. 18.314, emanata sotto la   dittatura di Pinochet in vigore ancora oggi dopo 15 anni di governi della Concertación.
Sfortunatamente tutte le pressioni della comunità internazionale  affinché i membri della comunità Mapuche arrestati per atti di protesta o rivendicazioni sociali non vengano condannati per terrorismo fino a questo momento  non sono state rispettate dal governo cileno.
Questo sito nel suo piccolo, appoggia la lotta del popolo Mapuche e si fa portavoce in Europa delle istanze necessarie al riconoscimento dei suoi diritti fondamentali.
Leggi qui la lettera al Parlamento Europeo.
 
Inviare adesioni e sostegno a:
Solidarietà con il Popolo Mapuche – Coordinatrice Italia
href=“violetadotserenaatfastwebnetdotit“>violetadotserenaatfastwebnetdotit
 
oppure:
Associazione Cultura Mapuche
Gotemburgo – Svezia
href=“kulturamapucheatgmaildotcom“>kulturamapucheatgmaildotcom
 
 
Consultare il sito KULTURA MAPUCHE per la lista completa delle adesioni all’ l’iniziativa.
 

Pagina 80 di 87« Prima...102030...7879808182...Ultima »