Carta al Parlamento Europeo en defensa de los derechos del Pueblo Mapuche
Algunas asociaciones de ciudadanos chilenos refugiados en Europa de la dictatura de Pinochet y que actúan en defensa de los derechos del pueblo Mapuche,en Chile, basándose en las Recomendaciones de algunos comités de la ONU, entre ellos el Comité por los Derechos del Niño, Derechos de los Pueblos Indígenas, por los Derechos Civiles y Políticos, y por Amnesty International, han enviado una petición al Parlamento Europeo y con copia a parlamentarios chilenos , denunciano las graves violaciones de los derechos humanos que sufre sistemáticamente el pueblo Mapuche en el Sur de Chile.
Se establece entonces una fecha; marzo 2008 para verificar si se cumplen progresos hasta esa fecha.
En Chile la situación sigue siendo cada día más difícil, por todas las comunidades indígenas, en particular por el pueblo Mapuche (en la Patagonia de Chile y de Argentina) que se ve continuamente negado su derecho a la tierra.
Las transnacionales extranjeras con la complicidad del gobierno destruyen el ecosistema y niegan el futuro a los pueblos originarios.
La lucha pacífica del pueblo Mapuche por la defensa de sus derechos viene reprimida muy duramente y sus leaderes son encarcelados y condenados como terroristas según la Ley n. 18.314 emanada por la dictatura de Pinochet y vigente hasta ahora, a 15 años de gobiernos de la Concertación.
Desafortunadamente hasta el dia de hoy, el gobierno de Chile no ha tomaio en cruenta todas las presiones de la Comunidad Internacional todas las presiones de la comunidad internacional para que los miembros de la comunidad Mapuche que han sido encarcelados por protestas o reivindicaciones sociales, non sean condenados como terroristas.
En este espacio web, modesto, apoya la lucha del pueblo Mapuche y se hace tambien vocero en Europa de las demandas necesarias para que sean reconocidos sus derechos fundamentales.
Aqui la carta al Parlamento Europeo
Enviar apoyo y adhesiones a:
Solidariedad con el pueblo Mapuche – Coordinadora Italia
y
Associación Cultura Mapuche
Gotemburgo – Suecia
Visite el sitio KULTURA MAPUCHE con todas las adhesiones
Stati Uniti isolati all’assemblea generale dell’OEA — La Rice si alza e se ne va.
Tra le tante cose che sono state dette sul caso RCTV quella che è passata quasi inosservata è che gli Stati Uniti sono rimasti praticamente isolati nell’ultimo vertice dell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani) che si è tenuto nei giorni scorsi a Panama.
Condoleeza Rice nel suo discorso aveva chiesto che una delegazione della OEA si recasse in Venezuela al fine di controllare sul mancato rinnovo di RCTV considerando che si tratta della “misura più antidemocratica assunta dal presidente Chávez fino a questo momento”.
Dura replica del ministro degli Esteri venezuelano Nicolas Maduro che ha definito “inaccettabile” la richiesta della Rice e la ha accusata di stravolgere l’agenda della riunione (che aveva per temi ambiente e sviluppo) con il caso RCTV.
Secondo Nicolas Maduro la richiesta di Condoleeza Rice dimostra chiaramente che gli Stati Uniti hanno legami con l’opposizione venezuelana e le recenti manifestazioni a Caracas.
“Fate attenzione come coincida perfettamente la strategia di questa opposizione venezuelana, collegata all’Ambasciata degli Stati Uniti, con la petizione della Rice all’OEA. Stavano cercando di spargere sangue per le strade di Caracas in questi giorni, per chiedere l’intervento dell’OEA”, ha detto Maduro.
Condoleeza Rice ha abbandonato prima del previsto la riunione della OEA nel corso dell’intervento del ministro degli Esteri venezuelano il quale le ha anche chiesto di permettere alla “nuova televisione sociale del Venezuela” Tves un reportage nel carcere di Guantánamo con interviste a tutti i detenuti. Ha anche ipotizzato che una commissione speciale dell’OEA supervisioni il muro con la frontiera messicana “ e le violazioni dei diritti umani che avvengono lì tutti i giorni”.
Di fatto la richiesta di Condoleeza Rice è passata inascoltata alla 37 assemblea Generale dell’OEA così come la discussione sul caso di Luis Posada Carriles. Nonostante le forti pressioni del Senato degli Stati Uniti che chiedevano di mettere in agenda nell’Assemblea dell’OEA una discussione sulla decisione del Venezuela di non rinnovare la licenza a RCTV, evidentemente la maggior parte dei 34 paesi che compongono l’organismo non credono sia opportuno confrontarsi in questo modo con il governo venezuelano.
Il segretario generale dell’OEA José Miguel Insulza pur esprimendo personali perplessità sull’operato del governo venezuelano infatti ha ribadito che “la OEA non può agire contro la legittima volontà degli stati membri”. “Quella di RCTV non è una chiusura, visto che può ancora emettere via cavo o via satellite” e “questo non si può chiamare attentato alla libertà d’espressione, attentato è una parola troppo forte” ha aggiunto.
Anche per il segretario generale dell’OEA.
A Santa Fé de Ralito, in Colombia…strani francesi e capi paramilitari.
Salvatore Mancuso e Jorge 40
A Santa Fé de Ralito, in Colombia nel luglio del 2001 è stato firmato un documento inquietante con il quale 32 persone tra capi paramilitari (tra i quali i tristemente noti Salvatore Mancuso e Jorge 40), rappresentanti del Congresso, sindaci, governatori, funzionari locali e anche un giornalista hanno sugellato la nascita di un “nuovo patto sociale”.
Questo patto fu ratificato con il nome di “accordi segreti di Ralito”.
Praticamente un’associazione a delinquere tra paramilitari e politici. La così detta parapolitica colombiana messa nero su bianco.
Questa è una delle rivelazioni che ha fatto nel mese di gennaio 2007 Salvatore Mancuso (sono passati 5 mesi e lui non ha ancora finito di parlare…) davanti alla Fiscalía accettando così i benefici della legge di Giustizia e Pace (o “legge del colpo di spugna” a seconda di come la si veda…) per la quale se confessa i suoi crimini e partecipa al processo di pace verrà condannato ad una pena non superiore agli otto anni.
Ma al tavolo di Ralito non erano seduti solo colombiani, vi erano anche due ospiti internazionali e per la precisione un francese e un argentino, di tutto rispetto: “due professori della Sorbona” che avrebbero partecipato alla riunione come consiglieri politici dei capi delle Autodifese Unite della Colombia (e cioè Salvatore Mancuso e Jorge 40) .
Si tratterebbe di Mario Sandoval e di Juan Antonio Rubbini Melato, i quali “avrebbero proposto la creazione di un movimento comunitario e politico a sostegno delle idee delle Autodifese e in favore di un processo di pace”. ( El Tiempo 26 novembre 2006)
La rivelazione è stata fatta da due funzionari colombiani che erano presenti a Ralito, il senatore Miguel de la Espriella e il direttore dell’Istituto Nazionale delle Concessioni (INCO) Carlos Ordosgoitia.
Juan Antonio Rubbini Melato è un argentino, più noto con lo pseudonimo di “il Che delle AUC” per le sue simpatie di gioventù per la figura di Ernesto Che Guevara (sic!). E questo la dice lunga sulla complessità del personaggio che pur non essendo un professore universitario della Sorbona, ma un disoccupato mantenuto dalla moglie (come egli stesso ha dichiarato in una recente intervista al settimanale El Espectador) alla riunione di Ralito veniva chiamato come “El professor”.
E lo fu infatti “professor”, fu consulente politico prima di Carlos Castaño e poi di tutto il gruppo paramilitare a lui legato.
Il Machiavelli della parapolitica intanto dal suo blog, La Paz en Colombia, in cui riporta con nonchalance tra i link il sito di Salvatore Mancuso e quello di CataholicNet, fa un’apologia del significato e del fine ultimo del paramilitarismo e di come questo debba trovare il sistema di inserirsi come soggetto politico nell’attuale conflitto in corso in Colombia. Certo è che a ben vedere gli ultimi avvenimenti della politica colombiana quello che salta agli occhi è che i paramilitari di fatto “soggetto politico” già lo sono diventati.
Mario Sandoval invece, l’altro “professore della Sorbona” sarebbe stato legato all’epoca all’Istituto di Alti Studi dell’America Latina (Iheal di Parigi), alla nuova Sorbona e all’Università di Marne-la-Vallée.
Bisogna precisare tuttavia che l’Iheal ha chiarito che Sandoval all’epoca era solo un loro assistente e non un professore ordinario.
Sandoval lo ritroviamo in Cile a novembre 2006 insieme a Alain Juillet, francese, direttore della Direzione generale della sicurezza esterna (Dsge) in Francia e direttore dell’intelligence economica ad un importante convegno tenuto presso il museo militare di Santiago sull’ “Intelligenza economica, difesa e sicurezza” organizzato dall’Università Bernardo O’ Higgins di cui Sandoval tra l’altro è professore associato. In quell’occasione Sandoval era presente come responsabile della direzione dell’Intelligencia Economica dell’Assemblea delle Camere Francesi e di Commercio e Industria (ACFCI).
Ma le sorprese non finiscono qui. Infatti in rappresentanza della società civile colombiana al congresso al museo militare di Santiago era presente una ONG (organizzazione non governativa) chiamata Verdad Colombia.
Viene a questo punto da chiedersi: cosa ci fa una ONG colombiana, che dal suo sito predica di avere come proposito “la difesa della democrazia, dei valori di libertà, dei diritti umani”, in un congresso organizzato da oscuri personaggi legati ai capi delle AUC come Sandoval, per conto dell’Università Bernanrdo O’Higgins, fondata nel 1990 da Pinochet?
In realtà Verdad Colombia non è una ONG qualsiasi.
E’una para-ong che ha legami forti e riceve sovvenzioni da molti think tank di estrema destra sia europei che statunitensi. Il suo sito web sembra costruito appositamente per infangare il nome di associazioni come Human Right Watch e Amnesty International e gettare discredito sul loro lavoro.
E’ interessante a questo punto aggiungere a queste notizie tratte ed ampliate dall’articolo di Laurence Mazure “Imprudenze o connivenze” apparso su Le Monde diplomatique di maggio, quelle aggiunte da Hernando Calvo Ospina, giornalista e scrittore colombiano residente in Francia, nel suo articolo dal titolo “Il lungo braccio del narco– paramilitarismo in Colombia” .
Egli aggiunge che “è per lo meno da dieci anni che proprio i paramilitari e specialmente i presunti scomparsi capi Fidel e Carlos Castaño dicevano di essere stati appoggiati e sostenuti da personaggi di strutture accademiche in Europa, specialmente in Spagna e Francia”.
Ma queste dichiarazioni non sono mai state tenute nella giusta considerazione.
Come aggiunge, non sono mai stati fatti controlli sulle proprietà immobiliari dei Castaño a Parigi e su chi o quale istituzione statale abbia di fatto permesso a Sandoval di avere accesso negli ambienti universitari francesi.
Prossimamente:
approfondimenti sulla ong Verdad Colombia.
Consiglio su RCTV:
di Gennaro Carotenuto:
di Attilio Folliero (La Patria Grande):
di Bruno Spelorzi (Un blog politicamente incorrecto)
di Antonio Pagliula (Vero Sudamerica)
di Maurizio Matteuzzi
Inoltre:
Dopo RCTV.…
Il 27 maggio scade la concessione a RCTV che non verrà rinnovata dal governo venezuelano.
E’ una legittima e giusta decisione, nonostante il suo significato sia stato, ovviamente trattandosi di una decisione della Repubblica Bolivariana del Venezuela, distorto dai media di tutto il mondo.
William Lara, giornalista e Ministro dell’ Informazione e della Comunicazione ha denunciato che RCTV, compiendo fino in fondo il suo mandato golpista e destabilizzatore ha programmato come ultima trasmissione la messa in onda dell’adattamento televisivo del romanzo di Mario Vargas LLosa “La festa del caprone”, in cui si narra del dittatore della Repubblica Dominicana Trujillo e di come grazie all’attività cospirativa dei sui oppositori venne assassinato ponendo fine così alla sua dittatura.
Lara denuncia pubblicamente che poiché è nota la campagna denigratoria e diffamante di RCTV contro il presidente eletto democraticamente Hugo Chávez, “RCTV esprime in questo modo pubblicamente il suo desiderio che ci sia spargimento di sangue nelle strade del Venezuela”.
Ha affermato inoltre che “in Venezuela alcuni operatori della comunicazione sociale hanno fatto del Codice Etico carta straccia e si sono dedicati a trasformare l’informazione giornalistica in propaganda politica”.
Il nuovo segnale del servizio pubblico televisivo sarà in onda appena 15 minuti dopo la fine delle trasmissioni di RCTV.
Il nuovo Canal 2 che inizierà la programmazione il 28 maggio si chiamerà Televisora Venezolana Social (Tves) e sarà una televisione di servizio pubblico.
In Venezuela esistono 20 canali nella banda VHF di proprietà privata dei quali lo Stato ne sta utilizzando uno solo e pertanto pur “rimanendo un monopolio privato, lo Stato sta solamente mostrando un’alternativa affinché i venezuelani si rendano conto che esiste un modo di fare televisione più partecipativo, senza violenza né sesso”, ha detto Jesse Chacón, ministro del Potere Popolare per le Telecomunicazioni in una recente conferenza stampa.
Il Canal 2 avrà diversi tipi di programmazione e la pubblicità trasmessa avrà maggior contenuto etico e senz’altro sarà meno servile ai dettami del puro consumismo.
I messaggi pubblicitari inoltre dovranno rispettare severamente la Legge della Responsabilità Sociale nella Radio e nella Televisione che ne controlla e regolamenta i contenuti violenti, , la quale per esempio fa sì che l’immagine della donna non venga offerta come oggetto sessuale e che tutela il pubblico minore di età.
La programmazione sarà diversificata anche se si tratteranno temi non abitualmente diffusi nei canali più commerciali, oltre alla consueta programmazione per un pubblico più giovane e le “novelas”, saranno trasmessi programmi scientifici, sociali, storici e culturali e i documentari e i servizi informativi saranno di elevata qualità.
Indubbiamente sarà un compito difficile, soprattutto incontrare il favore del pubblico, abituato da decenni di televisione spazzatura, che ha perpetrato quasi un “crimine culturale” diffondendo stereotipi, appiattendo coscienze e diffondendo contenuti violenti e distorti.
Il Venezuela non ha mai avuto un servizio televisivo pubblico e finalmente, soprattutto per i più giovani, è ora di cambiare canale!!
Comunità di Pace San José de Apartadó – violencia sin fin
Francisco Puerta, leader contadino e coordinatore della Comunità di Pace è stato assassinato a colpi di arma da fuoco da tre paramilitari il 14 maggio scorso. L’episodio è avvenuto nel terminal dei trasporti di Apartadó e i sicari si sono allontanati poi indisturbati tra la folla.
I paramilitari appartenenti al gruppo della Aguilas Negras si aggirano indisturbati per la Comunità promettendo futuri massacri, minacciando i suoi appartenenti, spaventando le donne e tutto ciò sotto gli occhi delle forze di polizia e militari che dovrebbero vigilare sulla Comunità di Pace.
I paramilitari accusano i membri della Comunità di essere collaboratori della guerriglia e che per questo polizia e militari avrebbero consegnato loro i nomi dei contadini e dei leader da eliminare.
Cile, governo di “sinistra”?
Scioperare e morire per 100 dollari al mese in un governo “di sinistra”.
Un lavoratore cileno del settore del legname, Rodrigo Cisternas Fernández di 26 anni è stato ucciso durante la repressione di una grande manifestazione operaia contro l’azienda italo-cilena Celulosa Arauco y Constitución S.A. (Celco) di proprietà del Gruppo Angelini.
E’ accaduto il 3 maggio scorso, durante un blocco stradale organizzato da 2500 operai della Celulosa Arauco che da tempo erano in sciopero per ottenere migliorie salariali e condizioni lavorative più degne.
Negli scontri, oltre all’operaio ucciso, si sono registrati 6 feriti di cui almeno 4 carabinieri e inoltre 6 persone sono state arrestate. Già dal mese di marzo erano state avviate delle negoziazioni con la multinazionale italo-cilena che però non avevano dato i risultati sperati. Tra le richieste avanzate c’era quella di garantire maggior sicurezza sul lavoro e quella più importante, un aumento del salario del 40% (un salario mensile si aggira tra i 60.000 e 40.000 pesos, circa 100 US). Purtroppo la Celulosa Arauco nella sua offerta non era andata oltre un misero 4% e così gli operai, quasi tutti con contratti di lavoro in subappalto, sostenuti dal sindacato, avevano deciso di ripristinare il blocco stradale.
La morte di Rodrigo Cisternas è avvenuta dopo tre giorni di blocco stradale portato avanti in modo pacifico e interrotto dall’intervento violento e armato delle forze di polizia, che hanno distrutto le autovetture dei dimostranti nel tentativo di ripristinare la viabilità stradale. Immagini violente che sono state trasmesse sia in internet che sulle reti locali mostrano gli automezzi privati che gli operai avevano utilizzato per il blocco stradale, violentemente distrutti dai carabinieri.
Il giovane Rodrigo, cercando di respingere l’assalto della polizia e difendendo gli automezzi dei suoi compagni, alla guida di una ruspa ha tentato di forzare il posto di blocco della polizia ed è stato fermato a colpi di arma da fuoco.
Nei giorni seguenti gli operai hanno organizzato numerose manifestazioni e veglie in memoria di Rodrigo Cisternas per commemorare la sua morte e per protestare contro la repressione violenta della polizia. Anche queste manifestazioni purtroppo si sono concluse con decine di arresti.
La morte del giovane operaio ha scosso il paese e lo ha ulteriormente diviso in un momento in cui le forze di sinistra sindacali, operaie e politiche si interrogano sia sul loro futuro, sia sulla situazione politica attuale.
Michelle Bachelet, dopo giorni di imbarazzante silenzio, ha dichiarato che “la morte di Rodrigo rappresenta la sconfitta di tutti” ed è evidente invece che purtroppo i motivi per i quali egli scioperava ed è morto rappresentano la sconfitta delle promesse della Concertación agli occhi del popolo.
Popolo che si organizza e scende in piazza per migliorare le proprie condizioni lavorative contro il gigante Angelini e che si trova davanti le forze di polizia che invece di tutelare sull’ordine pubblico si attivano con violenza per ristabilire l’ordine privato e gli interessi economici dell’imprenditore italiano Anacleto Angelini (nominato Cavaliere del lavoro da Carlo Azeglio Ciampi due anni fa), “Don Cleto” o “l’imperatore del Cile” emigrato dall’Italia nel 1948 e che secondo Forbes è al 203° posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo.
La famiglia Angelini è una delle famiglie più potenti del Cile, protetta e coccolata dall’oligarchia pinochettista, oltre al settore del legname detiene la concessione per lo sfruttamento di importanti giacimenti di oro, argento e rame, opera nel settore energetico, in quello assicurativo, in quello della pesca e inoltre controlla per il 60% la Compañia de Petróleos de Chile (Copec). La sua Bosques Arauco è la multinazionale del legname e della cellulosa più grande del paese, comprende un patrimonio forestale di 800.000 ettari e si è trovata spesso in lotta con il Popolo Mapuche a causa del disboscamento selvaggio e dei i danni causati alle foreste per l’uso massiccio di pesticidi. Inoltre mesi fa è stata messa sotto accusa per l’inquinamento del Río Cruces e la conseguente morte della rara specie di cigno dal collo nero.
A difesa del patrimonio dell’ ”emperador de Chile” si è attivata, dietro precisa disposizione del Ministero dell’Interno, la forza di polizia, la quale invece di presidiare sull’ordine pubblico, vigilando esclusivamente sulla sicurezza, è intervenuta, a mano armata, con l’intento di smobilitare il blocco stradale.
Jorge Gonzales, vicepresidente della Confederazione Nazionale dei lavoratori forestali, ha denunciato che il capo dei Carabinieri poco prima di iniziare la repressione dello sciopero avrebbe detto: “Tengo órdenes de dar a cagar”, (ho ordine di fargliela fare sotto)…
La CUT (Central Unitaria de Trabajadores), per voce del suo Presidente, Arturo Martinez, ha condannato duramente in nome di tutti i lavoratori cileni, la violenza e brutalità con la quale è intervenuta la polizia : “Hanno usato armi da fuoco come se si trovassero in guerra o in uno scontro armato” ha detto, e chiedendo la rimozione dal suo incarico del generale dei Carabinieri responsabile della zona, ha aggiunto che “la polizia non può attuare come i guardiani del capitale o dei proprietari delle imprese , la sua funzione è quella di vigilare sull’ordine pubblico e pertanto invitiamo il Governo a proporre un progetto di legge che regoli l’operato dei Carabinieri nei conflitti di questo tipo”.
Intanto gli ufficiali che erano a capo dell’operazione di polizia sono stati destituiti e la Fiscalía militare si preoccuperà di fare chiarezza sulla vicenda. Il CODEPU (la corporazione di promozione e difesa dei diritti del popolo) chiede a gran voce però che l’indagine venga portata avanti dalla giustizia ordinaria e non da quella militare, temendo, come è già avvenuto in passato per casi analoghi, che quest’ultima non garantisca imparzialità e indipendenza nel fare luce sulla vicenda e nel definire le responsabilità sull’accaduto.
Jorge Gonzales, invece, assicura che la lotta continuerà fino al momento in cui si raggiungerà un accordo completo con la Bosques Arauco: “la morte del nostro compagno ci ha dato maggior forza per continuare a trattare con la multinazionale. Le nostre proteste sono giuste e sappiamo di non essere soli. La nostra lotta non si è conclusa ed è ora che il governo crei delle leggi per migliorare le condizioni lavorative degli operai cileni.
Il governo di Michelle Bachelet è ultimamente messo sotto accusa dai settori popolari del Cile e dalle comunità indigene per essere al servizio dell’oligarchia e delle multinazionali dello sfruttamento delle risorse forestali e minerarie. I Mapuche non vedono ancora rispettati i loro diritti, molti di essi vengono arrestati ingiustamente o sono vittima di abusi da parte delle forze di polizia, vengono sottoposti a detenzioni arbitrarie e spesso sono giudicati da tribunali militari per semplici reati civili, quando il governo cileno ancora non attua la separazione della competenza dei due tribunali come più volte osservato dal Comitato dei Diritti Umani per le Nazioni Unite. Accade sempre più spesso che le proteste popolari vengano represse violentemente con l’uso della forza, come è avvenuto settimane fa durante la commemorazione della giornata in memoria del Giovane Combattente (vedi qui), come è accaduto ai funerali di Rodrigo Cisternas, come è accaduto due giorni fa in occasione delle proteste dei cittadini per il blocco nella metropolitana, che unito ai disservizi del Transantiago ha messo fuori uso la viabilità nella capitale. La risposta del governo, scontata, è stata quella di reprimere con i soliti gas lacrimogeni la spontanea manifestazione di protesta dei cittadini stanchi di promesse che non vengono mantenute.
Il popolo, gli studenti, i Mapuche, i contadini e gli operai vengono schedati, identificati e detenuti arbitrariamente dai servizi di polizia, spesso senza motivo, nel corso delle sempre più numerose manifestazioni popolari contro un governo che se agli occhi del resto del mondo si presenta come progressista e di sinistra, in realtà non fa altro che cedere alle pressioni della destra conservatrice e che si avvale di un sistema militare e di polizia che altro non è che un tetro retaggio del sistema repressivo in uso da Pinochet.
Aveva detto Michelle Bachelet meno di un anno fa in un intervista concessa ad una emozionata Giuliana Sgrena nel Palazzo de La Moneda: “Pertanto di fronte a quasiasi situazione che si presenti nel futuro dobbiamo imparare a convivere, a sviluppare quella che si chiama amicizia civica, per affrontare e risolvere nel modo migliore, che non vuol dire perfetto, i conflitti di interesse che sempre ci sono all’interno della società.”
Del concetto di “amicizia civica” se mai si è avuto veramente l’intenzione di applicarla ai conflitti sociali, rimangono queste parole. E’ difficile capire se la Presidenta sia incapace di sottrarsi alle pressioni politiche ed economiche che ancora di fatto governano il paese o se abbia prestato la sua facciata progressista da vittima della dittatura ad un gioco politico che ne applica purtroppo ancora i metodi di controllo e repressione sociale.
Di fatto, ad un anno e qualche mese di distanza dalla sua elezione, si contano in Cile, 8.000 detenutii nel corso di manifestazioni sociali o di protesta, diversi prigionieri politici, come i Mapuche e solo nel corso del 2006 circa 209 membri delle forze di polizia sono stati sospesi dal servizio per corruzione o per comportamento disonorevole.
Intanto i cileni si domandano come sia possibile che sotto il governo di una “socialista” un operaio venga ucciso durante uno sciopero e come sia possibile soprattutto che ciò avvenga con un presidente che in prima persona ha vissuto sulla sua pelle gli orrori di una dittatura.
Il Treno elettromagnetico venezuelano
Prototipo del treno elettromagnetico venezuelano (TELMAGV)
Il progetto del Treno Elettromagnetico Venezuelano è del 1967.
Il suo ideatore fu il Dr. Alberto Serra, ricercatore dell’Istituto di Ricerche Scientifiche .
Questo progetto è stato rispolverato dopo 40 anni e adesso nel giro di tre anni e mezzo potrebbe essere realizzato ad un costo pari a quello di un treno convenzionale.
Il 90% delle materie prime per la realizzazione del treno saranno prodotte direttamente in Venezuela, si importeranno dalla Cina solamente alcune parti elettriche.
Per tutti coloro che non vedono un futuro “tecnologico e di sviluppo” del Paese e per quelli che vedono nelle politiche economiche e di sviluppo di Chávez pura demagogia.
Fosse comuni in Putumayo, Colombia
Almeno 200 cadaveri sono stati trovati nei giorni scorsi in alcune fosse comuni nel dipartimento colombiano di Putumayo, al confine con l’Ecuador.
Gli scavi non sono stati ancora conclusi ma il Fiscal General Mario Iguarán fa sapere che per lo meno altri 3.000 cadaveri si trovano ancora nelle fosse comuni.
Probabilmente si tratta di cittadini ecuadoregni che loro malgrado si sono trovati coinvolti nel conflitto tra forze paramilitari e guerriglieri delle FARC.
Edmundo Vargas, sindaco di Cascales, in Ecuador, al confine tra Colombia e Perù, aveva parlato proprio di questo problema nel suo recente viaggio in Italia in occasione della partecipazione al convegno tenutosi a Roma, Governo e Autogoverno. Come cambia l’America Latina.
Le vittime sarebbero state assassinate da gruppi di paramilitari tra il 1999 e il 2000.
Rompendo il silenzio (22 aprile 1997–22 aprile 2007)
Dieci anni fa, il 22 aprile 1997 si concludeva tragicamente a Lima, nella sede dell’Ambasciata giapponese la così detta “crisi degli ostaggi” iniziata 126 giorni prima, il 17 dicembre 1996.
Allora, 14 appartenenti al gruppo TUPAC AMARU guidati dal comandante Néstor Cerpa Cartolini tennero in ostaggio, in un’operazione chiamata “Rompiendo el silencio” (Rompendo il silenzio), per circa 4 mesi, centinaia di persone appartenenti all’alta società peruviana che si trovavano nell’Ambasciata riuniti per un ricevimento, dopo aver rilasciato i più deboli ed anziani tra i quali la madre del presidente Fujimori.
Fujimori per i quattro mesi del sequestro finse di portare avanti una trattativa con i ribelli i quali chiedevano in cambio del rilascio dei prigionieri la liberazione di alcuni appartenenti al MRTA detenuti presso le carceri peruviane.
Il 22 aprile, complice anche Monsignor Cipriani (arcivescovo di Lima e membro dell’Opus Dei) il quale avendo accesso all’interno dell’Ambasciata per celebrare la messa, riuscì ad introdurre nella stessa una radio e consegnarla agli ostaggi con la quale questi vennero informati preventivamente dell’irruzione delle forze speciali dell’esercito.
I ribelli Tupac Amaru vennero trucidati e con essi Carlos Giusti un magistrato che faceva parte del gruppo degli ostaggi ma che risultava “scomodo” al governo Fujimori per aver più volte ribadito l’indipendenza della magistratura dal potere politico.
Già Human Right Watch all’indomani della presa dell’ambasciata, pur condannando l’azione del MRTA aveva richiamato il governo peruviano e lo aveva invitato ad ascoltare le richieste dei ribelli Tupac Amaru i quali in sostanza oltre alla liberazione dei loro compagni reclamavano condizioni carcerarie più umane e processi giusti, cosa che non avveniva in Perù per i prigionieri politici. Inoltre HRW suggeriva al governo di seguire l’esempio delle trattative portate avanti in una caso analogo, quando guerriglieri dell’M-19 assaltarono l’ambasciata della Repubblica Dominicana in Colombia. In quel caso gli ostaggi furono posti in libertà con la promessa che una delegazione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani partecipasse in qualità di osservatore al processo di circa 200 guerriglieri detenuti.
In un comunicato stampa di HRW diffuso dopo la liberazione degli ostaggi e il massacro dei ribelli da parte dell’esercito, si rende noto che molti di essi furono giustiziati dopo essere stati disarmati e catturati vivi. Inoltre nonostante fosse stato promesso ai familiari la restituzione dei corpi per darne degna sepoltura, essi successivamente vennero gettati in fosse comuni.
Riporta testualmente il comunicato di HRW:
“Organismi per la difesa dei diritti umani hanno documentato centinaia di esecuzioni extragiudiziali, incluso vari massacri, per mano di membri delle forze di sicurezza peruviane da quando Fujimori ha assunto la presidenza della nazione.
Il Perù oggi non dimentica la passeggiata macabra di Fujimori tra i cadaveri dei 14 Tupac Amaru, e la sua fuga in Giappone non molto tempo dopo e aspetta con ansia la sua estradizione dal Cile perchè venga condannato finalmente per i crimini commessi.
A Vladimiro Montesinos, all’epoca suo braccio destro e attualmente detenuto nella Base Navale del Callao, per la responsabilità nell’esecuzione extragiudiziale dei 14 Tupac Amaru, il prossimo 18 maggio verrà aperto un procedimento penale per omicidio.
Il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, nello stesso giorno in cui cade l’anniversario del massacro all’ambasciata giapponese, diffonde un comunicato nel quale, “chiama all’unità il popolo peruviano, la sinistra , i movimenti sociali e i settori progressisti e invoca un’Assemblea Costituente che sia espressione della volontà popolare”.
Chiede inoltre che venga rispettata la sovranità popolare tradotta in una “politica latinoamericanista dove i popoli decidano autonomamente il loro futuro” Un primo passo per realizzare questo progetto sarebbe “ il ritiro delle basi nordamericane dal Perù e dall’America Latina” , nonché la nazionalizzazione degli idrocarburi, la difesa delle risorse naturali, la difesa dell’Amazzonia e il rispetto delle identità culturali ed etniche del paese.
Alan García rappresenta tuttavia la continuità del progetto liberista applicato dalla dittatura di Fujimori, che almeno nei metodi era intenzionato a restaurare con la proposta, bocciata dal Congresso, di reintrodurre la pena di morte per i prigionieri accusati di terrorismo. Nonostante cresca il malcontento di ampi settori della popolazione e la popolarità dell’attuale presidente vada diminuendo sempre più, per il Perù la primavera appare ancora lontana.