Il 2014 potrebbe essere l’anno buono per la liberazione di Oscar Lopez Rivera, l’attivista portoricano condannato negli Usa a 70 anni di carcere.
di Lorenzo Bagnoli
Il primo aprile i suoi sostenitori su twitter lanciano ad Obama la sfida: che gli doni la grazia, #freeOscarLopez. La chiedono tra gli altri anche premi Nobel per la pace come l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. Perché 70 anni sono troppi anni da scontare per chi, come Lopez Rivera, è colpevole di aver militato nelle FALN, le Forze armate di liberazione nazionale di Portorico.
Fonte: Q CODE MAG
3 aprile 2014 - “Seditious conspiracy”, cospirazione sedizione. Per questo reato sono 32 anni che ogni volta che si sveglia, a Terre Haute, Indiana, Oscar Lopez Rivera vede davanti ai suoi occhi le sbarre della cella. Non è nemmeno a metà della pena da scontare: 70 anni in tutto.
“Una forza contro il colonialismo degli americani”, sostiene il suo legale Luis Nieval Falcon. Il gruppo ha ammesso le responsabilità, dalla fine degli anni Settanta agli Ottanta, di aver messo più di cento bombe per mettere fine alla dipendenza de factodagli States. Pare che però nessuna sia stata messa da Oscar Lopez, che per questo continua a definire la sua una prigionia politica.
L’associazione aveva sede a Chicago, una delle città con la più nutrita comunità portoricana. È lì che stava anche Oscar Lopez Rivera quando insieme ad altri nove stava pensando come assaltare un camion pieno di armi. No, Lopez non era un santo. Ma questo non toglie l’enormità della sentenza che ha da scontare. È l’ultimo portoricano rimasto, nonostante nel 1999 il presidente Bill Clinton gli avesse promesso la grazia. Rimandata al mittente: avrebbe lasciato in carcere i suoi compagni. Poi loro sono usciti ed è rimasto solo lui.
Così gli attivisti internazionali, dopo averci provato anche l’anno scorso, hanno lanciato una campagna sui social per chiedere la liberazione. L’anno potrebbe essere quello buono: il prossimo Obama torna alle urne e la scarcerazione di un ispanico fa sempre bene all’elettorato. Obama potrebbe cedere. Anche la diplomazia di Puerto Rico ha chiesto a Obama di prendersi cura del caso. Tra le operazioni lanciate dal suo staff, c’è il regista che su kickstarter sta cercando una collaborazione per trovare soldi. Oscar Lopez ha anche raccontato di anni trascorsi nel braccio della morte e di continue minacce. Una storia che i registi vorrebbero trasformare in un documentario.
Nell’entusiasmo generale che ha accompagnato il Vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago, è sfuggito agli osservatori internazionali che hanno seguito con trepidazione forse eccessiva l’incontro e la “storica” stretta di mano tra il neo presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello del Venezuela Hugo Chávez, che alcune ore prima, mentre i media internazionali si beavano di un’atmosfera festosa da inizio di nuovo mondo, all’aeroporto dell’isola venivano arrestati senza nessuna spiegazione alcuni rappresentati dei movimenti antagonisti sociali latinoamericani che erano appena arrivati per partecipare al contro Vertice dei Popoli, la risposta organizzata dei movimenti al Vertice istituzionale dei capi di Stato.
Le delegazioni fermate sono state quelle del Brasile, del Venezuela, di Cuba e di Porto Rico. Questi due ultimi paesi sono i due grandi esclusi dal Vertice delle Americhe, sebbene i riflettori come ogni anno siano accesi più sull’assenza di Cuba (che alla fine si trasforma di fatto in una grande presenza a livello mediatico) che su quella di Porto Rico.
Ai delegati di questi paesi, appartenenti a diverse associazioni latinoamericane sono stati sequestrati i passaporti e dopo essere stati trattenuti alcune ore in stato di fermo senza nessuna giustificazione né motivazione, sono stati rilasciati con la minaccia che se avessero organizzato qualunque tipo di manifestazione sarebbero stati arrestati nuovamente ed espulsi dal paese.
Diversamente è andata però ad uno degli appartenenti della delegazione di Porto Rico, le cui già note forme di protesta pacifiche ma spettacolari e di grande impatto hanno sempre riscosso grande simpatia. Alla notizia infatti dell’arrivo all’aeroporto del leader ambientalista Alberto de Jesús,alias Tito Kayak, militante del gruppo ambientalista Amigos del M.A.R (Movimiento Ambiental Revolucionario) la polizia locale di Trinidad e Tobago in sinergia con l’FBI ha preso contro di lui misure straordinarie e gravemente lesive della libertà di movimento e del diritto di protesta pacifica delle persone.
Tito Kayak è stato accolto al suo arrivo all’aeroporto di Trinidad e Tobago da un nutrito numero di poliziotti armati fino ai denti che lo hanno ammanettato appena sceso dalla scaletta dell’aereo davanti a tutti gli altri passeggeri.
“Non so perchè mi hanno arrestato” ha commentato Kayak. “”Non potevano permettere che la mia presenza in nessun modo rovinasse quello che si sarebbe celebrato il giorno dopo” ha detto in un’intervista.
Tito Kayak da anni porta avanti una lotta del tutto pacifica, ma espressa sempre spettacolarmente, per chiedere l’indipendenza di Porto Rico dagli Stati Uniti, sotto il cui dominio si trova dal lontano 1898, dal tempo della guerra Ispano-Americana.
Nel 2005 fu arrestato per aver cercato di togliere la bandiera degli Stati Uniti sostituendola con quella di Porto Rico dalle aste davanti agli Uffici delle Nazioni Unite a New York; sempre nello stesso anno si è arrampicato sulla Statua della Libertà e nel suo paese e nell’intera area caraibica è conosciuto per le proteste ambientali e politiche che compie sul suo kayak.
Ha detto Tito che non gli sono stati spiegati i motivi del suo arresto durato una intera notte a Trinidad e Tobago e che al mattino seguente è stato rimesso su di un aereo che lo ha riportato a Porto Rico senza nemmeno avergli riconsegnato il passaporto. Al suo arrivo è stato interrogato a lungo da un agente dell’FBI.
“Non ci sono dubbi che dietro quanto accaduto ci sia il governo statunitense” ha dichiarato con convinzione Tito Kayak. Il grande show del vertice delle Americhe non poteva essere rovinato dalla presenza di un pacifista ambientalista già noto per le sue proteste improvvise e spettacolari.
L’agenda del Vertice delle Americhe come sempre viene stabilita dagli Stati Uniti e se era stato deciso che questo era il momento di accendere i riflettori sull’incontro tra Obama e Chávez e sull’apertura verso Cuba, non sarebbe stato permesso nessun “fuori programma” che avesse portato l’attenzione su problematiche sulle quali l’amministrazione di Obama non ha ancora deciso di prendere posizione, come per esempio la richiesta di indipendenza di Porto Rico.
La riappacificazione tra i potenti di sempre e i “discoli” (Chávez ma anche Raúl Castro) passa sempre sulla testa dei soggetti realmente antagonisti che non ci stanno a subire un’agenda dettata dall’opportunismo del momento e dalle convenienze economiche.
Gli antagonisti di sempre riuniti nel Vertice dei Popoli che si è svolto regolarmente nonostante i tentativi del potere di boicottarlo e cancellarne la presenza delle sue voci più significative, hanno discusso di crisi economica, di ambiente, di alimentazione, di cultura, di disarmo.
Hanno convenuto che al pari dell’analisi delle cause della crisi economica attuale è importante mettere in atto strategie appropriate per affrontarla.
Sono state denunciate realtà dove ancora viene applicata una schiavitù di tipo moderno e dove gli immigrati, vengono sfruttati in condizioni disumane, concludendo che la globalizzazione e le sue politiche economiche stanno alla base dei moderni e massicci fenomeni migratori.
Hanno chiesto che sia Cuba ma anche Porto Rico vengano ammessi a partecipare ai vertici internazionali, e per la piccola colonia a stelle e strisce è stata chiesta l’indipendenza.
I popoli, i veri attori di questo vertice, le donne e gli uomini latinoamericani, i giovani studenti, gli operai, i sindacalisti, i contadini e gli indigeni hanno chiesto che la loro terra sia smilitarizzata, che vengano smantellate le basi militari, che la IV Flotta degli Stati Uniti di pattuglia nella regione lasci le acque del Mar dei Caraibi, che vengano rispettate le garanzie e i diritti individuali e dei popoli calpestati dagli Stati nel nome della politica di “sicurezza democratica”.
Hanno chiesto di essere ascoltati, hanno concluso che “ascoltare i popoli ed operare in funzione dei loro interessi e non dei guadagni di pochi è l’unica via di uscita alla crisi, durevole, sostenibile e che va nel senso di un’America più giusta”.
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