Tony Guerrero: Un lugar de retiro (miércoles, 27 de enero de 2010)
Cuando cierran la puerta de hierro
silbadores vientos de huracán
encima se me echan y me apagan
el candil, parpadeando en mis manos.
La celda se vuelve una laguna
en la que yacen palomas muertas
y por mi trepa su olor a espanto
como si las sombras me embistieran.
Con mi inofensivo corazón
desgarro el silencio congelado,
adelgazo ausencias prolongadas
hasta que la larga noche pasa
y todas las tinieblas se esfuman
envueltas en la luz matutina.
(Tony Guerrero)
La publicación de este poema, hoy miércoles 27 de enero, se da en el marco de la iniciativa poetica llamada “Rompiendo silencios” que consta en publicar cada día desde el 26 de enero hasta el 12 de febrero el poema correspondiente escrito por Tony Guerrero durante estos mismos dias del año 2010. Tony es uno de los cinco cubanos prisioneros injustamente en Estados Unidos; escribió estos poemas durante su detención aislado en una celda llamada “el hueco”. Dieciocho largos dias que él mismo dijo parecieron una “eternidad”.
Tony Guerrero: Luogo di ritiro (mercoledì 27 gennaio 2010)
Quando chiudono la porta di ferro
sibilanti venti di uragano
mi si fanno addosso per spegnere
il lumino, che tra le mie mani infatti sfarfalla.
La cella diventa una laguna
dove giacciono colombe morte
e su di me si inerpica il suo fetore di paura
come se le ombre mi assalissero.
Con il mio cuore inoffensivo
squarcio il silenzio congelato,
assottiglio assenze prolungate
fino a che la lunga notte passa
e tutte le tenebre sfumano
avvolte nella luce mattutina.
(Tony Guerrero — traduzione dallo spagnolo di Silvano Forte)
La pubblicazione di questa poesia, oggi mercoledì 27 gennaio rientra nell’ ambito dell’ iniziativa “Poesie per rompere silenzi” che consiste nel pubblicare ogni giorno dal 26 gennaio al 12 febbraio la poesia corrispondente scritta da Tony Guerrero durante questi stessi giorni dell’ anno 2010. Tony è uno dei 5 cubani detenuti ingiustamente negli Stati Uniti e ha scritto queste poesie durante la sua detenzione in isolamento in una cella chiamata “il buco”. Diciotto lunghi giorni che lui stesso ha detto essere sembrati un’ “eternità”.
Tony Guerrero: Luogo di ritiro (martedì 26 gennaio 2010)
Succede che l’ingiustizia prosegue.
Succede che le manette sono molto strette.
Succede che sono io quello che lo dice.
Succede che vorrei che mi credeste.
Succede che volo senza timori.
Succede che scuoto le mie vene.
Succede che due soli si incrociano.
Succede che le pietre si fanno scure.
Succede che questo odore non è di campagna.
Succede che il mio tempo ha un padrone.
Succede che le pareti si uniscono.
Succede che un fratello sorride.
Succede che mi nasce in petto
la serenità, e succede.
(Tony Guerrero — traduzione dallo spagnolo di Silvano Forte)
La pubblicazione di questa poesia, oggi martedì 26 gennaio rientra nell’ ambito dell’ iniziativa “Poesie per rompere silenzi” che consiste nel pubblicare ogni giorno dal 26 gennaio al 12 febbraio la poesia corrispondente scritta da Tony Guerrero durante questi stessi giorni dell’ anno 2010. Tony è uno dei 5 cubani detenuti ingiustamente negli Stati Uniti e ha scritto queste poesie durante la sua detenzione in isolamento in una cella chiamata “il buco”. Diciotto lunghi giorni che lui stesso ha detto essere sembrati un’ “eternità”.
Tony Guerrero: Un lugar de retiro (martes, 26 de enero de 2010)
Sucede que la injusticia sigue.
Sucede que llevo caja negra.
Sucede que soy yo quien lo dice.
Sucede que quisiera que me creas.
Sucede que vuelo sin temores.
Sucede que sacudo mis venas.
Sucede que dos soles se cruzan.
Sucede que oscurecen las piedras.
Sucede que el olor no es de campos.
Sucede que mi hora tiene dueño.
Sucede que se unen las paredes.
Sucede que un hermano sonríe.
Sucede que me nace en el pecho
una serenidad y sucede.
(Tony Guerrero)
La publicación de este poema, hoy martes 26 de enero, se da en el marco de la iniciativa poetica llamada “Rompiendo silencios” que consta en publicar cada día desde el 26 de enero hasta el 12 de febrero el poema correspondiente escrito por Tony Guerrero durante estos mismos dias del año 2010. Tony es uno de los cinco cubanos prisioneros injustamente en Estados Unidos; escribió estos poemas durante su detención aislado en una celda llamada “el hueco”. Dieciocho largos dias que él mismo dijo parecieron una “eternidad”.
Hernando Calvo Ospina: El Equipo de Choque de la CIA
El Equipo de Choque de la Cía. Cuba, Vietnam, Angola, Chile, Nicaragua.
Il Corpo d’élite della Cia. Cuba, Vietnam, Angola, Cile, Nicaragua
di Hernando Calvo Ospina
El Viejo topo, 19 euro
La storia del Il Corpo d’ Elite della Cia (El Equipo de Choque), la squadra d’assalto per la realizzazione delle operazioni «sporche» della politica estera degli Stati uniti, ha inizio in Guatemala nel 1954 con l’operazione conosciuta come Pb Success. Fu un’operazione di destabilizzazione, di «guerra psicologica, mercenaria e paramilitare» che si concluse con il colpo di stato contro il presidente Jacobo Arbenz.
Arbenz nel 1951 aveva vinto le prime elezioni libere di quel paese e aveva dato avvio a un’importante riforma agraria nonché a una serie di politiche progressiste volte a limitare il potere delle imprese straniere che operavano in Guatemala. Tra le più colpite dalle riforme, vi fu la United Fruit Company definita un vero e proprio «stato nello stato» per il potere politico ed economico che deteneva. Tra i suoi azionisti figuravano John Foster Dulles e il fratello Allen, allora rispettivamente segretario di stato degli Stati uniti e direttore della Cia.
Tuttavia è con i tentativi di rovesciare fin dal principio la rivoluzione cubana del 1959, che il gruppo si consolida e si qualifica. Negli anni successivi lo ritroveremo come attore principale in ogni tentativo di imporre con mezzi non democratici l’imperialismo statunitense nel pianeta. El Equipo de Choque de la Cía, costituitosi pertanto come una vera e propria squadra di terrorismo internazionale, non operò solamente in America latina. Il Congo fu il primo paese africano dove approdò e dove partecipò alla destabilizzazione politica culminata con l’assassinio nel 1961 di Patrice Lumumba, fondatore nel 1958 del Movimento nazionale congolese, fautore dell’indipendenza del suo paese e simbolo delle lotte indipendentiste in Africa.
Scrive Hernando Calvo Ospina che è in Vietnam che il «Corpo d’Elite» si «amplia, si qualifica, si consolida e si perfeziona», utilizzando metodi di una crudeltà indescrivibile soprattutto contro i Vietcong del Fronte di liberazione nazionale (Fln). In una testimonianza resa dinanzi al Congresso degli Stati uniti, William Colby, direttore dell’Agenzia in Vietnam tra il 1973 e il 1976, confessò che il Programma Phoenix (conosciuto anche come Programma di Pacificazione Rapida) era stato concepito per «proteggere la popolazione dal terrorismo comunista». Riconobbe la morte di 20.587 persone tra il 1968 e il 1971, l´87% delle quali – disse – era caduto nel corso di combattimenti. Tuttavia, indagini successive dimostrarono che per «proteggere la popolazione dal terrorismo comunista» erano stati giustiziati sommariamente circa 40mila sospetti.
Questo lavoro di Calvo Ospina rappresenta una ricerca minuziosa che evidenzia il ruolo chiave svolto, in tutte le operazioni eseguite dal «corpo d’Elite», non solo da personaggi che poi ricopriranno incarichi di prestigio nel panorama politico degli Stati uniti, ma anche da mercenari cubani anticastristi, terroristi di mezzo mondo e mafiosi colombiani e italiani.
Un intreccio di nomi che ricorre frequentemente in circostanze, tempi e paesi diversi. George H. Bush (padre) e Porter Goss li troviamo insieme nella preparazione e realizzazione del «Progetto Cuba», il piano Cia per rovesciare Fidel Castro, approvato dal presidente Eisenhower. George Bush padre fu inserito nel circuito dei servizi di sicurezza statunitensi e nel «Progetto Cuba» da quello stesso Allen Dulles che avevamo già visto qualche anno prima in Guatemala, azionista della UnitedFruit Company e capo della Cia. Porter Goss era invece nell’ambito del «Progetto Cuba», l’uomo incaricato di reclutare i mercenari cubani. Diventerà nel 2004, a sua volta direttore della Cia, nominato da George W. Bush figlio.
Tutti gli altri uomini del «Progetto Cuba» erano stati reclutati tra i partecipanti al Pb Success guatemalteco, un successo rispetto al fallimento dei numerosi propositi di intervento nell’ isola ribelle messi a punto dall’ Agenzia a partire dal 1960 in avanti. Fu da quel momento che Kennedy, nell’ambito della Guerra Fredda e della conseguente lotta contro la nascente «minaccia comunista», impose la Dottrina di sicurezza nazionale. Un imperativo quasi religioso che tante vittime causò in America latina e nel resto del mondo con l’appoggio diretto degli Stati uniti alle peggiori dittature della storia moderna.
Racconta tutto ciò e altro ancora questo libro del giornalista e scrittore colombiano (residente a Parigi) Calvo Ospina, autore tra gli altri di Dissidenti o mercenari?; Cuba: la guerra occulta del Ron Bacardi (entrambi editi in Italia da Achab), Colombia: laboratorio de embrujos, democracia y terrorismo de Estado (2008).
Calvo Ospina è inoltre collaboratore fisso di Le Monde diplomatique.
Si tratta, per la casa editrice spagnola El Viejo Topo, della riproposizione di un lavoro di ricerca notevole, già presentato al Salone del libro di L’Avana nel 2008 con il titolo Bush y el Equipo Estrella de la Cia, successivamente tradotto e pubblicato anche in Francia.
di Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
recensione per LE MONDE diplomatique in vendita con il manifesto per tutto il mese di gennaio 2011
Paolo Maccioni: Buenos Aires troppo tardi
di Annalisa Melandri
recensione per Le Monde Diplomatique in vendita con il manifesto per tutto il mese di dicembre 2010
«Qui l’incerto ieri e l’oggi diverso/mi hanno offerto i comuni casi/di ogni sorte umana; qui i miei passi/ordiscono il loro incalcolabile labirinto…» Cosí lo scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges racconta Buenos Aires. E in quell’ «incalcolabile labirinto» che è la città «eterna come l’acqua e come l’aria», si muove il protagonista di quest’ultimo romanzo dello scrittore cagliaritano Paolo Maccioni, e insieme a lui decine di fantasmi del passato e del presente, che intrecciano storie e follie, evocano fantasie e orrori e lo prendono per mano per mostrare, a lui che ne è completamente ignaro, la storia terribile e mai abbastanza raccontata dell’Argentina.
Eugenio Santucci, lo scrittore sardo protagonista del romanzo, viene inviato nella capitale argentina dalla casa editrice per la quale lavora per scrivere una sorta di guida interattiva culturale e letteraria. E cosí tra le vie evocate da Borges e nei cortili cari al poeta Evaristo Carriego, rivivono antiche suggestioni di una città che non esiste piú. Intanto Eugenio approfitta del suo incarico per rintracciare lontani parenti emigrati in Argentina anni prima e dei quali ha perso le tracce.
Nella mappatura letteraria della città che egli cerca di tracciare e nella ricerca dei parenti perduti, il lettore scopre poco a poco che un unico filo tesse la trama nascosta di quell’incalcolabile labirinto in cui sembrano trasformarsi le giornate di Eugenio. I volti dei parenti scomparsi affiorano pian piano accanto a quelli dei 30mila desaparecidos della dittatura militare, e reclamano un posto nella storia. Prendono forma le storie degli uomini che hanno lottato contro la dittatura e hanno pagato con la vita. Una letteratura parallela a quella per la quale era stato chiamato a lavorare reclama l’attenzione di Eugenio: vicende tragiche di giornalisti e militanti, prima completamente oscure al nostro protagonista; egli rappresenta qui l’uomo comune, colui che non sa o che finge di non sapere quanto accaduto tra il 1976 e il 1983 in Argentina, ma che improvvisamente ne prende coscienza, come accadde del resto allo stesso Borges. «Il letterato chiuso nella sua torre d’avorio cerebrale, che sapevamo indifferente agli orrori della guerra sucia, dunque non era rimasto insensibile alla sorte dei suoi concittadini» pensa Eugenio riferendosi al grande scrittore (che non vinse il Nobel per la sua vicinanza ambigua ad Augusto Pinochet). E tuttavia non basta, il pentimento e la posizione del grande scrittore passano al vaglio della conquistata e severa consapevolezza civile del protagonista. Bisognava denunciare per tempo, non essere ambigui. Il rimprovero che Eugenio fa a Borges sembra essere quello che fa a se stesso.
E così egli non riesce più a seguire le suggestioni puramente letterarie che il suo incarico richiede, le strade, i caffè e i palazzi non gli evocano più soltanto passi di romanzi o versi di poesie. Un fantasma che pian piano prende le sembianze di Rodolfo Walsh (lo scrittore e giornalista desaparecido dal 25 marzo 1977 dopo aver reso pubblica la sua Lettera aperta alla Giunta militare) traccerà i contorni di un paese che allora era diventato come «un’immensa trappola e [in cui] la popolazione sopravviveva oppressa dal terrore e dalla mancanza di informazione».
Il passato emerge, spinge Eugenio a cercare i segreti custoditi dal pudore e dal dolore. Le ferite di Buenos Aires e dell’Argentina non si sono mai rimarginate, troppo sangue è stato versato nel silenzio complice della comunità internazionale e della chiesa cattolica. Eugenio sente adesso sulle spalle il peso di una responsabilità collettiva enorme ma l’essere arrivato tardi non avviene invano: i labirinti borgesiani per una volta lasceranno il posto alle storie e ai romanzi di Rodolfo Walsh, a quelli di Haroldo Conti, alla storia terribile delle suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet, e a quelle di tanti altri uomini e donne torturati, uccisi, fatti sparire con una ferocia inaudita. (altro…)
Antonio Mazzeo: I Padrini del Ponte
I PADRINI DEL PONTE
Antonio Mazzeo Edizioni Alegre, 2010, 14 euro
«Minchia se fanno ‘u ponte ce ne sarà per tutti!!!»: così Bernardo Provenzano, il potente boss corleonese arrestato nel 2006 dopo una lunga latitanza, commentava con i suoi compari l’affare Ponte. Per questo il Ponte lo vogliono tutti, chi per gloria, chi per denaro.
Si tratta infatti di un’opera faraonica, «qualcosa come le piramidi per i faraoni, un monumento con cui consegnarsi alla storia », come scrive nella prefazione Umberto Santino (presidente del Centro di Documentazione Peppino Impastato di Palermo). Faraonico sarebbe però anche il ritorno economico dell’investimento nelle tasche di costruttori, speculatori, trafficanti d’armi, faccendieri, mafiosi, finanzieri, principi arabi, perfino in quelle della Saudi Binladin Group di proprietà della famiglia di Bin Laden, che opera congiuntamente con alcune società che hanno partecipazione diretta in Impregilo, general contractor per la realizzazione dell’opera.
Un’altra grande opera sulla quale mettere le mani, com’è avvenuto in passato per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria (per completare la quale occorre quasi lo stesso denaro che serve per realizzare il ponte sullo Stretto) e il porto di Gioia Tauro, con la differenza che oggi la mafia ha raggiunto un’organizzazione, un livello imprenditoriale e una capacità di infiltrazione in tutti i settori della società senza precedenti.
Non solo mafia «imprenditrice» ma mafia «finanziaria», «in grado di giocare un ruolo da protagonista». Ed è proprio a chi vuole approfondire questo particolare aspetto del fenomeno mafioso e capire meglio determinate complicità che il libro di Antonio Mazzeo si rivolge e va consigliato.
Annalisa Melandri
Recensione per LE MONDE diplomatique – il manifesto, giugno 2010
Marco Coscione: America latina dal basso
AMERICA LATINA DAL BASSO
Edizione Punto Rosso
Storie di lotte quotidiane
A cura di Marco Coscione
Prefazione di Josè Luiz Del Roio
Tra le mani non ti ritrovi un altro saggio teorico sui movimenti sociali latinoamericani, ma un vero e proprio album fotografico, o forse un quaderno per gli appunti.
Indubbiamente, questo libro rappresenta un modo per dare spazio all’America Latina che si racconta da sola, che vuole raccontarsi, ed anche contare.
Leggendo queste storie, scoprirai che qualcosa continua a muoversi e a rigenerarsi in quel continente un tempo “desaparecido” e adesso così “vergognosamente” descritto e fotografato. Queste storie non pretendono di tirare le somme, offrendoci solo una parte della realtà, piuttosto ci accompagnano in un cammino fatto di lotte, resistenze e nuove costruzioni che sottolineano la diversità e la ricchezza di questo “movimento di movimenti, in difesa del diritto all’educazione e della Pacha Mama; con un maggior protagonismo cittadino e più informazione dalla base; tra eguali ma differenti; occupando, resistendo e producendo, riaffermando la propria anima indigena, in pace e senza dimenticare… Affinché un’altra America sia possibile!”
Marco Coscione è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Genova), con un Corso di perfezionamento su “Il Futuro dell’Unione Europea e le sue relazioni con America Latina” (Universidad de Chile) ed un Master Ufficiale in “America Latina Contemporanea e le sue Relazioni con la UE: una cooperazione strategica” (Universidad de Alcalá — Instituto Universitario de Investigación Ortega y Gasset, di Madrid). Varie esperienze di studio, lavoro e
volontariato in Europa (Italia, Germania e Spagna) ed America Latina (Cuba, Cile, Perù, El Salvador). Nel 2007 ha curato la pubblicazione di Micro-historias. Santiago del Cile vista da otto caschi bianchi italiani (Il Segno dei Gabrielli Editore) e nel 2008 ha pubblicato El Comercio Justo. Una Alianza estratégica para el desarrollo de América Latina (Los Libros de la Catarata). Collana Materiali Resistenti, Co-edizione con Carta, pagg. 312, 15 Euro
Pagina web di Marco Coscione : http://redinfoamerica.ning.com/profile/MarcoCoscione
sito: Altramerica
Fabrizio e Nicola Valsecchi: Giorni di neve, giorni di sole
Eric Salerno: Mossad base italiana
L’ISTITUTO PER L’ORIENTE C. A. NALLINO
Ha il piacere d’invitare la S.V. alla presentazione che, venerdì 9 aprile alle 17,30,
nei locali dell’Istituto, sarà tenuta dal
Dr. Eric Salerno
Giornalista
Sul libro
(La sede dell’Istituto si trova sulla diretta prosecuzione della strada del Teatro Parioli)
Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallino – via Alberto Caroncini, 19 – 00197 Roma
‡„ 06–8084106 _ 06–8080710 _ _ 06–8079395 e-mail: ipocanipocanit
Intervista ascoltabile qui