La sparizione forzata di persone – crimine contro l’umanità
Il 30 agosto è la Giornata Internazionale del Detenuto Scomparso. Ripropongo questa nota scritta il 5 novembre 2009 (A.M.)
La sparizione forzata di persone – crimine contro l’umanità Soltanto nel dicembre del 2006 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate. E’ stata ottenuta dopo 25 anni di battaglie portate avanti da associazioni internazionali per la difesa dei Diritti Umani, da famigliari di desaparecidos, da uomini e donne in tutto il mondo.
La Convenzione sancisce formalmente “due nuovi diritti umani: il diritto di ciascuno a non essere fatto sparire e il diritto alla verità per le vittime della sparizione forzata” (Gabriella Citroni). In questa Convenzione, che necessita la ratifica di altri sette paesi perchè entri in vigore (l’Italia non l’ha ancora fatto), la sparizione forzata di persone viene definita come: “l’arresto, la detenzione, il sequestro o qualsiasi altra forma di privazione della libertà che sia opera di agenti dello Stato o di persone o di gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, l’appoggio o la acquiescenza dello Stato, seguita dal rifiuto di riconoscere tale privazione della libertà o dall’occultamento della sorte o la dimora della persona scomparsa, sottraendola così alla protezione della legge”.
Definito dalle Nazioni Unite come oltraggio alla “dignità umana” e fin dal 1983 “crimine contro l’umanità” dall’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), è una pratica criminale che generalmente identifichiamo con le dittature latinoamericane, ma che ha origini marcatamente europee. Ricordiamo le migliaia di persone scomparse del regime franchista e i crimini commessi dalla Germania nazista.
In America latina il metodo è stato utilizzato come strumento politico e repressivo all’interno della cosiddetta “guerra contrainsurgente” volta all’eliminazione fisica degli oppositori militanti e delle persone critiche dei regimi dittatoriali. Ai militari latinoamericani complici di quelle dittature la pratica della sparizione forzata sembrò dunque il crimine perfetto: senza (apparente)spargimento di sangue, senza carnefici, soprattutto senza responsabili perchè di fatto non esisteva nemmeno la vittima. In carceri clandestine, in luoghi di detenzione legali e illegali, in case private, i desaparecidos perdevano la loro identità di essere umano, di cittadino, di persona, per essere soltanto un corpo in balia delle efferatezze più criminali. La morte sotto tortura o per l’eliminazione successiva spesso concludeva il periodo di sparizione forzata.
La pratica della sparizione forzata ha effetti distruttivi sia sulla vittima che subisce tale crimine che sui suoi familiari e in larga misura anche sul corpo sociale alla quale le vittime appartengono. “La continuazione del terrore prolungato rispetto a una minaccia vaga ma effettiva produce una serie di meccanismi di difesa che a sua volta rompono il tessuto sociale nella misura in cui colpiscono i legami interpersonali” (Stella M. Figueroa). >La sparizione forzata in Messico Nonostante si associ il fenomeno dei desaparecidos soprattutto a paesi come il Cile, l’Argentina, il Guatemala il fenomeno ha riguardato in maniera senza dubbio più silenziosa e subdola, ma non meno importante anche il Messico.
Il periodo conosciuto come della “guerra sporca” (tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70), fu caratterizzato da una dura politica repressiva del governo messicano allo scopo di rompere l’unità del tessuto sociale e smobilitare la resistenza armata che si stava diffondendo rapidamente nelle campagne del paese. Soprattutto negli stati di Guerrero, Chiapas e Oaxaca, si contarono più di 1300 casi di sparizioni forzate. La metà soltanto nello stato di Guerrero dove era attiva la guerriglia di Lucio Cabañas e Genaro Vázquez. Si è risaliti a questa cifra grazie agli studi e alle ricerche compiute dall’Associazione dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi, e Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico (AFADEM) che fa parte della Federazione latinoamericana di Associazioni dei Familiari dei Detenuti Scomparsi (FEDEFAM).
Tuttavia è una pratica che continua ad applicarsi anche in tempi recenti :soltanto dal dicembre 2006, data di inizio del governo di Felipe Calderón al giugno 2008 i casi accertati sono stati 23. Si tratta di difensori dei diritti umani, indigeni e attivisti sociali e politici. In diciotto mesi, 23 persone sono state fatte sparire perchè ritenute scomode per il potere, sicuramente torturate, quasi sicuramente uccise. Più di una persona al mese.
I numeri tuttavia sono sicuramente maggiori. AFADEM rileva che, considerando anche le persone scomparse per le quali non si ipotizza direttamente il motivo politico e le persone scomparse in relazione al narcotraffico, raggiungiamo la cifra di 300 persone in 18 mesi di governo. Di queste persone non si sa più nulla, eppure il Messico è considerato a tutti gli effetti una democrazia. Difatti, molti casi di sparizioni forzate vengono fatti passare come casi legati al narcotraffico, spiega il segretario esecutivo di Afadem Julio Mata, una maniera sbrigativa per eludere la responsabilità diretta dello Stato, dal momento che il reato di sparizione forzata si configura tale in quanto commesso dallo Stato.
Un comune cittadino non può compiere il reato di sparizione forzata, può sequestrare, può uccidere. Uno Stato invece, fa sparire forzosamente, contro la loro volontà persone. Innocenti. Lo Stato spesso rimane impune e chi commette questo tipo di crimine continua a ricoprire ruoli di prestigio nelle Forze Armate o nei punti chiave di comando. La lotta contro l’impunità in Messico va di pari passo con la lotta contro la sparizione forzata. Sono le due facce della stessa medaglia. Non esiste il carnefice perchè non esiste la vittima.
Una buona notizia. Il 7 luglio scorso a San José di Costa Rica presso la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) per la prima volta lo Stato messicano si è trovato al banco degli imputati per la politica repressiva applicata dal governo e dalle Forze Armate durante la guerra sucia. Il caso preso in esame, e considerato emblematico di quanto accadeva in quegli anni è quello della sparizione forzata di Rosendo Radilla Pacheco, avvenuta il 25 agosto del 1974 ad Atoyac de Álvarez, stato del Guerrero, e del quale quella del 7 luglio è stata soltanto l’udienza preliminare. Il caso preso in esame, e considerato emblematico di quanto accadeva in quegli anni è quello della sparizione forzata di , avvenuta il 25 agosto del 1974 ad Atoyac de Álvarez, stato del Guerrero, e del quale quella del 7 luglio è stata soltanto l’udienza preliminare. (A cura di Annalisa Melandri )
Si ringrazia Gabriella Citroni per il suo impegno, quale delegata per l’Italia presso le Nazioni Unite, nella battaglia portata avanti per l’adozione di una convenzione internazionale contro il crimine di sparizione forzata di persone che si è concretizzata nell’adozione della Convenzione per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate dell’Alto Commissariato per la difesa dei Diritti Umani dell’ONU. Link utili: Testo della Convenzione (in inglese e in francese)
Amnesty International www.amnesty.it dove firmare l’appello per la ratifica della Convenzione
Annalisa Melandri www.annalisamelandri.it
A una donna…
L’aggressività maschile è stata riconosciuta (dati Onu) come la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo.
Solidali con la Rivoluzione Bolivariana
Viva la Solidarietà Internazionalista!
Viva il Socialismo!
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Associazione Nazionale delle Reti ed Organizzazioni Sociali (Capitulo ITALIA)
RedPorTiAmerica – www.redportiamerica.com
Collettivo redazionale “ALBAinFormazione”
Centro Culturale “La Città del Sole” – Napoli
Associazione “L’Internazionale”
Circolo Bolivariano “Antonio Gramsci” – Caracas
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba – Circolo Campi Flegrei – Napoli
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba – Circolo di Roma
Associazione Solidarietà Proletaria – ASP
Associazione Nazionale “Nuova Colombia”
Coordinamento Nazionale Bolivariano – CNB
Comitato Comunista Romano
Sindacato Lavoratori in Lotta –SLL
P-CARC
Collettivo Casoria Antifascista (NA)
Doriana Goracci – Capranica (VT)
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Walter El Nagar – Milano
Mariastella Aiello– Marano di Napoli
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Alessio Nalin – Venezia
Rosanna Ceroni – Castiglion Fiorentino
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Colombia: una fosa común D.O.C.
Colombia: una fossa comune D.O.C.
Un immenso cimitero. Si tratta della “fossa comune più grande d’America latina”, come viene definita da mesi, da quando cioè a principio di quest’ anno è stata scoperta nel municipio di La Macarena, regione del Meta, in Colombia. Adesso finalmente la fossa comune è una fossa D.O.C., è stata certificata cioè da una visita di una delegazione internazionale formata da parlamentari europei e statunitensi che hanno potuto testimoniare che quanto andavano da tempo denunciando alle autorità colombiane i contadini del luogo e gli abitanti del circondario, era vero.
In Colombia, la democratica e civile Colombia, (niente a che vedere con quel covo di dittatori e brutta gente come il Venezuela e Cuba) succede infatti che se per esempio gli abitanti di una comunità denunciano la presenza di un gigantesco “cimitero clandestino” dove spuntano femori e costole dappertutto e dove i cani e gli avvoltoi vanno a fare merenda, ci sia bisogno poi di un’intera delegazione di osservatori internazionali che lo confermino.
Succede anche che dopo la visita di tali osservatori, il ministero degli Esteri colombiano dichiari che non esistono fosse comuni nella zona e succede perfino che il più importante quotidiano del paese, El Tiempo, i cui maggiori azionisti sono sia il neo eletto presidente Juan Manuel Santos nonché ex ministro della Difesa, sia suo cugino Francisco Santos attuale vicepresidente, ignori completamente la notizia.
In Colombia accade anche che da una parte e dall’altra del “cimitero clandestino” ci siano, guarda caso, rispettivamente una base militare e un piccolo aeroporto. E nemmeno a farlo apposta erano proprio quegli inetti contadini locali che invece di zappare la terra, pare abbiano visto decine e decine di corpi venire gettati da piccoli aerei proprio nei pressi della fossa comune.
Tutto ciò non era sufficiente in Colombia perché il paese avesse diritto ad un’indagine seria volta alla ricerca della verità, sono stati necessari decine di osservatori internazionali a dar voce alla denuncia sporta a gennaio dai contadini di La Macarena. Si pensa che vi siano duemila corpi in quel cimitero. O almeno ciò che ne resta. Nessun problema per il governo, non si tratta di persone, “sono guerriglieri morti in combattimento”, hanno dichiarato fonti ufficiali.
Troppa fatica identificarli e dargli degna sepoltura e poi non sono così tanti, “soltanto” 400, hanno dichiarato i militari del posto e il governo. Roba piccola, sono anche stati già fatti a pezzi, non sono nemmeno tutti interi, perché da quelle parti si usa smembrare i cadaveri come pratica dell’ addestramento militare o paramilitare, che poi fa lo stesso. Dettagli.
Come un dettaglio insignificante pare essere il fatto che si sia veramente trattato di guerriglieri morti in combattimento. Si vocifera che si tratti di oppositori politici o contadini. Storia vecchia, sempre la stessa, quella degli oppositori politici che vengono fatti sparire in Colombia. Si è scoperto invece che in questo civilissimo paese, i militari dell’esercito usano ammazzare persone innocenti, ragazzi adescati per strada con scuse banali come l’offerta di un lavoro, dopo averli condotti varie centinaia di chilometri lontano da casa, dopo avergli messo in mano un fucile e addosso una divisa delle FARC facendoli passare per guerriglieri.
Un carnevale macabro per ottenere promozioni e licenze premio, oltre a più soldi dal Plan Colombia.
Li hanno chiamati falsi positivi, e anche il nome è fuorviante perché anche se si tratta a tutti gli effetti di esecuzioni extragiudiziali o di sparizioni forzate, il termine falsi positivi non fa pensare immediatamente a questi delitti di Stato per cui un paese rischia la condanna per crimini contro l’umanità dai tribunali internazionali.
Quella dei falsi positivi è un’invenzione di cui la Colombia detiene il brevetto, allucinante e paradossale nella sua crudezza, degna di quel realismo magico al quale proprio questo paese ha dato grande contributo con le opere di Gabriel García Márquéz.
Dice il grande scrittore colombiano che nel mondo che ha cercato di rappresentare nei suoi romanzi, non esiste divisione tra ciò che sembra reale e ciò che sembra fantasia. In Colombia anche i peggiori crimini sembrano opere di fantasia tanto sono surreali.
Solo in Colombia si compiono massacri con le motoseghe, o si gioca a pallone con le teste dei morti mentre in aria volteggiano gli elicotteri dell’esercito.
La fossa di La Macarena potrebbe essere benissimo adesso quella in cui il popolo colombiano dovrebbe trovare la forza e il coraggio di gettare finalmente, insieme ai resti di quei duemila corpi senza nome né volto divorati dai vermi, anche quello che resta di quella farsa che l’opinione pubblica internazionale si ostina a chiamare “democrazia colombiana”.
Qualche giorno fa si è celebrato in Colombia il Bicentenario del Grido d’Indipendenza. Hanno sfilato mossi da grande e nobile orgoglio nazionale, più di 400mila persone per le strade di Bogotá.
Io non amo le commemorazioni. Ancora meno quando si commemora un passato glorioso sotto il giogo di un presente nefasto e indegno.
Il Grido d’Indipendenza va dato adesso e subito! I colombiani adesso e subito devono scoprire l’orgoglio calpestato da qualche decina di famiglie infami che continuano a sottometterli a ingiustizie e violenze. Devono riscoprire l’orgoglio calpestato, nonostante quel Grido di Libertà di duecento anni fa, da poteri stranieri che usano i politicanti locali ancora oggi come burattini nelle loro strategie geopolitiche.
Quale Indipendenza si è celebrata per le strade di Bogotà nei giorni scorsi? Quale Patria idealizzata si è riunita sotto il vessillo di Bolívar? La Marcia Patriottica si sarebbe dovuta dirigere verso Palacio Nariño, sede del governo e lì davanti scavare una grande fossa e gettarvi dentro i narco paramilitari che lo abitano al grido di Colombia Libre!
Gustavo Valcárcel : poema a Luís Corvalán
Murió el 21 de julio en su casa de Santiago a los 93 años de edad, don Luís Corvalán, figura histórica del movimiento obrero chileno y ex secretario general del Partido Comunista de Chile desde 1958 hasta 1990.
Detenido en la isla Dawson tras el golpe militar en 1973, fue liberado por una amnistía de 200 presos políticos y canjeado por el disidente ruso Vladimir Bukovsky. Recibió asilo político en URSS y regresó a Chile en solamente en 1988. En el día de hoy fue homenajeado por más de tres mil personas. Lo recuerdo con éste poema de Gustavo Valcárcel, notable y revolucionario poeta peruano. (AM)
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ESTE es Corvalán el muy querido,
ducho en campos de concentración
en luchas proletarias, en ternuras
de esposo y padre, de combatiente y hombre
de militante sin arrugas
de soldado que ignora lo que es la rendición.
Cuando te pienso entre mil muros
se me cae el alma para arriba
y se une a ella a la gran ronda
que pide libertad para tus sueños.
Quizá sabrás, Luís Corvalán,
que el mundo gira veloz hacia la izquierda
que la rosa busca al pan a todo trance
porque se acerca el día de ambos para todos
y quieren estar juntos
en matrimonio de amor indisoluble.
Obrero mayor del porvenir chileno
aprieto mis insomnios con los puños
agarro a la soledad de los cabellos
meto en su jaula a la tristeza
me paro en la noche.Palpo.Oigo.Grito.Veo:
en medio de la adustez de los alambres
en la grupa del tiempo del recuerdo
de espaldas al cadalso puesto a punto
al centro de la negrura mal cuajada
lo único que brilla es el ensueño
de tu roja alegría comunista.
(Gustavo Valcárcel)
Stati Uniti negano visto al giornalista colombiano Hollman Morris
Le autorità statunitensi, appellandosi al Patriot Act e per mezzo della loro sede diplomatica in Colombia hanno respinto la richiesta di visto presentata dal giornalista Hollman Morris per “presunte attività terroriste” del medesimo. Morris doveva recarsi negli Stati Uniti per partecipare alla prestigiosa borsa di studio Nieman presso l’Università di Harvard che gli era stata assegnata per l’anno accademico 2010 – 2011 insieme ad altri 11 giornalisti di riconosciuta fama internazionale.
Il popolare giornalista colombiano, direttore del programma Contravía, vincitore di numerosi premi per le sue importanti inchieste sulle violazioni dei diritti umani nel suo paese e fortemente critico del governo di Álvaro Uribe, ha detto che si tratta di “un’operazione criminale” condotta contro di lui e si è dichiarato sorpreso del fatto che “ dopo essere stato vittima di persecuzione per oltre dieci anni (nel suo paese), il Dipartimento di Stato applichi adesso la stessa politica di Uribe considerandolo un terrorista”.
Recentemente il presidente colombiano lo aveva infatti accusato apertamente di essere complice della guerriglia delle FARC e di “fare apologia del terrorismo” . Si tratta soltanto dell’ultima delle dichiarazioni del presidente volte a stigmatizzare giornalisti e comunicatori sociali per le loro denunce dei crimini di Stato in Colombia.
Numerose sono le proteste che si sono levate contro questa decisione che ben si inserisce nella già nota tendenza maccartista dell’amministrazione Obama che pratica con forme diverse “esclusione ideologica” dei cittadini stranieri critici verso la politica internazionale degli Stati Uniti.
La Sociedad Interamericana de Prensa (SIP) ha sollecitato le autorità statunitensi a rivedere la posizione di Morris, mentre l’American Civil Liberties Union (ACLU), storica organizzazione americana per la difesa delle libertà civili ha inviato una lettera al segretario di Stato Hillary Clinton ringraziandola per quanto fatto dalla nuova amministrazione rispetto al caso dei due studiosi Adam Habib e Tariq Ramadan (ai quali soltanto adesso è stato permesso di viaggiare nel paese dopo il lungo divieto imposto dal precedente governo Bush) ma sottolineando che la decisione di negare il visto a Hollman Morris è in contrasto con “l’impegno dichiarato da questa amministrazione di voler favorire un libero scambio di informazioni ed idee tra gli Stati Uniti e il resto del mondo”.
José Manuel Vivanco, direttore di Human Right Watch, organizzazione che aveva premiato Morris nel 1997 per il suo lavoro per i diritti umani in Colombia ha duramente criticato la decisione di non concedere il visto a Morris, aggiungendo che non ci sono prove che vincolano il giornalista alla guerriglia ma sono invece note e provate le intenzioni del presidente Uribe che da qualche tempo ha dato vita a una vera e propria campagna diffamatoria contro di lui vincolandolo alle FARC.
Da alcuni documenti sequestrati infatti dalla magistratura colombiana negli uffici del DAS (i servizi segreti al centro di un recente scandalo per le intercettazioni illegali contro militanti, politici avversi al governo e leader dell’opposizione) risulta infatti che lo stesso Morris fu vittima di intercettazioni non autorizzate e oggetto di una campagna che aveva l’obiettivo di costruire prove false per vincolarlo alla guerriglia.
Deve essere stato forte il timore che un giornalista così esperto della situazione del conflitto colombiano, che molte ed importanti indagini sta portando avanti rispetto alle violazioni dei diritti umani in Colombia e sui loro responsabili, potesse trovarsi insieme ad altri importanti giornalisti internazionali condividendo con essi non soltanto informazioni e punti di vista ma soprattutto la realtà, quella colombiana fatta di crimini e terrorismo di Stato, di politica paramilitare e di violenze contro civili inermi. La borsa di studio Nieman dell’ Università di Harvard viene concessa soltanto a 20 giornalisti ogni anno dei quali la metà sono americani e l’altra metà internazionali e rappresenta uno dei più importanti riconoscimenti che un operatore della comunicazione (viene concessa anche a reporter, editori, fotografi, produttori) possa ricevere a metà carriera.
Si tratta dell’ennesimo tentativo di far sì che non si diffonda troppo la bufala della democrazia in Colombia e che la situazione del paese resti circoscritta ai confini nazionali, dove i pochi importanti mezzi di comunicazione sono delle mani dell’oligarchia al potere. Proprio il neo eletto presidente Juan Manuel Santos è uno dei maggiori azionisti della più importante testata giornalistica del paese, il quotidiano El Tiempo, di proprietà della sua famiglia.
I giornalisti in Colombia sono oggi quindi più che mai nel mirino di politici e paramilitari, sottomessi a forti pressioni e ingerenze nel migliore dei casi ma che rischiano generalmente la vita in uno dei paesi dove tale professione resta sempre uno dei mestieri più pericolosi. Adesso, anche l’altro “paladino della democrazia”, gli Stati Uniti, nega loro il diritto alla libera circolazione.
Non molto tempo fa è accaduto infatti ai giornalisti colombiani Hernando Calvo Ospina e Luis Ernesto Almario, (che per motivi di sicurezza legati al loro lavoro risiedono ormai da diversi anni in Francia il primo e in Australia il secondo), che si sono visti negare l’accesso in territorio statunitense perché il loro nome risulta inserito in una lista “nera” di persone legate al terrorismo internazionale.
Forse anche questo fa parte degli accordi interni al Plan Colombia, il colossale piano di aiuti per la lotta al narcotraffico che mal celatamente nasconde favori (come questi) da ambo le parti, ma c’è da chiedersi tuttavia fino a quando i servizi segreti statunitensi continueranno a farsi imboccare frottole colossali da quelli colombiani.
Antonio Mazzeo: I Padrini del Ponte
I PADRINI DEL PONTE
Antonio Mazzeo Edizioni Alegre, 2010, 14 euro
«Minchia se fanno ‘u ponte ce ne sarà per tutti!!!»: così Bernardo Provenzano, il potente boss corleonese arrestato nel 2006 dopo una lunga latitanza, commentava con i suoi compari l’affare Ponte. Per questo il Ponte lo vogliono tutti, chi per gloria, chi per denaro.
Si tratta infatti di un’opera faraonica, «qualcosa come le piramidi per i faraoni, un monumento con cui consegnarsi alla storia », come scrive nella prefazione Umberto Santino (presidente del Centro di Documentazione Peppino Impastato di Palermo). Faraonico sarebbe però anche il ritorno economico dell’investimento nelle tasche di costruttori, speculatori, trafficanti d’armi, faccendieri, mafiosi, finanzieri, principi arabi, perfino in quelle della Saudi Binladin Group di proprietà della famiglia di Bin Laden, che opera congiuntamente con alcune società che hanno partecipazione diretta in Impregilo, general contractor per la realizzazione dell’opera.
Un’altra grande opera sulla quale mettere le mani, com’è avvenuto in passato per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria (per completare la quale occorre quasi lo stesso denaro che serve per realizzare il ponte sullo Stretto) e il porto di Gioia Tauro, con la differenza che oggi la mafia ha raggiunto un’organizzazione, un livello imprenditoriale e una capacità di infiltrazione in tutti i settori della società senza precedenti.
Non solo mafia «imprenditrice» ma mafia «finanziaria», «in grado di giocare un ruolo da protagonista». Ed è proprio a chi vuole approfondire questo particolare aspetto del fenomeno mafioso e capire meglio determinate complicità che il libro di Antonio Mazzeo si rivolge e va consigliato.
Annalisa Melandri
Recensione per LE MONDE diplomatique – il manifesto, giugno 2010
Il Giornale meglio della Repubblica?
La Repubblica.it — Homepage via kwout
Una notizia importante come quella di stamattina della condanna del generale Ganzer, attuale capo dei Ros a 14 anni di carcere per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti, per La Repubblica.it merita il taglio basso. La testata troppo presa dall’antiberlusconismo politico, dà poco risalto a un fatto che rende l’Italia molto simile a Colombia e Messico. Il Giornale.it invece la mette giustamente in primo piano, pur sminuendo la gravita’ del fatto.
Mi chiedo come sia possibile che mentre le indagini erano ancora in corso e per tutto il tempo della durata del processo il generale abbia continuato a svolgere il suo incarico di capo dei Ros…