Un simpatico puzzle… da non completare
Puzzle tratto da LUDUS
Omaggio alla memoria!
“El día en que lo iban a matar…”
San José de Apartadò — Monumento alla memoria
Ancora su Vicenza, il Corriere della Sera e Amato.
Fotografia gentilmente concessa da Stefano Vanzetto
Qui il post precedente su Pierluigi Battista
Qui l’articolo del 16 febbraio 2007 del Corriere della Sera
Mail da Cochabamba
Ricevo da Rafael Rolando Prudencio Briancon da Cochabamba il 5 febbraio scorso:
Mail desde Cochabamba
Grazie Vicenza e grazie popolo della pace!
Foto tratta dal sito Altra Vicenza
Grazie anche a Berlusconi che parlando di un giorno triste perché in Italia si è manifestato contro una base americana, si è reso soltanto molto più ridicolo di quanto già non fosse.
Grazie infine ad Amato, Parisi, Rutelli, Battista (Corriere della Sera) etc etc che con il loro “terrorismo di stato” hanno permesso che il suono delle parole della pace si sia udito ancora più chiaramente.
Fredy Muñoz e la “prueba reina”
RENOVANDO LA SOLIDARIEDAD A FREDY MUÑOZ
Era scontato che succedesse. La liberazione di Fredy Muñoz non poteva non nascondere qualche insidia, non poteva concludersi così “banalmente” una vicenda che ha rappresentato un duro attacco alla libertà di espressione in un paese dove questa è già un’utopia. Una vicenda che si inserisce in un contesto di rapporti difficili tra due paesi che appaiono sempre più lontani. Come già preannunciato a suo tempo dai legali e dallo stesso Muñoz, egli, oltre a vedere aggravata la sua di per sé difficile posizione con la magistratura colombiana, è realmente anche in pericolo di vita.
La rivista colombiana Cambio pubblica quella che a suo dire è la “prova principe”, quella che inchioderebbe definitivamente l’imputato alle sue responsabilità, o alle manipolazioni di cui è oggetto a seconda dei punti di vista. Addirittura si vocifera che
La fotografia, ritrarrebbe il corrispondente di TeleSUR in un accampamento delle FARC sorridente tra i guerriglieri con un bicchiere di vino in una mano e un M16 nell’altra.
Questa fotografia sarebbe stata “casualmente” ritrovata nell’accampamento di Martin Caballero, comandante del fronte 37 delle FARC, dall’esercito colombiano durante una perquisizione all’indomani della liberazione dell’ex ministro Arajuco.
Un investigatore consultato dalla rivista Cambio afferma che “non ci sono dubbi che Fredy Muñoz è colui il quale appare sulla foto in compagnia dei guerriglieri e questo conferma che il corrispondente di TeleSUR in Colombia fa parte integrante di uno dei fronti più agguerriti delle FARC”.
Oltre alla fotografia ci sono altre prove “schiaccianti” sull’attività eversiva di Fredy che consistono in alcuni fogli in bianco ritrovati nella “sua” abitazione recanti il timbro del fronte 35 delle FARC e 17 fogli di uno scritto dal titolo “La dottrina del Fascismo”.La fotografia appare manipolata grossolanamente, tanto è vero che in internet girano altre “prove schiaccianti” su altri personaggi come quella qui sotto:
Si notano infatti nella foto che ritrarrebbe Fredy Muñoz, zone di diversa nitidezza. Sebbene Fredy si trovi sullo stesso piano del guerrigliero con la maglietta del Che, la sua immagine appare molto più sfocata e il corpo non sembra corrispondere al suo, sul quale sarebbe stata posta una sua fotografia.
I metodi sono quelli già ben noti della Fiscalía Colombiana, il mezzo è un settimanale che pare si stia prestando sempre più agli interessi del potere militare e paramilitare.
Fredy Muñoz ha prontamente replicato alle accuse con una lunga lettera pubblicata sul sito di TeleSUR e di cui riporto qui di seguito la traduzione: (Qui la versione originale)
“Come preannunciato, una nuova montatura è stata il risultato della campagna di criminalizzazione contro la libera stampa, contro la libertà di espressione e contro la democratizzazione dell’informazione che avanza nel continente con l’ espansione di TeleSUR.
Il 31 gennaio scorso i nostri avvocati ottennero che
Processo che è rimasto appeso a un filo con l’infondatezza delle prove annesse e che consistevano in testimonianze contraddittorie di cosiddetti “testimoni burattini” e in “rapporti di indagini” inconsistenti e senza valore probatorio.
Il giorno dopo della notifica da parte dei miei avvocati del trasferimento del processo, il 1 febbraio scorso, una minaccia di morte mi è giunta attraverso la posta elettronica firmata da un gruppo paramilitare identificato come “Aguilas Negras”. In questa nota ci definisce “rospi comunisti travestiti da giornalisti” e ci minaccia di aspettarci la morte.
Dopo questa intimidazione alcuni mezzi di comunicazione hanno iniziato a diffondere la notizia, la domenica del 4 febbraio scorso, che
In modo brusco, intempestivo e in linea con i metodi di questo organismo, una mia presunta fotografia in compagnia di guerriglieri delle FARC compare “abbandonata” dai ribelli nello stesso luogo dove era tenuto sequestrato il ministro Fernando Araújo e di cui se ne ha notizia solo oggi un mese e mezzo più tardi. È stato abbinato collegato in modo approssimativo, questo successo, il più sensibile e significativo per l’opinione pubblica negli ultimi mesi, alla persecuzione e alle segnalazioni contro di me.
Questa fotografia è stata definita dalla rivista Cambio come la “prova principe” e affermano i servizi che è stata scattata all’inizio del 2006 mentre allora era dimostrato il mio impegno continuo con TeleSUR.
Un altro mezzo di informazione, assicura in un contesto di irresponsabile ambiguità, che detta foto fu scattata ad aprile 2005 , periodo in cui era risaputo pubblicamente che mi trovavo in fase di consegna del documentario “Il treno che arriva a Clamar” per la serie “Tropici” di Telecaribe.
Seriamente, ho visto e fatto migliori fotomontaggi di questo.
Che modo grossolano e irresponsabile di rivivere una criminalizzazione che è iniziata i primi giorni di maggio 2005 quando quegli stessi servizi di sicurezza colombiani, incentivati dagli Stati Uniti “confusero” il ritornello della canzone “Tieta” di Caetano Veloso e cantato in un passaggio promozionale di TeleSUR da una giovane brasiliana, con un’apologia del gruppo basco ETA, riconosciuto internazionalmente come terrorista.
E seguì con le dichiarazioni del congressista nordamericano Connie Mack sul denaro e sforzo che dedicherebbero da Washington per contenere e bloccare TeleSUR, quando non era andato in onda ancora nemmeno un servizio giornalistico.
Questa piega che prende ora la persecuzione, avallata da un fotomontaggio e dalla pubblicazione irresponsabile da parte della rivista Cambio di informazioni scritte in mala fede, e indiscutibilmente falsa, è inoltre un grave attacco al segreto istruttorio, alla presunzione di innocenza e al nostro diritto alla difesa, aggredito con queste prove che “sono state prodotte” alle spalle dei nostri avvocati.
Insiste questa rivista nel dire, tra le altre falsità, come già dissi nel novembre passato, che nel “mio” appartamento è stata trovata carta intestata delle FARC, quando nella stessa inchiesta e nella sentenza del Tribunale della Corte di Appello che mi concesse la libertà, si dichiara che né l’appartamento perquisito era il mio alloggio, e né dal verbale di perquisizione risulta che fu mai ritrovata della carta intestata.
Ma questo è il risultato del compromesso di alcuni mezzi di comunicazione del paese con gli organi militari e di sicurezza, che in modo irresponsabile pubblicano ciò che gli capita fra le mani, senza nessun rigore né etica giornalistica e con evidente intenzione di causare danno.
Ci troviamo di fronte alla forma più specializzata di coercizione della libertà di stampa e di criminalizzazione della diversità informativa. Così come gli Stati Uniti accusano giornalisti arabi, rifugiati in Francia, di far parte della rete “Al Qaeda” e di aver partecipato alla terribile tragedia dell’11 settembre solo per aver intervistato e informato sulle caratteristiche ed azioni di quel gruppo, qui in Colombia si pretende di detenere l’annunciata espansione di TeleSUR con fotomontaggi come questo.
Ai nostri avvocati è stato negato l’accesso alla pratica, la quale è passata per la città di Cali, fatto inspiegabile secondo i molti giuristi consultati. Non è stato inoltre ancora notificato il pubblicizzato ordine di cattura. Credevamo che le fughe di notizie fossero l’eccezione e invece si scopre che è re la regola, indagando un po’ nel passato dei funzionari giuridici coinvolti in questa montatura.
Il DAS di Barranquilla manovrato dal paramilitare Rodrigo Tovar Pupo, alias Jorge 40 è l’ente che esegue l’arresto. Precedentemente aveva arrestato Alfredo Correa de Andreis, amico e maestro, e una dozzina tra attivisti sociali, studenti, sindacati, dirigenti culturali e maestri.
È provata la partecipazione di paramilitari e agenti di questo corpo nel ripudiato crimine di Alfredo Correa ed di dettagli a sangue freddo trapelati dal personal computer di Jorge 40 , trovato nella proprietà dell’ alias “Don Antonio” un militare in ritiro al servizio del paramilitarismo.
Il pubblico ministero Manuel Hernando Molano Rojas, non specializzato, e con delega alla cosiddetta Unidad de Reacción Inmediata del DAS nel Atlántico, accogliendo la mia richiesta di istruttoria, alla conclusione di essa chiese scusa al mio avvocato per le “irregolarità commesse” e mi disse testualmente “A te quelli che ti vogliono fottere (sic) sono quelli della Marina”.
Il processo giunge allora nelle mani del giudice di terzo grado di Cartagena, Miriam Martínez Palomino, (responsabile di arresti di massa denunciati dal Tribunale del Popolo del Bolívar, conclusi con l’assoluzione dei prigionieri) la quale è seriamente implicata con gruppi paramilitari, come fu denunciato anche da avvocati di parte di Cartagena in una nota dell’anno 2004.
Questi avvocati, stanchi della corruzione e del servilismo della Fiscalía al paramilitarismo, denunciarono in un comunicato che Miriam Martínez Palomino, con Demóstenes Camargo de Ávila, (oggi a capo dei pubblici ministeri di Cartagena, e colui il quale all’epoca accusò Alfredo Correa de Andreis e a dirigenti come Amaury Padilla Cabarcas), e con i pubblici ministeri Pedro Díaz Pacheco e Jesús García Castillo, guidati dal direttore di sezione della fiscalía di Cartagena, erano compromessi con il paramilitarismo.
Alla metà dell’anno 2004 questo gruppo di funzionari giuridici si riunirono, dice il comunicato, in una proprietà in San Jacinto, Bolívar, dell’ex senatore conservatore Rodrigo Barraza, proprietà nella quale giunse una pattuglia della polizia che ebbe uno scontro a fuoco con loro e li scoprì in compagnia dei capi paramilitari, Antonio Orozco Ochoa, alias “el comandante” e Álvaro Rodríguez Pérez, alias “don Rodri” , più otto paramilitari che servivano da scorta.
In possesso di questa congiura di fiscalía-paramilitarismo, si trovarono copie di tutte le pratiche di persone che furono arrestate nella regione, accusati di ribellione e terrorismo.
Ciò nonostante questo accaduto fu cancellato da un ordine della Fiscalía General alla cui direzione in quel momento c’era Luis Camilo Osorio, al quale si attribuiscono ora, dopo le prime libere deposizioni dei capi paramilitari, le più oscure alleanze con queste organizzazioni di ultradestra.
Dalle mani di questi pubblici ministeri uscì il processo che oggi, dopo un inesplicabile passaggio dalla città di Cali, pensa di risorgere sotto il peso di fotomontaggi come quelli mostrati da alcuni mezzi di comunicazione del paese.
Faccio un appello alle associazioni nazionali ed internazionali dei Diritti Umani, alle Organizzazioni Non Governative, alle associazioni che difendono la libertà di stampa, al giornalismo indipendente, alle corporazioni della stampa, alle associazioni degli utenti della stampa, e a tutta la collettività critica e attiva del nostro continente ad essere vigile rispetto all’evolversi di questa situazione.
Nego pubblicamente, quanto affermano in forma tendenziosa gli organismi di sicurezza e i suoi mezzi di corte, che sono uscito dal paese. Dallo scorso 1 febbraio a causa delle gravi e continue minacce contro la mia vita mi proteggo da esse e faccio in modo di proteggere anche la mia famiglia, all’interno del mio paese. Nonostante queste circostanze, i miei avvocati non hanno abbandonato il processo.
Voglio richiamare l’attenzione del Tribunale Nazionale del Popolo affinché garantisca il nostro diritto alla vita , al processo giusto, alla libera espressione e al buon nome, il mio, della mia famiglia e quello dei miei colleghi di TeleSUR in Colombia e che intervenga tra tante e tali sleali minacce.”
Fredy Muñoz 14 Febbraio 2007
Traduzione di Annalisa Melandri
Sul sito di TeleSUR ulteriori notizie.