Un simpatico puzzle… da non completare

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Puzzle tratto da LUDUS

Questo è ciò che inquieta di più dite la verità!!! Che si ricomponga il puzzle!!
C’è una parte di me che si è sentita tradita da questo Governo e che a mò di diavoletto continua a ripetermi : gli sta bene!! E che mi fa dire come ormai sento ripetere spesso :andate tutti al diavolo, io non vado più a votare!
Poi però mi dico che questo “gli sta bene”  rivolto non so bene a chi, implica la possibilità che lui, Berlusconi, l’incubo di tutti noi,  ritorni. Un po’ come gli zombie, che a volte ritornano, lui è un incubo, di cui, diciamoci la verità non ci siamo mai potuti liberare veramente del tutto.
Anche perché tra apparizioni televisive, stupidaggini sparate qua è là, malesseri più o meno reali ma comunque molto “plateali”, manifestazioni di piazza e battibecchi coniugali a mezzo carta stampa, sarebbe stato impossibile farlo.
Già me lo immagino, ieri sicuramente la prima cosa che avrà fatto sarà stato chiamare l’amico George: Hey George, don’t worry, I’m  coming and we’ll attack Iran if you want all right?
Poveri noi.
Ma questo ci meritiamo a quanto pare.
Delusa dal governo, sì e dalla sua arroganza, da un governo che ha scritto delle cose sul programma e ne ha fatte altre, che si è barcamenato goffamente cercando plausi da tutte le parti,a destra, a sinistra, con il Vaticano, con gli Stati Uniti e si sa tanto che per non far torto a nessuno alla fine si scontentano tutti. Il Vaticano ha avuto da ridire anche sui Dico, gli Stati Uniti ci hanno richiamato al senso di responsabilità tramite una manciata di ambasciatori, ma alla fine il più scontento, deluso e amareggiato è il popolo (come sempre) che quel governo lo aveva votato.
E quel popolo che oltre a essere andato a votare  per mandare casa Berlusconi aveva magari ingenuamente sperato, anche senza troppe illusioni questo è vero, che un minimo di discontinuità con il governo precedente fosse possibile.
E dove sta la discontinuità a sentire D’Alema? Nel fatto che se la sinistra fosse stata al governo non avrebbe mandato i soldati in Iraq, bella discontinuità fatta sulle presunte intenzioni. E sui fatti? Abbiamo ritirato i soldati dall’Iraq, (come d’altra parte stabilito dal precedente governo) e poi? Se come governo ci siamo dissociati da quella guerra come ha detto D’Alema nel suo discorso perché decisa dagli Usa in modo unilaterale e sulla base di una menzogna, perché concedere un ampliamento della base a Vicenza che di fatto si sa deve funzionare come base di appoggio proprio per quella guerra? ( sperando che non serva anche come base di appoggio per un’invasione all’Iran).
Comunque amici che avete sfilato a Vicenza, Napolitano lo ha detto chiaramente, “la piazza e la massa non sono il sale della democrazia” bensì questo è da “trovare nella rappresentatività delle istituzioni” altrove si rischia di cadere nella degenerazione estrema del  terrorismo.
Purtroppo caro Napolitano come la mettiamo con il fatto che alla “rappresentatività delle istituzioni” ormai non ci crede più quasi  nessuno?

Omaggio alla memoria!

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ROMA, 21 febbraio 2007–  Ore 15,30 
¡  Omaggio alla memoria !
Sit-In  di fronte alla Ambasciata colombiana , angolo Via Pisanelli/ Via Mancini .
Una delegazione di alto livello, consegnerà all’Ambasciatore colombiano
una lettera per il Presidente Alvaro Uribe Velez , con la quale la comunità internazionale chiede la fine dell’impunità e il rispetto “ del diritto di distinzione
della popolazione civile dagli attori armati.
 

“El día en que lo iban a matar…”

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Roma – 23 febbraio 2007 – ore 17,00
Parlamento Europeo, Sala delle Bandiere (Via IV novembre, 149)
Tavola rotonda
El día en que lo iban a matar.…
presentazione del rapporto dei magistrati di MEDEL ( Spagna ) 
sul massacro del 21 febbraio 2005
 
partecipano:
Luis Fernando Martínez Zapater, magistrato di Jueces para la Democracia , autore del rapporto
On.le Tana De Zulueta, On. Francesco Martone, On. Vittorio Agnoletto,
On.le  Monica Cirinnà, Antonio Labucci, Andrea Proietti Presidente Colombia Vive!, Rappresentante Comune di Cascina, Riccardo Noury portavoce Amnesty International sezione Italia
Coordina:Guido Piccoli, scrittore e giornalista

San José de Apartadò — Monumento alla memoria

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monumento alla memora

Comunidad de Paz de San José de Apartadò, Monumento alla memoria. Luogo attualmente occupato dalle Forze di Polizia dal 2 aprile 2005, subito dopo i fatti del massacro. Il monumento è stato distrutto dalla Polizia il 10 aprile 2006, I Membri della Comunità di Pace dal 2 aprile 2005 , rimanendo fermi nel loro principio di autonomia e non collaborazione, sono stati costretti ad abbandonare il villaggio ed hanno ricominciato a costruirne uno nuovo in un territorio di proprietà della Comunità ( territorio collettivo)   a 10 minuti di cammino, San Josecito lugar de Dignidad dove tuttora vivono continuando a rispettare i loro principi.
La Comunità di Pace di San José de Apartadò è stata nominata , insieme ad ACIN - Asociacion de Cabildos Indigenas del Norte del Cauca - al   premio Nobel per la Pace 2007 da AFSC American Friends Service Committee (Nobel per la Pace del 1947)

Ancora su Vicenza, il Corriere della Sera e Amato.

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Fotografia gentilmente concessa da Stefano Vanzetto

Ormai la manifestazione si è conclusa, tutti lo sanno,  nel migliore dei modi.  Un po’ in ritardo però vorrei far notare come, Pierluigi Battista,  forse resosi conto che il suo articolo dal titolo “Vicenza violenza” aveva sollevato critiche da  più parti per i toni allarmistici usati, in un altro editoriale del 16 febbraio scorso usa parole  ben più benevole titolandolo addirittura “Uno spiraglio per Vicenza”, nel quale ammette che “non è poi così irragionevole auspicarsi che Vicenza potrebbe uscire indenne dalla manifestazione”.  Bontà sua!! Non si comprende  cosa è che abbia contribuito ad aprire questo spiraglio nella benevolenza di Battista verso Vicenza. Vicenza infatti è uscita indenne dalla manifestazione certamente non grazie agli auspici di Battista né tanto meno grazie agli allarmi di Amato, “Cicciobello” Rutelli  e l’Ambasciata degli Stati Uniti che invitava i suoi concittadini  a stare alla larga dalla città. Molti cittadini americani infatti hanno sfilato accanto ai vicentini come dimostra la foto. Ma poi Amato aveva bisogno di  gridare “ho vinto io” (ma si vinceva qualcosa?) e quindi ecco le foto degli striscioni dei 10 presunti amici dei terroristi ripresi e fotografati da tutte le angolazioni possibili, per poter raccontare  alla fine che i movimenti e l’espressione popolare  nascondono il seme dell’eversione e del terrorismo…

Qui il post precedente su Pierluigi Battista

Qui l’articolo del 16 febbraio 2007 del Corriere della Sera


Mail da Cochabamba

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cochabamba

Ricevo da Rafael Rolando Prudencio Briancon da Cochabamba il 5 febbraio scorso:

Annalisa, raccontandoti quello che succede a Cochabamba e ai CochaBAMBINI ti comunico che è diffuso un sentimento di frustrazione dopo che i cittadini hanno picchiato i contadini cocaleros, mossi da razzismo risentito e da frustrazioni personali.
Cochabamba è considerata il “cuore della Bolivia e del Continente” per essere situata geograficamente al centro del paese e del Sud America, oltre al fatto che accolse a braccia aperte centinaia di migliaia di emigranti giunti da altre regioni, durante  la crisi del settore minerario (20 anni fa quando si instaurò il modello neoliberale) e non essendoci altre risorse lavorative, questi si dedicarono alla coltivazione della coca e di altri prodotti agricoli.
Fino a prima degli ultimi scontri Cochabamba era considerata la capitale dell’ integrazione, ma repentinamente e con razzismo “il diavolo si è impossessato di noi” e le nostre debolezze hanno avuto la meglio.
Rispetto a Manfred ti dico che è rientrato a Cochabamba  oggi  5 di febbraio precisamente dall’ Europa, (Germania e Belgio), dopo  essere stato negli Stati Uniti denunciando e dispregiando con l’intento di destabilizzare, di essere stato vittima di un’insurrezione.
Proprio oggi torna a Cochabamba da questo suo viaggio denigratorio, ma tuttavia potrà continuare ad esercitare il suo ruolo di prefetto, il quale snatura le sue dichiarazioni di mostrarsi come martire davanti alla comunità internazionale.
 
Caro Rafael mi chiedo come è che questo diavolo improvvisamente si sia impossessato dei CochaBAMBINI come li chiami tu e non piuttosto sia stato ben fomentato e magari nutrito, a dollari forse?
Un abbraccio Annalisa.

Mail desde Cochabamba

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Recibo por el amigo Rafael Rolando Prudencio Briancon esas reflexiones sobre los ultimos acontecimientos en  Cochabamba el último  5 de febrero pasado:
Annalisa, contándote lo que sucede en Cochabmaba y los CochaBAMBINOS,te comento que existe un sentimimento de frustración después de que los citadinos apalearan a los campesinos cocaleros,motivados mas por un resentido racismo y frustraciones personales que por una causa justa.
Cochabamba es considerada el “corazón de Bolivia y del Continente“por estar geográficamente al centro del país y de sud América; además que Cochabamba recibió con los brazos abiertos a miles y cientos de migrantes que llegaron de otros departamentos,cuando se produjo la crisis de la minería (20 años atrás, cuando se implantó el modelo Neoliberal) y no habían fuentes de trabajo y esos migrantes se dedicaron al cultivo de coca y otros productos agrícolas.
Hasta antes de los enfrenatmientos Cochabamba era considerada la capital de la integración,pero repentina y racistamente se “nos salieron los demonios del cuerpo“y nos vencieron nuestras debilidades.
Respecto a Manfred;te cuento que el llega hoy día(5 de febrero)precisamente de Europa –Alemania y Bélgica-d espués de haber estado en EEUU,denunciando y desprestigiando desestabilizadoramente que fue víctima de un derrocamiento.
Pero hoy precisamente está llegando a Cochabamba de esa su desprestigiosa gira, pero el podrá seguir jerciendo su cargo de prefecto,lo cual desvirtua sus declaraciones de mostrarse como martir ante la comunidad internacional.
 
Querido Rafael, me pregunto como es que improvisamente a los CochaBAMBINOS como los llamas tú, improvisamente  “les salieron los demonios del cuerpo” y no mas bien esos demonios fueron alimentados y bien fomentados, quien sabe acaso con dolares?
Annalisa
 
 

Grazie Vicenza e grazie popolo della pace!

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vicenza 17/2/07

Foto tratta dal sito Altra Vicenza

Grazie Vicenza e grazie al popolo della pace!

Grazie anche a Berlusconi che parlando di un giorno triste perché in Italia si è manifestato contro una base americana, si è reso soltanto molto più ridicolo di quanto già non fosse.

Grazie infine ad Amato, Parisi, Rutelli, Battista (Corriere della Sera)  etc etc che con il loro “terrorismo di stato” hanno permesso che il suono delle parole della pace si sia udito ancora più chiaramente.

Fredy Muñoz e la “prueba reina”

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RENOVANDO LA SOLIDARIEDAD A FREDY MUÑOZ

Era scontato che succedesse. La liberazione di Fredy Muñoz non poteva non nascondere qualche insidia, non poteva concludersi  così “banalmente” una vicenda che ha rappresentato un duro attacco alla libertà di espressione in un paese dove questa è già un’utopia. Una vicenda che si inserisce in un contesto di rapporti difficili tra due paesi che appaiono sempre più lontani. Come già preannunciato a suo tempo dai legali  e dallo stesso Muñoz,  egli, oltre a vedere aggravata la sua di per sé difficile posizione con la magistratura colombiana, è  realmente anche in pericolo di vita.

La rivista  colombiana  Cambio pubblica quella che a suo dire è la “prova principe”, quella che inchioderebbe definitivamente l’imputato alle sue responsabilità, o alle manipolazioni di cui è oggetto a seconda dei punti di vista. Addirittura si vocifera che

la Fiscalía abbia emesso già un mandato di cattura per Fredy Muñoz.

La fotografia, ritrarrebbe il corrispondente di TeleSUR in un accampamento delle FARC sorridente tra i guerriglieri con un bicchiere di vino in una mano e un M16 nell’altra.

Questa fotografia sarebbe stata “casualmente” ritrovata nell’accampamento di Martin Caballero, comandante del fronte 37 delle FARC, dall’esercito colombiano durante una perquisizione all’indomani della liberazione dell’ex ministro Arajuco.

Un investigatore consultato dalla rivista Cambio afferma che “non ci sono dubbi che Fredy Muñoz è colui il quale appare sulla foto in compagnia dei guerriglieri e questo conferma che il corrispondente di TeleSUR  in Colombia fa parte integrante di uno dei fronti più agguerriti delle FARC”.

Oltre alla fotografia  ci sono altre prove “schiaccianti” sull’attività eversiva di Fredy  che consistono in alcuni fogli in bianco ritrovati nella “sua” abitazione  recanti il timbro del fronte 35 delle FARC e 17  fogli di uno scritto dal titolo “La dottrina del Fascismo”.La fotografia appare manipolata grossolanamente, tanto è vero che in internet girano altre “prove schiaccianti” su altri personaggi come quella qui sotto:Alvaro Uribe

Si notano infatti nella foto che ritrarrebbe Fredy Muñoz, zone di diversa nitidezza. Sebbene Fredy si trovi sullo stesso piano del guerrigliero con la maglietta del Che, la sua immagine appare molto più sfocata e il corpo non sembra corrispondere al suo, sul quale sarebbe stata posta una sua fotografia.

I metodi sono quelli già ben noti della Fiscalía Colombiana, il mezzo è un settimanale che pare  si stia prestando sempre più agli interessi del potere militare e paramilitare.

Fredy Muñoz ha prontamente  replicato alle accuse con una lunga lettera pubblicata sul sito di TeleSUR e di cui riporto qui di seguito la traduzione: (Qui la versione originale)

“Come preannunciato, una nuova montatura è stata  il risultato della campagna di criminalizzazione contro la libera stampa, contro la libertà di espressione e contro la democratizzazione dell’informazione che avanza nel continente con l’ espansione di TeleSUR.

Il 31 gennaio scorso i nostri avvocati ottennero  che

la Fiscalía General dello Stato trasferisse il mio processo  per ribellione e terrorismo da Cartagena delle Indie a Bogotà.

Processo che è rimasto  appeso a un filo con l’infondatezza delle prove annesse e che consistevano in testimonianze contraddittorie di cosiddetti “testimoni burattini” e in “rapporti di indagini” inconsistenti e senza valore probatorio.

Il giorno dopo della notifica da parte dei miei avvocati del trasferimento del processo, il 1 febbraio scorso, una minaccia di morte mi è giunta attraverso la posta elettronica firmata da un gruppo paramilitare identificato come “Aguilas Negras”. In  questa nota ci definisce “rospi comunisti travestiti da giornalisti” e ci minaccia di aspettarci la morte.

Dopo questa intimidazione alcuni mezzi di comunicazione hanno iniziato a diffondere la notizia, la domenica  del 4 febbraio scorso,  che

la Fiscalía avrebbe emesso contro di me un nuovo ordine di cattura, notizia diffusa direttamente da organismi centrali di quell’istituzione.  A questo punto già si era organizzata tutta la montatura.

In modo brusco, intempestivo e in linea con i metodi di questo organismo, una mia presunta fotografia in compagnia di guerriglieri delle FARC  compare  “abbandonata” dai ribelli nello stesso luogo dove era tenuto sequestrato il ministro Fernando Araújo e di cui se ne ha notizia solo oggi un mese e mezzo più tardi. È stato abbinato  collegato in modo approssimativo, questo successo, il più sensibile e significativo  per l’opinione pubblica negli ultimi mesi, alla  persecuzione e alle  segnalazioni contro di me.

Questa fotografia è stata definita dalla rivista Cambio come la “prova principe” e affermano i servizi che è stata scattata all’inizio del 2006 mentre allora  era dimostrato il mio impegno continuo  con TeleSUR.

Un altro mezzo di informazione, assicura in un contesto di irresponsabile ambiguità, che detta foto fu scattata ad aprile 2005 , periodo in cui era risaputo pubblicamente che mi trovavo in fase di consegna del documentario “Il treno che arriva a Clamar” per la serie “Tropici” di Telecaribe.

Seriamente, ho visto e fatto migliori fotomontaggi di questo.

Che modo grossolano e irresponsabile di rivivere una criminalizzazione che è iniziata i primi giorni di maggio 2005 quando quegli stessi servizi di sicurezza colombiani, incentivati dagli Stati Uniti “confusero” il ritornello della canzone “Tieta” di Caetano Veloso e cantato  in un passaggio promozionale di TeleSUR da una giovane brasiliana, con un’apologia del gruppo basco ETA, riconosciuto internazionalmente come terrorista.

E seguì con le dichiarazioni del congressista nordamericano Connie Mack sul denaro e sforzo che dedicherebbero da Washington per contenere e bloccare TeleSUR, quando non era andato in onda ancora nemmeno un servizio giornalistico.

Questa piega che prende ora la persecuzione, avallata da un fotomontaggio e dalla pubblicazione irresponsabile da parte della rivista  Cambio di informazioni  scritte in mala fede, e indiscutibilmente falsa, è inoltre un grave attacco al segreto istruttorio, alla presunzione di innocenza e al nostro diritto alla difesa, aggredito con queste prove che “sono state prodotte” alle spalle dei nostri avvocati.

Insiste questa rivista nel dire, tra le altre falsità, come già dissi nel novembre passato, che nel “mio” appartamento è stata trovata carta intestata delle FARC, quando nella stessa inchiesta e nella sentenza del Tribunale della Corte di Appello che mi concesse la libertà, si dichiara che né l’appartamento perquisito era il mio alloggio, e né dal verbale di perquisizione risulta che fu mai ritrovata della carta intestata.

Ma questo è il risultato del compromesso di alcuni mezzi di comunicazione del paese con gli organi militari e di sicurezza, che in modo irresponsabile pubblicano ciò che gli capita fra le mani, senza nessun rigore né etica giornalistica e con evidente intenzione di causare danno.

Ci troviamo di fronte alla forma più specializzata di coercizione della libertà di stampa e di criminalizzazione della diversità informativa. Così come gli Stati Uniti accusano  giornalisti arabi, rifugiati in Francia, di far parte della rete “Al Qaeda” e di aver partecipato alla  terribile tragedia dell’11 settembre  solo per aver intervistato e informato sulle caratteristiche ed azioni di quel gruppo, qui in Colombia si pretende di  detenere l’annunciata espansione di TeleSUR con fotomontaggi come questo.

Ai nostri avvocati è stato negato l’accesso alla pratica, la quale è passata per la città di Cali, fatto inspiegabile secondo i molti giuristi consultati. Non è stato inoltre ancora notificato il pubblicizzato ordine di cattura. Credevamo che le fughe di notizie fossero l’eccezione e invece si scopre che è re la regola, indagando  un po’ nel passato dei funzionari giuridici coinvolti in questa montatura.

Il DAS  di  Barranquilla manovrato dal paramilitare Rodrigo Tovar Pupo, alias Jorge 40 è l’ente  che esegue l’arresto. Precedentemente  aveva arrestato Alfredo Correa de Andreis, amico e maestro, e  una dozzina tra attivisti sociali, studenti, sindacati, dirigenti culturali e maestri.

È  provata la partecipazione di paramilitari e agenti di questo corpo nel ripudiato crimine di Alfredo Correa ed  di dettagli  a sangue freddo trapelati dal  personal computer di Jorge 40 , trovato nella proprietà dell’ alias “Don Antonio”  un militare in ritiro al servizio del paramilitarismo.

Il pubblico ministero Manuel Hernando Molano Rojas, non specializzato, e con delega alla cosiddetta  Unidad de Reacción Inmediata del DAS nel Atlántico, accogliendo  la mia richiesta di  istruttoria,  alla conclusione di essa chiese scusa al mio avvocato per le “irregolarità commesse” e mi disse testualmente  “A te quelli che ti vogliono fottere (sic) sono quelli della Marina”.

Il processo giunge allora nelle mani del giudice di terzo grado di Cartagena, Miriam Martínez Palomino, (responsabile di arresti di massa denunciati dal Tribunale del Popolo del Bolívar, conclusi  con l’assoluzione dei prigionieri) la quale è seriamente implicata  con gruppi paramilitari, come  fu denunciato anche da avvocati di parte di Cartagena in una nota dell’anno 2004.

Questi avvocati, stanchi della corruzione e del servilismo  della Fiscalía al paramilitarismo, denunciarono in un comunicato che Miriam Martínez  Palomino, con Demóstenes Camargo de Ávila, (oggi a capo  dei pubblici ministeri di Cartagena, e colui il quale all’epoca accusò  Alfredo Correa de Andreis e a dirigenti come Amaury Padilla Cabarcas), e con i   pubblici ministeri Pedro Díaz Pacheco e Jesús García Castillo, guidati dal direttore di sezione della fiscalía di Cartagena, erano  compromessi con  il paramilitarismo.

Alla metà dell’anno 2004 questo gruppo di funzionari giuridici si riunirono, dice il comunicato, in una proprietà in San Jacinto, Bolívar, dell’ex senatore conservatore Rodrigo Barraza, proprietà nella  quale giunse una pattuglia della polizia che ebbe uno scontro a fuoco con loro e li scoprì in compagnia dei  capi paramilitari, Antonio Orozco Ochoa, alias “el comandante” e Álvaro Rodríguez Pérez, alias “don Rodri” , più otto paramilitari che servivano da scorta.

In possesso  di questa congiura  di  fiscalía-paramilitarismo, si trovarono copie di tutte le pratiche di persone  che furono arrestate nella regione, accusati di ribellione e terrorismo.

Ciò nonostante questo accaduto  fu cancellato da un ordine della Fiscalía General alla cui direzione in quel momento c’era Luis Camilo Osorio, al quale si attribuiscono ora, dopo le prime libere deposizioni dei capi paramilitari, le più oscure alleanze con queste organizzazioni di ultradestra.

Dalle mani di questi pubblici ministeri uscì il processo che oggi, dopo un inesplicabile passaggio dalla città di Cali, pensa di risorgere sotto il peso di fotomontaggi come quelli mostrati da alcuni mezzi di comunicazione del paese.

Faccio un appello alle associazioni nazionali ed internazionali dei Diritti Umani, alle Organizzazioni Non Governative, alle associazioni che difendono la libertà di stampa, al giornalismo indipendente, alle corporazioni della stampa, alle associazioni degli utenti della stampa, e a tutta la collettività critica e attiva del nostro continente ad essere vigile rispetto all’evolversi di questa situazione.

Nego pubblicamente, quanto  affermano in forma tendenziosa gli organismi di sicurezza e i suoi mezzi di corte, che sono uscito dal paese. Dallo scorso 1 febbraio a causa delle gravi e continue minacce contro la mia vita mi proteggo da esse e faccio in modo di proteggere anche la mia famiglia, all’interno del mio paese. Nonostante queste circostanze, i miei avvocati non hanno abbandonato il processo.

Voglio richiamare l’attenzione del Tribunale Nazionale del Popolo affinché garantisca il nostro diritto alla vita , al processo giusto, alla libera espressione e al buon nome, il mio, della mia famiglia e quello dei miei colleghi di TeleSUR  in  Colombia e che intervenga tra tante e tali sleali minacce.”

Fredy Muñoz 14 Febbraio 2007

Traduzione di Annalisa Melandri

Sul sito di TeleSUR ulteriori notizie.

Post precedenti:


Sulle tracce del colore — Marcella Bravetti

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“Sulle tracce del colore”
Mostra di pittura
Marcella Bravetti  ( Bramar )
Libreria Odradek
Roma– Via dei Banchi Vecchi n. 57
(entrata libera)
la mostra è visitabile nell’orario di apertura continuata della libreria
inaugurazione Sabato 17 alle ore 18
 
Presenta   Carla Guidi, giornalista
 
a seguire
Recital della poetessa Gladys Basagoitia Dazza
I colori delle parole
 
Marcella Bravetti,(acronimo Bramar), perugina, è nata nel 1938, inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ’70, epoca in cui è ancora operaia in fabbrica (Luisa Spagnoli).
Il richiamo istintivo verso i colori viene affinato dalla pratica di lunghi anni passati tra i colori dei filati e queste emozioni formano un unicum con le passioni sociali, sindacali e politiche che caratterizzano da sempre i suoi impegni giornalieri.
Come pittrice vanta un discreto curriculum artistico visibile sul sito web[www.bramar.org] ed un numero notevole di opere prodotte in 30 anni di lavoro, oggi quasi 700, molte realizzate in seguito ad un appassionato viaggio ad Amsterdam per vedere da vicino le opere di Van Gogh e successivamente ad un breve viaggio in Provenza, dove il pittore visse gli ultimi anni della sua breve travagliata vita. Esperienze che, dice l’artista, hanno rivoluzionato la sua poetica pittorica…da qui il titolo “sulle tracce del colore”.
 
 

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