Pinochet e Saddam, due giustizie a confronto

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Igor Vartchenko/ Russia

Due vicende giudiziarie, due imputati eccellenti. Di uno abbiamo immagini perfino delle ispezioni orali a cui è stato sottoposto dopo la cattura, dell’altro sappiamo ben poco se non che sia affetto da una non meglio identificata “demenza senile” o “demenza vascolare” che però gli ha permesso di compiere operazioni finanziare da manuale.
Saddam Hussein e Augusto Pinochet Ugarte.
Un processo mediatico sebbene prevedibile nella sua conclusione quello a Saddam Hussein del quale sono stati studiati i gesti, le espressioni e perfino l’abbinamento della camicia alla sua giacca, passato quasi in sordina eppure molto meno scontato nel suo svolgimento  quello a Pinochet, che ha avuto più enfasi forse per i tesori bancari e i lingotti d’oro che non per il genocidio e le violazioni dei più elementari diritti umani commesse dal dittatore cileno.
Del processo a Saddam si dice da molto tempo che sia una farsa, la sua condanna lo conferma. Un processo finanziato “in toto” dagli Stati Uniti. I giudici sono stati nominati dall’esecutivo e successivamente sostituiti con altri più malleabili, il presidente della corte Ritzak al Amin, curdo,  si è dimesso  per le troppe pressioni ricevute dal governo,  il collegio difensivo decimato con tre avvocati uccisi ed uno ferito ed altri  che hanno abbandonato l’incarico in seguito alle minacce ricevute.
Un processo con una sentenza già scritta fin dall’inizio ma opportunamente emessa pochi giorni prima delle elezioni americane di midterm, come a voler rassicurare gli elettori indecisi sulla effettiva necessità dello sforzo americano in Iraq.
Bernardo Valli dalle pagine de La Repubblica dice che c’era da aspettarselo che in un paese dove il sangue scorre a fiumi che la pena potesse essere capitale, vale la pena  ricordargli  che il processo solo fisicamente si è tenuto in Iraq , la regia è stata altrove,  ben più lontano dalle strade insanguinate di Bagdad.
Perfino Amnesty International e Human rights watch e non certo un gruppo di no global scalmanati hanno  definito “una vicenda losca” il processo a Saddam Hussein, in primo luogo condannando l’ingerenza di Stati Uniti e Inghilterra.
Tutto l’apparato giudiziario è stato viziato nella forma per permettere questa condanna che oggi Bush saluta come “trionfo della democrazia”. Se è vero che Saddam Hussein è stato condannato nel suo paese da un tribunale speciale che legittimamente ha applicato la legislazione vigente, è sempre vero che egli viene custodito da milizie americane in un luogo segreto.
Il processo a Saddam Hussein  doveva essere tenuto da  un tribunale speciale come è accaduto per esempio  per il Ruanda o la ex Jugoslavia,  o direttamente dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Ma in questo  caso ci sarebbe stato un processo giusto. E  la Corte Penale Internazionale dell’Aja non contempla la pena di morte e il suo trattato non è stato ratificato né dagli Stati Uniti né dall’Iraq e inoltre si sarebbero ampiamente diffuse a livello mondiale e per lo più in sede giuridica le complicità iniziali del governo americano ai crimini di Saddam Hussein. Oggi per esempio si apre la seconda fase del processo, quella relativa alla strage di Halabja del 1988 dove vennero uccise 180mila persone con armi chimiche e se fonti interne alla CIA addirittura mettono in dubbio la responsabilità di Saddam Hussein nella strage, si sa per certo che gli Stati Uniti erano i fornitori di armi chimiche al regime iracheno. Paradossale e grottesco questo processo.
Robert Fisk corrispondente britannico da  Beirut per The Independent in una sua recentissima intervista fa appunto notare che la condanna a morte del dittatore iracheno è avveuta per la strage di Dujail dove le vittime sono state “solo” 148 ma le armi chimiche non c’entravano nulla.
Un’altra anomalia formale consiste nel fatto che il tribunale che ha condannato Saddam Hussein e il cui Statuto è stato redatto nel 2003 sotto il controllo diretto degli Stati Uniti, sta giudicando retroattivamente i crimini commessi da Saddam Hussein e inoltre  lo stesso Statuto concede pieni poteri decisionali ai giudici nel caso di crimini non previsti dalla legislazione penale vigente, come quelli per cui l’imputato è stato condannato alla pena capitale.
L’altro imputato, non meno crudele e sanguinario, il vecchio novantunenne Augusto Pinochet, è  lentamente invecchiato insieme al suo processo. Quello che colpisce è infatti la dinamica , estremamente veloce e rapido il processo a Saddam Hussein e repentina la sua condanna, processo che è stato portato avanti in un paese in guerra, completamente distrutto, e sotto occupazione militare e  che ha dovuto creare ad hoc un tribunale e una corte. Lentissimo e pieno di controversie  quello al dittatore cileno quasi a prendere tempo affinchè  non giunga mai a passare un solo giorno dietro le sbarre.
Il processo a Pinochet inizia nel lontano 1988 quando il giudice spagnolo Baltasar Garzón invia tramite Scotland Yard un mandato di arresto al dittatore (che nel frattempo si trovava in una clinica inglese) con le accuse di tortura e genocidio. La stessa Inghilterra che oggi sorride alla condanna a morte  di Saddam Hussein in quel caso negò l’estradizione in Spagna di Pinochet e dopo un breve periodo di arresti domiciliari a Londra lo rispedì  nel suo paese.
In Cile dopo essere stato privato dell’immunità parlamentare Pinochet venne inquisito e condannato, ma la  sentenza fu successivamente annullata dalla Corte d’Appello per motivi di salute (demenza vascolare). A seguito di controlli medici, finalmente nel 2004 decade anche questa immunità e il vecchio Pinochet viene giudicato abile ad affrontare il processo. Con un recente provvedimento che lo accusa di 35 rapimenti, un omicidio e 24 casi di tortura nella vicenda di Villa Grimaldi, centro di detenzione dove furono tenuti sotto sequestro e torturati migliaia di oppositori al regime, viene dichiarato colpevole  ma posto agli arresti domiciliari per motivi di età. Le accuse contro Pinochet vanno dai reati più propriamente finanziari, a quelli di omicidio, torture, sequestri di persona. È accusato tra l’altro dell’omicidio del generale Carlos Prats e di sua moglie a Buenos Aires e per il suo ruolo nel Plan Condor.   Il suo processo ha  diviso in due un paese,  il Cile, dove l’oligarchia e quindi il potere economico e militare è molto forte e ancora protegge il suo “padrino”. E perché non ricordare anche  i crimini commessi da Pinochet contro il popolo Mapuche che fin dall’11 settembre 1973 è stato vittima della repressione? Non è dato nemmeno di sapere il numero esatto dei suoi morti e desaparecidos,  mentre intere comunità contadine hanno subito torture ed espropri delle lore terre che erano riusciti a recuperare finalmente con la riforma agraria di Allende.
Saddam e Pinochet, entrambi coccolati e finanziati dagli Stati Uniti, entrambi processati,  ma uno diventato ormai sicuramente più comodo da morto che non da vivo se non altro per legittimare una guerra a cui non crede più nessuno, l’altro vecchio “demente” ormai inoffensivo in quanto l’appoggio della Casa Bianca al golpe cileno non è più un mistero , e comunque ancora oggi così influente da negargli anche un solo giorno di cella, due dittatori a confronto, due giustizie (??) su cui riflettere.


SANTA RICE

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Javad Alizadeh/Iran

UN TRIONFO SUL DOMINIO DEL TERRORE
Con queste parole Condoleezza Rize, segretario di Stato americano, ha “salutato” la notizia della condanna a morte di Saddam Hussein per il massacro di Dujail.
“La sentenza è un modo pieno di speranza per ricordare a tutti gli iracheni che lo stato di diritto potrà trionfare sullo stato del terrore e che il perseguimento pacifico della giustizia è preferibile al perseguimento della vendetta”.
C’è qualcosa che non torna o sbaglio?
Come può essere una condanna a morte, pur se di un criminale (ma da che pulpito viene la predica verrebbe da dire!) un “modo pieno di speranza….”
Come può una condanna a  morte rappresentare un “perseguimento pacifico della giustizia”?
Benedetto XVI dall’alto della sua cristianità potrebbe pure dire qualcosa…

In Colombia ancora una volta salta l´ accordo umanitario

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È talmente raro leggere notizie sulla Colombia dai nostri quotidiani che quando questo accade, vale senz’altro la pena riportarle.
Ancora di più vale la pena se a scrivere è Guido Piccoli , il quale riesce, credo, come nessuno in Italia, a collocare gli avvenimenti colombiani nella loro giusta prospettiva, con profonda lucidità e senza mezzi termini.
Uribe ha avuto il pretesto che cercava o Uribe piuttosto si è creato il pretesto che cercava?
In Colombia più che in ogni altro paese al mondo niente è come sembra e tutto è relativo.
Il potere politico e quello militare manipolano la realtà, i morti, le stragi e le carneficine a loro piacimento.
Civili uccisi e fatti passare per ribelli dove averli opportunamente “mascherati”, imboscate a paramilitari organizzati dallo stesso esercito con il quale collaboravano, in pochi hanno dubbi ormai sulla vera regia di questi nuovi attentati.
Fonte: www.ilmanifesto.it

Uribe ha avuto il pretesto che cercava. Per la guerra totale
In Colombia le speranze di un accordo Farc-governo per uno scambio di prigionieri sono subito svanite nel nulla
GUIDO PICCOLI
Com’era ampiamente prevedibile, in Colombia l’illusione, se non della pace almeno del dialogo, è subito sfumata per lasciare il posto alla solita sequela d’attentati, imboscate ed esecuzioni sommarie o mirate.
L’ultima azione clamorosa è l’assalto concentrico, martedì scorso, di mezzo migliaio di guerriglieri, che ha provocato la morte di una ventina di poliziotti, a guardia di Tierradentro, villaggio del dipartimento atlantico di Cordoba, ritenuto l’incontrastato regno paramilitare.
Tra le vittime di questo clima di guerra ci sono anche la cinquantina di sequestrati delle Farc (tra i quali l’ex-candidata presidenziale franco-colombiana Ingrid Betancourt) e i cinquecento e più ribelli detenuti nelle carceri statali che, a meno di un miracolo sempre possibile nella terra di Macondo, dovranno aspettare che Uribe se ne vada nel 2010 da Palacio Nariño per rivedere la libertà.
Anzi, il primo gruppo dovrà scongiurare che non abbia successo il riscatto militare, promesso da un indemoniato Uribe una decina di giorni fa. Sarebbe la loro condanna a morte: secondo le ferree regole della barbarie colombiana, finirebbero uccisi dai commando militari (notoriamente restii alle operazioni chirurgiche) o giustiziati dagli stessi guerriglieri, appena questi si trovassero circondati o costretti alla fuga.
A cambiare il clima nel paese, è bastata un’autobomba che, senza fare morti, ma solo una ventina di feriti, è scoppiata nel parcheggio della Scuola superiore di guerra, nella zona nord di Bogotà e soprattutto nel cuore del potere militare colombiano ( a poche centinaia di metri ci sono le sedi della XIII Brigata, della V Divisione e delle scuole di Fanteria e di Guerra psicologica). Dopo poche ore dall’esplosione di sessanta chili del potente R-1, in base ad una frase di una telefonata (che nessuno ha potuto ascoltare), che sarebbe stata intercettata tra il presunto attentatore e il capo militare guerrigliero, il cosiddetto Mono Jojoy, Uribe ha annunciato un’offensiva frontale contro le Farc, descritte come una banda di terroristi, fantocci e vigliacchi.
Pochi credono che quella bomba sia stata effettivamente messa dai guerriglieri (così come pochi, a suo tempo, credevano all’attribuzione di tutte le auto-bombe a Pablo Escobar e non alla variegata schiera dei suoi nemici, che comprendeva, tra gli altri, la Cia, i paramilitari e le diverse polizie segrete colombiane). Gli indizi non mancano. A cominciare dalla smentita (quasi insolita) delle Farc.
Ma soprattutto, anche in questo caso, è legittimo chiedersi «cui prodest?»: puntuale come un orologio svizzero, l’attentato ha tolto Uribe dall’impaccio di accettare il cosiddetto «scambio umanitario» con la guerriglia, e la relativa smilitarizzazione di una zona meridionale del paese, vista come fumo negli occhi non solo dal vertice delle Forze armate, ma anche da Washington.
A far propendere per l’auto-attentato, c’è anche una clamorosa coincidenza: appena un mese e mezzo fa è venuta alla luce la messinscena, ad opera di quattro ufficiali (in collaborazione con una ex guerrigliera, affamata di soldi e libertà) di tre attentati, sventati all’ultimo momento o realizzati (con un paio di vittime) a Bogotà, nei mesi precedenti l’insediamento di Uribe. Che quest’ultimo sia al corrente di questo nuovo episodio della «strategia della tensione» poco importa. Di fatto, quando, dal palchetto montato sul luogo dell’attentato, ha finito il suo bellicoso discorso (secondo le parole del giornalista del quotidiano El Tiempo) «era tornato ad essere quello di prima. Quello di sempre. Il suo viso lo diceva. Era raggiante».
Per sfortuna sua, e dei suoi alleati, sponsor e tifosi, la guerra non si vince a suon d’insulti, ma sul campo di battaglia (e l’attacco delle Farc a Tierradentro rivela tutta la debolezza dell’esercito colombiano). Oppure lavorando seriamente per la pace. Una strada che Uribe, «quello di sempre», non sembra avere nessuna intenzione di percorrere.


Diplomatici colombiani in Italia

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Roma, 11 Aprile 2006

ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA

ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Egregi Signori,
Internet come tutti sanno è una finestra aperta sul mondo, permette infatti a tutti noi comuni cittadini di accedere a notizie ed informazioni difficilmente accessibili se provenienti da paesi lontani.
Qualche giorno fa questa finestra mi ha evidenziato realtà e problematiche che purtroppo già conoscevo provenienti dalla Colombia e cioè la corruzione della sua classe politica ed il fatto che in quel paese l’ingiustizia si legalizza proprio nelle sedi in cui questa dovrebbe essere più tenacemente combattuta.
Ora ho scoperto che abbiamo accolto nel nostro paese come diplomatici due personaggi che secondo quanto si legge rappresentano molto bene ambedue questi aspetti.
Non sto qui ad elencarVi tutte le notizie riportate sia sull’ambasciatore colombiano a Roma Sig. Luis Camilo Osorio sia sul console colombiano a Milano Sig. Jorge Noguera Cote.
La mia condizione di cittadina italiana mi fa sentire pertanto in diritto/dovere di porVi alcune domande.
Credo e spero che le accuse che vengono mosse a costoro siano a Voi ben note.
Dico spero e nello stesso istante mi assale un dubbio, mi auguro che la storia personale di ogni diplomatico straniero nel nostro paese sia da Voi ben vagliata, ma questo è il punto, se sapevate chi erano questi personaggi ed eravate a conoscenza dei reali motivi per cui sono stati rimossi o hanno lasciato gli incarichi di prestigio che avevano in Colombia, perchè sono stati accettati nel nostro paese? (non voglio dire che siano stati invitati).
Noguera tra le altre cose è accusato da un suo collaboratore di aver consegnato ai paramilitari liste di sindacalisti, studenti e dirigenti di sinistra che poi sono stati regolarmente assasinati e di aver anche organizzato brogli elettorali consistenti a favore del Presidente Álvaro Uribe.
Non si parla ancora di processi e nemmeno di condanne (e credo che purtroppo trattandosi della Colombia non ce ne saranno mai comunque) ma sospetti ed accuse del genere dovrebbero bastare e quindi domando, il Governo italiano avrebbe mai accettato per esempio diplomatici di un Paese arabo sospettati anche solo lontanamente di avere legami con il terrorismo?
I due diplomatici colombiani, ovviamente sempre che le accuse ed i sospetti siano fondati non solo hanno legami con il terrorismo, ma sono il terrorismo fatto persona se per terrorismo vogliamo intendere un “regime instaurato da governanti o belligeranti che si valgono di mezzi atti ad incutere terrore” (tratto dal Nuovo Zingarelli Minore).
In attesa di una Vostra improbabile risposta, porgo i miei più cordiali saluti.

Annalisa Melandri

RISPOSTA RICEVUTA DAL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI


STORIE DI VITA — VITA E MORTE DI PIER PAOLO PASOLINI

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I libri di testo servono per sostenere il modello attuale e coprire i responsabili della distruzione ambientale.

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Così si deduce da uno studio, realizzato in Spagna, applicabile a qualsiasi paese del mondo.

DI ANTONIO HERNANDEZ E YAYO HERRERO
Rebelión
EN ESPAÑOL
“Se fossi miliardaria…. comprerei un’automobile sportiva, uno scooter, uno yacht, dal momento che se prendo l’autobus arrivo tardi…”. Questa citazione, riportata in un libro d’inglese, è uno degli esempi sui valori antiecologici che vengono diffusi attraverso i libri di testo.
Uno studio recente sui libri di testo dell’educazione formale conclude che gli stessi non permettono di prendere coscienza della gravità della crisi ambientale, né mostrano le conoscenze necessarie per costruire un mondo sostenibile.
Lo studio realizzato da Ecologisti in Azione su 60 libri di testo, afferma che gli stessi non menzionano la crescente insostenibilità dell’attuale modello economico e sociale e nascondono il rapido deterioramento di tutto ciò che è necessario per vivere: l’acqua. l’aria limpida, i terreni fertili e gli alimenti sani…
Nonostante lo studio sia stato realizzato in Spagna, un paese principalmente capitalista, le conclusioni dello stesso si possono applicare anche a paesi che aspirano a un differente modello economico e sociale come ad esempio il Venezuela, dal momento che i principali parametri dell’insostenibilità fanno parte di una cultura ampiamente accettata da molti settori della sinistra trasformatrice.
I libri di testo confondono in maniera sistematica il benessere con la crescita economica, nonostante le numerose e crescenti prove, tanto a livello umano come ambientale, contrarie a questa posizione. In questo senso i libri di testo non mettono in relazione la distruzione ambientale con l’attuale modello di sviluppo, il quale concede delle priorità principalmente all’economia monetaria e a quella affarista. Essi elogiano all’infinito le possibilità della tecnologia senza analizzare né discutere sui grandi disastri ambientali derivati dal poco dibattito e controllo sociale che c’è sugli usi e sugli orientamenti della medesima. Non fanno riferimento al fatto che il controllo imprenditoriale e militare della scienza e della tecnologia ha fatto di queste un fattore d’impulso di prim’ordine per il degrado delle condizioni di vita.
I libri di testo ignorano sistematicamente il lavoro gratuito a cui le donne si dedicano da sempre e la natura, che sono determinanti per la sostenibilità, nello stesso modo in cui si disprezzano qualificandole come “arretrate”, tutte le culture che sono state capaci di vivere in armonia con il loro ambiente.
Essi non solo ignorano uno dei concetti fondamentali per comprendere la sostenibilità e cioè quello del limite fisico alla crescita, ma educano anche chiaramente affinchè ragazzi e ragazze partecipino felicemente a un mondo di consumi, di ipermobilità e di iperurbanizzazione che esaurisce le risorse del pianeta. I libri di testo citano appena l’esistenza delle multinazionali e il ruolo che queste svolgono nel saccheggio e nella distruzione degli ecosistemi e delle culture; le rare occasioni in cui vengono citate le imprese è a titolo di propaganda.
A conclusione dello studio, Ecologisti in Azione afferma che i libri di testo in uso oggi servono principalmente per legittimare l’attuale sistema di distruzione ambientale. Essi aiutano ben poco a creare attitudini e comportamenti in linea con il rispetto e la salvaguardia del pianeta. Siccome i libri di testo rappresentano una forma di conoscenza che la società considera seria e obiettiva, Ecologisti in Azione considera che è urgente una profonda revisione di tutte le categorie e concetti con i quali il sistema educativo e la società nel suo insieme progettano la relazione tra la società e la Natura.
Dopo aver letto questa nota, qualsiasi persona che aspiri a una società più giusta ed equa e che sia in grado di poter vivere armonicamente con la Natura, non potrà credere che misurare il grado di “ricchezza” o “sviluppo” di un paese si posssa fare in base a indicatori come il PIL o l’aumento delle vendite delle automobili, marchingegno tecnico feticcio della società individualista capitalista ed elemento fondamentale nel disastro ambientale odierno.
Questa ultima prospettiva, che in forma chiara vediamo in alcuni discorsi dei ministeri venezuelani e di altri paesi che hanno optato per costruire una società differente, va intesa secondo la colonizzazione culturale del capitalismo, che non si può eliminare dalla sera alla mattina e ancora meno se i gruppi imprenditorali dell’editoria e della comunicazione che pubblicano i libri di testo sono gli stessi da un lato all’altro dell’Atlantico. Questo studio può essere un buon punto di partenza per discutere di quei valori che sono così radicati in noi stessi e che se non riusciamo a liberarcene, difficilmente potremo costruire una società sostenibile sia ambientalmente che socialmente.

Lo studio si può scaricare dalla pagina web di Ecologisti in Azione al seguente indirizzo: www.ecologistasenaccion.org

Antonio Hernández e Yayo Herrero
Fonte: http://www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=40037
26.10.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI


La scorta a Daniela Santanchè

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Chi mi spiega perché a Daniela Santanchè gli è stata data una scorta?
La Repubblica di ieri titola: “L’Imam la attacca, Santanchè sotto scorta.Dopo un dibattito in tv in cui aveva contestato il velo. Condanna di Pollastrini e Bertinotti”.
Leggo un pò e delle minacce non trovo nulla, Abu Shwaima ha solo ribadito alla parlamentare, la quale sosteneva che il velo non “è un simbolo di libertà e che il Corano non lo impone”, che “non è vero che nel Corano non ci sia l’obbligo del velo, io sono un Imam e non permetto agli ignoranti di parlare di Islam, voi siete degli ignoranti e non avete il diritto di interpertare il Corano”. Di qui la decisione del ministero dell’Interno di concedere la scorta alla Santanchè.
Penso allora che la condanna di Bertinotti che ho letto nel titolo si riferisca sicuramente al fatto che sia quantomeno esagerato dare una scorta solo per essere stata accusata di ignoranza, e mi vengono in mente le accese invettive di Sgarbi.Invece no, leggo e rileggo, ma le minacce proprio non riesco a trovarle e invece mi rendo conto che tutta la comunità politica si stringe intorno alla Santanchè (Bertinotti compreso !!!) in solidarietà per le intimidazioni e minacce che ha ricevuto.
Per non sbagliarmi leggo anche La Stampa ma anche lì le parole dell’ Imam riporate sono le stesse riportate da Repubblica. Solo sul Giornale si dice che Abu Shwaima abbia dato dell’ “infedele” alla parlamentere e questa parola in particolare avrebbe fatto scattare l’allarme al Viminale e l’attivazione delle misure di protezione come la scorta, che si prevedono subito quando c’è un pericolo di vita.
Ma non è che si sta esagerando un pochino e inevitabilmente si finisca per esasperare conflitti e problematiche che forse sarebbe il caso di ricollocare nella loro giusta dimensione? Alla Santanchè indubbiamente il fatto di avere una scorta personale la gratifica molto perché poco tempo fa le era stata revocata quella a suo tempo concessale per le minacce subite in occasione della pubblicazione di un suo libro e lei aveva vivacemente protestato per questo addirittura dicendo che se fosse stata uccisa la colpa sarebbe stata di Amato (il quale ha prontamente provveduto, non si sa mai con questi musulmani!), e perché allora non mettere sotto scorta anche il supercriticato del momento Giampaolo Pansa (non si sa mai con questa sinistra radicale!)??
Mi dispice solo che le minacce (quelle sì vere) ricevute da Roberto Saviano forse così perdono di credibilità (con la mafia invece si sa eccome!).


Muri vecchi e nuovi

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Proprio mentre si consolida a livello mondiale la globalizzazione, mentre l’economia e i mercati si liberalizzano, proprio mentre si firmano nuovi trattati di libero commercio, e allorchè il raggiungimento di tutti questi obiettivi pare il fine ultimo o  il sogno finalmente realizzato degli economisti neoliberisti di mezzo mondo, ecco che si assiste ad un fenomeno che in un certo modo si pone in maniera contraddittoria rispetto a tutto questo.

E se sulle nostre tavole è sempre più facile trovare cibi esotici, se possiamo perfino gustare una tazza di Caffè Rebelde stando comodamente seduti in salotto a Roma, se l’acqua francese attraversa le Alpi e arriva in Italia e quella italiana fa altrettanto e arriva in Francia, succede sempre più spesso che a questo “dilatarsi” o “espandersi”, che a mio avviso non necessariamente è sinonimo di progresso, si contrapponga una tendenza ad opera di quelle stesse forze che promuovono questa espansione, nella direzione di  una involuzione che si manifesta nei modi più disparati ma con un unico comun denominatore che può essere riassunto con la parola “rinchiudere”. Se da una parte all’economia americana fa comodo la manovalanza  del Centro America, nello stesso tempo lungo i confini con il Messico si costruisce un muro che contenga il suo migrare. Se le nostre imprese viaggiano all’estero in cerca di manodopera più a buon mercato, quando questa arriva in Italia viene riunchiusa nei cpt o in quartieri ghetto che poi vanno circondati da muri, come a  Padova.

Se la caduta del muro di Berlino era stata salutata come l’inizio di una nuova fase storica, a quale fase storica precludono tutti i muri che vengono costruiti sempre più spesso?

Israele, costruisce un muro imprigionando i palestinesi e sottraendogli terre, con il muro “vengono cancellati gli attenti, complicati e  pazienti gesti di ascolto, comprensione, negoziazione e compromesso, che sono tutti necessari per generare una soluzione possibile per Israele e la Palestina. Divide il modo tra nero e bianco. Concretizza l’aggressione ed invita alla violenza” (Mina Hamilton).

Se da un lato si chiede alle donne musulmane di togliersi il velo, invitandole a  liberarsi da quel “muro” che le separa dall’occidente, quanti muri vengono creati ogni volta per separare l’occidente dall’oriente, il nord dal sud?

E se nel 1979 in The Wall i Pink Floyd raccontavano di un muro immaginario ma pur sempre percepibile, creato dall’alienazione ma condito anche di schizofrenia, i muri odierni sono reali, fatti di cemento e adornati da filo spinato, torrette di controllo e videocamere, creano essi stessi alienazione e sono il frutto di una moderna schizofrenia secondo la quale gli esseri umani, alcuni esseri umani vanno rinchiusi , nascondendo la vista delle loro miserie, debolezze e misfatti a tutti gli altri.

Proprio come si è fatto nella Repubblica Dominicana dove, quando in occasione della visita del Papa fu costruito un muro affinchè non vedesse la miseria della gente.O come il muro dei ricordi di Adolfo Pèrez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980, il muro cioè che la dittatura argentina di cui egli stesso fu prigioniero, fece costruire nella città di Rosario affinchè le delegazioni straniere ospiti per i mondiali di calcio del 1978 non potessero vedere le miserie di Villa Las Flores, uno dei quartieri più poveri dell’intero paese.

E probabilmente in questi giorni c’è già chi sta pensando di costruire muri nello spazio, perché, citando Adolfo Pérez Esquivel “si continuerà a costruire i muri della stupidità e della crudeltà umana che oggi dividono il mondo. Dobbiamo riscattare l’umanità, riscattandoci a noi stessi e condividendo il cammino dei popoli nella diversità e nell’unità; dobbiamo saper ascoltare la Madre Terra e tutta la natura cui apparteniamo e che abbiamo il dovere di salvaguardare in questo piccolo pianeta chiamato Terra”.


El golpismo mediatico de Carlos Alberto Montaner

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Ha causado escándalo el apoyo de Chávez a la campaña electoral de Ollanta Humala en Perú, causan escándalo los acuerdos comerciales y militares entre Venezuela y Bolivia, no causa escándalo el golpe con el cuál los Estados Unidos, cómplice Chile y su prensa conservadora en apoyo a la derecha boliviana, están actuando a daños del gobierno democrático de Evo Morales. Esto no causa escándalo, tanto es así que las noticias al respecto son fragmentarias y difíciles de encontrar para quienes no tengan familiaridad con el español.
Carlos Alberto Montaner evidentemente debe haber suscrito un nuevo contrato con la CIA, si además de efectuar por años terrorismo mediático contra el gobierno de Fidel Castro en Cuba, desde las páginas de El Mercurio, diario golpista y financiado por la Cia, está haciendo igual contra el gobierno democraticamente elegido de Evo Morales.
A pesar de que el presidente boliviano esta semana haya atenuado los tonos sobre lo que está pasando realmente en su país, de buenas fuentes han confirmado que hay en acto un golpe de estado contra Evo Morales organizado por oficiales de la policía boliviana y por generales de las Fuerzas Armadas con el soporte de militares chilenos. En el país se estan verificando una serie de huelgas dirigidas a destabilizar el gobierno. En modo particular la huelga de los transportistas recuerda la huelga de los camionistas del 1972 financiados por la CIA dirigidos a destabilizar el gobierno de Salvador Allende en Cile. La oposición boliviana ha aprovechado además la huelga de los mineros de las semanas pasadas, la ocasión para atacar duramente el gobierno a través de los medios de comunicacion privados que se encuentran en mano a la oligarquia del país.
En esto ha sido ampliamente apoyada por la prensa extranjera que es sabido financiada por la CIA como el chileno El Mercurio y el Nuevo Herald de Miami. Con mucho gusto se está prestando para este objetivo (seguramente no sin ricas retribuciones) Carlos Alberto Montaner el cuál ayer mismo, 15 octubre, de las páginas de El Mercurio en un escrito delirante del título “También los locos matan” retomado en la fecha de hoy por el Nuevo Herald llega hasta poner en guardia los chilenos “primer objetivo en la mira” de un Chávez dispuesto a “bañarse en el mar boliviano”, sobre el grande peligro que a medio términe cae sobre ellos.
Afirmaciones muy graves de estrategia del terror, a las cuales se suman otras privadas completamente de cotejo real como aquella que indica Venezuela como el “primer comprador mundial de armas y aparejos militares”. Continúa indicando “Caracas, La Havana y ahora La Paz como la nueva Moscú, madre y padre del socialismo mundial”. En un aumento progresivo de acusaciones insensatas y de informaciones distorsionadas Montaner llega a decir que “sería un grave error descartar el proyecto de conquista (la creación de una grande civilización latinoamericana) solo porque se trata de la descabellada locura de algunos personajes que no han asumido Prozac en tiempo. El Tercer Reich de los nazistas no era menos loco o absurdo y costó al planeta cuarenta millones de muertos y el cruel holocausto. Cuba es una pobre isla del tercer mundo, con hambre y sin esperanza, esto no ha impedido a su gobierno de participar con éxito golpes de estado en Madagascar y en Yemen, o que las tropas combatieron por quince años en sangrientas guerras africanas, tanto en Angola como en Etiopia”. Para llegar luego a un final explosivo: Chávez esta formando el mayor ejército de habla hispana con la fuerza aérea más destructiva de todo Sudamérica, que una vez listo, no tendrá dudas en ponerlo en acción, “no importa que Chávez esté loco”, concluye, “también los locos matan”.
También esto a mi parecer es terrorismo, también esto quiere decir participar “ánima y cuerpo” o quizás sería mejor decir ánima y bolígrafo o en una versión más moderna ánima y teclado, al proyecto golpista de la CIA.
Como escribe Heinz Dietrich, es un deber moral difundir noticias sobre el intento de golpe en Bolivia para hacerlo fracasar. Hoy más que nunca la Revolución boliviana necesita la  solidaridad mundial.
 
 

Il golpismo mediatico di Crlos Alberto Montaner

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Ha destato scandalo l’appoggio di  Chávez alla campagna elettorale di Ollanta Humala in Perù, destano scandalo gli accordi commerciali e militari tra Venezuela e Bolivia, non desta però scandalo il golpe con il quale  gli Stati Uniti, complice il Cile e la sua stampa conservatrice in appoggio alla  destra boliviana,  stanno attuando ai danni del governo democratico di Evo Morales. Questo non desta scandalo, tanto è vero che le notizie al riguardo sono frammentarie e difficili da reperire per chi non abbia dimestichezza con lo spagnolo.
Carlo Alberto Montaner evidentemente deve aver sottoscritto un nuovo contratto con  la CIA, se oltre ad effettuare da anni terrorismo mediatico contro il governo di Fidel Castro a Cuba, dalle pagine del El Mercurio, quotidiano golpista e finanziato dalla Cia, sta facendo  altrettanto  contro il governo democraticamente eletto di Evo Morales.
Nonostante il presidente boliviano questa settimana abbia smorzato i toni su quanto stia realmente accadendo nel suo paese, fonti attendibili hanno confermato che è in atto un colpo di stato contro Evo Morales organizzato da ufficiali della polizia boliviana e da generali delle Forze Armate con il supporto dei militari cileni. Nel paese si stanno verificando una serie di scioperi volti a destabilizzare il governo. In particolar modo lo sciopero dei trasportatori ricorda lo sciopero dei camionisti del 1972 finanziato dalla CIA volto a destabilizzare il governo di Salvador  Allende in Cile. L’opposizione boliviana ha inoltre colto nello sciopero dei minatori delle settimane scorse, l’occasione per attaccare duramente il governo attraverso i mezzi di comunicazione privati  che si trovano in mano all’oligarchia del paese.
In questo è stata ampiamente appoggiata dalla stampa estera notoriamente finanziata dalla CIA come il cileno El Mercurio e il El Nuevo Herald di Miami. Ben volentieri si sta prestando a questo scopo (sicuramente non senza lauto compenso) Carlos Alberto Montaner il quale proprio ieri, 15 ottobre,  dalle pagine di El Mercurio in uno scritto delirante dal titolo “Anche i folli uccidono”  ripreso in data odierna da  El Nuevo Herald,  addirittura mette in guardia i cileni “primo obiettivo nel mirino” di un Chávez disposto a “bañarse nel mar boliviano”, sull’enorme pericolo che a mezzo termine incombe su di loro.
Affermazioni gravissime da strategia del terrore, alle quali si affiancano altre del tutto prive di ogni riscontro reale come quella che indica il Venezuela come il “primo acquirente mondiale di armi ed attrezzature militari”. Continua indicando “Caracas, La Havana e ora La Paz come la nuova Mosca , madre e padre del socialismo mondiale”. In un crescendo di accuse insensate e di informazioni distorte Montaner arriva a dire che “sarebbe un grave errore scartare il progetto di conquista (la creazione di una grande civiltà latinoamericana) solo in quanto si tratta della strampalata pazzia di alcuni personaggi che non hanno assunto Prozac per tempo. Il Terzo Raich dei nazisti non era meno folle o assurdo ed è costato al pianeta quaranta milioni di morti e il crudele olocausto. Cuba è una povera isola del terzo mondo, alla fame e senza speranza , ciò che non ha impedito al suo governo di partecipare con successo a colpi di stato nel Madagascar e nello Yemen, o che le sue truppe combattessero per quindici anni in sanguinose guerre africane, tanto in Angola come in Etiopia”. Per giungere poi ad un finale esplosivo:  Chávez  sta creando il maggior esercito in lingua spagnola con la più distruttiva forza aerea di tutto il Sudamerica , che una volta pronto, non avrà timore di mettere in funzione, “non importa che Chávez sia folle”, conclude, “anche i folli uccidono”.
Anche questo a mio avviso è terrorismo, anche questo vuol dire partecipare “anima e corpo” o forse sarebbe meglio dire anima e penna o pù modernamente anima e tastiera, al progetto golpista della CIA.
Come scrive Heinz Dietrich, è un dovere morale diffondere notizie sul tentato golpe in Bolivia per farlo fallire. Oggi più che mai la Rivoluzione boliviana ha bisogno della solidarietà mondiale”.
 

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