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Il bozzolo intorno al nucleo della sofferenza, si ritira in silenzio tra le pieghe dell’anima, nonostante la vita lo chiami a nuovi giochi e nuove possibilità. Si è fatto tesoro prezioso da proteggere ancora.
Ma è da lì che nasce il mio sentire profondo, l’arte e la passione, lo scrivere e la poesia, l’abbraccio infinito all’uomo e ai popoli, alla pace e all’amore…
 

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Se un giorno gli eventi rivelassero per quella che è la storia dell’Uomo, questo apparirebbe in tutta la sua fragilità e tragicità.
Una piccola presenza in un universo infinito e di cui nonostante ciò egli si sente padrone e signore assoluto.
Ignaro o forse sprezzante delle leggi cosmiche e naturali ne crea via via delle nuove adattando la natura, l’ambiente e gli eventi a se stesso e alle sue priorità.
In questa sua inadattabilità, in questa sua ansia di soggiogare tutto alle sue esigenze, sta la sua fragilità e  il seme stesso della sua decadenza e fine. Un giorno, un giorno lontano, non ci sarà più nulla da modificare, tutto sarà già permanentemente mutato e allora all’uomo, piccola presenza in un universo infinito non resterà altro da fare che adeguarsi allo scempio che ne ha fatto.

Dengue a Cuba

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Ancora una volta a dimostrazione del fatto di quanto sia facile “dare i numeri” parlando di Cuba.
Se un giornale come il Corriere della Sera imposta un articolo sulle voci presenti sui vari blog e siti internet di dissidenti cubani  e,  senza ulteriori approfondimenti, conclude che Cuba sia prostrata dall’epidemia di dengue, questo la dice lunga.
Ancora più lunga la dice la gravità della dichiarazione del  portavoce dell’OMS: “ci è giunta voce di oltre mille morti ma non sappiamo altro”.
Viene da chiedersi come fanno su webrebelde se “sia stata contattata la D.ssa Lea Guido della Pan American Health Organization (PAHO) certo più competente di un portavoce dell’ OMS a Ginevra. Ma questa deve apparire una sottile differenza  per chi scrive su Cuba da New York, quantunque non da Miami”.
Certo se poi anche Il Manifesto si mette “a dare i numeri” vuol dire che la confusione è veramente  molta.
Un articolo del 6 ottobre esordisce raccontando di “migliaia di ammalati e centinaia di morti”. Continua riportando la Reuters secondo cui durante la settimana della Cumbre dei paesi non allineati  ci sarebbero stati 700 morti, passando poi  due righe più sotto a circa un migliaio e concludendo il tutto dicendo che i casi presunti  di dengue sull’isola sarebbero 30/35mila. Quando c’è Cuba di mezzo la confusione la fa da padrona. Mi ha sorpreso l’articolo del Manifesto, in alcuni passaggi addirittura denigratorio e sprezzante. A partire dai mezzi e sostanze usate per la fumigazione. Il giornalista dice che “l’efficacia di queste sostanze è tutta da provare” ma non si interroga sul fatto che magari con il bloqueo queste sono le uniche sostanze disponibili e che nonostante tutto tali sostanze sono esportate nel resto dell’AL  e in Africa. Il giornalista sebbene confermi che la zanzara deponga le uova in acque pulite spende poi circa 10/15 righe sull’inquinamento de L’Avana (ma che c’entrava?). Mah. Se non altro sul Manifesto si  parla anche di dengue in India dove ci sono stati 2.900 contagi e 38 vittime, nella Repubblica Dominicana dove i contagiati sono 4.376 e le vittime 39 e di un misterioso morbo a Panama dove nell’ultimo mese sono morte 17 persone.
Come mi ha sorpreso il TG5 dell’altra sera che ha ampiamente parlato della possibilità tra l’altro che si tratti  di una bufala colossale (l’ultima in ordine di tempo) creata ad arte dai dissidenti, è stato intervistato  un rappresentante di un tour operator il quale ha confermato che la situazione sull’isola risulti essere tranquilla ed è stato sentito telefonicamente anche Minà il quale ha ricordato che durante i giorni della Cumbre Cuba è stata invasa da giornalisti e autorità straniere e non si è avuta nessuna notizia di una situazione al limite della catastrofe umanitaria come viene invece descritta altrove.

Al Trullo esplode la rabbia

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INVIATA AI GIORNALI IL 4 OTTOBRE 2006
AL TRULLO ESPLODE LA RABBIA
In riferimento al gravissimo episodio di rappresaglia di chiara matrice xenofoba e razzista contro un bar abitualmente frequentato da immigrati romeni in zona Trullo a Roma, vorrei fare alcune precisazioni.
Vivo in questa zona ormai da parecchi anni ed il fenomeno del degrado, che ora viene ricondotto solo ed esclusivamente alla presenza degli extracomunitari, come anni fa fu per la presenza degli zingari per la vicinanza del campo nomadi solo recentemente smantellato, ha raggiunto proporzioni spaventose.
Il discorso è molto più ampio e va al di là del singolo episodio dei giorni scorsi, che pure ne rappresenta l’evidenza e coinvolge tutti gli abitanti di ogni nazionalità ed estrazione sociale.Esistono infatti realtà fin troppo diverse tra sé che devono convivere in uno spazio ristretto e penalizzante dove non ci sono opportunità per nessuno, dove si sommano e si scontrano problematiche differenti quali quella relativa alla mancanza degli alloggi, alla sicurezza, alla pulizia, alle strutture ricreative e culturali inesistenti.   
Il quartiere è stato progressivamente  abbandonato a se stesso, sono stati spesi soldi e tanti per i marciapiedi e i lampioni ma nulla viene fatto per la sicurezza, dov’è per esempio il poliziotto di quartiere tanto declamato da Berlusconi? Le poche ma sane attività e le iniziative che vengono condotte nel quartiere atte a favorire un’integrazione culturale tra gli abitanti o che rappresentano comunque un punto di incontro e di confronto rispetto all’ambiente sociale, non sono adeguantamente sostenute e sponsorizzate e gli sforzi e l’impegno di tanti cittadini viene reso sterile e privo di prospettive per la mancanza di supporto e sostegno da parte della pubblica amministrazione.
E quando non si vedono alternative, quando non si offrono valide opportuinità ecco che diventa tutto normale, ecco che si  arriva anche paradossalmente a giustificare  il fatto (come purtroppo ho sentito dire spesso in questi giorni)  che una squadraccia di trenta incappucciati  vada  per le vie del quartiere decidendo di farsi giustizia da sé.
 
Annalisa Melandri
Roma

Quanto è progressista Stiglitz.

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Eduardo Gudynas

En Español

La figura dell’economista Joseph Stiglitz appare sempre più frequentemente come riferimento e fonte di ispirazione per tutti coloro che sostengono nuove politiche di sviluppo. Ci troviamo nella situazione in cui un economista tradizionale appare come una figura celebrata dai più diversi movimenti alternativi.
C’è qualcosa di strano in tutto questo: Stiglitz continua ad essere un economista convenzionale, non è il sostenitore di nessun cambiamento radicale né rivoluzionario nell’economia dello sviluppo, al contrario le sue posizioni sono quasi sempre ancorate alla tradizione liberale.
E’ vero che Stiglitz ha attaccato duramente alcune posizioni economiche attuali. Ma è necessario porre le sue argomentazioni in prospettiva.
Egli ha ottenuto notorietà per le sue forti critiche al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e specialmente su come venivano applicate alcune ricette di aggiustamento strutturale. Sebbene il suo libro più venduto, “La globalizzazione e i suoi oppositori” pubblicato nel 2002, nel titolo richiami ad una revisione di tutti i processi globali attuali, quello che in realtà prevale nelle sue pagine sono interrogativi e critiche al comportamento del FMI. Vi si trovano molte delle questioni e rivalità personali tipiche della comunità internazionale di Washington.
Stiglitz parte da una visione ristretta della globalizzazione. La definisce come un processo economico inteso come “l’eliminazione degli ostacoli al libero commercio ed una più ampia integrazione delle economie nazionali” e la cui “forza” è “l’arricchimento di tutti, in modo particolare dei poveri”. Questa è una visione della globalizzazione essenzialmente economica, che in se stessa ha un indiscusso potenziale positivo, mentre il dibattito dovrebbe basarsi piuttosto sul modo di “amministrare” la globalizzazione. Partendo da queste idee, ne “La globalizzazione e i suoi oppositori”, egli punta il dito specialmente contro il FMI. Quasi tutto ciò che scrive è vero; dalla miopia nell’applicazione degli strumenti fino all’arroganza dei suoi funzionari che fanno pressioni per riforme strutturali.
Ma Stiglitz non pone gli stessi interrogativi sull’istituzione sorella del FMI, cioè la Banca Mondiale. Ricordiamo che questo economista ha occupato una posizione di prestigio in questa banca dal 1997 al febbraio del 2000. Stiglitz ha una visione abbastanza semplicistica della Banca Mondiale, dal momento che la presenta come un’istituzione che dipende dalle decisioni del FMI e non affronta adeguatamente il suo ruolo come promotrice di iniziative e programmi di sviluppo, attraverso i quali si delineano dalle riforme della sicurezza sociale agli investimenti nelle infrastrutture. Sebbene meno noti delle famose lettere di intenti e dei programmi di aggiustamento strutturale del FMI, gli accordi con la Banca Mondiale, sia sotto forma di programmi allo sviluppo sia sotto forma di fondi strutturali, hanno rappresentato il fondamento degli studi sulle riforme di mercato fino a pochi anni fa. Negli anni in cui c’era Stiglitz non si sono registrate migliorie sostanziali atte a convertire l’impatto sociale e ambientale dei processi finanziati dalla Banca, e nemmeno sono migliorate le condizioni di trasparenza e accesso all’informazione.
Le relazioni della Banca Mondiale, e specialmente i suoi rapporti annuali sullo sviluppo mondiale, hanno ottenuto lo stesso trattamento. Certamente il volume sulla povertà (2000/2001) è stato al centro di un certa polemica, alla quale ha partecipato Stiglitz, ma in ogni modo l’accento era posto sulle riforme di “seconda generazione”. Negli anni di Stiglitz alla Banca Mondiale si erano completate la serie di proposte di riforme strutturali per l’America Latina, guidate dall’ufficio del capo economista responsabile della regione. In questi anni è apparso il conosciuto trio di pubblicazioni di Shahid, J. Burki e Guillermo Perry, con la lunga lista di riforme che si dovrebbero applicare in America Latina, dall’apertura commerciale alla decentralizzazione e municipalizzazione dello Stato. Molte di queste proposte sono state messe in pratica in alcuni paesi.
Sebbene Stiglitz abbia criticato la nomina di P. Wolwitz alla presidenza della Banca Mondiale (fatto che gli ha valso applausi), ricordiamo che i candidati erano l’ex presidente messicano Ernesto Zedillo, l’ex presidente della Banca Centrale del Brasile, Arminio Fraga e l’ex vicepresidente della Banca Mondiale, Kemal Dervis (Turchia). I punti a loro favore era che avevano esperienza di sviluppo economico e di mercati finanziari e che si erano laureati o tenevano lezioni nelle Università di Yale e Princeton o che potevano contare sull’appoggio del Financial Times (Stiglitz su El Pais, Madrid, 12 Marzo 2005). Queste non appaiono argomentazioni convincenti da una prospettiva rinnovatrice.
Certamente Stiglitz dice molte cose interessanti in materia di economia ed in alcuni momenti ha delle ispirazioni di eterodossia. E’ molto piacevole leggerlo e riflettere su alcuni punti. È anche vero che alcune sue critiche dirette al cuore della comunità dei tecnocrati globali di Washington, hanno un forte impatto. Bisogna però riconoscere che possiede una visione semplicistica della globalizzazione, dal momento che insiste sui suoi aspetti economici convenzionali. Una delle mie frasi preferite pronunciata da Stiglitz per dimostrare il suo semplicismo si trova nelle conclusioni di “La globalizzazione e i suoi oppositori”, quando afferma: “il mondo è complicato”. Ci si potrebbe aspettare che offrisse un’analisi un po’ più dettagliata, nonostante il fatto che nessuno possa negare che il mondo sia complicato. Questa stessa cosa la affermano molti altri economisti e leader sociali da molto più tempo e con maggiori dettagli.
È evidente che nella globalizzazione influiscono anche altri processi, come quelli che vanno dall’ambito delle ideologie politiche ai modelli culturali di consumo. Stiglitz li rammenta ogni tanto, a volte li intuisce, ma non li elabora in profondità. Per esempio non indaga su una economia alternativa sul tema della povertà, non ha un confronto con le posizioni di Amartya Sen, dovrebbe analizzare e molto più approfonditamente una riforma politica per una nuova economia, e così via con altre questioni. In quasi tutti gli scritti di Stiglitz si finisce per notare che manca lo sviluppo delle problematiche, si annuncia una analisi interessante, si presume che ci sia un approfondimento della materia, come nel caso della OMC o del rinnovamento delle Nazioni Unite… ma restiamo sulla superficie del rinnovamento amministrativo e delle riforme da attuare tramite la gestione. Le proposte alternative di Stiglitz sono quasi una rapida revisione, appesantite da una certa aria di superiorità e per questo motivo somigliano più a dei ricettari. Si tratta di “un’altra ricetta” con alcuni aspetti interessanti ma sempre una ricetta. Certamente l’esempio più chiaro fu il suo scritto “verso una nuova agenda per l’America Latina” pubblicato dal CEPAL nel 2003 e riprodotto in molti paesi. Buona parte delle sue proposte tuttavia sono molto generiche e non differiscono sostanzialmente dalle “nuove” riforme che si discutono in ambito CEPAL, BID e perfino nella stessa Banca Mondiale.
È fondamentale fare un passo avanti, e domandarsi perché ci siano tante persone affascinate dagli scritti di Stiglitz. Sembrerebbe che l’asse del dibattito si sia spostato verso destra, dal momento che un economista liberale come Stiglitz finisce per essere indicato come progressista. O piuttosto continuiamo i
mpacciatamente a cercare persone con prestigio, che abbiano un premio Nobel o una cattedra negli Stati Uniti. Non ci sono nel seno dei movimenti sociali economisti alternativi che dicano più o meno le stesse cose? Sicuramente esistono, nonostante José Luis Fiori abbia ragione quando afferma che la sinistra ha avuto molte difficoltà a produrre i suoi propri programmi economici. Proprio per questo non è il momento di guardare esclusivamente alle cattedre economiche universitarie dell’emisfero nord per promuovere ancora di più il dialogo e le analisi economiche all’interno dei propri movimenti sociali.

Eduardo Gudynas
Fonte: http://www.peripecias.com/
Link:http://www.peripecias.com/desarrollo/104GudynasStiglithtmlzCritica.
30.09.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI


La marcia su Roma

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Questa lettera è stata pubblicata da Liberazione il 27/09/06

Alla fine di settembre nel viterbese verrà organizzato da Forza Nuova un raduno della durata di tre giorni  a cui parteciperanno fascisti e neonazisti di tutta Europa.

Il programma è il seguente: “Il Campo d’Azione è ormai un punto di incontro fondamentale per chi vuole contribuire alla pratica forzanovista e vivere in armoniosa fratellanza i valori e lo spirito del Cameratismo propri di una Comunità organica di Lotta e Destino. Vieni con Noi, se sei come Noi”.

Motivo di orgoglio per gli organizzatori della “marcia intorno a Roma” come è stata definita è la partecipazione tra gli altri,  del Npd tedesco nel cui programma spiccano i temi più cari alla destra razzista, nazista e xenofoba. Personalmente mi fa  paura e mi preoccupa il fatto che  queste ideologie abbiano tanto seguito tra i più giovani che spesso senza neppure avere un minimo di cultura storica ostentano svastiche e croci celtiche come simboli di una nuova modernità che altro non è che un ritorno al più oscuro e tragico passato. Invito tutti a leggersi il testo integrale della legge n. 645 del 1952 (legge Scelba) ed a interrogarsi su questa nuova deriva fascista e neonazista che si sta verificando in tutta  Europa.

 


Chi paga per il cambiamento climatico?

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Peter Singer                                                                   EN ESPAÑOL
Ecoportal.net
16/09/06


Scrivo questo articolo da New York agli inizi di agosto, quando il sindaco ha dichiarato uno stato di emergenza per il caldo per prevenire interruzioni diffuse dell’erogazione di energia elettrica dovute dell’uso intenso dei condizionatori che si prevede.
Gli impiegati municipali potrebbero essere esposti a denunce penali se impostano i loro termostati sotto i 78 gradi Fahrenheit (25,5 Celcius). Ciò nonostante, l’utilizzo dell’energia elettrica ha raggiunto livelli senza precedenti.
Negli Stati Uniti, i primi sei mesi del 2006 sono stati i più caldi da più di un secolo a questa parte. Anche l’Europa sta sperimentando un’estate eccezionalmente calda.
La torrida estate settentrionale coincide perfettamente con la prima del documentario “Una verità scomoda”, che vanta la partecipazione dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Per mezzo di grafici, immagini, ed altri apporti notevoli, si argomenta in forma convincente che le nostre emissioni di diossido di carbonio stanno causando il riscaldamento del pianeta, o, come minimo, stanno contribuendo a causarlo e che quindi dobbiamo affrontare urgentemente questo problema.
Gli americani sono soliti parlare molto di moralità e di giustizia, ma la maggior parte di essi continua a non rendersi conto che il rifiuto del loro paese di firmare il Protocollo di Kyoto e l’atteggiamento che ne consegue, che tutto rimane uguale, in merito alle emissioni di gas ad effetto serra è uno degli errori morali più gravi.
Già sta avendo conseguenze nocive per gli altri e la maggiore ingiustizia è che sono i ricchi quelli che stanno utilizzando la maggior parte dell’energia che provoca le emissioni all’origine del cambio climatico, mentre saranno i poveri che si sobbarcheranno la maggior parte dei costi.
Per rendersi conto dell’ingiustizia, mi basta rivolgere uno sguardo al condizionatore che fa sì che la temperatura del mio studio sia sopportabile. So bene che ho fatto più di quello chiesto dal sindaco, impostando la temperatura su 28F (27C), ma continuo ad essere parte di un circuito di retroazione. Lotto contro il calore utilizzando più energia, e ciò contribuisce al consumo di più combustibile fossile e all’emissione di più gas ad effetto serra nell’atmosfera e ad un maggiore riscaldamento del pianeta.
È successo anche quando stavo vedendo “Una verità scomoda”: in una notte calda, la sala del cinema era così fresca che ho rimpianto di non esseremi portato una giacca.
Il caldo uccide. Un’ondata di caldo in Francia ha causato 35.000 morti nel 2003 ed un’altra simile in Gran Bretagna il mese scorso ha causato più di 2000 morti, secondo stime ufficiali. Anche se non si può attruibuire nessuna di queste ondate di caldo al riscaldamento del pianeta, ciò farà si che simili fenomeni siano più frequenti. Inoltre, se si permette che l’innalzamento della temperatura del pianeta continui, il numero di morti che si registrerà quando le precipitazioni si faranno più erratiche e causeranno tanto siccità prolungata quanto inondazioni molto gravi supererà di molto il numero di morti per il caldo in Europa. Uragani intensi e più freequenti ucciderannno molte più persone. Lo scioglimento dei ghiacciai polari causerà l’innalzamento del livello del mare, il quale inonderà le fertili regioni alle foci dei fiumi, dove centinaia di migliaia di persone coltivano i prodotti con i quali si nutrono. Si diffonderanno le malattie tropicali che uccideranno anche più persone.
Secondo cifre delle Nazioni Unite, nel 2002 le emissioni per abitante dei gas ad effetto serra negli Stati Uniti furono 16 volte superiori a quelle dell’India, 60 volte superiori a quelle del Bangladesh e più di 200 volte superiori a quelle dell’Etiopia, del Mali o del Chad. Altre nazioni sviluppate con emissioni quasi equivalenti a quelle degli USA sono Australia, Canada e Lussemburgo. D’altro canto Russia, Germania, Gran Bretagna , Italia, Francia e Spagna hanno livelli compresi tra la metà ed una quarta parte di quelli statunitensi.
Il livello di questi paesi continua ad essere superiore alla media mondiale e a più del 50 per cento di quello delle nazioni più povere nelle quali ci saranno morti causate per il riscaldamento del pianeta.
Se un soggetto che inquina danneggia un altro, il danneggiato di solito ha una difesa giuridica. Per esempio se una fabbrica riversa prodotti chimici tossici in un fiume che io uso per irrigare la mia produzione agricola e distrugge il mio raccolto, posso denunciare il proprietario della fabbrica. Se le nazioni ricche inquinano l’atmosfera con diossido di carbonio e distruggono i miei raccolti a causa dei cambiamenti nella frequenza delle precipitazioni o i miei terreni vengono inondati per un aumento del livello del mare non si dovrebbe anche poter sporgere denuncia?
Camilla Toulmin. che dirige l’International Institute for Enviroment and Development (IIED) ONG con sede in Londra, ha assistito ad una conferenza sul cambio climatico che Al Gore ha pronunciato in giugno. Gli ha domandato cosa pensasse in merito al risarcimento dei danni a coloro i quali sono più colpiti dal cambio climatico, ma hanno contribuito in misura minore a causarlo. La domanda sembrò averlo colto di sorpresa e lui non ha appoggiato l’idea. Come Toulmin, anche io mi domando se questa è una verità che risulta essere troppo scomoda, perfino per lui.

Peter Singer è PROFESSORE DI BIOETICA, UNIVERSITÀ DI PRINCETON – Clarín y Project Syndicate , 2006

Traduzione per comedonchisciotte a cura di  ANNALISA MELANDRI


Hezbollah destina 180mdd per la ricostruzione del Libano

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Robert Fisk                                                                                     EN ESPAÑOL 
The Independent
27/08/06
Membri di Hezbollah hanno dato inizio ai pagamenti degli indennizzi ai libanesi che hanno perso proprietà a causa degli attacchi israeliani.
Zibqin, Sud del Libano, 23 agosto. Hezbollah ha sottratto protagonismo tanto all’Organizzazione delle Nazioni Unite quanto al governo libanese destinando centinaia di milioni di dollari, provenienti quasi sicuramente dall’Iran, ed alleviando la devastazione nel sud del Libano e nelle periferie distrutte a sud di Beirut. Questo massiccio sforzo per la ricostruzione è gratuito per migliaia di libanesi le cui abitazioni sono state distrutte o danneggiate dal feroce assalto durato settimane sul paese. Con questo la guerrilla si è assicurata la lealtà perfino dei più scettici membri della comunità sciita del Libano.
Hezbollah ha lasciato intendere chiaramente che non ha nessuna intenzione di disarmarsi come prevede la risoluzione ONU n. 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e questo mercoledì pomeriggioì il generale Alain Pellegrini, comandante della forza interna dell’Onu per il sud del Libano – nella quale confidano statunitensi e britannici per il ritiro delle armi dalla guerriglia– mi ha confermato personalmente nel suo quartier generale a Naqoura, che gli “israeliani non possono chiederci di disarmare Hezbollah”. Ha aggiunto che l’attuale “cessate il fuoco” è “molto fragile” e “molto pericoloso” e che disarmare Hezbollah non è previsto dal nostro mandato.
Per ora, in assenza totale della forza militare degli 8.000 uomini che aveva intenzione di unirsi a UNIFlL con un massiccio invio, Hezbollah ha già vinto la guerra per le “menti ed i cuori”. La maggior parte delle abitazioni nel sud ha già ricevuto o sta ricevendo, una sovvenzione iniziale equivalente a 12.000 dollari, sia per nuovo mobilio che per sostenere gli affitti delle famiglie mentre le brigate di costruzione di Hezbollah si occupano della ricostruzione delle loro abitazioni.
Il denaro è pagato in contanti, quasi sempre in banconote nuove da 100 dollari ed è ripartito tra 15.000 famiglie del Libano le cui proprietà sono state distrutte dagli israeliani. Fino a questo momento il conto ammonta a 180 milioni di dollari, ma sarà molto più alto una volta che la ricostruzione e gli altri indennizzi siano stati pagati.
Nei 20 chilometri quadrati di periferia al sud di Beirut che sono rimasti distrutti o seriamente danneggiati nei 35 giorni dei bombardamenti israeliani, 500 mila residenti, quasi tutti sciiti, hanno perso le loro abitazioni, ma il denaro sta giungendo in abbondanza. Per esempio uno sciita chiamato Hussein Selim, che era proprietario di quattro piani in un blocco di appartamenti ha già ricevuto 42 mila dollari in contanti come risarcimento per i suoi mobili ed altri oggetti. Inoltre Hezbollah ha promesso di ricostruire tutta l’area municipale con i suoi propri fondi o più probabilmente con quelli iraniani.
Un aspetto di questa promessa che risulta terrificante per coloro che credono nel cessate il fuoco dell’ONU è che Hezbollah ha incoraggiato la popolazione sciita ad affittare le loro abitazioni a Khalde, nel Sud di Beirut, poiché il gruppo armato vuole rimandare di un anno il progetto di ricostruzione della città per la sua convinzione che la tregua fallirà e che ci sarà un’altra guerra tra Hezbollah e Israele che distruggerà le abitazioni recentemente costruite
In lungo e in largo della devastazione del sud del Libano, Hezbollah ha visitato centinaia di migliaia di famiglie sciite chiedendo dettagli sulle loro perdite. In alcune occasioni, funzionari del governo libanese, dei quali diffida la maggior parte della popolazione locale, hanno conteggiato i costi della ricostruzione, ma l’unica cosa che hanno fatto le autorità della regione, fino a questo momento è stata quella di iniziare a riparare le reti idriche ed elettriche.
Ho incontrato scavatrici e camion della ditta di Hezbollah, Jihad al Bena, che liberavano dalle macerie le vie di un villaggio e abbattevano quello che rimaneva delle case distrutte. “Stiamo facendo questo senza chiedere nulla in cambio, ma sappiamo che ci pagheranno perché abbiamo fiducia nello sceicco Hassan” mi ha detto il capo di una ditta di costruzioni. Sayed Hassan Nasrallh, leader di Hezbollah, ha promesso di indennizzare tutti i sopravvissuti. Percorrendo centinaia di chilometri al sud del paese, l’immensità del lavoro di Hezbollah — e il fallimento del governo libanese — è evidente. Guardando verso le colline sassose e le campagne verdi del sud del Libano, i villaggi delle montagne sembravano intatti sotto il caldo sole di agosto. Ma avvicinandosi, si notano i campi inceneriti ed enormi aree grigie di macerie, che una volta erano abitazioni. Di alcuni villaggi come Bint Jbeil e Zibqin ad esempio, la metà è andata distrutta.
Hanno distrutto una moschea antica di mille anni.
A Zibquin c’è una rovina particolarmente significativa: i resti bombardati di una minuta moschea antica di mille anni che contiene secondo quanto credono i libanesi, il corpo di Zein Ali Yaqin, figlio del profeta Yacoub o Giacobbe secondo la fede ebraica, il quale è anche il nipote del profeta Ibrahim o Abramo.
Due dei figli di Abramo, Giacobbe e Ismail (o Ismaele) sono quelli che delimitano la rottura tra tra l’islamismo e l’ebraismo, perché il primo credette che Dio disse ad Abramo di sacrificare Ismaele, mentre il secondo affermava che era Yacoub/Giacobbe che doveva essere sacrificato.
Zein Ali Yaqin, che era un santo più che un profeta, godeva pertanto di un lignaggio ebreo notevole e nonostante questo, il feretro che contiene i suoi resti mortali è uscito dal pavimento di pietra del tempio a causa dei bombardamenti israeliani che imperversavano fuori.
Le esplosioni hanno causato il crollo della vecchia facciata e centinaia di pezzi di roccia che formavano un parete originaria della cupola verde della moschea sono caduti giù per i pendii della collina, mentre le pareti interne si frantumavano e i calcinacci precipitavano come una cascata sul telo che copriva la tomba.
“Gli israeliani hanno fatto questo ad uno di loro” dice Hussein Barakat camminando con difficoltà con il suo bastone. Barakat ha 69 anni ed è l’unico abitante che rimane a Zibqin, tutti gli altri sono fuggiti dal bombardamento israeliano. Ha un dito ferito ed è rimasto mezzo sordo per le esplosioni.
Continua il recupero dei cadaveri.
Questa settimana sta continuando il recupero dei corpi dei civili e dei combattenti di Hezbollah tra gli sgombri del Sud del Libano. Si è scoperto per esempio che quattro fratelli, tutti membri di Hezbollah, sono morti insieme sotto il fuoco israeliano nella zona est della città di Khiam. Alcune famiglie ancora cercano i loro parenti.
A Siddiqin , a est di Qana, ho conosciuto un commerciante che da ore cercava di trovare le rovine di due suoi negozi, che sembrava fossero state polverizzate dai bombardamenti aerei. Ma anche egli crede che “lo sceicco Hassan” li ricostruirà. Ad alcuni chilometri da lì ho incontrato una donna di 65 anni arrampicata come un gatto su di un tetto schiacciato di quella che era la sua casa, in cerca dell’oro di famiglia negli interstizi che rimanevano tra il cemento armato.
Sono i lavoratori dell’esercito di Hezbollah ai quali si è chiesto che ricostruiscano questi villaggi e a distanza di un anno il centro di B
eirut. L’apparato politico ed economico della guerriglia, così poderoso e disciplinato come il suo esercito, contatterà decine di migliaia di uomini per ricostruire ciò che sarà una città virtuale dentro Beirut e restituiranno all’attuale sud del libano devastato i villaggi agricoli e le piantagioni di tabacco che esistevano due mesi fa.

©The Independent
Traduzione dall’originale di Gabriela Fonseca
Traduzione dall spagnolo di Annalisa Melandri

Fonte :lafogata.org


La Casa Bianca è furibonda perchè Fidel è stato acclamato e viene meno il “bloqueo” a Cuba.

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Durante la sua quarta visita in Argentina, il presidente cubano ha polarizzato l’attenzione della gente e dei media. Questo è importante per Cuba, tanto che il Mercosur ha firmato un accordo con l’isola annullando istituzionalmente e collettivamente il “bloqueo” degli Stati Uniti.

 

Emilio Marín 24/7

Alla fine la numerosa delegazione cubana  presente alla XXX riunione del Gruppo Comune del Mercosur (cancellieri e ministri dell’Economia) e al XXV vertice dei presidenti che hanno concluso a Córdoba,  era presieduta nientemeno  da Fidel Castro. Come sottolineando che le relazioni de

la Habana con Mosca sono tutt’ora buone come negli anni della ex URSS, egli è arrivato all’aeroporto di Pajas Blancas in un aereo russo Ilyushin T1280. Nemmeno sommando la risonanza che ha avuto l’arrivo degli altri otto governanti che partecipano al vertice, compreso Néstor Kirchner, si è raggiunta l’attesa  per l’arrivo del comandate in capo cubano. “È un pezzo di storia” sono stati concordi i media ed i politici  sostenitori di ogni colore. “Bravo Fidel” ha tuonato qualche giornalista nel Centro Stampa del complesso Ferial, a molti chilometri di distanza dalla pista di atterraggio, quando le immagini televisive di questo arrivo sono apparse sui monitor. E lì anche gli applausi e gli evviva hanno indicato che l’annoiata  maggior parte dei cronisti era felice che quell’uomo dall’uniforme verde oliva fosse arrivatao a Córdoba per la prima volta (nel 1959 e 2003 fu a Buenos Aires e nel 1995 a Bariloche).

L’uomo compirà 80 anni il 13 di agosto e stava centellinando ormai i suoi viaggi all’estero. Quale motivo importante lo ha spinto ad intraprendere questo viaggio insieme al vicepresidente Carlos Lage ed al cancelliere Felipe Perez Roque? La risposta ce la dà l’accordo economico firmato ieri con i paesi del Mercosur, nel quale si uniformano i vantaggi commerciali reciproci che

la Habana aveva  concordato separatamente con ognuno di essi.

Si dice che l’isola ha accordi con l’Argentina per commercializzare 1.300 prodotti con un sistema di diritti doganali  e che a partire da adesso avrà intenzione di duplicare questa cifra.

Ma non sarà in termini bilaterali ma piuttosto nel segno della convenienza dei cinque paesi del Mercosur , infatti ai quattro fondatori si è aggiunto il Venezuela a partire dal 4 luglio.

Questi accordi hanno un valore che trascende di molto dall’aspetto commerciale-finanziario. Il loro significato è politico :implica che l’embargo statunitense contro l’isola maggiore delle Antille ha subito un colpo strategico. Sebbene il Mercosur non ha l’importanza economica-collettiva dell’Unione Europea e dell’Associazione delle nazioni dell’Asia, ciò che gli compete non è per niente disprezzabile poichè rappresenta il 75% del prodotto interno lordo del SudAmerica.

Contrariamente alla simpatia della maggior parte dei  cordovani e delle delegazioni ufficiali manifestata alla rappresentazione cubana, non potevano mancare le critiche dell’avvicinamento di questa al Mercour.

Critiche male intenzionate.

Un argomento di carattere economico ha riguardato la presunta scarsa rilevanza dell’economia caraibica , di poca risonanaza nello scambio commerciale: “Cosa ci possono vendere i cubani, a parte il rum ed i sigari?” hanno detto questi critici dell’unica nazione socialista dell’emisfero occidentale.

La dichiarazione di questa obiezione rivela ignoranza e/o mala fede, è risaputo  che l’isola può venderci e di fatto già lo fa, vaccini, medicine ed altri prodotti usciti dai suoi poli scientifici e di biomedicina. Quello che le compete va ben al di là del rum Havana o dei suoi famosi sigari. Ci sostiene anche con i programmi di alfabetizzazione “Yo sì puedo” che hanno liberato dal flagello dell’analfabetismo, municipi come Tilcara e Jujuy. Questi scambi sono fondamentali anche se non si fatturano in dollari e non figurano nelle statistiche dei bilanci commerciali.

Questa analisi “contabile” sottolinea anche il fatto che nell’interscambio educazionale l’Argentina risulta debitrice. Dal 1999 ad oggi, quasi 400 alunni con scarse risorse studiano gratuitamente nella Scuola Latinoamericana delle Scienze Mediche (Elam) a

la Habana. I primi 46 graduati hanno ricevuto il loro diploma l’anno scorso. E tutto ciò, fatto con molta dedizione e spirito di solidarietà, ha un costo. Le differenze di valutazione sul fatto se bisogna porre l’accento o meno sugli affari o sull’ integrazione indipendente, affiorarono ieri, venerdì nei discorsi del presidente. Non tutti hanno enfatizzato il miglioramento della situazione sociale della gente, ma sì lo hanno fatto Hugo Chávez, Evo Morales e Fidel Castro. Quest’ultimo ha menzionato la principale ricchezza di Cuba: il capitale umano.

Alcuni governanti, quelli più venali,  erano disposti a convalidare l’ingresso del Venezuela al blocco regionale con uno scambio economico.Pensavano  al barile di greggio che sfiora gli 80 dollari e alla Fascia  dell’Orinoco che è una delle grandi riserve di greggio del pianeta.

Ma questi stessi politici commercianti non devono aver riflettuto molto sulle parole del comandante in capo cubano quando, in chiusura del vertice, li ha chiamati a fare una “inchiesa casa per casa”  nei loro rispettivi paesi, per individuare quanti sono coloro che hanno necessità di operazioni alla vista. Egli ha stimato come in 30 milioni coloro i quali ne hanno bisogno in Latinoamerica,e , con umiltà ha espresso che con Chávez, sono stati fatti programmi per operarne gratuitamente sei milioni in dieci anni.

Nonostante i  critici, i leader di Cuba e Venezuela hanno il “know-how” per far fronte a molte delle problematiche sociali irrisolte nel Mercosur. Il “come farlo” non solo vale come tecnologia per lanciare prodotti vantaggiosi sul mercato, ma anche ed ancora più importante, per superare le piaghe della mortalità infantile, dell’analfabestismo e delle altre malattie improprie del XXI secolo.

Fonte :

La Fogata


Israele uno stato terrorista

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Adolfo Pérez Esquivel
Ho sempre appoggiato il popolo ebreo, un popolo che ha sofferto l’Olocausto, la diaspora, persecuzioni, torture e morte, ma che ha avuto dignità, ha resistito all’oppressione ed ha lottato per i suoi valori religiosi, culturali e per l’unità del paese.
Ho ripetuto continuamente ed unito la mia voce a molte altre nel mondo perché  il popolo d’Israele ha il diritto di esistere; ma che ha lo stesso diritto all’esistenza del popolo palestinese, oggi oppresso e massacrato dallo Stato israeliano.
E’ doloroso dover evidenziare le azioni folli che lo stato israeliano commette contro il popolo palestinese, attaccando, distruggendo, opprimendo e massacrando la popolazione, donne, bambini, giovani sono le vittime di queste atrocità di cui non possiamo tacere e che dobbiamo denunciare esigendo BASTA!
E’ stato abbattuto il muro di Berlino, ma sono stati costruiti altri muri come quello eretto da Israele per dividere il popolo palestinese. Credendo che questo gli dia  più sicurezza produce invece più conflitto, dolore e contrasto
Ma i muri più difficili da abbattere sono quelli che esistono nell’anima e nel cuore, i muri dell’intolleranza e dell’odio. Gli attacchi, la distruzione e la morte a Gaza e nel Libano e le minacce continue agli altri paesi, hanno portato lo Stato di Israele a trasformarsi in uno stato terrorista, che utilizza le torture e  gli attacchi alla popolazione civile dove le vittime sono donne e bambini. Fino a quando continuerà questa politica di terrore?
Sappiamo che non tutto il popolo israeliano è d’accordo con la politica di distruzione e morte portata avanti dal governo, appoggiato dagli Stati Uniti e dal silenzio dei governi europei; complici dell’orrore scatenato in Medio Oriente. Sono coloro i quali, tanto in Israele che in Palestina, desiderano il dialogo, la risoluzione del conflitto ed il rispetto dell’esistenza dei due popoli.
Questo è possibile se esiste la volontà politica e dei popoli di ottenerlo, con l’appoggio della comunità internazionale.
Penosamente le Nazioni Unite hanno perso in immagine, coraggio e decisionalità per poter essere in grado di risolvere il conflitto tra i due popoli, situazione questa che mette a rischio la pace mondiale. L’ONU è stata assoggettata dalle grandi potenze che la usano quando risponde ai loro interessi e non ai bisogni di tutta l’umanità. E’ necessaria una sua riforma profonda volta a democratizzare la sua struttura e renderla più operativa ed efficace nell’interesse dei popoli.
E’ certo che ci sono attacchi e fatti violenti scatenati da settori del popolo palestinese che reclama i suoi diritti. Non è tramite la violenza, che genera più violenza tra le parti, che si risolverà il conflitto. Mahatma Gandhi diceva che “se si applica il principio di occhio per occhio, ci ritroveremo tutti ciechi”.
Il governo israeliano sta diventando cieco e sta trascinando il suo popolo in un abisso.
E’ necessario che la comunità internazionale reagisca e arresti la follia dei governi, prima che sia troppo tardi. Ma ancora di più è necessario che gli israeliani ed i palestinesi reagiscano e comprendano che non possono continuare ad uccidersi. I responsabili della barbarie devono fermare la follia in cui si trovano, senza via di uscita. Devono farlo nell’interesse dei popoli e dell’umanità.
Buenos Aires, 14 Luglio 2006
Traduzione di ANNALISA MELANDRI

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