Honduras: repressione e morte

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L’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa, dove da ieri si trova Mel Zelaya dopo essere entrato nel paese in maniera assolutamente improvvisa e inaspettata, e’ sotto assedio. L’esercito golpista ha sparato sulla folla uccidendo due persone e sta sgomberando le case vicine in vista di un’ attacco alla sede diplomatica brasiliana.

In Italia tutto tace, la notizia non merita nemmeno una piccola nota nei tiggi’ serali e penso che in altri tempi, sicuramente migliori, ci sarebbero state tante manifestazioni spontanee sotto le ambasciate dell’Honduras in tutta Europa.

Forza Mel. Micheletti a la mierda…


Lettera alle autorità messicane per il caso Francisco Paredes

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Francisco Paredes

A due anni dalla detenzione-sparizione forzata del difensore dei diritti umani
José Francisco Paredes Ruiz
 
La Fondazione Diego Lucero A.C. (FDL), che fa parte della Red de Alerta Temprana (Rete di Attenzione Immediata), è un’organizzazione che lavora per la difesa dei diritti umani in Messico in particolar modo nelcampo delle   indagini e dellaricerca della verità rispetto agli oltre 1300 casi di sparizioni forzate avvenute durante la cosiddetta guerra sucia (guerra sporca), il recupero della memoria storica, la difesa dei diritti umani e anche rispetto alle proposte di modifiche di leggi in materia di diritti umani.
 
Il 26 settembre prossimo si compiono ormai due anni dalla detenzione-sparizione forzata di José Francisco PAREDES RUIZ, difensore dei diritti umani e co-fondatore della Fondazione Diego Lucero A.C.
 
Come denunciato dalle sue figlie, dai compagni e dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, il 23 settembre del 2007, Francisco PAREDES RUIZ aveva partecipato ad alcuni eventi commemorativi previsti in quella data a Madera, Stato del Chihuahua e il giorno 25 settembre stava facendo ritorno a Morelia.
 
Il 26 settembre l’ultimo contatto che si ha con lui è una telefonata, effettuata tramite cellulare circa alle 18.30 del pomeriggio a una delle sue figlie  per avvisarla che stava tornando a casa. Non è mai più tornato e il giorno 28 il suo furgoncino è stato trovato aperto nei pressi del suo domicilio.
 
Come membro attivo della Fondazione Diego Lucero aveva partecipato in diverse iniziative in difesa dei diritti umani che l’associazione civile aveva organizzato nello Stato di Michoacán. Brevemente ricordiamo le seguenti:
 
Aveva preso parte nell’iter di denuncia presso il Tribunale Speciale per i Movimenti Sociali e Politici del Passato dei casi di detenzione forzata della famiglia Guzmán Cruz  (il padre e quattro fratelli), di Doroteo Santiago Ramírez e Rafael Chávez Rosas.
                                
Aveva contribuito alla discussione e promozione della proposta di Legge sulla Sparizione Forzata dello Stato di Michoacán, presentata al Congresso locale in forma congiunta dal Centro dei Diritti Umani José Agustín Pro Juaréz, la Fondazione Diego Lucero e la famiglia Guzmán Cruz.
  
Aveva collaborato nell’organizzazione in diversi dibattiti e convegni organizzati a Morelia (Michoacán) nei quali si affrontava il tema del recupero della memoria storica e della difesa dei diritti umani e in cui si discutevano e si divulgavano proposte di modifiche di legge in materia dei diritti umani.
 
E’ anche noto  che Francisco PAREDES RUIZ  nei mesi precedenti alla sua detenzione-sparizione forzata, aveva partecipato al movimento sociale di Michoacán, contro la privatizzazione delle terre coltivabili e in difesa del Lago di Zirahuén nel municipio di Santa Clara del Cobre.
 
A due anni dalla sua sparizione forzata, sono state intraprese diverse azioni presso uffici statali e federali, governativi e dei diritti umani, senza aver ricevuto ad oggi una risposta soddisfacente . E’ deplorevole  che nonostante il governo messicano sia firmatario degli strumenti internazionali che mettono fine alla pratica della sparizione forzata considerata un crimine di lesa umanità e un crimine di Stato, gli incaricati di applicare la giustizia contro questo delitto non abbiano nessuna sensibilità rispetto a un caso così grave come quello descritto, cosa che è statamessa in risalto dalla negligenza delle autorità preposte proprio nei momenti più decisivi per poter agire per la difesa della vittima.
 
Va segnalato infatti che fin dai primi giorni della sua scomparsa, le figlie di Francisco PAREDES, Cristina e Janahuy hanno cercato senza nessun risultato di sporgere denuncia per la sparizione forzata di Francisco, presso l’ufficio della Procura Generale della Repubblica (PGR) e presso la Procura Generale della Giustizia dello Stato di Michoacán (PGJEM).
                                        
Alla PGJE, la responsabile della Polizia Ministeriale dello Stato, Sig.ra  Socorro Magaña Ramírez, non volle accettare la denuncia ma soltanto una narrazione dei fatti elaborata dalla D.ssa Laura Rodríguez Chagolla, Agente del Pubblico Ministero della Nona Agenzia della Sottoprocura Regionale di Giustizia di Morelia, Michoacán. Di fronte al rifiuto iniziale di accettare la denuncia nella città di Morelia si è cercato pertanto di presentarla a Città del Messico alla PGR, ma con gli stessi risultati negativi.
 
Alla fine, il 1 ottobre del 2007  è stata presentata la denuncia presso la Procura Generale di Giustizia dello Stato di Michoacán, così come presso l’ufficio di Michoacán della PGR al Dr. Noé Priego Ponce de Leon, agente del Pubblico Ministro della Federazione, responsabile della Terza Agenzia. Le indagini preliminari sono state registrate con il n. PGR/MICH/M-3/659/07. 
 
Il 2 ottobre 2007 venne aperto un fascicolo CNDH/1/2008/2837/Q sul caso di Francisco anche presso la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), che pertanto iniziò le indagini. Recentemente la CNDH ha informato i familiari che non esiste nessun indizio sul fatto che le autorità siano coinvolte nel caso e pertanto dichiarano che non si tratta di una detenzione –
sparizione forzata e che quindi la posizione viene  chiusa   essendosi concluse  le indagini. In tale documento dove vengono citate le autorità alle quali è stata richiesta informazione non appaiono tuttavia  la Segreteria della Difesa Nazionale (SEDENA) e nemmeno il Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN).
 
A due anni dalla sparizione forzata di José Francisco PAREDES RUIZ, nonostante le molteplici azioni portate avanti dalle figlie della vittima e da organizzazioni di difesa dei diritti umani, non ci sono stati progressi nelle indagini preliminari della PGR e della PGJEM. In Messico non esistono strumenti giuridici e nemmeno la volontà politica per ottenere la presentazione in vita dei detenuti scomparsi.
 
                                                  
Per tutto ciò chiediamo:
 
1.      Che il governo messicano prenda tutte le misure necessarie alla presentazione con vita di Francisco PAREDES RUIZ.
2.      Che venga garantita l’integrità fisica, psicologica e giuridica di Francisco PAREDES RUIZ.
3.      Che la Procura Generale della Giustizia dello Stato di Michoacán (PGJEM) notifichi l’indagine preliminare n. PGR/MICH/M-3/659/07come delitto federale tipizzato come sparizione forzata di persona, contenuto nell’articolo 215-A del Codice Penale Federale e non come delitto statale tipizzato come privazione illegale della libertà nella sua modalità di sequestro di persona.
4.      Che la Procura Generale della Repubblica (PGR) crei un Tribunale Speciale per indagare sulla sparizione forzata di Francisco PAREDES RUIZ.
5.      Che la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CHDH) riapra il fascicolo che ha chiuso senza portare avanti le procedure relative rispetto alla Segreteria della Difesa Nazionale (SEDENA) e del Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN), che rediga  una relazione ed emetta le raccomandazioni pertinenti al caso rispetto alla lentezza nelle indagini e nell’ottenimento della documentazione al fine di ottenere verità e giustizia  e che consegni le informazioni raccolte fino a questo momento.
6.      Che la Segreteria di Difesa Nazionale (SEDENA) e il  Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (CISEN) rendano pubbliche le  informazioni necessarie rispetto allo sviluppo delle indagini volte a chiarire la sparizione forzata di Francisco PAREDES RUIZ.
7.      Che il  Congresso dell’Unione degli Stati Messicani riesamini il progetto di Legge Generale sulla Sparizione Forzata di Persone.
8.      Che il  Senato della Repubblica annulli le due restrizioni alla Convenzione Interamericana sulla Sparizione Forzata di Persone che non contemplano la sparizione forzata di persone come delitto imprescrittibile al pari degli altri delitti contro l’umanità e che, rispetto alla Giustizia Militare, permettendo che i militari non vengano giudicati dai tribunali civili,  garantisce di fatto la loro immunità.
9.      Che venga fornita  informazione ufficiale da parte delle autorità     messicane  rispetto a questo caso.
10.Che venga rispettata  la Dichiarazione che protegge tutte le persone contro le Sparizioni Forzate approvata dall’ONU nel 1992, la Convenzione Interamericana contro le Sparizioni Forzate approvata dall’OEA nel 1994 e la Convenzione Internazionale recentemente firmata dal Messico.
11.Che il governo messicano rispetti e assicuri l’applicazione di quanto disposto nella Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani  adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 Dicembre 1998.
 
 
Cordiali saluti,
 
Messico D.F. 15 settembre 2009
 
MESSICO:
Red de Alerta Temprana
Fundación Diego Lucero, A.C. (FDL), Liga Mexicana por los Defensa de los Derechos Humanos A.C. (Limeddh), Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Víctimas de Violaciones a los Derechos Humanos en México (AFADEM-FEDEFAM), Centro de Derechos Humanos Coordinadora 28 de Mayo A.C., Asociación de Derechos Humanos del Estado de México (ADHEM), Asociación para la Defensa de los Derechos Humanos y la Equidad de Género (ASDDHEG), Red Universitaria de Monitores de Derechos Humanos (RUMODH)
 
INTERNAZIONALE:                                                 
 
El Observatorio para la Protección de los Defensores de Derechos Humanos (Programa Conjunto OMCT/FIDH)
 
 
DIRETTO A:
 
Lic. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Presidente de la República
Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán / Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF / Tel: (55) 27891100 / Fax: +52 52772376    href=“felipedotcalderonatpresidenciadotgobdotmx“>felipedotcalderonatpresidenciadotgobdotmx
 
Lic. J. Jesús Montejano Ramírez
Procurador de Justicia de Michoacán
Periférico Independencia # 5000, Col. Sentimientos de la Nación, Morelia, Mich., C.P. 58170
Teléfonos: 322–36-00
pgje@michoacanhref=“pgjeatmichoacandotgobdotmx“>.gob.mx
 
Lic. Eduardo Medina-Mora Icaza
Procurador General de la República
Procuraduría General de la República
Paseo de la Reforma nº 211–213, Piso 16 / Col. Cuauhtémoc, Del. Cuauhtémoc, México D.F., C.P. 06500
Fax: +52 55 53 46 09 08 (si responde una voz, digan: “tono de fax, por favor”)
href=“ofprocatpgrdotgobdotmx“>ofprocatpgrdotgobdotmx, href=“wmasteratpgrdotgobdotmx“>wmasteratpgrdotgobdotmx
                                               
General Guillermo Galván Galván
Secretario de la Defensa Nacional (SEDENA)
Blvd. Manuel Ávila Camacho S/N. Esq. Av. Ind. Mil., Col. Lomas de Sotelo; Deleg. Miguel Hidalgo, D.F. C.P. 11640 Tel. 21228800 Ext. 3585
href=“denunciadotsdnatmaildotsedenadotgob“>denunciadotsdnatmaildotsedenadotgobhref=“denunciadotsdnatmaildotsedenadotgobdotmx“>.mx
 
 
 
Lic. Guillermo Valdés Castellanos
Director General del Centro de Investigación y Seguridad Nacional.
Avenida Camino Real a Contreras No. 35, Colonia La Concepción, Delegación Magdalena Contreras, C.P. 10840. TELÉFONO: 5624–3980 FAX: 5524–6448
href=“cisenatcisendotgob“>cisenatcisendotgob.mx  (cisenatcisendotgobdotmx)  
 
Dr. José Luis Soberanes Fernández
Presidente de la Comisión Nacional de los Derechos Humanos
Periférico Sur 3469, Col. San Jerónimo Lídice, Delegación Magdalena Contreras, C.P. 10200, México D.F. / Teléfonos (55) 56 81 81 25 y 54 90 74 00, Lada sin costo 01800 715 2000
href=“correoatcndhdotorgdotmx“>correoatcndhdotorgdotmx 
Lic. Francisco Ramírez Acuña
Presidente de la Cámara de Diputados
AV. Congreso de la unión No. 66 col. El parque delegación Venustiano Carranza, c.p 15960, México, D.F., tel. 56 28 13 00, 50 36 00 00.
fjavier.ramirez@chref=“fjavierdotramirezatcongresodotgobdotmx“>ongreso.gob.mx
 
Lic. Carlos Navarrete Ruíz
Presidente de la Cámara de Senadores
Xicoténcatl No.9, Centro Histórico Ciudad de México, Distrito Federal C.P 06010
Teléfono: 51–30-22–00
href=“cnavarreteatsenadodotgobdotmx“>cnavarreteatsenadodotgobdotmx
 
con copia a:
Ambasciatore del Messico in Italia
Jorge Eduardo Chen Charpentier
Via Lazzaro Spallanzani n. 6
00161 ROMA
ofnadotembajadoratemexitaliadotit
 
 
           

A due anni dalla sparizione forzata di Francisco Paredes Ruiz

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RED DE ALERTA TEMPRANA
(Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos A.C., Limeddh; Fundación Diego Lucero A.C. FDL; Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Víctimas de Violaciones de Derechos Humanos en México AFADEM-FEDEFAM, Asociación por la Defensa de los Derechos Humanos y la Equidad de Género, ASDDHEG; Asociación de Derechos Humanos del Estado de México, ADHEM; Red Universitaria de Monitores de Derechos Humanos, RUMODH; Centro de Derechos Humanos Coordinadora 28 de Mayo.)
OSSERVATORIO PER LA PROTEZIONE DEI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI
(Programma congiunto dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura OMCT e la Federazione Internazionale dei Diritti Umani FIDH)
LETTERA DISPONIBILE SU QUESTA PAGINA INTERNET
Alziamo le nostre voci contro l’impunità e per la presentazione con vita di Francisco Paredes Ruiz!
Il 26 settembre prossimo si compiono ormai due anni dalla detenzione-sparizione forzata di José Francisco PAREDES RUIZ, difensore dei diritti umani e co-fondatore della Fondazione Diego Lucero A.C.
Como denunciato dalle sue figlie, dai compagni e dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, il 23 settembre del 2007, Francisco PAREDES RUIZ aveva partecipato a un evento commemorativo previsto per in quella data a Madera, Chihuahua. Il 25 settembre ritorna a Morelia, e il giorno seguente l’ultimo contatto che si ha con lui è una telefonata, effettuata tramite cellulare circa alle 18.30 del pomeriggio a una delle sue figlie per avvisarla che stava tornando a casa. Non è mai più tornato e il giorno 28 il suo furgoncino è stato trovato aperto nei pressi del suo domicilio.
Nel corso di questi due anni sono state realizzate numerose azioni presso gli uffici statali e federali, governativi e dei diritti umani, senza che ad oggi si sia ottenuta nessuna risposta soddisfacente.
E’ deplorevole che nonostante il governo messicano sia firmatario degli strumenti internazionali che mettono fine alla pratica della sparizione forzata considerata un crimine di lesa umanità e un crimine di Stato, gli incaricati di applicare la giustizia contro questo delitto non abbiano nessuna sensibilità rispetto a un caso così grave come quello descritto, cosa che è stata messa in risalto dalla negligenza delle autorità preposte proprio nei momenti più decisivi per poter agire per la difesa della vittima.
A due anni dalla scomparsa di José Francisco PAREDES RUIZ, non ci sono stati progressi nelle indagini preliminari della PGR e della PGJM. In Messico non esistono strumenti giuridici e nemmeno la volontà politica per ottenere la presentazione in vita dei detenuti scomparsi.
E’ per questo che facciamo un appello alle organizzazioni, persone solidali, simpatizzanti intellettuali, artisti di tutto il mondo affinché alzino le loro voci fin da ora e fino a quando Francisco non ottenga la sua libertà. La lettera di adesioni sarà inviata alle autorità interessate il prossimo 26 settembre alla scadenza dei due anni della sparizione forzata di Francisco PAREDES.
FIRMA COME ORGANIZZAZIONE
Inviando i seguenti dati:
Nome Organizzazione/Contatto/Telefono/Mail/Città /Paese
FIRMA COME PERSONA
Inviando i seguenti dati:
Nome Organizzazione/Contatto/Telefono/Mail/Città /Paese
INVIARE LA FIRMA DI ADESIONE TRAMITE POSTA ELETTRONICA:
enlacedotlimeddhatgmaildotcom
fundaciondiegoluceroathotmaildotcom

CORDIALMENTE
RED DE ALERTA TEMPRANA
OSSERVATORIO PER LA PROTEZIONE DEI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI (Programma congiunto dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura OMCT e la Federazione Internazionale dei Diritti Umani FIDH)

Túpac Amaru en espera del alba

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Victor Polay

Túpac Amaru en espera del alba
Entrevista a Víctor Polay Campos
Enterrados vivos desde hace  muchos años  por haber luchado contra una dictadura recientemente reconocida culpable de crímenes de Estado: son muchos ex guerrilleros del Mrta( Movimiento Revolucionario Túpac Amaru), organización que la Unión Europea, a pesar de la solicitud del gobierno peruano no ha incluido  en la lista de los grupos terroristas. Hemos entrevistado por medio de sus abogados, ya que su régimen carcelario no lo permite de otra forma, al fundador y ex líder del Mrta, Víctor Polay Campos. Quien  pide una campaña internacional por una solución política: “nuestra lucha era justa y no ha sido en vano. Pero el tiempo de las armas ha terminado en Perú y en una América Latina a la que hay que mirar con esperanza y optimismo”.
 
por
Marinella Correggia
Annalisa Melandri
il manifesto (Roma, Italia)
10/9/2009
 
 
Había una fiesta el 17 diciembre de 1997 en  la residencia del embajador japonés en el Perú del dictador Alberto Fujimori, cuando catorce guerrilleros del Mrta (Movimiento revolucionario Túpac Amaru) encabezados por Néstor Cerpa Cartolini irrumpieron en el salón tomando como rehenes a los encumbrados invitados, contra quienes nunca usaron violencia. Los catorce emerretistas pedían la liberación de 400 presos políticos del Movimiento, desde años encerrados en las cárceles del país, al frío de los 4000 metros como en Yanamayo o en “celdas tumbas” como en la base naval del Callao, llamada la “Guantánamo peruana”, donde ya entonces estaba detenido el ideólogo y jefe político y militar del Mrta: Víctor Polay Campos.
La toma de la embajada terminó en  una masacre. Después de cuatro meses de resistencia, ignorada por la política internacional aunque se desarrollaba ante  los ojos del mundo entero y en el contexto de una América Latina en las tinieblas de las dictaduras o de los gobiernos neo liberales de derecha, todos los guerrilleros fueron  ejecutados, luego de rendirse, en un blitz de las fuerzas armadas especiales de Perú el 22 abril de 1997. Hace doce años. Parece una eternidad. Mucho ha cambiado en América Latina, que vive nuevos amaneceres.  En Perú no es así.
En el 2003 la “Comisión de la  Verdad y la Reconciliación” ha evidenciado que la guerrilla de los Túpac Amaru se diferenciaba de la de Sendero Luminoso por “métodos y objetivos” por “reivindicar siempre sus acciones, por abstenerse de atacar a la población inerme y en algunas coyunturas dio muestras de estar abierta a negociaciones de paz”. El Mrta considerado por la misma Comisión responsable de apenas el 1,8% de las muertes y desapariciones de persona ocurridas bajo el  conflicto armado entre los años 1980 y 2000 (contra el 54% de Sendero Luminoso y el 37% de las Fuerzas Armadas) ha luchado contra dos de los gobiernos más controvertidos de la historia del país.
Víctor Polay ahora de 58 años, ha pasado en la cárcel casi veinte años de su vida. Desde el 1993 se encuentra el la prisión militar del Callao. Antes condenado a cadena perpetua por un tribunal de “jueces sin rostro”, la sentencia fue luego cancelada por las presiones de las organizaciones internacionales de defensa de los derechos humanos. Un nuevo juicio “regular” en 2006 lo ha condenado a 32 años, luego elevados a 35 por la Corte Suprema en 2008; también a los demás integrantes de la cúpula del Mrta han sido elevadas las condenas. Por casi una década ha vivido en condiciones que la Cruz Roja Internacional ha definido “subhumanas”; según la denuncia presentada por su esposa ante la Corte interamericana  de  Derechos Humanos, ha sido detenido antes en gélidas celdas de montaña en donde la temperatura bajaba a los cero grados sin ropa adecuada, luego en celdas subterráneas con luz artificial por 23 horas y media por día, sometido a torturas y amenzas.
Todavía detenido en el Callao, Víctor Polay contesta a nuestras preguntas por medio de sus abogados. Una manera de quebrar el silencio que rodea su historia y la de sus compañeros. Y de lanzar a nivel internacional por lo menos una campaña para pedir el traslado de Víctor Polay y sus compañeros en una cárcel civil.
 
Recientemente la Unión Europea ha rechazado insertar el Mrta en la lista de las organizaciones terroristas cómo había pedido el gobierno peruano. Además el 7 abril de este año la Corte Suprema de Justicia de Perú ha condenado a Alberto Fujimori a 25 años de cárcel por haber cometido crímenes de Estado y violaciones de los derechos humanos. ¿Cómo comentas estas decisiones?
 
Existían pruebas contundentes e irrefutables sobre la participación de Fujimori en diferentes crímenes en donde fueron masacrados civiles inermes. Claro, solo fue juzgado por homicidio y no por terrorismo de Estado como debió ser. Sin embargo la Corte ha reconocido que existía una política general de guerra sucia, violatoria de los derechos humanos organizada y dirigida desde la máxima instancia del gobierno.
En cuanto a la Unión Europea hoy me parece irrelevante la calificación que puedan dar los organismos internacionales sobre el Mrta ya que éste no existe más como organización político-militar. La derecha del Perú hace un enorme escándalo porque la Unión Europea no considera necesario incorporarnos en la lista de organizaciones terroristas. Se quiere descalificar para siempre a quienes tuvieron la osadía de levantarse en armas contra el sistema injusto, porque consideran que es un mal ejemplo.
 
De hecho la Corte Suprema de Perú ha elevado las condenas a la cúpula del Mrta…
 
Existe en el país lo que yo llamaría el “populismo penal”, es decir mostrar que la protesta o conflictos sociales se resuelven con mayores penas. Esto no es gratuito, forma parte del arsenal ideológico del neoliberalismo que utiliza para estos fines la casi totalidad de los medios de comunicación.
Durante nuestro juicio y en particular en los días previos de la sentencia se discutió en los medios una avalancha de declaraciones, informes y artículos muy negativos contra nosotros que sin duda alguna influenciaron en la decisión de los jueces. Ellos tuvieron el terror de ser linchados mediáticamente. La pena máxima de 35 años se cumplió a través del ¡ay de los vencidos!.
 
Después de la caída de Fujimori, ¿usted y los demás presos políticos pudieron constatar una mejora de las condiciones carcelarias?
 
En forma paulatina se estuvo reduciendo el aislamiento interno entre los presos. Hoy se abren las puertas de las celdas individuales a las 9am. y se cierran a las 8pm; sin embargo aún se mantiene el aislamiento externo ya que las posibilidades de visitas son muy restringidas, solo están autorizadas las de los familiares directos. Yo solo recibo la visita de una hermana; mi madre está   delicada y puede venir muy pocas veces y mi esposa e hijos viven como refugiados en Francia.
Además por el hecho de estar en un cuartel de la marina existen muchas restricciones. Y mientras se supone que todos los regímenes son progresivos, es decir conforme pasan los años se van obteniendo más beneficios, yo sigo prácticamente en la misma situación. Mi mundo está reducido a ver a mi hermana y 3 presos que están en la Base.
 
A la luz de la condena de Fujimori, ¿cree que el país esté listo para una amnistía para los presos políticos como usted y sus compañeros?
 
En los casi 200 años de la historia republicana, las amnistías han sido una forma de buscar la reconciliación de las personas después de una conflicto armado interno. Así fue con los insurrectos apristas de 1932 y 1948 y, luego con los guerrilleros de la década de los ’60. Ahora soy conciente que el problema es principalmente político y que se necesita una campaña muy fuerte para que la opinión pública nacional e internacional influya en una salida política. Pienso que ya  ha llegado el momento de plantear este problema en el país porque estoy seguro de los que fuimos capaces de entregar nuestras vidas por un ideal de justicia, en las nuevas condiciones que vive el país podemos contribuir sin armas a la construcción de una sociedad solidaria y menos injusta, sin el uso de las armas. No basta la democracia formal y representativa, si no está acompañada de una democracia económica social y participativa.
Centenares de presos del ex Mrta que han salido en libertad, están rehaciendo su vida, resolviendo sus problemas de substistencia, estudios y familiares etc. No es facil volver a la vida normal después de 10 a 15 años de militancia. La reacción quisiera que regresaran con la cabeza gacha y se olvidaran de sus inquietudes sociales, pero esto es imposible para quien ha entregado su vida a un ideal. Además sabemos que el pueblo a pesar de todas las campañas de satanización contra nosotros tiene un respeto y cariño especial a los que combatieron consecuentemente y no se sometieron a la dictatura.
 
¿Y por la reintegracíon de los ex integrantes del Mrta en la vida política del país? Usted afirmó ante la Comisión de Verdad y Reconciliación que la lucha armada no es más una solución para resolver los problemas del pueblo.
 
Desgraciadamente muchas de las causas que dieron nacimiento a la insurgencia se mantienen . El crecimiento económico no ha traído un desarrollo social. El actual modelo neoliberal basado en la mano de obra barata, reprimarización de la economía y dirigido principalmente a la demanda externa sigue haciendo más ricos a los ricos, y mantiene en la  exclusión a las mayorías nacionales.
La tarea de la hora es formar una fuerza social y política capaz de levantar un programa de transformacíon.
Hoy muchos ex miembros del Mrta, junto con nuevas generaciones de militantes se encuentran organizando el Movimiento Patria Libre que quiere participar en la lucha política y en las próximas elecciones del 2011. Lo único que pido es que no se les persiga, ni acose, como vienen haciendo, ya que las libertades democráticas no pueden ser discriminatorias. La democracia es para todos y todas
 
 
Desde El Callao, ¿qué esperanzas tiene usted en países cómo Bolivia, Venezuela, Ecuador, Cuba, que proponen al mundo otro modelo de organización social, de democracia, de justicia ecológica nacional e internacional, de vida por fin, un modelo en donde también los ideales y prácticas indígenas son tan importantes?
 
Gobiernos como ellos están demostrando que otro mundo es posible, junto a los trabajadores del campo, de la ciudad, los jóvenes, las mujeres, los pueblos indígenas, las minorías, los defensores del medio ambiente, los olvidados. Se han convertido en un referente que avanza impetuoso a la conquista de sus derechos históricos.
 
El Mrta trató de hablar al mundo desde Lima con la toma de la embajada japonesa entre diciembre de 1996 y abril de 1997. El mundo entonces no escuchó. ¿Usted cree que ahora sería diferente? ¿Y cuál sería el mensaje?
 
La condena a Fujimori ha demostrado que la insurgencia del Mrta era justa. Hoy daría un mensaje de optimismo y esperanza porque los peores años de la reacción han pasado, si vemos en el tiempo los años de la lucha no han sido en vano. Sus sueños siguen viviendo en los nuevos brazos que se alzan a lo largo del Perú y América Latina.
 
 
 
 
 
 

Victor Polay Campos: una vita spesa nella guerra all’ingiustizia

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di Marinella Correggia, Annalisa Melandri
Fonte: Il Manifesto del 10 settembre 2009
 
«Ora soluzione politica»
Intervista dal carcere del Callao, dove è sepolto vivo da quasi 20 anni, a Víctor Polay, leader dell’Mrta, il Movimento rivoluzionario Túpac Amaru. «La nostra lotta era giusta e non è stata vana. Ma il tempo delle armi è finito: in Perú e in una America latina che va vista con speranza e ottimismo»
Sepolti vivi da molti anni per aver lottato contro una dittatura militare riconosciuta di recente colpevole di aver commesso crimini di stato e di lesa umanità: sono gli ex-guerriglieri peruviani del Mrta (Movimiento Revolucionario Túpac Amaru), gruppo non inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione europea che lo qualifica come «insorgente». Abbiamo intervistato, attraverso i suoi avvocati, il fondatore e leader del Mrta Víctor Polay. Che chiede una campagna internazionale per una soluzione politica.
Era in corso una festa diplomatica quel 17 dicembre 1996 alla residenza di Lima dell’ambasciatore giapponese nel Perú dell’autocrate Alberto Fujimori (ancora enfant gâté degli Usa e dell’occidente), quando 14 guerriglieri del Mrta guidati da Néstor Cerpa Cartolini fecero irruzione prendendo in ostaggio i partecipanti, contro i quali non fu usato alcun tipo di violenza. Gli «emmeretisti» chiedevano la liberazione di 400 prigionieri politici del Movimento, da anni rinchiusi nelle carceri del paese. Al gelo dei 4.000 metri come a Yanamayo o in «celle tomba» come nella base navale del Callao, una specie di « Guantanamo peruviana». Là erano già rinchiusi, fra i molti altri, il leader supremo di Sendero luminoso, il «presidente Gonzalo» (Abimael Guzman) e l’ideologo e capo politico-militare del Mrta Víctor Polay Campos.
Dopo quattro mesi, nel contesto di un’ America latina allora immersa nei governi della destra neo-liberista, tutti i guerriglieri furono uccisi a sangue freddo in un blitz delle forze speciali peruviane. Era il 22 aprile 1997. Dodici anni fa. Un secolo fa. Molto è cambiato in America latina. In Perú non è così.
Nel 2003 la Commissione per la verità e la riconciliazione  ha evidenziato che la guerriglia dei Túpac Amaru si differenziava da quella di Sendero luminoso «per metodi ed obiettivi», perché «rivendicava sempre le sue azioni, si asteneva dall’attaccare le popolazioni inermi, e in alcune occasioni aveva dato segnali di essere aperta a negoziati di pace». Il Mrta, ritenuto dalla stessa Commissione responsabile dell”1.8% delle morti e sparizioni di persona avvenute durante l’intero conflitto armato tra gli anni 1980 e 2000 (contro il 54% causato da Sendero luminoso e il 37% dalle forze armate), ha combattuto contro due dei governi più controversi della storia del paese.
Victor PolayVíctor Polay, ora cinquantottenne, ha ormai trascorso in carcere quasi venti anni della sua vita. Si trova nella prigione militare del Callao dal 1993. Dapprima condannato all’ergastolo da un tribunale di giudici «senza volto» (incappucciati per evitare le ritorsioni e poter comminare condanne a mano libera), la sentenza fu poi annullata per la pressione delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Ma un nuovo processo «regolare» nel 2006 lo ha condannato a 32 anni, poi aumentati a 35 anni dalla Corte suprema nel 2008. Anche al resto dei vertici del Mrta sono state aumentate le pene. Per quasi un decennio ha vissuto in condizioni che la Croce rossa internazionale definì «inumane»; secondo la denuncia fatta da sua moglie alla Commissione interamericana dei diritti umani, fu tenuto prima in gelide celle andine dove la temperatura scendeva a zero gradi senza abbigliamento adeguato, poi in celle sotterranee con luce artificiale per 23 ore e mezza al giorno, fra torture e minacce.
Victor Polay ha affidato ai suoi due avvocati le risposte alle nostre domande. Un modo per rompere il silenzio che circonda la sua vicenda e quella dei suoi compagni. E per lanciare quanto meno una campagna, in Perû e in  America latina, per il trasferimento di Polay e degli altri in un carcere civile.
 
Di recente l’Unione europea ha rifiutato la richiesta da parte del governo peruviano di inserire il Mrta nella lista delle organizzazioni terroristiche. E il 7 aprile scorso la Corte suprema di giustizia del Perú ha condannato Alberto Fujimori a 25 anni di carcere per aver commesso crimini di stato per violazioni dei diritti umani. Come legge queste due decisioni?
Esistevano prove schiaccianti e inconfutabili della partecipazione di Fujimori a diversi crimini in cui furono uccisi civili inermi. Certo, è stato solo condannato per omicidio e non per terrorismo di stato come avrebbe dovuto essere. Comunque la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una politica generale di guerra sucia, guerra sporca, che violava i diritti umani, organizzata e diretta dal governo ai suoi massimi livelli. Quanto all’Unione europea rispetto al Mrta, oggi mi sembra irrilevante come gli enti internazionali possano considerarlo perché esso non esiste più come organizzazione politico-militare. La destra del Perú grida allo scandalo perché l’Europa non ci ha inseriti fra le organizzazioni terroristiche. Si vuole denigrare per sempre chi ha osato prendere le armi contro un sistema ingiusto: temono che possa fare scuola.
 
E infatti la Corte suprema del Perú ha aumentato le condanne ai vertici del Mrta…
Esiste nel paese quello che chiamerei un «populismo penale»: far credere che la protesta o i conflitti sociali possano risolversi aumentando le pene. Non è certo un caso: fa parte dell’arsenale ideologico del neo-liberismo che utilizza a questo scopo la quasi totalità dei mezzi di informazione. Prima e durante il nostro processo sono apparse sui giornali valanghe di dichiarazioni, relazioni, articoli molto negativi contro di noi. I giudici devono aver temuto la condanna mediatica. Infliggere la pena massima di 35 anni risponde alla logica del vae victis!
 
Dopo la caduta di Fujimori, lei e gli altri detenuti politici avete visto un miglioramento delle condizioni carcerarie?
Si è gradualmente ridotto l’isolamento interno dei prigionieri. Oggi le porte delle celle si aprono alle 9 del mattino e si richiudono alle 20. Ma è mantenuto l’isolamento esterno: ad esempio le possibilità di visite sono limitatissime, sono permesse solo quelle dei familiari diretti. Io ricevo la visita di mia sorella; mia madre è in cattiva salute e mia moglie e i miei figli vivono in Francia come rifugiati. Inoltre trovandomi in un carcere militare ci sono restrizioni aggiuntive. Infine, mentre generalmente con il trascorrere degli anni vengono concessi benefici, il mio status carcerario è sempre lo stesso. Il mio mondo si riduce a mia sorella e ad altri tre prigionieri.
 
Alla luce della condanna di Fujimori, crede che il paese sia pronto per un’amnistia per i prigionieri politici come lei e i suoi compagni?
Nei quasi 200 anni di storia repubblicana le amnistie sono state un modo per arrivare alla riconciliazione dopo un conflitto armato interno. Accadde con i rivoluzionari apristi nel 1932 e nel 1948 e poi con i guerriglieri negli anni ’60. Oggi il problema è principalmente politico. C’è bisogno di una campagna molto forte affinché l’opinione pubblica nazionale e internazionale possa esercitare la pressione necessaria per una soluzione politica del conflitto. E’ giunto il momento di prospettare questo al paese perché sono sicuro che noi che fummo capaci di affidare le nostre vite a un ideale di giustizia, nelle condizioni attuali del Perú possiamo contribuire alla costruzione di una società più solidale e meno ingiusta, senza l’uso delle armi. Al paese non basta una democrazia formale, ha bisogno di una vera democrazia, economica, sociale e partecipativa. Centinaia di prigionieri dell’ex Mrta che hanno ottenuto la libertà si stanno rifacendo una vita, stanno risolvendo i loro problemi di sopravvivenza, studio, familiari ecc. Non è facile, dopo 10–15 anni di prigione. I reazionari li vorrebbero in ginocchio, e dimentichi del loro anelito di giustizia sociale. Ma questo è impossibile per chi ha affidato la propria vita a un ideale. E poi, nonostante tutte le campagne di demonizzazione contro di noi, il popolo conserva rispetto e affetto per chi ha combattuto con coerenza e non si è sottomesso alla dittatura.
 
E quanto alla reintegrazione degli ex Mrta nella vita politica del paese? Lei ha affermato davanti alla Comissione per la verità e riconciliazione che la lotta armata non è più la soluzione per risolvere i problemi del popolo.
Purtroppo molte delle cause che avevano provocato la nostra lotta armata sono tuttora presenti nel mio paese. La crescita economica non ha portato sviluppo sociale. Il modello neo-liberista basato sulla manodopera a basso prezzo, sullo sfruttamento delle materie prime e sull’export continua a rendere i ricchi più ricchi e perpetua l’esclusione delle maggioranze. Il compito odierno è formare una forza sociale e politica capace di sviluppare un programma di trasformazione. Oggi molti membri dell’ex Mrta, insieme a nuove generazioni di militanti, stanno organizzando il Movimiento Patria Libre, che intende partecipare alla lotta politica e alle prossime elezioni nel 2011. Chiedo solo che non siano perseguitati come sta succedendo: le libertà democratiche non possono essere a geometria variabile. La democrazia è per tutte e tutti.
 
Dal Callao, che speranze ripone nel processo in corso in America latina, dove paesi come Bolivia, Ecuador, Venezuela, Cuba propongono un altro modello di organizzazione sociale, di giustizia ecologica interna e internazionale, un modello dove gli ideali e le conoscenze indigene sono essenziali?
Governi come quelli citati stanno dimostrando che un altro mondo è possibile insieme ai lavoratori delle campagne e delle città, alle donne, ai popoli indigeni, alle minoranze, agli ambientalisti, ai dimenticati. Sono un punto di riferimento di un movimento che avanza impetuosamente alla conquista dei diritti storici.
 
Con l’occupazione dell’ambasciata giapponese oltre dieci anni fa il Mrta cercò di parlare al mondo. Nessuno ascoltò. Ora sarebbe diverso? E quale sarebbe il messaggio?
La condanna penale di Fujimori ha dimostrato che la guerriglia del Mrta era giusta. Oggi darei un messaggio di ottimismo e speranza perché gli anni peggiori della repressione sono passati. Retrospettivamente, gli anni della lotta dei nostri popoli, degli uomini e delle donne per la liberazione non sembrano passati invano. I loro sogni vivono in nuove braccia che si stanno alzando in America latina e anche in Perú.
 
SCHEDA Víctor Polay, nato nel 1951, è figlio di Víctor Polay Risco, uno dei padri fondatori negli anni ’20 dell’ Alleanza popolare rivoluzionaria americana (Apra), uno dei movimenti progressisti di sinistra più interessanti di quegli anni in America latina (poi con il tempo passato a destra), e di Otilia Campos, di origine incaica e militante aprista. La famiglia conosce fin dal principio carcere e persecuzione che segnano Víctor fin da piccolo, formando così precocemente la sua coscienza politica. Dopo aver studiato sociologia ed economia poltica in Europa, fonda il Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru (Mrta) nel 1980. Conosciuto come «comandante Rolando», viene arrestato una prima volta nel 1989. Nel 1990 insieme ad altri 47 compagni evade dal carcere di Canto Grande. Arrestato nuovamente nel 1992, dal 1993 è rinchiuso nel carcere militare di massima sicurezza della base navale del Callao.
L’Mrta nel nome si ispira a Túpac Amaru II, leader in Perú della grande rivolta indigena contro la colonizzazione spagnola del 1780. Il Mrta ha lottato e combattuto contro due dei governi più controversi della storia del paese. Il primo del presidente Alan García (nuovamente in carica dal 2006), tra il 1985 e il 1990, accusato di gravi violazioni dei diritti umani per i massacri avvenuti nelle carceri di San Juan di Lurigancho e di El Frontón. Il secondo quello di Alberto Fujimori, condannato recentemente a 25 anni di carcere come mandante dei massacri di Barrios Altos e di La Cantuta, considerati «crimini contro l’umanità secondo il diritto penale internazionale» come riportato nella sentenza.

11 de septiembre 1973 — Las ultimas palabras

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“Las ultimas palabras” è una canzone di Marcelo Coulon che utilizza come testo l’ultimo discorso fatto da Salvador Allende.

Ringrazio  Stefano AbulQasim. per la segnalazione del video


Quindici anni della nostra storia — Il Manifesto

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Ieri  ho salvato da spazzatura certa, pulito e regalato a un caro amico che sicuramente ne   farà buon uso, una raccolta del quotidiano Il Manifesto dal 1971 al 1986.
Quindici anni di storia d’Italia. Un pezzo importante della storia del nostro paese. Gli anni terribili, “innominabili, rimossi e maledettamente belli” come questa persona li definisce.
Fa un certo effetto prendere quei volumoni in mano e leggervi la storia delle proteste, delle fabbriche, del movimento studentesco, del carcere, della repressione, giorno dopo giorno, come in un film.
Anche se Il Manifesto spesso non fu  tenero con gli attori di quelle battaglie, credo che recuperare questa collezione sia stato importante,resta una preziosa testimonianza da sinistra, di quanto avveniva.
Nel tempo e con pazienza, trascriveremo qualche articolo, magari i più interessanti, racconteremo qualche episodio, magari i più dimenticati.
Chi avesse curiosità o domande rispetto a qualche evento o articolo in particolare può scrivermi.
annalisamelandriatyahoodotit  (annalisamelandriatyahoodotit)  

Piccoli inquisitori crescono all’ombra di San Pietro

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Questa la risposta  data alla redazione di A Sud dal direttore del blog Fides Et Forma, tal Francesco Colafemmina,  uno dei tanti inquisitori del cattolicesimo in libera uscita. Anche poco intelligente,  dal momento che trova motivo di vanto il fatto che su una lista di 41 sacerdoti almeno 8 (per loro fortuna) non stanno più “tra le fila”. Io caro sig. Colafemmina mi preoccuperei fossi nel Santo padre e in Santa madre chiesa , o forse dobbiamo pensare che vi rallegrate perchè finalmente e democraticamente (no?) la purezza dello spirito cristiano è stato epurato da tanta feccia (gay, no global, comunisti, antiberlusconiani)?? Altro che Opus Dei Colafemmina, brr… (A.M)
 
Gentile Redazione di A Sud,
 
in merito all’articolo da voi pubblicato sulla questione dei “41 sacerdoti” che farebbero “paura” al Vaticano, essendo stato citato il blog da me curato, vorrei precisarvi i seguenti punti:
 
a. Il blog non è vicino all’Opus Dei, ma è espressione del mio pensiero individuale.
b. Il Vaticano non ha espresso la decisione di “punire” i suddetti sacerdoti ma soltanto leggittimamente di verificarne la aderenza al Magistero Ecclesiale in termini di fine vita.
c. E’ fondamentale operazione di informazione svelare che almeno 8 dei suddetti non sono più sacerdoti da anni. E alcuni di essi sono sospesi “a divinis”.
d. Sarà sconcertante per Voi ma i Sacerdoti fanno voto di obbedienza al proprio Vescovo, dunque prima del loro pensiero individuale devono obbedire al Magistero ecclesiale, altrimenti possono benissimo abbandonare la Chiesa, come peraltro hanno fatto taluni dei suddetti 41.
e. Il mio articolo al di là delle brevi descrizioni ironiche — ognuno ha il suo stile — riportava per ciascuno dei 41 articoli da essi scritti o eventi cui hanno partecipato che pongono pesanti interrogativi sulla loro coerenza con il Magistero della Chiesa Cattolica e con l’ortodossia del Cattolicesimo, oltre che sulla loro identità di “sacerdoti”.
f. Se ho offeso don Angelo Cassano con una mia battuta me ne dolgo e la rimuovo.
 
In conclusione credo che ognuno sia libero di avere la propria visione di Chiesa, nello stesso tempo però è innegabile che tacciarmi di “omofobia” “razzismo” e “fascismo” sia ingiusto ed offensivo. La Chiesa non è un’opinione. O si è dentro o di essa o si è fuori da essa. Quindi per quanto possano stare stretti a molti i “dettami” del Cattolicesimo essi sono anche sostanza della religione. Ma questo è un altro discorso. Onestà intellettuale vorrebbe invece che i link al mio articolo venissero letti per intero. Allora ci si potrebbe stupire e domandare perchè nonostante i 41 non siano tutti sacerdoti questo fatto non venga riportato da nessun giornale, nè tantomeno dal vostro.
 
Con stima e cordialità,
Francesco Colafemmina
 
 

I preti che fanno paura

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Di: ASud
Qui la risposta di Fides et Forma
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Nell’Italia di oggi, malata di egoismo ed individualismo, sempre più alla deriva dal punto di vista ormai anche della normale convivenza e civiltà, non poteva mancare in questa ripresa dalle vacanze – che sempre meno gente può permettersi – la silenziosa e mortale clava del Vaticano, a rimettere ordine tra i sacerdoti non allineati con il pensiero unico autorizzato sotto i porticati di San Pietro. 
 
A pochi giorni dalla ripresa dei lavori parlamentari sul testamento biologico, il Vaticano ha diffuso infatti una dura nota di condanna contro i 41 sacerdoti che – ormai 5 mesi fa – si erano espressi a favore della libertà di scelta sulla fine della vita, firmando un appello pubblicato poi dalla rivista Micromega. Erano i giorni in cui si susseguivano uno dopo l’altro gli sconcertanti episodi di bigottismo e populismo politico-istituzional-ecclesiale che hanno accompagnato passo passo le sofferte evoluzioni del caso Eluana Englaro.
 
A distanza di cinque mesi il vaticano regola insomma i conti con i 41 preti ribelli che si erano permessi di opporsi alle istruzioni impartite dalla CEI ed alla legge sul testamento biologico.
 
La Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede ha inviato una lettera riservata ai vescovi delle diocesi di appartenenza dei 41 preti con un ordine preciso: convocarli per richiamarli all’ordine ed eventualmente punirli.
 
Nell’appello firmato dai 41 sacerdoti si affermava che «La legge sul testamento biologico che il governo e la maggioranza si apprestano a votare imprigiona la libertà di tutti i protagonisti coinvolti al momento supremo della morte. Con la forza della ragione e la serenità della fede ci opponiamo ad un intervento legislativo che mortifichi la libertà di coscienza. Come credenti riteniamo che chiunque come è stato libero di vivere la propria vita, così possa decidere anche di morire in pace, quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana».
 
La libertà di pensiero, di coscienza e di espressione è il peccato mortale dei 41, secondo il Vaticano: hanno dato la loro adesione ad un testo contrario alla dottrina cattolica.
 
Tra i 41 si trovano numerosi preti impegnati da anni nelle lotte sociali e in difesa dei diritti umani: tra questi don Angelo Cassano sacerdote di Bari, città da cui porta avanti battaglie per i diritti dei migranti e contro i CPT e dove da anni regge una parrocchia e raccoglie attorno a sé un gruppo di giovani e volenterosi che si danno da fare per gli umili, gli immigrati, gli esclusi. E ancora don Andrea Gallo delle comunità genovesi, don Albino Bizzotto dei Beati Costruttori di Pace, don Alessandro Santoro, don Vitaliano e molti altri sacerdoti che, più che predicare dall’altare, scendono in strada e nelle piazze a praticare il messaggio di carità, amore e umiltà che è la base e il vero senso del messaggio cristiano.
 
Il provvedimento medievale svela la doppia morale di un paese la cui etica è annegata in un mare di banchetti, processi farsa e riti orgiastici, ma in cui l’onnipresente ‘madre chiesa’ invece di occuparsi di carità ed umiltà non ha altra priorità che dare addosso a chi assieme agli ultimi vive e lotta, osando mettere in discussione i dettami dalla dottrina cattolica.
 
Sul blog ‘Fides et forma’, riconducibile all’Opus Dei, è apparsa nei giorni scorsi una lista dei sacerdoti incriminati che a leggerla vengono i brividi: epiteti e descrizioni offensive, dissacranti, razziste. Parlando di Don Angelo Cassano, che tra l’altro ha il “demerito” di collaborare con A Sud, la descrizione recita “il parroco – sic – di Bari che dovrebbe tornarsene tra gli indigeni colombiani”. Si parla poi di don Gallo come “il notissimo autore del calendario dei trans genovesi”, di don Albino Bizzotto come “il prete che collabora con Liberazione e adesso sciopera per la base Dal Molin come Pannella o i monaci Birmani”, o ancora di “quello che tirava i sanpietrini nel 77”; di “un altro marxista fallito” e via così discorrendo, alternando insulti omofobici e fascistoidi.
 
Infine, vale la pena ricordare che negli stessi giorni in cui viene diffusa la notizia delle scomuniche contro i “pericolosissimi preti rivoluzionari”, arriva anche un’altra notizia: la chiesa, la santa madre chiesa, ha deciso di assegnare al leghista Calderoli il “premio Giovanni Paolo II”, per “essersi distinto nella difesa dei valori cristiani”, tra i quali com’è noto è annoverato anche l’odio verso gli immigrati e gli omosessuali.
 
Ulteriore sintomo della follia collettiva in cui tutto il paese è precipitato ormai da troppo tempo, di una Italia prostrata e agonizzante che invece di pensare a come risollevare le sue sorti cannibalizza le parti migliori di sé.
 
A questi 41 preti – che rappresentano oggi più che mai un punto di riferimento di cittadini e fedeli – a rischio purga a causa del coraggio attraverso cui testimoniano con la propria vita una scelta di impegno diretta all’altro, sia esso uguale o diverso, vanno la nostra solidarietà, il nostro appoggio e sostegno incondizionato.
 
Redazione A Sud

La vida loca — trailer

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