Sem Terra, la lucha

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Foto di Luiz Vasconcelos

Fotografia di Luiz Vasconecelos presentata al Word Presss Photo 2009. Altre fotografie qui.


Roberto Saviano su ETA e FARC, tra reality, fantasy e idiozie

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Quando nel febbraio scorso (un mese dopo la conclusione dell’Operazione Piombo Fuso che provocò più di mille morti tra la popolazione civile di Gaza) il presidente israeliano Shimon Peres gli disse “anche noi abbiamo la nostra camorra, caro Saviano. Si chiama Hamas…”, il nostro più famoso saggista non corresse la più che interessata sciocchezza dell’ex esponente laburista e Nobel per la Pace. Anzi, la fece sua, riportandola senza alcun commento nel blog personale (www.robertosaviano.it). In qualche modo, forse ne fu contagiato tanto che, ieri l’altro, Saviano, che fino a poco tempo fa era conosciuto come esperto di fenomeni mafiosi italiani e che ora disquisisce con disinvoltura di tutto ciò che accade nel mondo, ha dichiarato nel corso di una lectio magistralis offerta all’università Menendez Pelayo di Santander che l’ETA «traffica con la cocaina» per finanziarsi in combutta con le Farc colombiane e ottenendo in cambio “appoggi e armi dalla Camorra”. Un’affermazione così fantasiosa da meritare l’immediata smentita del ministro degli Interni spagnolo, Alfredo Rubacalba, nemico numero uno dell’organizzazione armata basca, che ha negato ci sia prova di un implicazione dell’ETA col traffico di droga. La smentita, benché riportata dall’agenzia stampa Ansa, è stata quasi ignorata dalla stampa italiana, giustamente mobilitata in questo periodo a difesa della libera e corretta informazione nel nostro paese. Un mio amico capo-redattore mi ha scritto raccontandomi di avere proposto invano di pubblicare la notizia della smentita di Rubacalba e di avere ricevuto un bel “niet” dal direttore: dopo essere stato per anni ignorato e, dopo il successo di “Gomorra”, finalmente accolto nell’Olimpo dei saggi, il giovane Saviano è diventato, soprattutto da noi, un “untouchable”, a cui tutto è concesso. Soprattutto le sparate contro i nemici “facili” (nel caso in questione, ETA, FARC, camorra… e Hamas). Ma, almeno sui fatti italiani, il caro Roberto non faceva una volta e fa ancora analisi accurate? O il metodo Gomorra (quello di mischiare realtà e finzione) l’ha definitivamente infettato?

Falsi Positivi/Falsos Positivos

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Il trailer del documentario di prossima uscita che racconta il caso colombiano dei crimini di Stato noto come “falsos positivos”.  Di Simone Bruno e Dado Carillo.

I “falsi positivi” sono vere e proprie esecuzioni extragiudiziali commesse dall’Esercito colombiano per giustificare in termini di numeri e cadaveri la lotta contro il terrorismo.


L’ombra di quel che eravamo: Luis Sepúlveda

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Il poeta cileno, il 6 settembre alle ore 21.15, nella cornice di Villa Mazzarosa presenta il suo ultimo romanzo “L’ombra di quel che eravamo”. Per l’occasione ci saranno anche i Modena city ramblers che si occuperanno dell’accompagnamento acustico. L’ingresso alla serata sarà libero.
 
“Noi a Capannori vogliamo dare visibilità ad un’altra America Latina, quella dei popoli oppressi e del loro riscatto, come abbiamo fatto in questi anni con l’attività dell’Osservatorio per la Pace, affrontando ad esempio il dramma del popolo Mapuche di cui Sepúlveda è un discendente.”
E’ questo il significato di quanto affermato dall’assessora alla cultura del Comune di Capannori, Leana Quilici, durante la conferenza stampa di annuncio della presenza di Luis Sepúlveda a Capannori il prossimo 6 settembre per presentare in anteprima il suo ultimo romanzo “L’ombra di quel che eravamo”. Un romanzo che parla di coloro che essendo al fianco di Salvador Allende si opposero fermamente alla dittatura cilena difendendo i diritti civili e la libertà.
E’ parlando della realtà cilena e dei temi affrontati da Sepúlveda che l’assessore Quilici ha sottolineato che le scelte culturali dei Comuni di Capannori e di Lucca sono certamente diverse.
“Non ho mai messo in discussione la partecipazione alla Santa Croce del capo di Stato di Panama nel più pieno rispetto delle scelte delle altre istituzioni locali — dichiara l’assessora Quilici — e mai potrei contestare l’elezione di alcuno, che proprio essendo stato eletto dal popolo è pienamente legittimato a governare. L’amministrazione comunale ben volentieri parteciperà alla Santa Croce così come ha sempre fatto. Chi ha voluto leggere nelle mie parole altri significati ha ora l’occasione di avviare un corretto e proficuo dibattito politico”. (Comunicato stampa del Comune)
 
Nell’ambito della polemica recente che ha infiammato queste già torride giornate di fine agosto, scoppiata tra le due amministrazioni comunali di Capannori e di Lucca, mi sento di ribadire e testimoniare l’impegno che l’amministrazione comunale di Capannori, in particolar modo attraverso le attività dell’Osservatorio per la Pace,  mette da anni nella conoscenza e diffusione delle tematiche che più da vicino riguardano la realtà latinaomericana, l’ambiente, le battaglie degli ultimi, le lotte per le risorse energetiche e i beni comuni, la pace.
Mi sono sentita pertanto coinvolta in prima persona, per la riconoscenza e la stima che nutro verso di lei e le sue attività, ad esprimere qui  la mia piena solidarietà all’assessore alla Cultura Leana Quilici ringraziandola fin d’ora per il suo impegno, testimoniato anche dall’organizzazione del prossimo incontro con lo scrittore Sepúlveda, un momento importante per quanti, accompagnati anche costantemente dall’Osservatorio per la Pace, stanno seguendo in questi anni le battaglie del popolo Mapuche.
Adesioni possono essere inviate al mio indirizzo:
href=“annalisamelandriatyahoodotit“>annalisamelandriatyahoodotit o lasciate in calce a questo post. Grazie.

Femminicidio, chiamiamolo con il suo vero nome

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Da: Femminismo  a Sud

Non avevamo dubbi. Non potevamo concludere il mese d’agosto senza un’altra strage compiuta da un uomo. Ha massacrato la moglie e due figli, uno di 19 anni e l’altro di 4. Poi ha ammazzato anche una donna di 79 anni che li ospitava.

La rassegna stampa non presenta molte diversità. Per tutti i quotidiani online presi in esame lui è principalmente uno malato di disoccupazione, un cassintegrato che per questo motivo avrebbe deciso di fare una carneficina per poi rincoglionirsi di farmaci e alcool. Qui le tesi si discostano. C’è chi dice che in preda al pentimento si sarebbe gettato dal secondo piano e chi invece specifica che — causa rincoglionimento — quando è uscito per aspettare i carabinieri è caduto e ha sbattuto la testa nella legnaia.

Definiamo i significati: innanzitutto la disoccupazione come male che farebbe diventare un sant’uomo un efferato pluriomicida.

Quante sono le donne che sono in stato di disoccupazione? Tante. Come mai a loro non viene in mente di massacrare la famiglia? Perchè il motivo degli omicidi non è la disoccupazione. Cosa fa una donna quando è disoccupata? Lavora a casa, cresce i figli, pulisce, rassetta, aiuta il bilancio familiare cucinando pietanze con poca spesa e rammendando abiti per riciclarli. Cosa potrebbe fare un uomo in stato di disoccupazione? Le stesse cose o se crede va a cercarsi un altro impiego, si applica in lavori manuali e aggiusta quella tal finestra che è rotta da un decennio.

Nella nostra società di donne ammalate di disoccupazione non si parla mai e non è che a noi piaccia da morire stare a casa. Si pensa in fondo che una donna abbia nella casa il suo habitat naturale e dunque non veda l’ora di tornarci. La reazione delle donne che rischiano il licenziamento però dimostra esattamente il contrario. Non c’è affatto una tendenza naturale delle donne nell’accogliere di buon grado la disoccupazione.

Dell’uomo invece si pensa che sia un animale sociale che per sentirsi virilmente a posto con se stesso, macho al punto giusto, dovrebbe uscire di buon’ora e andare a caccia per portare la bestia sconfitta in casa a pranzo per la sua donna e i suoi cuccioli. Parlare di un uomo senza lavoro diventa dunque molto più drammatico che parlare di una donna disoccupata. Come se entrambi non contribuissero al bilancio familiare o non avessero diritto ad una dignitosa autonomia economica per vivere.

L’uomo disoccupato, dicevamo, naturalmente deprimibile e difficilmente in grado di muovere il culo per darsi da fare in compiti differenti, è così legittimato, tra una grattata di natica e una scaccolata subumana, a sterminare la famiglia.

Tutto ciò ovvio non significa che restare senza lavoro non sia un male sociale che conduca a malesseri personali. Ma questo vale per tutti e non certo soltanto per gli uomini. Nessuno è perciò giustificato a pensare che in tempo di crisi economica sia corretto licenziare più donne che uomini per via di quella nostra presunta pulsione naturale a recuperare felicità di fronte ad un focolare in cui farsi il mazzo gratis tutto il giorno.

L’altro elemento da analizzare: la depressione di cui abbiamo già parlato in molte altre occasioni. Vedi quiquiqui

E di nuovo la storia del suicidio che rende la faccenda pietosa, più tragicamente comprensibile, più orientata al gesto momentaneo, allo sproposito di una singola giornata. Nonostante le due versioni contrastanti, che descrivono un uomo fatto di psicofarmaci e alcool che per un verso si butta dalla finestra e per l’altro semplicemente scivola e sbatte il capo, in ogni caso in nessuno degli articoli si parla esattamente di come ha ammazzato moglie e figli. Quante ferite, quanto sangue, quanto orrore, quanta efferatezza, se li ha inseguiti, se moglie e figli hanno tentato di difendersi, se li ha presi nel sonno, di sorpresa, increduli, mentre vedevano il loro padre fare quello che tanti altri padri fanno abbastanza frequentemente: togliere di mezzo la famiglia che reputano di loro proprietà.

In tutti gli articoli si parla solo di lui, del suo stato di salute, della sua psiche, della sua depressione, dei suoi lamenti, del suo stato di coma, delle sue pene infinite, di tutti gli elementi che servono ad “umanizzarlo”, di tutte le attenuanti che serviranno a dire che quanto è avvenuto non dipende da nulla che non sia contenuto nell’elenco motivi di sterminio familiare dello schedario dei tutori della famiglia. Non abbiamo un solo articolo che ci dica chi fosse la donna, quanto meravigliosi fossero i figli, che fantastica creatura fosse l’anziana signora che li ospitava per alleviare, supponiamo, un momento di difficoltà. Se non ne parli non esistono. Se non ne parli abbiamo delle indistinte vittime che fanno semplicemente numero. Nulla che susciti pietà più di quanto non si cerchi di suscitarne a proposito dell’uomo. Le vittime di questo ennesimo sterminio continuano ad essere cose, oggetti. Lo erano per chi li ha eliminati dalla faccia della terra e continuano a non esistere per gli organi di informazione. Quale metodo migliore per fare ritenere inumane delle persone che sono state uccise?

Tutti elementi, questi, che tendono ad allontanare l’idea che la violenza contro le donne è maschile, a differenza di quanto dice certo pseudo-femminismo moderato e reazionario (che raccoglie donne che vanno dal pd al centro destra):

- ben attento a tutelare l’istituto della famiglia;

- ben attento a custodire il ruolo delle donne in seno alle famiglie come ammortizzatrici sociali di un welfare che agevola solo chi persegue come unico fine il profitto;

- ben attento a non turbare il volere di santa madre chiesa. 

Resta da dire che le donne, secondo le regole scritte, non hanno una via d’uscita. Sono intrappolate in un meccanismo sociale che le obbliga a restare accanto agli uomini, in famiglia, ad assolvere ai ruoli imposti. Perciò le donne devono reagire indipendentemente da tutto.

Come chiamereste voi uno sterminio ai danni dei lavoratori fatto dal caporeparto di una fabbrica? Incidente sul lavoro? Immagino di no.

Quando muoiono le donne invece appare lecito dire che la famiglia è e rimane comunque un luogo fantastico e che gli uomini che in quel contesto agiscono da assassini sono solo un po’ folli, prodotti mal riusciti, scarti di fabbrica, nulla di preoccupante. Vedrete: la prossima serie di robot maschi che metteranno sul mercato sarà senz’altro migliore: quella attuale ha troppi difetti ma bisogna comunque piazzarli. D’altronde la nostra società produttiva cosa sceglie tra un kapo’ senza scrupoli omicida e stupratore ed un uomo idealista pieno di principi e valori etici e morali? Senza dubbio il kapo’.

Se sei una donna che vive in una situazione di violenza, reagisci. Se sei una donna che vive in una situazione di violenza e hai dei figli, reagisci. Se tu non reagisci rischi la tua vita e quella dei tuoi figli.

Il resto della filastrocca per donne vittime di violenza in famiglia puoi leggerla QUI.

State all’erta amiche e sorelle. State attente e trovate nella solidarietà tra donne il vostro elemento di forza. 

—»>L’immagine in alto rappresenta — in satira — uno dei modi in cui in america si denigrava e criminalizzava la lotta per i diritti delle donne. Le donne — si diceva allora e si dice ancora adesso — vogliono ottenere la parità per non fare nulla. Invece guardate il pover’uomo che suscita compassione mentre assolve ad umili lavori che lui non dovrebbe mai fare…


Il Tianguis culturale a Coyoacán, Città del Messico. Un mercato in resistenza

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Da più di un anno è  in resistenza e lotta pacifica il “Tianguis Cultural y Tradicional” , il caratteristico mercato dell’artigianato, meta di visitatori di ogni parte del paese e del mondo   che si trova a Coyocán,  in uno dei luoghi più caratteristici e importanti di  Città del Messico. “Cuore culturale della città” è stato infatti più volte definito questo quartiere  che  nato originariamente come base di Hernán Cortés durante e dopo l’assedio di Tenochtitlán,  venne assorbito via via dall’espansione della città.
 
Coyoacán, dove il palazzo di Cortés è ancora visitabile (al cui interno fu torturato l’imperatore Cuauhtémoc affinché rivelasse il nascondiglio del tesoro azteco e oggi sede del Municipio),  con le sue stradine strette e lastricate e le sue piazzette e giardini rappresenta ancora  l’anima bohemienne di Città del Messico. Qui nacque Frida Kalo e visse con Diego Rivera nella celebre Casa Azul, qui trovò rifugio e venne ucciso  Lev Trotsky, qui vissero centinaia di esiliati in fuga dalle dittature latinoamericane,  qui hanno vissuto e vivono tutt’ora decine di  intellettuali e artisti messicani.
 
Oggi il Tianguis, che non è solo mercato, bensì luogo dove fare musica, teatro, dove sviluppare diversi metodi di espressione in uno spazio aperto e libero, e che godeva ed esercitava  questo diritto da oltre 20 anni,   rischia di scomparire, confinato all’interno di un moderno “Bazar”, una sorta di supermercato dell’artigianato  al coperto e su due piani, situato  in una stradina poco lontano dai giardini Hidalgo e del Centenario  che da un quarto di secolo ormai ospitavano le oltre 500 famiglie di artigiani rappresentanti di diversi gruppi indigeni e realtà sociali di tutto il paese.
 
Mario Cadena Godínez e Federico Sandoval Alcantara, rappresentanti del Tianguis,  che abbiamo incontrato appena un mese fa a Città del Messico negli uffici della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani che li sta accompagnando in questa battaglia,  raccontano di un anno di lotta pacifica e organizzata, di resistenza resa ancora più difficile  dai lavori di idraulica e di pavimentazione delle piazze  che di fatto hanno dato il via allo sgombero e che erano propedeutici alla costruzione del bazar.
 
Raccontano di come non sono mai stati chiamati dalle autorità a partecipare al   progetto   e che di fatto questo è stato effettuato ed approvato senza averli consultati. “Abbiamo autorizzazioni e accordi con le autorità dal 1996, dal 1998 paghiamo regolarmente il suolo pubblico, i nostri permessi sono stati rinnovati trimestralmente, anno dopo anno…” spiegano.
 
“Siamo più di 500 gruppi artigianali e la nostra attività da lavoro a circa 500 famiglie. Tra i corsi di artigianato che realizziamo,  il mercato e la  produzione e la realizzazione del materiale, stiamo parlando di circa 7mila persone che lavorano in questo settore. Nel bazar appena c’è posto per 250 postazioni. Come faranno gli altri? Con che criterio verranno assegnati i posti? Di questo non se ne parla, né se ne è parlato per tutto il tempo in cui le trattative sono durate”.
 
Il quadro è desolante. Federico  spiega di come in realtà secondo lui questo progetto nasconda l’intenzione di far scomparire la loro realtà per sempre. In uno degli articoli del regolamento che  sono tenuti ad accettare è previsto per esempio che nel caso la loro postazione nel bazar registri un afflusso di visitatori  tale che si rallenti la circolazione delle persone nel corridoio, essi verranno multati per intralcio  alla libera circolazione. “E’ assurdo – dice – noi viviamo delle vendite e del commercio, ci multano se il nostro banco è affollato!”
 
Questo fa riflettere perchè la nuova politica di gestione dell’amministrazione di Città del Messico, in realtà risponde ad una tendenza  più generalizzata a livello mondiale nell’organizzazione delle grandi città, volta a dirigere il flusso turistico  verso percorsi più “globalizzati”  e dedicati prevalentemente  ad un’ utenza con risorse economiche più elevate, ma anche omologata nei gusti e nei bisogni.  In poche parole quello che si vuole ottenere è un turismo più ordinato, più adulto in termini di età e più economicamente conveniente. Un turismo non più attivo,  integrato con la città che scopre mano a mano  e le sue diverse espressioni,  ma sempre più “organizzato dall’alto” nei suoi percorsi stabiliti e sempre più spettatore passivo di ciò che gli si vuol far vedere.
 
Niente percorsi improvvisati nei quartieri da scoprire a caso, magari guidati da un suono che viene da lontano o da un odore o da un profumo di cucina tipica ma tracciati globalizzati per turisti tutti uguali.
Niente musicisti di strada ma anziani danarosi, niente giovani vagabondando tra bancarelle ma famigliole ordinate.
Niente spuntini improvvisati  magari consumati in piedi o a su una panchina, ma pasti rigorosamente seduti, nei locali per turisti possibilmente di impostazione statunitense o di proprietà delle grandi multinazionali del settore della  ristorazione.  E  infatti tutta la piazza di Coyoacan da tre anni a questa parte è invasa da punti vendita della catena di supermercati  7-Eleven   e recentemente è stato aperto, tra le proteste dei ristoratori locali un Burgher King.
 
Questo per  Coyoacán è stato il primo fine settimana  senza Tianguis. Da giovedì i giardini  erano praticamente vuoti,  presidiati da più di 500 poliziotti antisommossa per tenerli  liberi  dalle bancarelle degli artigiani.
 
Anche il  Bazar  Artiginale di Coyoacán   era vuoto, disertato in massa.
 
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P.S. Per coloro che si recano in visita a Città del Messico sarebbe importante passare per i giardini di Coyoacán per portare solidarietà direttamente ai compagni del Tianguis in lotta. A Città del Messico si può contattare anche la LIMEDDH direttamente, qui i recapiti.
Qui i video di Mario e Federico.


Cinema latinoamericano all’Isola del Cinema (Isolal Tiberina) a Roma

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L’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini in collaborazione con L’Isola del Cinema, hanno il piacere di comunicarVi che, il 28 e 29 agosto avrà luogo una manifestazione cinematografica dedicata all’Ambiente latinoamericano.
 
L’idea di Pachamama, come stai? riprende
la parola Quechua “Pachamama” che significa Madre Terra nella lingua degli Inca — gli antichi abitanti delle Ande. Il nostro obiettivo è quello di far riflettere sulla “salute” del nostro pianeta e, nel nostro piccolo incentivare la comunità e particolarmente i giovani ad aderire a una cultura ecologica responsabile ed attiva.
 
In questo progetto, unico nel suo genere, avremo l’opportunità di far conoscere le realtà che stiamo vivendo, ribaltando l’immagine legata allo stato di salute della biosfera, dall’inquinamento al riciclaggio, dalle problematiche dell’acqua e della siccità a quelle delle biodiversità.
Nella Nuova Costituzione dell’Ecuador e della Bolivia si parla per la prima volta al mondo dei “Diritti della natura”. Noi ci riallacciamo a questo discorso per dare maggiore visibilità ai Gruppi Etnici dell’America Latina, che sono i veri guardiani del Pianeta.
I territori occupati dalle popolazioni indigene contengono l’80% della biodiversità dell ’ America Latina , le più importanti risorse acquifere e preziose come il petrolio.
 
Famoso è il discorso del Presidente boliviano Evo Morales all’ONU nel settembre 2008, conosciuto dal popolo come i ”Dieci Comandamenti per salvare il Pianeta, la vita e l’Umanità”. Alcuni dei Comandamenti sono: Onorare il diritto all’acqua, sviluppare le energie pulite, rispettare la Pachamama.
Ora loro e gli altri popoli dell’America Latina e dei Caraibi stanno cambiando la storia. Il presidente del Ecuador , Rafael Correa, ha dichiarato:”Noi non stiamo vivendo in un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca.”
 
 
Programma
28 agosto
21:30
 
Sala Sergio Leone
Tambogrande
Dir: Ernesto Cabellos/Stephanie Boyd
Perú, 2007, 108’ , V.O. Spagnolo. Sott. Italiano.
Racconta la storia di un villaggio agricoltore, orgoglioso dei suoi mangos e del suo limone, e della sua lotta per preservare il suo modo di vita, quando un ricco giacimento multimetallico viene scoperto proprio sotto le sue strade e terre.
Manhattan Minerals, un’impresa mineraria junior del Canada , associata con lo Stato Peruviano, vuole trasferire parte della popolazione e sfruttare il giacimento valorizzato in migliaia di milioni di dollari, ma sarà chiesto alla comunità se desidera cambiare il suo modo di vita e abbandonare il proprio villaggio?
23:30
 
De los mayas al Polo Norte/Dai Maya al Polo Nord
Dir: John Kermond, Steve Freer, Vida Amor de Paz  Productores: Vida De Paz
Durata: 70’ , 2008, V.O. Spagnolo/inglese/Sott. Inglese
Vida De Paz 70’ , 2008, V.O. Spagnolo/inglese/Sott. Inglese
Per la prima volta in America latina si produce un film sul riscaldamento globale con la mistica della concezione del mondo Maya che spiega come possiamo ancora recuperare ciò che i Maya ci tramandarono con le loro profezie. Il film chiarisce che sta accadendo esattamente ciò che prevedevano le profezie e spiega come queste confluiscano con quello che dicono gli scientifici del riscaldamento globale. Così il film viaggia parallelamente tra il passato del declino dei Maya e il presente di un altro possibile declino. Si delinea il grado di pericolo in cui oggi ci troviamo senza aver saputo ascoltare i nostri saggi antenati.
 
 
29 agosto
Sala Sergio Leone
21:30
Los ojos cerrados de América Latina
 
Dir: Miguel Mirra, Argentina, 90’ , 2009, V.O. Spagnolo
Produzione: Susana Moreira
Parla dell’estrazione mineraria a cielo aperto, la soia, le monocolture e il saccheggio delle terre e dei boschi, degli sbarramenti, la devastazione itticola e la produzione di pasta di cellulosa.
E’ un campionario delle lotte popolari di resistenza di fronte a quella razzia, di fronte all’inquinamento, al dislocamento forzato delle popolazioni, alla distruzione delle produzioni regionali e delle fonti di lavoro per milioni di latinoamericani. E’ stato girato in dieci paesi dell’America Latina , dal Messico alla Colombia e dal Guatemala all’Uruguay e all’Argentina.
Inoltre sono presenti le interviste a Jorge Rulli, Pablo Begel, Ana Esther Ceceña, Fernando Buen Abad, Adolfo Pérez Esquivel e a membri di assemblea e referenti dei movimenti sociali dell’America latina contro il saccheggio e l’inquinamento.
 
Sala Sergio Leone
23:30
Guatemala, Tierra arrasada
di José Gaya
Guatemala-Messico, 2005, 52’ , vo. spagnola sott. inglese
Popolo indigena: Chiapas e Guatemala
Nel 1996 si firmarono gli accordi di pace in Guatemala, dopo 36 anni di guerra civile e più di 200 mila morti. Questo documentario dà la parola ai testimoni del terrore più assoluto vissuto durante i primi anni ‘80. Ci raccontano anche come la gente si organizzò per sopravvivere alla strategia dell’esercito volta a eliminare ogni appoggio all’insurrezione. Oggi la terra nelle mani dei proprietari terrieri continua a provocare inquietudine tra i contadini; allo stesso tempo, lottano contro l’impunità e si organizzano per fare causa ai responsabili dei massacri, che ancora oggi continuano a mantenere alte cariche di potere in Guatemala . Questo documentario ci dimostra come la realtà superi sempre la finzione. Oggi la
 
Come arrivare all’Isola del Cinema

Anche le formiche soffrono di insonnia

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Da quando ne ho memoria, per me è sempre stato così. Fin da piccola. Da bambina solidarizzavo con le formiche quando mio fratello e i suoi terribili amici le bruciavano dopo averle cosparse di alcool. Loro ridevano nel vedere quelle fila di corpicini carbonizzati sui muri, io piangevo e li odiavo. Io che le studiavo, che “a faccia per terra e culo per aria” come mi diceva mia madre, passavo le ore a seguirle, ad osservarle, a disegnarle, ammirata di tanta solidarietà ed organizzazione, per la mia ricerca di seconda elementare. Le ho sempre amate le formiche. “Le formiche sono comuniste” ho sempre pensato. Quell’atto di bruciarle ripensandoci, mi fa venire i brividi oggi.Ci stermineranno tutti?
 
Me ne andavo sola per campagne e boschi, in una Napoli ancora vivibile, e almeno lì sulla collina magica dei Camaldoli, libera dal cemento, sognando di guerre passate delle quali scoprivo ordigni abbandonati, di lotte tra bande rivali nel casale della contessa, diroccato e teatro di oscuri traffici, la scoperta dei capanni dei “botti” illegali, era tutto magico per me.
 
Vivevo in una classica famiglia borghese. Ma per me tutto aveva origine dal basso. Ora riesco a capirlo. Mi affascinava la natura e i suoi misteri, nello spettacolo della quale, mi ritagliavo ruoli fantastici, mi incuriosiva la vita dei contadini, e quella degli uomini e delle loro malefatte. Più grande al liceo, piccola tra i grandi, l’occupazione, le manifestazioni con gli operai. Che ne sapevo io, appena quindicenne, degli operai. Ma lì volevo e dovevo stare. Non dovevano essere soli.
 
Nessuno doveva essere solo. Così i randagi, animali, uomini e amici,  entravano e uscivano dai miei anni.
 
Una volta ricordo che partimmo in auto verso la Sicilia. Vacanze. Per il viaggio appesi degli strofinacci dietro ai finestrini perchè mi facessero ombra durante il viaggio. Mio fratello, otto, nove anni, si arrabbiò tantissimo. “Sembra la macchina degli zingari” mi disse urlando. Forse è da allora che li ho amati, gli zingari.
 
E io ridevo, mi piaceva sentirmi una zingara, forse lo ero, lo sono tutt’ora. Mi piaceva immaginarmi zingara. In realtà in quel momento ero solo la figlia di una famiglia borghese che partiva per le vacanze al mare.
 
Ma zingara lo sono nel cuore, credo e come gli zingari sto in basso. Quella litigata con mio fratello mi ha segnata per sempre e non la dimenticherò mai. E’ stata simbolica. Il simbolo di differenze inconciliabili,  il simbolo di quello che poi fu ed è. Una frattura.
 
E stanotte che non riesco a dormire, ripenso a queste ultime mie giornate, appena tornata dalle vacanze, con tutto il peso dei mali del mondo sulle spalle. Stanotte pesa di più, con il pianto del cognato di F. in testa, il sangue di Carlo, “sangue nostro”, con il volto di Cristina, la figlia di  Francisco, scomparso in Messico due anni fa, difensore dei diritti umani, con la faccia stampata in mente dell’ambasciatore colombiano, la stesso che ho rivisto oggi in fotografia, il suo curriculum pesante di corruzione e crimine e le sue parole durante l’incontro avuto all’ambasciata.
 
Dovrei uscire mi dico, tutto il giorno passato al pc tra morti, sangue, violenze, scomparsi, a fare mia ogni lotta, da quella dei fratelli mapuche (un altro ragazzo ammazzato alle spalle, una ventina rifugiati nei villaggi feriti che non vanno negli ospedali per paura di essere arrestati, mi ha raccontato oggi Violeta) a quella dei compagni in resistenza da oltre un anno del mercato di Coyoacan, lettere, mail, petizioni, telefonate, proteste da organizzare, l’articolo denuncia da scrivere, i morti sul lavoro di luglio, una strage continua, i morti in mare, cimitero liquido italiano.
 
Dovrei uscire, ma esco e mi ritrovo a scaricare libri in biblioteca, così tanto per dare una mano, mi dico.
 
Dovrei uscire.
 
Domani sera c’è Ascanio Celestini all’Isola Tiberina. Celestini sul Ruanda. Ho deciso, ci vado. Per non dimenticare il Ruanda.
 


Francesco Mastrogiovanni: il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) uccide ancora

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Francesco Mastrogiovanni; basta anarchici “suicidi”
di Sandro Padula, L’Altro, 18 agosto 2009
 
1972. Su via Velia a Salerno, in un pomeriggio di luglio, muore accoltellato il giovane militante del Msi Carlo Falvella. In carcere finisce l’anarchico Giovanni Marini e ci resta svariati anni. Qui, e lo diciamo con rispetto verso i parenti della vittima, non è importante ricostruire la dinamica del fatto. A quel tempo il clima politico era pieno di odio e bastava poco perché nascessero delle risse o delle forme di violenza sanguinaria fra giovani di opposte idee politiche.giIPOL00050820090813 Qui si vuole ricordare un’altra cosa. Da quel giorno cambia anche la vita dell’anarchico salernitano Francesco Mastrogiovanni.
Lui vive con dolore quella tragedia la cui eco, proprio come succede in ogni piccolo centro urbano nel quale tutti si conoscono, è moltiplicata all’ennesima potenza e la cui radice storica affonda nelle secolari guerre fra i poveri conosciute dal sud d’Italia. Come se non bastasse, è schedato dai carabinieri perché, proprio come Giovanni Marini, ha idee anarchiche.
1999. Francesco viene arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale. Trascorre diversi mesi in carcere. Alla fine si scopre che è innocente e riceve un risarcimento per ingiusta detenzione.
2009. Il 31 luglio Francesco viene ricoverato all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento sanitario obbligatorio. Muore dopo quattro giorni di degenza. L’autopsia attesta che Francesco è morto per un edema polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Inoltre si scopre che il suo corpo presenta profonde lesioni a polsi e caviglie.
Lacci e lacciuoli di ferro o di plastica? Questo sospettano in procura. La pratica della contenzione è ammessa per legge solo in stato di necessità e soltanto poche ore, fino alla terapia chimica. Invece, secondo la procura di Vallo della Lucania, le lesioni dimostrerebbero l’allettamento forzato e prolungato del paziente. Non si sa ancora se Francesco sia morto dopo quattro giorni interi di letto di contenzione. In ogni caso è morto in un letto di contenzione e il matto, statene certi, non era lui.
Venerdì 31 luglio le forze dell’ordine, con un dispiegamento da guerra di terra e mare, circondano il bungalow dove Francesco è ospite. La notte precedente, secondo la versione ufficiale, “avrebbe tamponato quattro autovetture”.
Non ci sono le prove. L’automobile di Francesco è normalmente parcheggiata sotto la sua abitazione di Castelnuovo Cilento e non mostra segni di alcun danno. Francesco, sempre per nulla o poco fiducioso nelle istituzioni dello Stato, scappa verso il lido. Prende l’ultimo caffè e fuma l’ultima sigaretta. Viene acciuffato e spedito nell’ospedale psichiatrico San Luca, il posto in cui non avrebbe mai voluto finire perché temeva di morirci dentro. “Hanno ucciso un uomo in letto di contenzione”, dice il pm nel suo atto d’accusa.
Che dire a tale riguardo? Conoscendo il carattere torturante delle carceri in quanto tali, non possiamo auspicare il carcere a nessuno. Sappiamo solo che l’ospedale San Luca dovrebbe essere posto sotto inchiesta amministrativa da parte della Regione Campania e invece quest’ultima finge che nulla sia successo. Sappiamo inoltre che a piangere la morte di Francesco, Franco per gli amici, sono stati i partecipanti al funerale svoltosi il 13 agosto, i suoi alunni della scuola elementare e l’intera popolazione, nessuno escluso, di Castelnuovo Cilento.
In un paese come l’Italia, in questo strano impero del bene, non dovremmo meravigliarci se gli attuali indagati per la morte di Francesco fossero assolti dall’accusa di omicidio colposo.
Nessuno però ci venga a dire che Franco, amico della vita, dei suoi giovani studenti, dei suoi concittadini e di tutti i libertari del mondo, si sarebbe suicidato. È da secoli che si racconta la favoletta secondo cui gli anarchici amerebbero suicidarsi. Adesso basta.
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Caso Brad Will, la Procura Generale della Repubblica del Messico mente e viola la legge. In ballo i fondi del Plan Mérida.

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Brad Will

Il reporter freelance statunitense Brad Will, fu ucciso da un colpo di arma da fuoco il 27 ottobre 2006 mentre stava coprendo per Indymedia New York gli scontri tra la APPO, l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca e la Polizia Federale Preventiva nella cittadina messicana   durante la protesta (appoggiata  dalla quasi totalità della popolazione) organizzata dal sindacato dei maestri che chiedeva migliori condizioni di lavoro e salariali,  nonché le dimissioni del governatore dello Stato Ulises Ruiz Ortiz.
 
Sulla  morte di Brad Will la  Procura  Generale della Repubblica (PGR)  del Messico non è riuscita ancora, nonostante siano trascorsi ormai quasi tre anni,  a fare chiarezza.
 
Anzi. Sta assumendo proprio in questi giorni   toni sempre più accesi  la polemica sui risultati delle perizie condotte separatamente dalla PGR e dalla CNDH, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
 
Il 17 luglio scorso  infatti,   la Régia Polizia a cavallo canadese, su richiesta della PGR ha presentato una sua perizia nella quale conferma pienamente le tesi governative sulla morte di Brad Will, e cioè che il giovane sarebbe stato ucciso da alcuni simpatizzanti della APPO che in quel momento si trovavano molto vicini a lui.  
 
Mauricio Farah, rappresentante della CNDH che sta seguendo il caso, in una intervista di qualche giorno fa ha assunto posizioni molto dure contro la PGR, accusandola di aver richiesto la perizia canadese, (realizzata indipendentemente dalle autorità governative di quel paese) per risollevare il caso mediaticamente e per trovare appoggi esterni alle proprie accuse.
 
Proprio la CNDH aveva quasi un anno fa presentato la sua  perizia, emettendo contemporaneamente l’atto n. 50/2008 di avvertenza al governatore dello Stato di Oaxaca, al Procuratore Generale della Repubblica Eduardo Medina Mora e al Congresso, rispetto al  fatto che nelle indagini sulla morte di Brad Will c’erano state troppe irregolarità e che si stava di fatto favorendo l’impunità dei veri colpevoli. Erano stati richiesti inoltre alla PGR formali chiarimenti circa i risultati balistici discordanti. Chiarimenti mai arrivati. 
 
Farah ha dichiarato inoltre che non solo la  Procura sta mentendo sul caso Will,  ma  che sta anche violando apertamente la legge, avendo prima formulato un’ipotesi di colpevolezza (contro i simpatizzanti della APPO in questo caso) e poi creato una perizia per sostenerla.
 
Le indagini governative parlano di due colpi di pistola sparati a distanza molto  ravvicinata, (uno addirittura dopo che Brad Will era già stato soccorso),  e quindi probabilmente partiti  da un’arma dei simpatizzanti della APPO che in quei momenti concitati, testimoniati proprio dall’ultimo video del reporter, si trovavano vicino a lui.
 
La perizia della CNDH,  invece parla di due colpi quasi simultanei, partiti da una distanza molto maggiore, circa 35/50 metri, sparati probabilmente  dalle spalle di  un camioncino rosso che si trovava tra Brad Will  e alcuni uomini armati che facevano  fuoco sulla folla. Ciò sarebbe testimoniato anche da alcune tracce di vernice rossa trovate sul proiettile e dai danni fisici riscontrati sullo stesso, secondo uno studio balistico effettuato dall’associazione Medici per i Diritti Umani.
 
Circa due mesi dopo la morte del reporter, la polizia messicana arrestò con l’accusa di aver commesso l’omicidio   due uomini, Abel Santiago Zárate, consigliere del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), lo stesso del governatore Ulises Ruiz ‚ e la sua guardia del corpo. Altri due poliziotti e un paramilitare, latitanti, non vennero mai presi. Poco dopo anche i primi due furono rimessi in libertà.
 
Nell’ottobre del 2008 invece, sono stati arrestati Juan Manuel Martínez Moreno e Octavio Pérez Pérez e da parte delle autorità giudiziarie competenti sono stati emessi ordini di arresto per altre otto persone, tutti attivisti della APPO.
 
Amnesty International d’altra parte rende noto che lo stesso Congresso degli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato stanno effettuando proprie indagini sul caso, affermando che la richiesta di una ulteriore perizia presentata alla Polizia canadese è stata effettuata in concomitanza con l’approvazione dei fondi del Plan Mérida da destinarsi per la lotta al narcotraffico e al terrorismo in Messico e che come è noto sono vincolati al rispetto  dei diritti umani.
Veramente proprio una strana coincidenza.
 
P.S. Per solidarizzare con la campagna Giustizia per Brad Will, Libertà per Juan Manuel Martínez Moreno (cancellazione del Processo Penale n. 155/2008) per favore mandare i propri dati a:
Consejo Indígena Popular de Oaxaca “Ricardo Flores Magón”, CIPO-RFM:
ciporfmatyahoodotcomdotmx
Jóvenes en Resistencia Alternativa. JRA:
jovenesenresistenciaalternativaatyahoodotcomdotmx
 
 
 
 

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