“Durante il mio mandato di presidente della Camera, e anche successivamente come presidente dell’ Unione Interparlamentare, ho più volte ricevuto Mantovani, impegnato a favorire un disgelo tra il governo Uribe e le Farc, con cui aveva intrattenuto rapporti politici. Ho ritenuto doveroso rendere questa testimonianza perchè tutto mi divide politicamente da lui, am gli devo riconoscere onestà intellettuale e trasparenza politica”.
Probabilmente Pier Ferdinando Casini se fosse stato informato dei poteri magici del computer di Raúl Reyes avrebbe contato fino a dieci prima di manifestare la sua solidarietà a Ramón Mantovani.
Infatti, detto fatto, e zacchete! esce anche il suo nome dal famoso pc . L’Espresso del 25 settembre parla di una mail spedita a Reyes da Lucas Gualdron (considerato il presunto rappresentante delle FARC in Europa) nella quale si esprime parere favorevole sull’elezione a presidente della Camera di Casini perchè “molto amico” di Mantovani. Si prospetta addirittura nella mail la possibilità di poter approfittare della circostanza.
Viene da pensare che a Via Pisanelli le distribuiscano in pacchetti da dieci…come le figurine Panini.
…
P.S. Dopo le dichiarazioni di Berlusconi su Nicoletta Gandus:“i miei avvocati vennero a sapere che Nicoletta Gandus era una militante della sinistra estrema” dalla Colombia fanno sapere che nel pc di Reyes sarebbero state trovate delle mail dove il n. 2 delle FARC si complimentava con lei ed esprimeva solidarietà ai magistrati italiani. In Italia, aggiunge, Berlusconi sta divendando sempre più simile a Uribe. Vi state colombianizzando, conclude Rául Reyes. Si attendono ulteriori veline da Via Pisanelli.
So che tra di voi ci sono moltissime persone di buona volontà, vi pregherei di inviare per mail questa lettera agli indirizzi indicati. Molto spesso far sapere che fuori dal paese ci sono singole persone, comuni cittadini che si informano e tengono d’occhio quanto accade nel campo delle violazioni dei diritti umani serve a molto, anche e soprattutto (e non è poco), a far sapere ai familiari delle vittime di tali violazioni che non sono soli.
Al Presidente degli Stati Uniti del Messico
Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF
All’Ambasciatore del Messico in Italia
Jorge Eduardo Chen Charpentier
Via Lazzaro Spallanzani n. 6
00161 ROMA
26 settembre 2008,
Ad un anno esatto dalla scomparsa di Francisco Paredes Ruiz, avvenuta in Messico il 26 settembre 2007, ci uniamo alla richiesta inoltrata alle istituzioni del paese da parte di numerose associazioni in difesa dei diritti umani, tra le quali la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) e l’ Associazione dei Familiari dei Detenuti Scomparsi e delle Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico (Afadem-Fedefam), nonché a quella dei figli del Sig. Paredes, esigendo la sua riapparizione in vita.
Francisco Paredes Ruiz era un difensore dei diritti umani impegnato soprattutto contro le sparizioni forzate di persone ed era anche uno dei fondatori della Fondazione Diego Lucero, associazione che da anni porta avanti battaglie per la difesa dei diritti umani nello stato di Michoacán ed in tutto il paese.
Le autorità messicane, come dichiara Yanahu Paredes Lachín, figlia del Sig. Paredes, si sono rifiutate di accettare la denuncia per sparizione forzata di persona. Il caso del Sig. Francisco Paredes viene considerato pertanto come un sequestro di persona, mentre tutte le evidenze testimoniano che si tratta di una sparizione forzata e nonostante ci siano indizi che Francisco Paredes sia stato detenuto per un certo periodo di tempo in una caserma o in un carcere di massima sicurezza.
E’ inaccettabile che nonostante il Governo messicano abbia firmato accordi internazionali per porre fine alla pratica della sparizione forzata, considerata universalmente crimine contro l’umanità, le autorità competenti del paese non abbiano dimostrato fino a questo momento nessuna volontà di risolvere questo caso.
Chiediamo pertanto al governo messicano che accolga la richiesta dei figli di Francisco Peredes Ruiz, Yanahui, Cristina e Francisco, accettando la denuncia di sparizione forzata del loro genitore e che svolga le dovute indagini con la serietà e il rispetto che la gravità del caso richiedono.
Esigiamo inoltre l’immediata riapparizione in vita oltre che di Francisco Paredes Ruiz, anche di Alberto Cruz Sánchez e Edmundo Reyes Amaya, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio 2007 e di Lauro Juárez scomparso il 30 dicembre dello stesso anno, nonché di tutte le persone scomparse del Messico.
Inviare cortesemente anche una copia a:
Cesar Nava Vázquez
Secretario Particular del C. Presidente de la República
Lic. Juan Camilo Mouriño Terrazo, Secretario de Gobernación
Lic. Victor Manuel Serrato Lozano, Presidente de la Comisión de los derechos humanos del Estado de Michoacán,
Alta Comisionada de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos
Representante en México de la Oficina del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos
Sr. Santiago Cantón, Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos,
Secretaria Embajador mexicano en Italia
Natalia Vlady Soto
Con copia:
…
Les pido que envien esta nota por correo electrónico a todas las direcciones indicadas, además de la embadaja de México de su país.
Es importante que las instituciones mexicanas sepan que fuera del país hay personas, asociaciones o simples ciudadanos que vigilan y se enteran de lo que pasa en relacíon a las violaciones de los derechos humanos y eso es importante sobre todo (y no es poco) para que los familiares de las personas víctimas de esas violaciones no están solos.
Presidente de los Estados Unidos de México
Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF
Embajada de México
en
26 de septiembre de 2008
Cumpliendo un año de la desaparición en México de Francisco Paredes Ruiz, nos unimos al pedido entregado al Gobierno Federal de México por algunas asociaciones de defensa de los derechos humanos entre las cuales la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Umanos (LIMEDDH) y la Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Víctimas de Violaciones a los Derechos Humanos en México (Afadem-Fedefam) y además al pedido de los hijos del Señor Paredes Ruiz, exigiendo su reaparición con vida.
Francisco Paredes Ruiz era un defensor de los derechos humanos particularmente comprometido en la lucha contra las desapariciones forzadas de personas sobre todo en el estado de Michoacán y además de ser co-fundador e integrante de la Fundación Diego Lucero A.C., asociación que desde años lucha por la defensa de los derechos humanos en el mismo estado y en todo el país.
Las autoridades mexicanas, cómo declarado por Yanahui Paredes Lachín, hija de Francisco Paredes Ruiz se han negado hasta la fecha de aceptar la denuncia por desaparición forzada de persona. El caso de Francisco Paredes por lo tanto está siendo investigado como secuestro de persona, mientras todas las evidencias testimonian que se trata de desaparición forzada y no obstante hay serios indicios que él haya sido detenido en un cuartel militar o un penal de maxima seguridad.
Es inaceptable que si bien el gobierno mexicano haya firmado acuerdos internacionales contra la desapareción forzada de personas que es universalmente reconocida como un crimén de lesa humanidad, las autoridaes del país no han demostrado hasta hoy voluntad para resolver ese caso.
Pedimos por lo tanto al gobierno de México que reciba el pedido de los hijos de Francisco Paredes Ruiz, Yanahui, Cristina y Francisco, aceptando la denuncia de desapareción forzada de su padre y que desarrolle las investigaciones con la seriedad y el respeto que la gravedad del caso requiere.
Exigimos además de la inmediata reaparición con vida de Francisco Paredes Ruiz, también la de Alberto Cruz Sánchez y de Edmundo Reyes Amaya, desaparecidos de Oaxaca el 25 de mayo de 2007 y de Lauro Juárez desaparecido el 30 de diciembre del mismo año, cómo la reaparición con vida de todos los desaparecidos de México.
Por favor enviar comunicaciones también a:
Cesar Nava Vázquez
Secretario Particular del C. Presidente de la República
Lic. Juan Camilo Mouriño Terrazo, Secretario de Gobernación
Lic. Victor Manuel Serrato Lozano, Presidente de la Comisión de los derechos humanos del Estado de Michoacán,
Alta Comisionada de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos
Representante en México de la Oficina del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos
Sr. Santiago Cantón, Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos,
Con copia:
L’ho letto da Bogotalia, sembrerebbe che la Procura di Roma abbia aperto un’inchiesta sulla presunta “rete” italiana di appoggio alle FARC.
I nomi ovviamente sono quelli di Marco Consolo, Ramón Mantovani e Nuova Colombia. Le prove ormai le conosciamo tutti, le e-mail conservate nel magico computer di Raúl Reyes.
L’ambasciata colombiana e l’ambasciatore Sabas Pretelt de la Vega, passano le informazioni ora a la Repubblica ora al Corriere della Sera.
Il corrispondente di El Tiempo dall’ Italia invece è Néstor Pongutá Puerto, che poi altro non è che l’addetto stampa e pubbliche relazioni di Via Pisanelli, il quale tempo fa ci dette questo “pessimo esempio” di come fare giornalismo.
E’ stato ritrovato il 24 settembre scorso, nello Stato di Oaxaca, Messico, il corpo senza vita di Marcela Salli Grace Ellier, cittadina statunitense, 21 anni, attivista da tempo impegnata in quella zona in difesa dei diritti umani e in solidarietà delle donne vittime di violenze e persecuzioni politiche. Ultimamente si stava occupando dei prigionieri politici e delle donne, mogli, compagne, madri, sorelle, figlie dei detenuti e delle persone scomparse o assassinate.
Salli aveva raccontato poco tempo fa di aver ricevuto minacce di morte e di essere controllata per questa sua attività che svolgeva unicamente per spirito di solidarietà senza fini economici o politici.
E’ stata violentata prima di essere barbaramente torturata e poi uccisa. Il suo corpo, trovato in una zona rurale nei dintorni di San José del Pacífíco, a circa 170 chilometri dalla città di Oaxaca, era irriconoscibile e in avanzato stato di decomposizione. E’ stato identificato da una amica solo grazie ad un tatuaggio.
Alcune organizzazioni femministe e sociali, tra le quali la APPO, oggi hanno realizzato un sit-in di fronte alla Procura della Giustizia dello Stato di Oaxaca chiedendo giustizia e che le indagini vengano effettuate velocemente e seriamente.
In realtà queste organizzazioni hanno espresso timori per il fatto che questo omicidio potrebbe essere relazionato con la repressione sempre più evidente contro i movimenti sociali della zona, rivolta soprattutto agli osservatori internazionali. “Potrebbe trattarsi di un chiaro messaggio rivolto a tutto il popolo di Oaxaca, nonché ai compagni solidali che provengono da differenti parti del mondo”.
Va rilevato che in questi giorni sta circolando la notizia sia a livello nazionale che internazionale che membri della APPO sono accusati dell’omicidio del giornalista Bradley Roland Will, avvenuto il 27 ottobre 2006, nonostante tutte le evidenze dimostrino che egli fu ucciso da persone armate in borghese appartenenti a corpi di polizia. La APPO ha respinto categoricamente questa versione dei fatti, accusando il governo Federale di voler gettere discerdito sul movimento sociale, mentre d’altro canto il pubblico ministero di Oaxaca, Lizbeth Caña cadeza afferma che l’omicidio di Bradley Will è stato organizzato dalla APPO o da gruppi vicini per “internazionalizzare” il conflitto politico e sociale di Oaxaca.
ULTIMORA: (da Gennaro Carotenuto): Una persona sarebbe stata arrestata e avrebbe confessato l’omicidio. La confessione parla di sesso consenziente, alcool e droga, niente stupro, niente politica, e il corpo verrà immediatamente cremato. E le minacce di morte? Non è tutto troppo semplice? Oppure ancora una volta in Messico quello che viene fatto apparire troppo semplice è perché è maledettamente complicato?
Inoltre, ammettiamo e non concediamo che questa verità di comodo sia come siano andate davvero le cose. In ogni caso la verità ufficiale proposta, con tanto di confessione dell’assassino (presunto) appare la migliore possibile per confermare la versione ufficiale (a Oaxaca non ci sarebbe alcun problema di repressione) e denigrare una militante per i diritti umani appena trovata morta ammazzata.
Non dico niente di nuovo, ma guarda caso nella verità ufficiale Marcela non è stata ammazzata per rapina, o per mille altre possibili cause. E’ stata ammazzata perché ha avuto rapporti sessuali col primo venuto, facendo abuso di alcool e droga, tutti comportamenti considerati pericolosi e socialmente riprovevoli. Ovvero ha avuto quello che si meritava e che si meriterebbero tutti questi pseudomilitanti per i diritti umani che vengono a disturbare la nostra quiete. Tutto maledettamente semplice.
Non so quanti eravamo, ho poca dimestichezza con i numeri, so che eravamo in tanti, tante mamme, tantissimi bambini e tante maestre, perchè nonostante si continui a parlare di “maestro unico” , nella scuola elementare insegnano quasi esclusivamente maestre.
Una manifestazione allegra e colorata che ha paralizzato e coinvolto un’intero quartiere e quello che sta offrendo in questi giorni la Iqbal Masih un bellissimo esempio da seguire: una scuola che resiste.
«No a Gelmini» La Iqbal Masih scende in strada
Eleonora Martini
ROMA
Un corteo così gaio, festoso e pieno di vita non lo avevano ancora mai visto, nelle strade della periferia est di Roma. Attorno all’ormai famosa scuola elementare Iqbal Masih, capofila da due settimane della protesta contro il decreto 137, si sono riuniti ancora una volta una quarantina di istituti della capitale e insieme hanno portato la Scuola («quella con la S maiuscola, quella che la ministra Gelmini vuole distruggere», dicono) nel quartiere. Dopo una settimana di occupazione senza interruzione della didattica e una di presidio del plesso, durante le quali gli abitanti del quartiere Casilino sono entrati per la prima volta nella struttura e hanno preso contatto con il luogo dove cresce la generazione futura, ieri la visita è stata ricambiata.
Con centinaia di bambini provenienti da ogni parte della città che, dalla scuola intitolata ad un loro coetaneo pakistano ucciso per essersi ribellato allo sfruttamento, hanno attraversato alle cinque della sera chiassosi e felici, assieme a genitori e maestre, le vie dei quartieri limitrofi.
Doveva essere una fiaccolata, ma data l’ora si è trasformata in una «Fioccolata». Fiocchi rosa, rossi e azzurri al collo — «fastidioso, lo posso togliere», piagnucolano i più piccoli — per richiamare l’idea del grembiule, della divisa che metterebbe un po’ d’ordine in classe, secondo il pensiero restauratore. «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini», hanno scritto sulle magliette che indossano grandi e piccini. Dietro lo striscione di apertura «Non rubateci il futuro», che è ormai diventato lo slogan di questa rivolta fai-da-te che non conosce colore politico, gli striscioni e i cartelli sono tanti e creativi: «Jurassic School? No grazie», «Siamo già tutti maestri unici» , «Gelmini vergogna, una donna stronca il futuro dei nostri figli». Appena partiti da via Ferraironi, appare anche una bandiera dei Comunisti italiani. Gentilmente ma fermamente viene fatta arrotolare e portare via. «Perché qui a manifestare non ci sono solo persone di sinistra, c’è tanta gente di ogni pensiero politico e ogni colore», dice soddisfatta del risultato Simonetta Salacone, infaticabile direttrice scolastica della Iqbal Masih. «La nostra scuola da oggi non è più sola», constata Riccardo Rozzera, portavoce del Comitato dei genitori.
E infatti c’è chi spiega di essere «venuta qui perché questa scuola è l’unico punto di aggregazione a Roma per chiunque voglia fare qualcosa contro questo decreto che non ci piace». «La protesta si sta estendendo in tutto il paese — aggiunge Salacone — la nostra non è ideologia ma la giusta rivolta contro una riforma che mostra un misto di ignoranza e insipienza, a meno che non sia malafede. La ministra Gelmini persegue il suo progetto di portare la sussidiarietà nell’istituzione scolastica — continua la direttrice, attorniata dai bambini — Il concetto è: dove il privato non arriva allora semmai entra in gioco lo stato. Ma non può essere così, passare dal diritto pubblico a quello privato significa rovesciare la Costituzione italiana. Si tratta esattamente di un’idea sovversiva». Ai genitori, quello che proprio non va giù di questa riforma è il passaggio dalle 40 ore di insegnamento settimanali alle 24. «Sul decreto c’è scritto questo e niente altro — spiega Salvatore Sasso, direttore del 138¢ª circolo didattico Basile di Torre Angela, estrema periferia est — e nella mia scuola, dove il 30% dei bambini sono figli di immigrati, la fine del tempo unico fa davvero molta paura.
E’ la morte della ‘scuola amica’, quella che è vicina alle famiglie soprattutto meno agiate». Il professor Sasso è anche psicologo e docente presso l’università di Chieti e boccia senza mezzi termini anche il voto in condotta: «Si torna ai tempi in cui il bambino problematico o era malato o era cattivo». I bambini in corteo, invece, festanti e felici sanno solo che non vogliono «perdere le maestre a cui vogliamo bene». Perché? «Io se mi faccio male e esce sangue vado dalla maestra Paola che non gli fa impressione, se invece trovo un verme in giardino lo porto dalla maestra Giovanna perché a lei non fanno schifo», dice Anna, una tenerissima bambina di quarta elementare. «Le aule oggi si sono aperte alla città — fa notare Paola, insegnante della Iqbal Masih — la scuola si è trasformata in punto di aggregazione, una scuola da vivere». Per questo il prossimo 20 ottobre un istituto della periferia romana rimarrà aperto tutta la notte, un tempo pieno senza limite d’orario. Il No Gelmini Day sarà una notte bianca, per riprendersi il futuro.
La manifestazione sarà seguita in diretta da Radio Onda Rossa
“Fioccolata” di protesta
venerdì 26 settembre, ore 17, da Via Ferraironi (scuola Iqbal Masih) a Largo Agosta
Tempo pieno o tempo vuoto? O, meglio, scuola piena o scuola vuota?
Il decreto 137 del 1 settembre 2008 del ministro Mariastella Gelmini dal prossimo anno vuole una scuola vuota. Vuota di cosa?
v Di insegnamento. Il decreto prevede 24 ore di lezione a settimana, contro le 40 attuali del tempo pieno e le 31 del modulo. E il pomeriggio? Partirà il doposcuola a pagamento. Un parcheggio che sarà attivato solo su richiesta delle famiglie e solo se le singole scuole acconsentiranno. Altrimenti, tutti a casa. Ma con chi se i genitori lavorano?
v Di conoscenza. Il maestro unico insegnerà tutto: italiano, matematica, geografia, storia, inglese (sì, pure inglese), educazione alla cittadinanza, educazione alimentare… Per conoscere bene tutte queste materie ci vorrebbe Leonardo da Vinci. Non lasciamoci ingannare dal fatto che si tratta della scuola primaria o elementare: “elementare” non significa facile, significa “fondamentale”. Anche noi, da piccoli, abbiamo avuto il maestro unico, è vero. Ma non desideriamo sempre che i nostri figli abbiano qualcosa di meglio?
v Di esperienze. I tempi ristretti di insegnamento impediranno un apprendimento con tempi distesi e attraverso l’esperienza diretta. E le gite? Addio! Per ragioni di sicurezza un insegnante non potrà uscire da solo con 25 bambini.
v Di aiuto. Le poche ore a disposizione per l’insegnamento non permetteranno di individuare e risolvere casi di difficoltà nell’apprendimento. Ai nostri tempi chi era “lento” ad imparare veniva considerato poco intelligente e senza speranza di miglioramento. In ogni famiglia c’era un caso del genere. Oggi sappiamo che molti, moltissimi casi di difficoltà possono essere affrontati e risolti. Ma ci vuole tempo.
v Di garanzia. Ogni insegnante si troverà solo di fronte alla classe. Pensiamo al caso di un maestro stanco o alla prima esperienza. I maestri e le maestre italiane sono di ottimo livello, ma anche loro sono uomini e donne, non macchine. E allora? Come faranno i nostri figli?
v Di eccellenza internazionale. La scuola primaria è l’unico grado di istruzione in Italia “promosso” anche dall’ultimo rapporto internazionale annuale dell’Ocse. Perché, allora, cambiare qualcosa che funziona?
Non svuotiamo la scuola.
Contatti:
Missione FIDH nelle zone di frontiera del Messico
dal 25 febbraio al 13 marzo 2007
La Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ha svolto nel corso del 2007, dal 25 febbraio al 13 marzo, una missione nell’ambito della Campagna internazionale su “Migrazioni e Diritti Umani”, nelle due zone di frontiera che al momento rappresentano le due aree più critiche rispetto alle violazioni dei diritti umani che sistematicamente vengono commesse nei confronti dei migranti. Le frontiere sotto esame sono state quelle messicane, a sud del paese al confine con il Guatemala, e a nord, al confine con gli Stati Uniti.
In particolare la zona di confine tra Messico e Stati Uniti segna anche una zona di “frattura tra un’America ricca e dominante nei programmi economici e politici e un’ America povera e sommessa alle regole del gioco stabilite dal vicino Nord”, come si legge nella relazione presentata dalla FIDH, al termine della missione.
Negli ultimi 12 anni sono stati più di 4 mila i migranti che hanno trovato la morte attraversando il muro, “materiale e virtuale” che separa il Messico dagli Stati Uniti.
Migranti “illegali” vengono definiti dalle autorità e dai mezzi di comunicazione, definizione alla quale la Federazione Internazionale dei Diritti Umani, della quale fa parte anche la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) si oppone fermamente, in quanto considera aberrante la definizione stessa di “illegale” applicata ad un essere umano. Quel termine illegale” posto vicino alla parola migrante implica una criminalizzazione del fenomeno della migrazione e spesso anche una confusione tra migrazione e terrorismo, confusione che si è accentuata soprattutto nel corso dell’ ultima amministrazione statunitense e che ha un risvolto particolarmente inquietante perchè sta legittimando in nome della sicurezza nazionale misure sempre più repressive e violazioni sempre più gravi dei diritti umani.
Sempre più uomini e donne si spingono oltre i confini del Messico, costi quel che costi, mossi dalla speranza di una vita migliore, e quindi la causa principale delle migrazioni resta comunque e sempre la povertà. C’e da dire inoltre che con la firma del Trattato di Libero Commercio tra il Canada, gli Stati Uniti e il Messico, il così detto NAFTA, le disuguaglianze tra il Messico e gli altri paesi non sono diminuite, anzi sono aumentate drammaticamente. In dieci anni, tra il 1994 e il 2004 più di un milione di contadini messicani sono stati costretti ad abbandonare le loro terre per l’arrivo nel mercato nazionale di mais e grano provenienti dagli Stati Uniti a prezzi irrisori.
Le violazioni dei diritti umani che la FIDH ha potuto rilevare nel corso della sua missione nelle due zone di confine sopra citate, sono state innumerevoli.
Numerose interviste e testimonianze raccontano di moltissimi casi di decessi che avvengono per le cadute dai così detti “treni della morte” che trasportano i migranti dal sud al nord del paese, verso il confine con gli Stati Uniti. I corpi dei deceduti vengono gettati in fosse comuni o in cimiteri di zone rurali (tristemente noto quello di Tapachula) e ai familiari generalmente non viene data comunicazione del decesso dei loro congiunti.
Durante le operazioni di identificazione dei migranti e durante i controlli effettuati nei “treni della morte” è stato rilevato e denunciato un uso sproporzionato ed eccessivo della violenza da parte delle forze dell’ordine preposte ai controlli. L’impunità, successivamente protegge l’operato di polizia ed esercito nei casi accertati di violazioni dei diritti umani.
Ulteriori e gravi violazioni vengono commesse quando i migranti sono detenuti nelle così dette “estaciones migratorias” dove dovrebbero permanere fino al momento che non “venga chiarita la loro posizione migratoria ed effettuata la loro deportazione” e comunque non per un periodo superiore ai 90 giorni. Le violazioni più comuni in questo caso vanno dal prolungamento dei termini consentiti di custodia, fino alle pessime condizioni igieniche e sanitarie dei luoghi adibiti, oltre naturalmente a gravi casi di violenze fisiche e maltrattamenti sui migranti ospitati nei centri.
A queste detenzioni “legali” si aggiungono detenzioni illegali di migranti da parte di bande di criminali a puro scopo estorsivo.
La relazione della FIDH si conclude con le raccomandazioni che la Federazione Internazionale e i suoi partner in territorio nazionale fanno sia ai governi degli Stati Uniti che del Messico per il rispetto dei diritti dei migranti in quanto esseri umani.
Seminario Internazionale
“I diritti umani dei migranti nelle Americhe”
16/17/18 giugno 2008– Città del Messico
Nel giorni 16, 17 e 18 giugno del 2008, invece a Città del Messico, a complemento del lavoro svolto dalla FIDH l’anno precedente, si è tenuto il Seminario Internazionale “I diritti umani dei migranti nelle Americhe” convocato proprio dalla Federazione Internazionale dei Diritti Umani e dalle sue due leghe messicane, la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) e la Commissione Messicana per la Promozione e Difesa dei Diritti Umani ( CMDPDH) nonché dall’organizzazione Sin Fronteras I.A.P., con l’obiettivo primario di analizzare le gravi violazioni dei diritti umani emerse proprio nel corso della missione realizzata appena un anno prima lungo le frontiere nord e sud del Messico.
Vari i temi affrontati:
- L’analisi dei flussi migratori nelle frontiere
- La detenzione e la deportazione dei migranti
- I diritti dei lavoratori migranti
Il Dr. Adrián Ramírez, presidente della LIMEDDH nel corso del suo intervento durante il seminario ha condiviso la sua esperienza ventennale di difensore dei diritti umani: “quando ci avviciniamo alle testimonianze delle vittime quodiniane di questi abusi, possiamo vedere le ferite inflitte sui corpi delle persone, la tristezza e le lacrime delle donne violentate e gli abusi ai quali costantemente sono sottoposti durante il loro viaggio verso gli Stati Uniti. E questo muro, che non detiene la migrazione, ma semplicemente quello che fa è che scavalcando il muro le persone diventano adatte a lavorare negli Stati Uniti…”.
Non poteva essere non affrontata inoltre la “direttiva ritorno” recentemente approvata dall’Unione Europea, che come spiega il Dr. Ramírez “rappresenta un grave regresso per i diritti umani nel mondo” e lancia un monito all’Unione Europea: “ da qui vi diciamo che quello che è accaduto in Francia con la morte di questi due cittadini migranti dell’Africa e che poi ha generato tanta violenza è semplicemente la manifestazione del fatto di non aver considerato gli esseri umani di qualsiasi parte del mondo come umani e che la xenofobia l’unica cosa che alimenta è l’odio e il ritardo nella soluzione dei problemi gravi dell’umanità”.
Nel corso del Seminario, al quale hanno partecipato più di 20 paesi, è stata lanciata la campagna internazionale a favore dei diritti dei migranti e la scelta per questa iniziativa è caduta proprio non casualmente su Città del Messico, in quanto questo paese è notoriamente “origine, transito e destinazione dei migranti”.
…
1)Video/Audio dell’ intervento del Dr. Adrián Ramírez, presidente della LIMEDDH nel corso del seminario internazionale “I diritti umani dei migranti nelle Americhe”
…
2)Relazione della FIDH, Muros, abusos y muertos en las fronteras : Violaciones flagrantes de los derechos humanos de los migrantes indocumentados en camino a Estados Unidos, marzo de 2008|fr->
http://www.fidh.org/spip.php?article5336
…
3)Consigliati sul tema dei migranti in México:
qui di seguito il video dell’intervento del Dr. Adrián Ramírez, presidente della LIMEDDH
“donde quieras que estés no dejar de ser humano,
donde vayas, sigas siendo humano
y por lo tanto no seas inhumano
con el que llega contigo”
Dr. Adrián Ramírez
presidente LIMEDDH
Misión FIDH en las zonas fronterizas de México
de 25 de febrero al 13 de marzo 2007
La Federación Internacional de los Derechos Humanos (FIDH) con ocasión del 60° aniversario de la Declaración Universal de los Derechos Humanos, ha realizado en el curso del año 2007, del 25 de febrero al 13 de marzo, una misión en el marco de la Campaña internacional sobre “Migraciones y Derechos Humanos” en las dos zonas fronterizas que actualmente representan los dos lugares más críticos respecto a las violaciones de los derechos humanos que sistemáticamente son cometidos contra la población migrante. Las dos zonas fronterizas donde se desarrolló la misión son la frontera sur de México con Guatemala y la frontera norte entre México y Estados Unidos.
Particularmente la frontera con Estados Unidos representa una “línea de fractura entre una América rica y dominante en los planos económicos y políticos y una América pobre, sometida a las reglas del juego fijadas por el vecino del Norte” se lee en la relación presentada por la FIDH al cumplimento de la misión.
En los últimos 12 años han sido más de 4 mil los migrantes muertos atravesando el muro “material y virtual” que separa México de Estados Unidos.
Migrantes “ilegales” son llamados por las autoridades y los medios de comunicación, definición que la Federación Internacional de los Derechos Humanos, a la cual pertenece también la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos (LIMEDDH), rechaza firmamente, porqué considera aberrante la misma definición de “ilegal” aplicada a un ser humano. Ese término “ilegal” con el que se define un migrante demuestra también claramente una criminalización del fenómeno de la migracíón y con frecuencia se acompaña a una confusión entre migración y terrorismo, confusión que se ha incrementado durante la actual administración norteamericana y que tiene como consecuencia la legitimación de medidas siempre más represivas y violaciones de los derechos humanos siempre más graves en nombre de la seguridad nacional.
Cada vez más hombres y mujeres avanzan más allá de las fronteras de México, a toda costa, movidos por la esperanza de una vida mejor, y por lo tanto la causa principal de las migraciones es siempre la pobreza. Además, con la firma del tratado de Libre Comercio entre Canadá, Estados Unidos y México, el llamado NAFTA, las desigualdades entre México y los demás paises del tratado no se han reducidas, son aún más acentuadas dramáticamente. En diez años, entre el 1994 y el 2004, más de 1,3 millones de campesinos mexicanos han abandonado sus tierras por el ingreso en el mercado nacional de maíz y trigo proveniente de Estados Unidos a precios irrisorios.
Las violaciones de los derechos humanos que la FIDH ha relevado durante la misión en las dos zonas fronterizas antes citadas han sido inumerables.
Numerosas entrevistas y testimonios hablan de muchos hombres y mujeres muertos luego de caer de los “trenes de la muerte” que llevan los migrantes del sur hacia el norte de México hacia los Estados Unidos.
Los cuerpos luego son tirados en fosas comunes o enterrados en cementerios de zonas rurales ( tristemente conocido el de Tapachula) y los familiares generalmente no son advisados de la muerte de sus parientes.
En el curso de las operaciones de indentificación de migrantes y en el curso de los operativos sobre los “trenes de la muerte” ha sido relevada y denunciada una utilización desproporcionada y excesiva de la violencia por pare de las fuerzas policiacas.
La impunidad, luego, protege la acción de las autoridades en los casos acertados de violaciones de los derechos humanos.
Ulteriores y graves violaciones son cometidas cuando los migrantes son detenidos en las llamadas “estaciones migratorias” donde deberían permanecer “en tanto se aclara su situación migratoria o se llava a cabo su deportación” y siempre por no más de noventa días. Las violaciones más comunes en estos casos van desde la prolongación de los términos de detención, hasta las malas condiciones sanitarias e higiénicas de las instalaciones físicas, además de graves violencias físicas y maltratos a los migrantes.
A esas detenciones “legales” se adjuntas detenciones ilegales de migrantes por parte de criminales con el fin de extorsionar a los mismos.
La relación de la FIDH concluye con la recomendaciones que la misma Federación Internacional y sus partners en territorio nacional, hacen al gobierno de México y de Estados Unidos por el respeto de los derechos de los migrantes cómo seres humanos.
Seminario Internacional
“Los derechos humanos de las personas migrantes en Américas”
16/17/18 de junio 2008 – México D.F.
En los días 16/17/18 de junio de 2008 en la Ciudad de México, cómo complemento del trabajo realizado por la FIDH el año anterios se ha llevado a cabo el Seminario Internacional “Los derechos humanos de las personas migrantes en las Américas” promovido propio por la Federacioón Internacional de los Derechos Humanos y por sus dos ligas méxicanas, la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos (LIMEDDH) y la Comisión Mexicana de Promoción y Defensa de los Derechos Humanos, A.C. (CMDPDH), además de la organización Sin Frontersa I.A.P. con el objetivo primario de analizar las graves violaciones de lo derechos humanos que se presentaron en el curso de la misión relalizada apenas un año atrás en México.
Entre otros, esos también los temas afrontados:
- El manejo de los flujos migratorios en la frontera
- La detención y deportación de migrantes
- Los derechos de los trabajadores migrantes.
El Dr. Adrián Ramírez, presidente de la LIMEDDH en su intervención durante el seminario ha aportado su experiencia ventenal de defensor de los derechos humanos: “cuando nos acercamos al testimonio de las victímas cotidianas de esto, vemos la mutilación de los cuerpos de las personas, vemos la tristeza y las lagrimas de las mujeres violadas y el abuso que constantemente sufren en el trascurso hacia Estados Unidos. Y ese muro, que no detiene la migración, simplemente lo que hace es que después de brincar el muro están más aptos para trabajar en Estados Unidos”.
No podía no sobresalir en el seminario el tema reciente de la directiva de retorno de la Unión Europea qué cómo nos explica el Dr. Ramírez “representa un grave retroceso por los derechos humanos en el mundo” y lanza una amonestación a la Unión Europea: “desde aquí le decimos que lo que pasó en Francia con la muerte de estos dos ciudadanos migrantes de Africa y que después generó un montón de violencia es simplemente la expresión de no considerar a los seres humanos de cualquier parte del mundo cómo humanos y que la xenofobia lo único que alimenta es el odio y el retrazo de la solucíón de los problemas graves de la humanidad”.
Durante el seminario, al cual participaron más de 20 paises se lanzó la campaña internacional por los derechos de los migrantes y se eligíió cómo sede del evento no por casualidad, Ciudad de México por ser este país “origen, tránsito y destino de los migrantes”.
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1)Video/Audio de la intervención del Dr. Adrián Ramírez, presidente de la LIMEDDH al seminario internacional “Los derechos humanos de las personas migrantes en Américas”
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2)Ver Informe de la FIDH, Muros, abusos y muertos en las fronteras : Violaciones flagrantes de los derechos humanos de los migrantes indocumentados en camino a Estados Unidos, marzo de 2008|fr->http://www.fidh.org/spip.php?article5336
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3)Recomendados sobre el tema de los migrantes en México
El video de la intervención Dr. Adrián Ramírez, presidente de la LIMEDDH :
E’ il Carlos Montemayor analista politico e sociale, più che lo scrittore di romanzi e novelle che incontriamo in Messico. “In realtà i malati di mente che vogliono controllare il mondo fanno parte dei governi come quello di George Bush”, spiega in questa intervista esclusiva concessa ad Annalisa Melandri. Nella sua casa di Città del Messico, nel corso di una conversazione piacevole e interessante, circondati da montagne di libri in quasi tutte le lingue del mondo (Carlos Montemayor parla perfettamente cinque lingue oltre al Greco classico e moderno e al Latino) affronta temi importanti e difficili come il terrorismo e la lotta armata, oltre alla grave situazione colombiana, spiegandoci perchè secondo lui “la Colombia è l’esempio di quello che non deve continuare ad essere l’America latina”.
Carlos Montemayor (Messico, 1947) non è solo l’autore di un’ opera narrativa, poetica e saggistica infinita e tradotta in quasi tutte le lingue, vincitore di premi nazionali e internazionali (premio internazionale Juan Rulfo con Operativo en el Trópico, 1994 e premio di narrativa Colima con Guerra en el Paraíso, 1991), membro dell’Accademia Messicana della Lingua e della Reale Accademia Spagnola. E’ anche e soprattutto, un profondo studioso e conoscitore della realtà sociale e politica del suo paese, amante della storia e della tradizione orale indigena e acuto osservatore delle condizioni socio-economiche che scatenano i conflitti civili e armati.
Nominato dall’Ejercito Popular Revolucionario (EPR) mediatore insieme al vescovo Samuel Ruiz, all’avvocato e giornalista Miguel Ángel Granados Chapa, all’antropologo Gilberto López y Rivas e alla senatrice Rosario Ibarra de Piedra, nelle trattative per la riapparizione in vita di due militanti del gruppo armato, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio del 2007, Carlos Montemayor ci spiega la sua visione sulle origini dei conflitti sociali nel suo paese e più generalmente sull’uso strumentale che si fa del concetto di terrorismo, soprattutto a partire dall’11 settembre.
Alcuni dei temi trattati nella seguente intervista si possono approfondire nei suoi ultimi libri:
La guerrilla recurrente (Debate, 2007)
Los pueblos indios de México, (Deboslillo, 2008)
AM – Lei è stato invitato dall’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR) alla mediazione che lo stesso gruppo armato ha proposto al Governo messicano il 24 aprile scorso chiedendo la riapparizione con vita dei due militanti dell’organizzazione, scomparsi da Oaxaca nel mese di luglio del 2007. Come mediatore, come valuta l’atteggiamento del governo rispetto a questa negoziazione?
CM — Lo abbiamo già spiegato dettagliatamente nei documenti presentati il 14 agosto scorso. Gran parte delle operazioni intraprese dal Governo Federale per la ricerca dei due militanti dell’EPR scomparsi, non sono state incluse nelle informazioni fornite alla Commissione di Mediazione. Noi mediatori siamo venuti a conoscenza di queste operazioni direttamente dagli incontri che abbiamo avuto in molti settori della società messicana, sia a livello nazionale che regionale.
Quello che a noi è apparso molto chiaramente dopo la consegna dei primi documenti di analisi procedurale e politica il 13 giugno, è che i rappresentanti del Governo Federale hanno rifiutato di considerare come ingiunzioni al Governo le domande e analisi consegnate il 13 giugno. A partire da questa esplicita risposta negativa, la Commissione ha intensificato i suoi incontri, i suoi colloqui con gli ex militanti di organizzazioni come il PROCUP e l’EP, con i familiari degli scomparsi e in modo particolare con la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) e adesso possiamo dire che esistono elementi sufficienti per affermare che in alcuni ambienti della polizia e in alcuni ambienti politici e militari del Governo messicano esiste confusione sulle possibilità reali della Commissione di Mediazione. Questa confusione deriva dai tentativi che sono stati fatti per stabilire canali di comunicazione con l’ EPR fin dall’anno 2007.
Tanto l’esercito come il CISEN (Centro de Investigación y Seguridad Nacional) hanno cercato infatti di stabilire dei contatti sia tramite i familiari sia tramite pressioni agli ex militanti o ai familiari degli stessi militanti scomparsi. Questo, ha fatto sì che apparisse confusa l’immagine dello stesso Governo Federale nel processo di mediazione. Pertanto, dal 14 agosto scorso, abbiamo sospeso provvisoriamente la mediazione, in attesa della risposta sia dell’ l’EPR che del Governo Federale sulla loro volontà di continuare questo processo.
AM. — Il Governo, nel suo ultimo comunicato stampa del 14 agosto ha accettato definitivamente che si tratta di un caso di sparizione forzata, invece che di un caso di sequestro come è stato affrontato fin dall’inizio. Cosa significa e come agirà la Commissione di Mediazione davanti a quest’ ammissione di responsabilità?
CM. — Non ha nessuna rilevanza questo comunicato. Lo avevamo detto già innumerevoli volte, infatti, sia alla CNDH che all’avvocato che difende i poliziotti di Oaxaca che si trovavano in carcere preventivo, che la nota informativa del direttore del CISEN ci aveva informato che l’inchiesta o almeno uno dei capi d’accusa dell’inchiesta n. 047/2008, era per sparizione forzata di persona ai danni dei due militanti dell’EPR. Questa è soltanto un’ipotesi procedurale, non è una risoluzione giuridica e anche il comunicato del Governo chiarisce perfettamente che si tratta di un ipotesi procedurale e assolutamente non di una verità giuridica dal momento che non rappresenta una sentenza di un giudice.
Così che non sorprende e nemmeno aggiunge nulla, e certamente è una piccola cosa in confronto ai 39 punti della nostra relazione e dell’ annesso tecnico che fanno parte della documentazione presentata al Governo Federale e all’EPR il 14 agosto scorso. Non ha nessuna rilevanza e stiamo aspettando che rispondano, sia il Governo Federale che l’EPR.
AM — Le sparizioni forzate in Messico e più in generale in America Latina rappresentavano la “guerra sucia”. Lo Stato messicano continua dunque a far sparire persone? E come reagisce la società civile di fronte a questo?
CM.- Credo che le uniche conquiste ottenute nel paese contro la sparizione forzata di persone siano venute dalla società civile. Il Governo messicano ha firmato, ha sottoscritto accordi internazionali contro la sparizione forzata, tanto nel seno della OEA come nel seno dell’ ONU. Ciò nonostante non c’è stato nessun adattamento della legislazione nazionale per modificare o applicare istituzionalmente nella Procura della Repubblica o nelle aule dei tribunali questi accordi internazionali. Così che non si è registrato nessun progresso da parte del Governo messicano; non abbiamo avuto nessun punito, nessun processato, e l’impunità persiste ancora oggi, fin dalla guerra sucia. In Messico stiamo vivendo nel segno di un’impunità totale e gli unici cambiamenti che si avvertono vengono dalle organizzazioni civili. La società civile è quella che va avanti, lo Stato messicano è quello che resta indietro.
AM. — Nel suo libro pubblicato recentemente “La guerrilla recurrente” (Debate, 2007), (La guerriglia ricorrente) lei affronta il tema del conflitto politico, sociale e armato in Messico nei suoi differenti aspetti. Perchè “guerriglia ricorrente”?
CM. – Quello che spiego in questo libro, ed è provato, è che periodicamente si verifica un rinascere dei movimenti guerriglieri e che l’analisi ufficiale di questi movimenti è un’analisi errata e incompleta. Si confonde la ribellione popolare armata con i suoi membri propriamente armati, senza considerare nessun nesso con le condizioni sociali. Nella misura in cui in Messico la strategia di Stato pensa soltanto a sterminare fisicamente questi gruppi armati e non a modificare le condizioni sociali, allora in modo ricorrente queste condizioni sociali ritornano a favorire le ribellioni e in modo ricorrente il Governo messicano risponde con lo sterminio o con la distruzione di zone rurali e così momentaneamente i movimenti armati si soffocano ma ricompaiono tempo dopo. Questa periodicità si riferisce allora non soltanto ai sollevamenti della guerriglia ma anche alle strategie sbagliate adottate dal Governo messicano per controllarle.
AM. – Che caratteristiche ha e da dove nasce il movimento armato messicano?
CM — Da molteplici cause. In uno dei miei libri che si chiama “Los pueblos indios de México”, (I popoli indigeni del Messico), passo in rassegna i movimenti armati indigeni dagli anni della conquista fino ai nostri giorni. L’invasione territoriale, l’espropriazione di terre e la violenza istituzionale provocano malesseri sociali che gradualmente vanno aumentando, aumenta la violenza della reazione sociale e questi processi che si scatenano in modo ricorrente sono caratterizzati soprattutto dall’espropriazione di terre. Per esempio nello stato del Chiapas, nella seconda parte del XX secolo, ci fu un flusso migratorio molto importante verso Las Cañadas, nella zona selvatica della Lacandona. In quel momento il Messico aveva una legislazione che permetteva l’insediamento e il riconoscimento dei diritti agrari o dei diritti sui territori non colonizzati a quelle comunità che per ragioni di espansione demografica o che per altri motivi come lo spostamento dai loro territori originari, potevano favorire la riorganizzazione di insediamenti umani. Durante molti anni, sia per ragioni demografiche, che per la costruzione delle grandi centrali idroelettriche nel Chiapas, si ebbero spostamenti significativi di comunità. Il presidente Díaz Ordaz, prima di concludere il suo mandato, emise un decreto presidenziale nell’anno 1969, affinché si legalizzasse e si regolarizzasse la proprietà di terre a più di 40 comunità indigene. Questa fu una buona misura, pragmatica, utile, logica, sensata. Alcune di queste comunità erano insediate in quei territori già da 10, 15 o 20 anni e da tempo ne chiedevano la regolarizzazione, anzi, chiedevano anche maggiori concessioni di terra. Nonostante questo, il decreto presidenziale però non modificò la realtà locale perchè le stesse forze regionali impedirono che avesse effetto. Nel 1972 come se non bastasse, un altro presidente emise un nuovo decreto presidenziale che cancellò il precedente e in questo caso quello che stabilì fu che tutta la selva Lacandona apparteneva a 66 capifamiglia della zona, che dalla sera alla mattina pertanto si trasformano in proprietari e che dalla sera alla mattina trasformarono le comunità che erano insediate lì da 20 anni, in invasori. Stranamente nacque con questo decreto presidenziale, una compagnia forestale, la Compañia Forestal LacandonaS.A. che con prestiti ottenuti dallo stesso Stato messicano patteggiò con i “veri” 66 proprietari lo sfruttamento dei legni pregiati della selva ed ottenne da parte dell’esercito, la cacciata degli “invasori”, cioè delle comunità che da 20 anni stavano aspettando che fossero regolarizzate le loro terre. Questo esproprio di terre produsse la resistenza che si manifestò a partire dal 1972 e che andrà crescendo in quegli stessi luoghi dal 1994 ad oggi . L’ esproprio di terre possiamo dire che è anche all’origine del movimento insorgente di Chihuauhua, Madera, ed è quello che sta succedendo ora con la miniera canadese Minefinders, che sta sottraendo o che sta cercando di sottrarre terre ai contadini di Chihuahua.
Principalmente l’esproprio delle terre è stato il detonante dei movimenti armati in Messico, ma possiamo aggiungere che lo sono stati anche i comportamenti e le ingiustizie notevoli e ricorrenti contro le comunità. O è la sottrazione di terre, di campi coltivati e l’accaparramento di prodotti, o l’oppressione e l’aggressione dello Stato.
AM. – Così nel 1994 esplode il movimento zapatista. Ora sembra aver perso vigore. Ha ancora vigenza?
CM. — Sì, certamente. Non ha perso forza, ha acquistato forza. Quello che ha perso è l’attenzione dei mezzi di comunicazione. Quando gli zapatisti parlavano non li volevamo ascoltare, ma quando stanno zitti, nemmeno li vogliamo ascoltare ma ci domandiamo però perchè non parlano più. Non parlano più primo perchè non sono matti, che parlano quando nessuno li ascolta, secondo non parlano perchè adesso stanno agendo. La loro azione è la materializzazione degli accordi di San Andrés . Le Giunte di Buon Governo nei caracoles sono la risposta politica dello zapatismo alla mancata riforma della Costituzione messicana in materia di diritti delle popolazioni indigene.
Accordi che furono disattesi dal Governo messicano, ma che gli zapatisti già hanno imposto a La Realidad. Questa è una realtà di tutti i giorni, quotidiana; e questo è il consolidamento della struttura politica degli zapatisti. Quando la Commisione di Mediazione alla quale partecipo era in attesa della risposta del Governo Federale per dare inizio alla mediazione e quando la Commissione non aveva ancora iniziato i suoi colloqui, l’attenzione mediatica era estrema, quotidiana. Nel momento in cui la Commissione di Mediazione ricavò informazioni sufficienti da proporre al Governo Federale perchè potesse rispondere a quegli interrogativi specifici, in quel momento, non soltanto il Governo Federale si rifiutò di rispondere ma sparì tutto l’interesse mediatico per la Commissione di Mediazione. C’è un che di familiare in tutto questo.
AM. – Ha ancora ragione di essere la lotta armata nel secolo XXI° o secondo lei è sorpassata?
CM. — Se lo domandiamo agli afgani, ai palestinesi, agli iracheni, o a qualsiasi abitante delle zone conflittuali del Medio Oriente o dell’Estremo Oriente o dell’America diranno di sì. Io non credo che si tratti di considerare i movimenti armati popolari come attuali o sorpassati, ma di comprenderli per quello che sono, e cioè le risposte possibili e sociali a pressioni sociali ricorrenti e ingiuste.
AM. — Nel suo libro prospetta che “nei piani stutunitensi di sicurezza globale si sta cercando sempre più evidentemente di trasformare gli eserciti latinoamericani in proprie risorse nazionali”. Questo non sembra in contraddizione con il fatto che in America latina si sta vivendo una nuova identità caratterizzata da alcuni governi di sinistra o di centro sinistra?
CM. — Non tutti i governi lo sono. Ci sono governi accondiscendenti come quello del Messico in Centro America e anche in Sud America. Non sono la stessa cosa un Governo peruviano con l’attuale Governo boliviano o con l’ attuale Governo venezuelano. Dobbiamo fare chiarezza.
AM. — Con riferimento a quello che dicevamo prima della militarizzazione della regione, verso dove va il Messico?
CM. — Il Messico va verso la distruzione delle proprie forze militari per l’eccessivo impegno dell’esercito in compiti di polizia e di criminalità organizzata. Questo dà inizio a un processo di indebolimento imponente. Nel momento in cui l’esercito messicano sarà totalmente indebolito come sta avvenendo adesso con i corpi di polizia, allora il tema della sicurezza verrà deciso da istanze globali. La strutturazione degli eserciti latinoamericani come forza di complemento e di appoggio nella regione alla politica di controllo globale si fa ogni volta più evidente.
AM. — Quando Hugo Chávez propose all’inizio di quest’ anno il riconoscimento delle FARC come forza belligerante, lei scrisse in un editoriale che bisogna mettere sul tavolo nazionale e internazionale “ il parziale e opportunista concetto di terrorismo”. Che vuol dire con questo?
CM. — Che il terrorismo non è un termine oggettivo ma un termine soggettivo, parziale. Terrorismo è un concetto che si applica soprattutto alle lotte di resistenza sociale giustificate contro le invasioni di paesi o di territori o di occupazioni militari di territori. In questo senso il terrorismo non risponde a un’analisi o a una descrizione della realtà sociale e della realtà politica. Se analizziamo il terrorismo come lo intendono gli Stati Uniti attraverso le produzioni di Hollywood, questo si trasforma nell’associazione di persone malate di mente che vogliono controllare il mondo. In realtà i malati di mente che vogliono controllare il mondo fanno parte dei governi come quello di George Bush o delle multinazionali come la Exxon Mobil o Carlyle o della stessa Hollywood o Halliburton. Questo controllo del mondo provoca resistenze. Ai palestinesi hanno tolto i loro territori, li stanno massacrando, li stanno reprimendo, il minimo che ci si può aspettare dai palestinesi è che si difendano con le armi, gli iracheni li stanno ammazzando e li stanno occupando territorialmente e militarmente, il minimo che ci si può aspettare è che si difendano. Tutte queste resistenze sociali e mondiali vengono chiamate terrorismo. Perchè? Perchè è una forma di svalorizzare i motivi sociali che portano questi gruppi a prendere le armi.
AM. – Infine, le FARC, la guerriglia più antica in America latina. Come valuta il conflitto colombiano?
CM. — Il conflitto colombiano è uno dei processi più chiari di come si può complicare la vita sociale di un paese quando si immettono in processi di crisi sociale, strategie di correzione che poi vanno a produrre un caos maggiore e una polarizzazione sociale maggiore. E’ impressionante l’appoggio che hanno ricevuto tanto dal governo che dalle multinazionali le forze paramilitari. Ma è anche notevole l’appoggio e la penetrazione che è riuscito ad ottenere il crimine organizzato, il narcotraffico nella vita politica economica e sociale del paese. Ed è anche notevole la perdita territoriale che lo Stato colombiano ha avuto durante decenni sia per spostare e concentrare la violenza di paramilitari e guerriglieri che quella tra paramilitari e narcotrafficanti. Ma è anche notissima la subordinazione del governo colombiano alle necessità e alle ordinanze militari degli Stati Uniti. Le FARC sono una minima parte del complesso conflitto colombiano. La Colombia è un esempio di come non deve continuare ad essere l’America Latina.