“Iluminemos México” (illuminiamo il Messico) è stato lo slogan che ha identificato la marcia organizzata contro la delinquenza e l’inefficacia del governo a fronteggiarla e che si è svolta sabato 30 agosto a Città del Messico. Si calcola che vi abbiano partecipato circa 200 mila persone, forse più, ognuna delle quali portava una candela accesa per “illuminare” simbolicamente il baratro di violenza nel quale sembra essere precipitato il paese negli ultimi tempi.
Tuttavia questa manifestazione non esprime i desideri e il sentire di tutta la società messicana.
Questa marcia esprime soltanto il timore di una piccola porzione di essa che si sente minacciata dalla criminalità organizzata nei suoi affetti e nei suoi interessi.
Alla quale appartenevano per esempio il piccolo Fernando Martí, appena 14 anni, figlio dell’imprenditore Alejandro Martí, sequestrato e poi trovato morto il 1 agosto scorso dopo il pagamento di un riscatto di 5 milioni di pesos e Silvia Vargas Escalera di 19 anni, figlia del titolare della Commissione Nazionale dello Sport, sequestrata il 10 settembre del 2007 e di cui non si hanno più notizie da quella data.
Due nomi e due volti apparsi sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali per settimane e il dramma delle loro famiglie trasmesso in televisione per mesi.
Due storie che hanno provocato, giustamente, indignazione e rabbia nella gente che sono state raccolte dagli organizzatori della manifestazione, appoggiata tra gli altri anche dal gruppo di estrema destra del Yunque e sostenuta dal governo, dalla Chiesa e massicciamente dai mezzi di comunicazione nazionali.
Una marcia quindi anche e soprattutto con forte rilevanza politica, si chiede a Carlderón (e il Yunque da tempo lo fa) maggior sicurezza e maggior militarizzazione del paese, come se quella imponente già messa per le strade non fosse sufficiente. E tale richiesta va di pari passo con le istanze che di fatto tendono a polarizzare il paese: la penalizzazione dell’aborto (recentemente depenalizzato nel Distretto Federale), la privatizzazione della Pemex, la compagnia petrolifera del paese, la criminalizzazione della protesta sociale e l’applicazione di politiche neoliberiste che rappresenterebbero ulteriore miseria e povertà per milioni di messicani. Inoltre a tratti, gli slogan della marcia si sono dimostrati anche e soprattutto essere, slogan contro Manuel López Obrador, da più di mezzo paese considerato il presidente legittimo del Messico, che se pur ha perso qualche consenso, continua ad essere amato e rispettato.
Restano invece dimenticati da questa società, dalla Chiesa, dal governo e dai principali media i nomi dei 23 desaparecidos registrati dall’inizio del mandato di Felipe Calderón, in cima alla cui lista figurano quelli dei due integranti dell’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) Edmundo Reyes Amaya e Alberto Cruz Sánchez, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio del 2007 e quello di Francisco Paredes Ruiz, difensore dei diritti umani scomparso da Michoacán il 26 settembre del 2007 e per i quali nessuno è disposto a marciare.
Questa lista include soltanto nomi per i quali si sospetta unicamente un movente politico, per cui i casi di sparizioni forzate o sequestri indiscriminati (levantones) sarebbero molti di più, circa 600, come denuncia la rivista Proceso.
Purtoppo spesso le vittime dei levantones vengono poi ritrovate in qualche discarica decapitate o con il corpo squarciato e queste morti vengono associate a crimini legati al narcotraffico o alle delinquenza comune. Ma non è sempre così, nel mucchio dei numeri cadono anche giovani, leader di comunità contadine o indigene, innocenti cittadini o attivisti politici e sociali. I familiari delle persone scomparse, come accadeva negli anni della “guerra sucia”, hanno anche oggi paura a sporgere denuncia alle autorità i per timore che i nomi dei loro cari vengano gettati nel gran mucchio dei morti della guerra al narcotraffico di Felipe Claderón.
E quando invece vengono sporte le denunce i nomi vengono presto dimenticati dalle istituzioni, le quali si rifiutano o sono incapaci di fornire notizie di queste persone, e dai mezzi di comunicazione, che riservano il loro spazio a scomparsi di ben altra estrazione sociale. Nomi come quelli di Virginia e Daniela Ortiz Ramírez, 20 e 14 anni, indigene di etnia Triqui dello stato di Oaxaca, scomparse più di un anno fa. Tutto un’altro Messico, diverso da quello che ha sfilato sabato, da dimenticare in fretta e per il quale non vale la pena di marciare né di accendere candele, il Messico vittima dell’abuso di potere delle forze di polizia e di quella stessa militarizzazione che si chiede venga intensificata.
Importante, qui la risposta di Ramón Mantovani all’articolo di O.Ciai
Ci è andato pesante questa volta Omero Ciai contro Ramón Mantovani e Marco Consolo. Già ci aveva provato tempo fa.
Finge di non aver capito che le FARC, piaccia o no ad Álvaro Uribe, per anni hanno goduto e godono tutt’ora dell’appoggio di una larga parte della società civile e istituzionale di moltissimi paesi.
E che questo non vuol dire necessariamente, per chi lo fa, essere dei terroristi, né star sul punto di diventarlo, né essere complici di alcun crimine, né avere il passaporto pronto per andarsi ad arruolare nella guerriglia colombiana.
Vuol dire credere, piaccia o no ad Álvaro Uribe, che c’è chi pensa che in Colombia esiste una via diversa da quella della risoluzione armata del conflitto e che questa via passa necessariamente per il dialogo e attraverso contatti con le parti in causa, che possono probabilmente anche formalizzarsi in relazioni amichevoli e di lunga durata. Si lavora per la pace ed è questo un lavoro ampio e costruttivo che richiede diplomazia, coraggio, sforzo ed impegno costante, diversamente da quanto ne occorrono per sorvolare accampamenti e gettare bombe.
Ramón Mantovani e Marco Consolo avevano già esaurientemente spiegato e chiarito la loro posizione in una conferenza stampa, meno di un mese fa.
A Omero Ciai non è bastato. Ingrid Betancourt viaggia in Italia in questi giorni e lui ci tiene a far sapere al mondo intero che in Italia esistevano i complici dei suoi carcerieri.
Invece di reclamare e difendere la sovranità del nostro paese, accettando che vi possano essere differenti modi di valutare la realtà colombiana, Omero Ciai e chi per lui si piega agli interessi di una nazione che da decenni, fregandose sfrontatamente del diritto internazionale e di ogni rispetto per i diritti umani, esercita il potere con la violenza. Omero Ciai e la Repubblica permettono ai politici che ci stanno governando di esprimere ancora una volta la loro subordinazione sia agli interessi degli Stati Uniti che stanno ormai mondialmente estendendo la loro concezione di “terrorismo”, sia alle isterie del governo colombiano, che pur di distogliere gli occhi dal pantano maleodorante nel quale è invischiato crea oltreoceano campagne mondiali di criminalizzazione contro il loro “nemico interno”.
Omero Ciai ha permesso a Maurizio Gasparri, rappresentante della destra italiana attualmente al governo, di poter finalmente stamattina dire che bisogna indagare sui legami dei terroristi con i comunisti italiani e che “si impongono chiarimenti urgenti anche in considerazione della sicurezza interna nel nostro Paese, poiche’ le Farc sono dedite ai sequestri e al traffico di droga e sono considerate dall’Onu organizzazioni terroriste”.
Vale a dire che i comunisti rappresentano un rischio terroristico anche nel nostro paese.
Evviva la destra e i paramilitari di Uribe, i veri ed assodati narcotrafficanti a livello mondiale. Chissà se a Omero Ciai dice niente il nome di Salvatore Mancuso. Li abbiamo avuti in casa nostra, i paramilitari di Uribe, per anni abbiamo avuto infatti in Italia come rappresentanza diplomatica nel nostro paese della Colombia, personaggi inequivocabilmente legati al paramilitarismo, alla mafia politica e al crimine. L’attuale ambasciatore colombiano a Roma è indagato per aver comprato nel suo paese i voti di Yidis Medina che hanno permesso la seconda rielezione di Uribe. L’ex console a Milano, si trova in carcere in Colombia per vincoli con il paramilitarismo, ha messo in mano dei paramilitari liste di centinai a di persone “scomode” da eliminare.
Nessuno a casa nostra, a partire da Repubblica e dal solerte Omero Ciai, si è mai degnato di protestare con il governo Colombiano per l’abitudine ricorrente che ha avuto nel tempo di inviare nel nostro paese delinquenti e assassini come rappresentanza diplomatica. Nessuno ha avuto mai il coraggio di chiedere che venissero dichiarate persone non grate nel nostro paese. Álvaro Uribe sta chiedendo e sta ottenendo che in Europa vengano incriminate e criminalizzate tutte quelle voci che operano perchè in Colombia la pace venga raggiunta attraverso una via diversa da quella della guerra e Omero Ciai e la Repubblica gli prestano il megafono.
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Narciso Isa Conde se puede considerar como uno de los revolucionarios que han hecho la historia de su país, la República Dominicana y de toda América Latina por el aporte de su pensamiento y por su compromiso militante por una región libre de vínculos con el imperialismo de “los halcones” del Norte. Nacido en 1942, ya desde la adolescencia participó en la lucha contra el régimen de Trujillo. Luego llegò a ser Secretario General del Partido Comunista Dominicano.
Participó también en la revolución de Abril de 1965 y en la Guerra Patria contra la invasión de Estados Unidos.
Durante el régimen de Joaquín Balaguer sufrió cárceles, persecuciones y exilio.
Actualmente es parte de la presidencia colectiva de la Coordinadora Continental Bolivariana (CCB) junto al sociológo estadounidense Jaime Petras, el obispo Casaldáliga de Brasil y otros destacados politícos e intelectuales latinoamericanos.
Por este empeño revolucionario caracterizado por no haber nunca discriminado diferentes formas de lucha, incluida la lucha armada de las FARC, con las cuales “sostiene vínculos públicos de amistad y solidaridad de larga data” está sufriendo recientemente una campaña de mentiras montada desde el gobierno de Colombia.
Buscando noticias de él se encuentra que es tildado cómo: “ideólogo de las Farc”, ‚“agitador multicarta”, “alto dirigente de las FARC”, “expositor de las ponencias de las FARC”, “amigo del separatismo vasco”, “admirador de Marulanda” y por último Álvaro Uribe lo ha definido recientemente “líder terrorista”.
Lo encuentro en su casa de Santo Domingo, amable y cordial, no parece realmente un terrorista. En su país es respectado y conocido, hablando de él con la gente del pueblo se nota siempre encenderse una luz en los ojos de algunos, recordando el “revolucionario radical” que ha luchado por la libertad de su país.
A.M. — ¿Quien es Narciso Isa Conde en realidad?
N.I.C. — Yo soy un revolucionario radical en el sentido más profundo del término, porqué trato de ir a la raíz de los problemas, no por la estridencia del verbo ni tampoco por la modalidad o por la forma de lucha que se pueda emplear en un momento determinado.
A.M. — Narciso, tu eres un líder revolucionario en República Dominicana, ¿has participado en primera persona a la lucha por la libertad de tu país verdad?
N.I.C. — Inicié mi actividad politíca en clandestinidad contra Trujillo y luego fui parte de la insurgencia de Abril de 1965, después del golpe militar contra Juan Bosch. Participé en el levantamiento militar encabezado por los coroneles Fernández Domínguez y Francisco Caamaño y los militares constitucionalistas, en su conversión en una insurgencia popular militar cuando se produjo la alianza de patriotas militares y el pueblo armado.
Vivimos la invasión norteamericana y la masacre que esta invasión impuso, entonces también EEUU nos calumnió presentándonos dizque fusilando civiles en el Parque Independencia, acá en la ciudad de Santo Domingo; entonces yo aparecía en una lista de 56 terribles comunistas, era apenas un dirigente universitario, pero por los grandes medios de comunicación del imperio, incluyendo aviones que con bocinas potentísimas sobrevolaban la ciudad, mencionando mi nombre y los otros 55 describiéndonos como seres diabólicos…
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A.M. — Sin embargo, en ese momento determinado hay una profunda campaña de desprestigio contra tu persona y hasta circula la noticia que elementos de la inteligencia colombiana y del ejército cómo el general Mario Montoya han visitado tu país indagando sobre tus vincúlos con las Farc. ¿Está solamente el riesgo de una demanda judicial o algo más?
N.I.C. — Generalmente cuando se dan estas campañas, que tienen su centro en una especie de terrorismo mediático, que uno sabe perfectamente quien las instrumenta, que llegan desde el centro de los halcones de Washington, desde la Cia, desde las agencias norteamericanas, y especialmente en este caso también desde los organos de seguridad e inteligencia del régimen narcoparaterrorista de Álvaro Uribe, al que yo he enfrentado con toda responsabilidad, es claro que persigue la criminalización para facilitar procesos seudojudiciales y estimular el asesinato.
Se origina esa campaña porque siempre he considerado a las FARC como un movimiento politíco militar que tiene justa razón de ser.
Yo no puedo viajar a Colombia porqué hay planes de atentar contra mi vida a ser ejecutados por sicarios de la CIA y de la misma inteligencia colombiana, hay claras señales de eso y además el propio Uribe se lo comentó al expresidente dominicano Hipólito Mejía.
Por otros asuntos ya intentaron matarme en el pasado, hubo una trama criminal en mi contra en 1987 orquestada por la mafia cubana-americana de Miami en complicidad con el régimen de Balaguer, fue por mi lucha contra la impunidad del crimen de Estado, por haber tratado de reactivar las acusaciones contra los autores materiales e intelectuales del asesinato gran amigo y camarada, formidable periodista, miembro del Partido Comunista Dominicano, Orlando Martínez Howley; que fue asesinato por haber denuncia en los años 70 los vínculos existentes entre crimen y poder. Pasaron 25 años sin que se realizara el juicio por ese asesinato y nosotros mantuvimos el caso vivo, no solo desde el punto de vista judicial sino también politíco. Hemos logrado a principio de este año la condena a 30 años de prisión de los autores materiales del asesinato, pero faltan todavía los autores intelectuales.
A.M. ¿Tu crees que tiene sentido todavía la lucha armada de las FARC?
N.I.C. — Hay que considerar que en Colombia lucha armada tiene ya 60 años de vigencia, con 43 años de vida de las FARC. Yo creo que para que un movimiento político militar haya podido reunir miles y miles de combatientes, de milicianos, de simpatizantes durante una lucha tan difícil y tan larga, tienen que haber causas motivantes muy profundas.
En la historia de Colombia se ve que todo eso surge a raíz del inicio de la guerra sucia, por los años 50, y tiene mucho que ver con el asesinado de Gaitán y la matanza de 300 mil colombianos. Imagínate 300 mil personas en esa época, y así uno se da cuenta del nivel de violencia y del poder terrorista de ese Estado.
Desafortunadamente esa guerra sucia no se ha detenido, antes en muchos casos se ha profundizado. Y no se han superado tampoco las causas profundas de la desigualdad, de la exclusión, de la discriminación de los movimientos sociales.
Incluso se habla del tema de los secuestros, ¿que conflicto armado no ha tenido de alguna manera rehenes, prisioneros? En algunos casos se puede decir más justificados que en otros, pero la guerra no se gana a través de una alfombra rosada, las guerras son duras, las guerras son crueles.
A.M. — Eres uno de los presidentes de la Coordinadora Continental Bolivariana que aparece en unos medios de comunicación de America Latina como la fachada política de las FARC. Diferentes diarios, sobre todo los de Perú y de Colombia la acusan de tener vínculos con el terrorismo, en Perú más que todo es acusada por ser lugar de reactivación del MRTA. ¿Vedades o mentiras?
N.I.C. — Cómo se sabe la Coordinadora surgió hace cinco años a raíz de una acción muy audaz en la que participaron sobretodo jóvenes revolucionari@s de Venezuela, Colombia y Ecuador, en una especie de réplica de la Campaña Admirable del libertador Simón Bolívar, la marcha triunfal que hizo desde Cartagena de Indias hasta Caracas.
Así se lanzò la idea de construir la CCB, motivada por la necesidad de crear un espacio de confluencia del movimiento revolucionario en toda su diversidad, partidos de izquierda, movimientos sociales, organizaciones comunitarias, personas, intelectuales, artistas, movimientos de pueblos originarios… Todos coincidimos en la necesidad de unificar fuerzas, no solo en escala nacional, en cada país, sino continentalmente, para enfrentar una estrategia que también tiene caracter continental. Una estrategia politica, militar, económica, mediática… de los Estados Unidos y de sus fuerzas aliadas en la región.
Este es un un periodo que valoramos como un periodo de viraje luchas sociales y políticas, de ola de cambio, de ola progresista, de procesos avanzados, ya con la revolución bolivariana de Venezuela en marcha, con la Cuba que ha logrado resistir heroicamente, con el proceso avanzadisímo en Ecuador, con el triunfo de Evo Morales y su poder indígena emblemático, con la recuperación del gobierno sandinista en Nicaragua, con el triunfo del obispo Lugo en Paraguay, con los piqueteros y cortadores de rutas, con los grandes combates sociales urbanos y rurales, con las inderrotables insurgencias colombiana y mexicana…
Toda esa diversidad de lucha necesita también una unidad de actores. La Coordinadora surge con la idea incluyente de no discriminar a nadie por forma de lucha, eso es lo que determina que las FARC, o que los movimientos con pasado insurgente o con presente insurgente, formen parte también de la Coordinadora.
En la presidencia colectiva desde el inicio participan figuras como el Obispo Casaldáliga de Brasil, como la de Manuel Marulanda de las FARC y de Víctor Polay líder del MRTA de Perú, como la cantautora Lilia Vera y todo lo que fue su rol en la lucha de la Venezuela de los años 60/70… poetas, secretarios generales de partidos comunistas, partidos que están desarrollando su lucha en la legalidad, que están participando en procesos electorales… como están también los Fogoneros de Uruguay, como está el PCML de Brasil y otros partidos marxistas junto a una serie de movimientos sociales.
Entre los temas asumidos por la CCB está el de la solidaridad con los presos políticos, porqué así como han sido consecuentes los camaradas cubanos en la defensa de sus cinco patriotas, así nosotros, solidarios con ellos, también tenemos que tener en cuenta la terrible situación de una cantidad enorme de presos politicos de los movimientos revolucionarios, de los movimientos sociales y políticos del continente y del mundo.
Otro gran tema es la nociva presencia militar directa de Estados Unidos que aparece muy débilmente tratado en la agenda de una parte importante de la izquierda latinoamericana y por eso hemos lanzado la campaña de “ni un soldado yankee en nuestra América”.
Estamos en un continente colonizado y recolonizado económicamente en la manera más brutal y además encima sufriendo los efectos de una estrategia militar de los Estados Unidos, con una fuerte presencia de bases militares, de operaciones militares, de maniobras, verdaderamente impresionantes. Ese desafío de la Coordinadora es el de dejar de ser pasivos frente esas realidades dramáticas, ser izquierda de verdad, entendiendo la izquierda cómo una diversidad, pero entendiéndola además como una necesidad en términos de ser profundamente revolucionaria, contestataria, transformadora.
A.M. — Desde la computadora de Raúl Reyes salió que tu estabas metido en la mediación entre Correa y las FARC por la liberación de Ingrid Betancourt. ¿Qué pasó realmente?
N.I.C. — Eso es un invento. Mi papel respecto en Ecuador estuvo relacionado con el II Congreso de la CCB. Los compañeros depositaron en mí y en el camarada Amilcar Figueroa la confianza para iniciar en ese país los contactos que posibilitaran la realización de ese congreso, procurando sensibilizar a los actores del proceso ecuatoriano. Eso incluyó un gran número de intercambios con fuerzas políticas y sociales del Ecuador.
Por la posición delicada de ese proceso frente a la oligarquía y al imperialismo consideramos obligado comunicarle al gobierno ecuatoriano nuestro propósito y con esos fines solicitamos una entrevista con Gustavo Larrea, el Ministro de Gobernación. El nos recibió y entonces le dijimos con toda claridad que la Coordinadora era una organización que no tenía vínculos de Estado y que en consecuencia no le estabamos pidiendo un compromiso de gobierno, pero si necesitamos contar con su aprobación puesto que no queríamos hacer un congreso desafiando la autoridad ecuatoriana o incomunicándole algo de su competencia, y el contestò que entendía perfectamente el asunto y que no tenía ninguna objeción a que se realizara un evento asì en Ecuador.
Aconteció que mientras se realizaba nuestro evento se estaba desarrollando entre las Farc y entre los gobiernos ecuadorianos, venezolanos y el francés un nuevo proceso dirigido a lograr la libertad Ingrid Beatncourt y algunos otros rehenes. Eso explica el porqué el campamento móvil de Raúl Reyes estaba en ese momento cerca de la frontera y en territorio del Ecuador. Imagino que Raúl pensó que Uribe no iba a sabotear el pro ceso en un territorio de otro Estado. Ya había informaciones que las negociaciones para esa liberación estaban avanzadas.
Luego, ya concluido el Congreso de la CCB, fue cuando recibimos la infausta noticia del bombardeo del acampamento. En ese proceso yo no tuve nada que ver, ni estuve previamente enterado del mismo.
A.M. — ¿Y entonces cuáles son tus verdaderos vínculos con FARC?
N.I.C. — Mis vínculos con FARC son públicos y yo cada vez que he tenido una entrevista con sus dirigentes la he dado a conocer. Fui en el Caguán cómo testigo de la apertura del proceso de paz, que más tarde se obstruyó por la presión norteamericana sobre el régimen de Pastrana. Evidentemente el gobierno de Estados Unidos ya estaba contemplando la perspectiva de victoria de Uribe, que era mejor garantía por una política mucho más dura.
Yo si participé poco tiempo después en una gestión por la liberación de Ingrid Betancourt desde aquí, Santo Domingo, y eso tuvo que ver con mi viaje al Caguán. Creo que esos niveles de relaciones siempre hay que darlos a conocer a nuestra sociedad; y por eso entonces yo preparé un reportaje para el periódico Hoy, un diario muy importante de la Republica Dominicana, que publicò una página completa donde yo aparecì en una foto con Marulanda y donde redactaba mi viaje al Caguán y mi estadía en los campamentos de las FARC.
Eso fue en 2001, después de esa publicación vino en mi casa un periodista francés y un diplomático francés y el diplomático francés es el ex esposo de Ingrid Betancourt. El Estado francés estaba muy interesado a la liberación de Ingrid y él me pidió hacerle llegar un mensaje a FARC y servir de intermediario para una señal de vida de Ingrid, que era lo que ellos necesitaban como paso previo a cualquier acuerdo mayor.
El ex esposo de Ingrid me explicó los niveles de hostilidad de Uribe, como se manejaba este señor con la familia y la desconfianza que ellos tenían en él. El gobierno francés estaba en disposición de tratar bilaterlamente con las FARC, hasta reconocer a las FARC cómo fuerza beligerante y hasta tratar cualquier tema relacionado con su situación.
Yo hice la gestión, llegò el mensaje, los dirigentes de las FARC dieron las pruebas de vida y salud de Ingrid, aceptaron el proceso y se avanzó significativamente camino a producir la liberación, pero tan pronto se enteraron y pudieron hacerlo, Uribe y el ejército bloquearon esa posibilidad.
A.M. — Siempre has sido muy solidario con la revolución bolivariana de Venezuela
y con el presidente Chávez, ¿Qué opinas de las recientes declaraciones del él y de Fidel Castro sobre la guerrilla y la lucha armada?
N.I.C. — Lo de Chávez fue un viraje fuerte, sorpresivo, desconcertante. Lo peor para mí fue decir que la lucha armada no tiene ya ninguna vigencia. Como explicar entonces que él mismo, se alzó en armas.
Porque Chávez no se levantò con una florcita, el se levantò con fusiles y eso fue lo que entonces aplaudimos. Lo aplaudimos y lo defendimos en el momento en que que ese gesto trascendente estaba siendo estigmatizado, en el momento en sus protagonistas eran calificados mendazmente de golpistas.
Creemos que se necesita reciprocidad en todo esto y ninguna razón de Estado debe dar lugar al reconocimiento de la verdad. Si en Colombia hay lucha armada con tal nivel y tantos años de existencia, es por que esta tiene razón de ser y pertinencia.
En Venezuela evidentemente ha predominado la decisión de recomponer las relaciones entre Uribe y Chávez, entre ambos gobierno y ambos estados; y para facilitar ese paso se ha incurrido en dos grandes errores: exaltar la amistad con el régimen narcoparamilitar terrorista de Uribe, desagraviándolo por todas las verdades que el propio Chávez le dijo y reclamar la desmovilización de las FARC como algo saludable para paz y la democracia y necesario para una la relación de buena vecindad con el país hermano. Y algo peor criticar la lucha armada, intentar deslegitimar la guerra de todo el pueblo y el despliegue de todas las formas de lucha cuando el gobierno colombiano asume una línea guerrerista y EEUU amenaza con su Cuarta Flota.
Eso equivale afilar cuchillo contra la garganta de la revolución bolivariana y contribuye a afianzar un Estado que esta pretendiendo jugar en esta región el papel que juega Israel en el Medio Oriente. Y la verdad es que si se comienza a ceder un dedo en ese terreno, luego te piden el brazo y finalmente la cabeza.
Las declaraciones de Fidel Castro y la posición de Cuba frente a Colombia van evidentemente en la misma dirección, aunque ciertamente trató con más cuidado el tema de las armas cuando afirmó: “yo no le estoy pidiéndole a nadie deponer las armas”.
Pero ese posicionamiento de liderazgos tan influyentes en el continente, más que afectar a la insurgencia colombiana acostumbrada a situaciones difíciles, golpea sobretodo la posibilidad inmediata de un cambio democrático en ese país; cambio que estaba madurando a consecuencia de la descomposición del régimen de Uribe y los avances hacia una plataforma común de todas las fuerzas progresistas se le oponen.
A.M. — ¿Crees que hay salida de la situación colombiana?
N.I.C. — Yo creo que el régimen de Uribe imposibilita un proceso de dialogo y de acuerdo. Me parece que hay evidencias muy claras de eso, o sea no se trata simplemente de Uribe sino todo lo que él representa.
Lo que hay que producir en Colombia es una confluencia entre las fuerzas políticas civiles y militares alternativas, las fuerzas políticas, la insurgencia armada, los movimientos sociales politizados… con una propuesta de gobierno soberano, democrático y participativo que posibilite abrir la mesa de diálogo sobre el tema de la violencia para encontrar rutas de paz y bienestar.
En Colombia estaban creciendo y pueden volver a crecer las fuerzas que plantean la renuncia de Uribe, como los movimientos que existieron en America del Sur, Ecuador, Argentina, Bolivia…se trata de sacarlo de la presidencia por ilegitimo, por usurpador , por criminal y corrupto, se trata de lograr otra composición gubernamental.
Tanto el ELN como las FARC han demostrado que están a disposición de ser parte se un proyecto con esas características y de una salida política al conflicto armado. Pero un proceso de ese tipo necesita de garantías y condiciones imposibles de alcanzar en el contexto de un gobierno como el de Uribe y por la vía de la desmovilización de la insurgencia armada e frente él. Eso equivale al suicidio colectivo.
Yo le doy la razón a Marulanda: recuerdo que así me lo planteó en una conversación personal que tuvimos cuando fui al Caguán. Él decia: “yo no voy a desbaratar a cambio de nada o poco, no voy a desmontar una construcción historíca de 40 años, un ejército popular, en una mesa de negociación”.
Ese fuerza armada irregular tiene que ser un componente de la salida política como lo intentó ser el FMLN en El Salvador antes de entregar armas, cuando planteó que se le reconociera en el aspecto militar y solo se le consideró limitadamente para el caso de la nido policía civil, con las consecuencias negativas que conocemos.
Hay que aprender de todas las experiencias de paz negociada. Las FARC tienen la ventaja de haber sobrevivido y crecido para poder ponderarlas mejor, amén de tener fuerza considerable y logística propia para resistir.
Hay que darle rienda suelta a la imaginación, pero yo creo que las armas en mano de las FARC en cualquier acuerdo serían una garantía para ellos y para una buena parte de la sociedad civil.
De inmediato hay que contribuir a una política de humanización del conflicto y la humanización del conflicto tiene un capitúlo que se llama canje humanitario de prisioneros, y canje implica intercambio de prisioneros de ambas partes. No se debe hablar de la crueldad de la retención de prisioneros en las montañas y silenciar la enorme crueldad de un régimen que desquartiza gente, que tortura gente, que siembra el país de cadáveres. Entre esos presos que tiene las FARC los hay paramilitares y motosierreistas, torturadores, narcotraficantes, verdaderos criminales. Las FARC han intentado muchas veces el canje y ha dado muchos gestos positivos en esa dirección, yo estuve invitado a aquel canje, cuando liberaron más de trescientos militares, y me negaron la visa.
A.M. — ¿E Ingrid Betancourt?
N.I.C. — Está claro que Ingrid Betancourt es una candidata de Francia, no de Colombia, y que es parte del proyecto francés para América Latina. Ella hizo una alabanza a Uribe y al general genocida Montoya que nunca debió salir de sus labios, aunque luego se tornó más opositora. Y la diferencia de posturas entre ella y su familia, más allá del origen oligárquico común, es que mientras ella está actuando con su proyecto político en la cabeza y con Sarkozy en la presidencia de Francia por obra y gracia de la CIA, su familia actúa con sus sentimientos y con el dolor que le ha provocado el cinismo de Uribe.
Poche città mi rapiscono come e quanto riesce a fare Città del Messico. E questo avviene fin da quando, in aereo, pochi minuti prima dell’ atterraggio, ti si manifesta in tutta la sua imponenza e appare all’improvviso smisurata. “El monstruo”, la chiamano. Ed in parte lo è, un mostro. Arrivando di notte, appare all’improvviso, un mostro di luci, che sembrano non avere fine e che si spengono pian piano, con lentezza, solo lungo le pendici dei cerros che la circondano.
Una città che mi entusiasma e che mi fa sorridere, che mi commuove e mi intriga ad ogni passo. La osservo dagli infiniti angoli che offre e godo dei suoi colori e delle sue contraddizioni, della sua viva umanità con la sua capacità di resistere, con il suo orgoglio, la fierezza e la dignità.
È magica una città che riesce ad offrire continui spunti di riflessione al visitatore, sul senso della storia, sul destino dei vinti, sul ruolo e il peso dei vincitori nelle generazioni a venire.
Che sa rimettere in gioco e mescola continuamente, i concetti eterni di giustizia e di ingiustizia, di passato, di presente e di futuro, di sogno e di realtà.
Che sa sfidare sfrontatamente facendolo tuttavia senza rabbia né malizia, quasi senza averne consapevolezza, miti antichi e tradizioni consolidate, potere e religione con l’ingenuità di quella rebeldía naturale che qui ancora sopravvive e che, si esprime e si manifesta quotidianamente per le strade di quella che è una delle metropoli piu‘grandi del mondo. E che va di pari passo con lucha e resistencia, concetti che qui sono parte imprenscindibile del bagaglio umano ma anche del vissuto quotidiano di milioni di persone.
Non è mai avara questa città con gli altri, si offre completamente, ostentando orgogliosamente la sua storia e il suo passato, splendida negli scorci isolati e silenziosi, nei passagi moderni e caotici, negli angoli chiassosi e tipici. Spettacolare nelle sue espressioni architettoniche ora ostentate, ora più nascoste e segrete, che appaiono agli occhi più attenti e sensibili come vere preziosità incastonate tra dettagli di culture differenti, particolari unici per i quali ogni palazzo, ogni angolo, ogni patio, ogni balcone sono capaci di trasformarla in un vero e proprio museo a cielo aperto che affascina continuamente.
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P.S. Ma forse tutto ciò ha a che vedere più in generale con quanto sto costruendo in Messico in questo ultimo anno e quanto mi sta offrendo questo paese.
¡Te quiero México! e dopo aver passato il pomeriggio con i narcocorridos dei vicini a palla, finamente mañana ….Real de Catorce y Cerro del Quemado… desierto… 2750 mt.