Foto tratta da Yosmary
Raggiunto nel fine settimana al telefono da chi scrive, Iván Cepeda, che ho avuto occasione di intervistare qualche settimana fa, promotore della marcia del 6 marzo in Colombia contro i crimini di Stato e del paramilitarismo, conferma che l’iniziativa, nonostante sia stata portata avanti in un clima di aperta ostilità e tra le continue minacce da parte del governo e dei paramilitari, è stata un successo. Sono state realizzate manifestazioni in circa 100 città del mondo, tra le quali quelle italiane di Roma e Torino.
A Roma, è stato organizzato un sit-in in piazza Campo dei Fiori
(Foto Annalisa Melandri)
da alcuni movimenti tra cui l’associazione A Sud, il comitato Carlos Fonseca, i colombiani in Italia del Polo Democratico Alternativo e le associazioni Narni per la Pace e Colombia Vive che appoggiano da anni le Comunità di Pace colombiane. Sono stati distribuiti volantini e materiale informativo. Colombia Vive ha affisso uno striscione con le foto delle vittime della violenza.
A Torino, con il sostegno di Amnesty è stato realizzato un punto di informazione aperto tutta la giornata dove si è distribuito del materiale e dove erano affisse le foto delle vittime dei crimini di Stato.
In Colombia si sono svolte iniziative in circa 20 regioni diverse registrando un’affluenza di circa trecentomila persone.
Iván tuttavia mi conferma che le minacce agli organizzatori da parte dei paramilitari non sono cessate e stanno continuando anche in questi giorni. Come potrebbe essere altrimenti, la marcia, infatti, lungi dall’essere stata soltanto la “otra marcha” come era stata definita, in risposta alla mobilitazione governativa del 4 febbraio contro i sequestri e le FARC, è stata un momento di aggregazione e di lotta civile della cui importanza probabilmente non si parlato abbastanza.
Immediatamente dopo la marcia è stato convocato il IV Incontro del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato per i giorni 6/7/8 Marzo nella città di Bogotà, al quale hanno partecipato i sopravvissuti al genocidio dei gruppi politici e dei movimenti sociali, i rappresentanti delle comunità afro discendenti, contadine ed indigene, i rappresentati degli smobilitati ed esiliati, praticamente ogni settore della società colombiana che ha dovuto in forma diversa confrontarsi con la violenza di Stato.
Dichiarazioni pesanti e denunce gravi sono scaturite dal documento conclusivo dell’incontro, sul ruolo dello Stato, sui suoi legami con il paramilitarismo, sulla necessità del processo di pace.
Il paramilitarismo non è stato affatto smantellato, anzi continua ad essere ben presente e radicato sul territorio. “La realtà della smobilitazione” riporta il documento “è che soltanto 55 di questi criminali sono in carcere, si assiste quindi alla più grande operazione di impunità del nostro tempo”. Il Movimento conferma l’esistenza di un “conflitto sociale, politico e armato in Colombia, che affligge il paese da più di 40 anni e che deve essere risolto a partire dalle sua cause strutturali”. Pertanto si conferma la necessità “di una soluzione politica negoziata del conflitto, l’impulso ad accordi umanitari e lo scambio di prigionieri”.
Viene riconosciuto il lavoro politico della senatrice Piedad Córdoba e la mediazione del presidente del Venezuela Hugo Chávez che hanno condotto a risultati concreti con la liberazione di 7 ostaggi nelle mani della guerriglia.
Viene proposta inoltre la realizzazione di due grandi conferenze nazionali, una su “terre e territori” per la discussione di una vera riforma agraria, della restituzione di terre usurpate alle comunità rurali e indigene dai paramilitari, dalle multinazionali e dai narcotrafficanti e per la protezione delle coltivazioni dei popoli originari, nonché una conferenza nazionale sulla “democrazia e contro il genocidio” per discutere di impunità, di costruzione di democrazia, di diritti civili e umani.
Questa è la grande Colombia civile e democratica, spesso dimenticata alle nostre latitudini, che ha manifestato il 6 marzo e alla quale idealmente e non solo, siamo vicini
Pubblico il seguente articolo di Gian Antonio Stella, apparso sul Corriere della Sera del 12 marzo, perchè vorrei tanto ricordargli che mentre lui canta a Ingrid Betancourt, in Colombia si continua a morire per una guerra civile che né il suo commovente appello e nemmeno le canzonette di Guccini (“Ingrid noi ti aspettiamo / e vicini ci avrai, / libertà non avremo / finché tu non l’avrai”) potranno nascondere.
Gian Antonio Stella si è indignato perchè Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione Comunista in un suo articolo apparso su Liberazione qualche giorno fa, ha lungamente raccontato la sua amicizia personale e politica con Raúl Reyes senza accennare minimamente a Ingrid Betancourt.
Evidentemente Mantovani non lo ha ritenuto necessario. E questo ormai è diventato inaccettabile. Secondo la mentalità eurocentrica e neocoloniale dei nostri media , per esempio Il Corriere della Sera e La Repubblica, la Colombia esiste perchè laggiù in qualche anfratto della selva esiste e sopravvive la francese Ingrid Betancourt. E’ diventato d’obbligo, e Stella non ne è da meno, che qualsiasi accenno storico, politico e sociale della situazione colombiana debba includere almeno un accenno pietoso alla sua vicenda, la pietas occidentale contro la barbarie indigena. Riescono i nostri giornalisti a scrivere di Colombia commuovendosi ogni tanto per i colombiani?
Forse sfugge che quest’atteggiamento paradossalmente potrebbe allungare i tempi della prigionia di Ingrid. Forse sfugge che se l’Europa si ostina a considerare la guerriglia colombiana come una barbarie indigena fatta di terrorismo e narcotraffico, la Betancourt in quella selva potrebbe rimanerci altri sei anni o addirittura lasciarci la pelle.
Mentre da una parte si compiange e ci si commuove, giustamente, per Ingrid, dall’altra l’Europa con il suo atteggiamento politicamente irresponsabile verso la guerriglia colombiana nell’inserirla su editto di Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche, di fatto chiude a doppia mandata il lucchetto intorno alle catene della Betancourt.
segue:
L’elegia smemorata del compagno Ramon
di Gian Antonio Stella — dal Corriere della Sera del 12 marzo 2008
Ci vuole del fegato per scrivere un’articolessa di 1.567 parole su un
comandante della guerriglia colombiana senza nominare mai (mai: mai!)
Ingrid Betancourt, la candidata alle presidenziali da oltre sei anni
ostaggio delle Farc. Convinto che, come ha letto nei fumetti o visto
al cinema, la rivoluzione non sia un pranzo di gala, Ramon Mantovani,
c’è riuscito. E in occasione della morte di Raul Reyes, ucciso dai
reparti speciali di Bogotà in un campo in territorio ecuadoregno, ha
scritto su Liberazione giorni fa una lunghissima orazione funebre
restando accuratamente alla larga da ogni tema, ogni citazione, ogni
virgola, che potessero stonare nell’affettuoso omaggio.
C’è chi dirà come il deputato rifondarolo, che dieci anni fa portò in
Italia il capo del Pkk Abdullah Ocalan creando un indimenticabile
incidente diplomatico, che non è giusto liquidare le Forze Armate
Rivoluzionarie della Colombia come dei luridi narcotrafficanti. Che
forse l’accusa alle Farc di essere grazie alla droga «la prima
impresa di Colombia, con un giro d’affari che nel 1999 venne stimato
in 2 milioni di dollari al giorno» (accusa ripresa da Maurizio
Stefanini nel libro I nomi del male) è forzata. Può darsi. Come può
darsi che vadano prese con le pinze le accuse a Pedro Antonio Marin,
il famigerato «Tirofijo» (tiro preciso) che si diede alla macchia col
suo gruppo di guerriglieri tra il 1948 e il 1949.
Che le cose in Sudamerica siano complicate è vero. E se sei decenni
non sono bastati a un esercito dai modi spicci come quello
colombiano ad aver ragione di un po’ di truppe in armi asserragliate
nella giungla, è evidente che «Tirofijo» e i suoi non sono poi così
isolati dalla popolazione.
Un conto è riconoscere questo, però, un altro è sviolinare come fa il
sub-comandante Ramon una commossa melodia «‘n zacco rivoluzzionaria»
per un leader di una guerra sporca che ha fatto del sequestro di
persona, anche di gente che non c’entra nulla (come i quattro turisti
rapiti un paio di mesi fa in una località balneare: «prigionieri di
guerra») una scelta scellerata e sistematica. Un conto è appoggiare
il processo di pacificazione e un altro addossare il suo fallimento
solo ed esclusivamente al «mafioso Uribe». Un conto avere cristiana
pietà per i morti, e sono stati davvero troppi in quel mattatoio
tropicale, un altro ricordare solo i «propri» e infischiarsene dei
lutti inflitti agli altri: «Non ho mai sopportato il vizio
eurocentrico e provinciale di storcere il naso per le durezze della
guerra in Colombia, per la sua indiscutibile disumanità». Riga dopo
riga, emozione dopo emozione, singhiozzo dopo singhiozzo, Mantovani
trabocca di dolore. Meno che per Ingrid Betancourt. Ignorata.
Disprezzata. Violentata da un silenzio assordante. Come se perfino
lui, el companero Ramon, sapesse che lei è il simbolo del tradimento
della «revolucion romantica». E che quella prigionia lunga sei anni
di una donna annientata, affamata, ridotta a uno straccio, fa così
schifo da rendere insopportabile rutto il resto.
Come canta Francesco Guccini: «Ingrid noi ti aspettiamo / e vicini ci
avrai, / libertà non avremo / finché tu non l’avrai».
Le politiche neoliberali in America latina portate avanti fino a questo momento attraverso le istituzioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale si sono dimostrate essere, in questa regione, più che altro una “guerra economica contro la maggioranza della popolazione”.[1]
Questa ha cioè sperimentato sulla propria pelle la scellerata politica economica per cui per esempio i diritti nazionali sulle enormi risorse dei vari stati sono stati completamente svenduti alle multinazionali straniere e agli investitori del nord.
L’Europa non ha giocato in tal senso un ruolo meno rilevante di quello degli Stati Uniti in questo gioco al saccheggio, anche se con peculiarità e caratteristiche che a prima vista potrebbero far pensare a un approccio di tipo molto diverso. “L’Unione Europea sta cercando di firmare con i governi latinoamericani accordi che comprendono capitoli di libero commercio e investimenti simili. A differenza degli Stati Uniti, l’UE ha presentato i suoi obiettivi di libero commercio all’interno di un ambito più ampio di cooperazione e per tanto gli “accordi di associazione” che l’UE sta negoziando con i distinti blocchi regionali in America latina includono capitoli sulla cooperazione e lo sviluppo e hanno un approccio di coesione sociale e dialogo politico”[2].
Praticamente un neoliberismo dal volto umano, l’economia dura e pura affiancata da elementi di cooperazione e progetti di sviluppo. Purtroppo le differenze dal neoliberismo versione statunitense non sono poi molte e i risultati praticamente gli stessi. Nel maggio del 2006 organizzazioni della società civile di alcuni paesi latinoamericani hanno presentato al Tribunale Permanente dei Popoli denunce gravissime contro i risultati devastanti delle politiche di investimento delle multinazionali europee in alcuni paesi latinoamericani.
In questo contesto, mentre parte dell’America latina da un lato cerca di liberarsi dai vecchi legami con le strutture finanziare internazionali che hanno causato il collasso economico di alcune delle principali economie locali (come fu nel caso nel caso argentino), svincolandosi dal FMI e dalla Banca Mondiale, contemporaneamente vengono portati avanti accordi commerciali con l’Unione Europea, che differiscono ben poco da quanto proposto dai grandi centri economico-finanziari legati agli stati Uniti: liberalizzazione del commercio internazionale, privatizzazioni, investimenti protetti da parte di multinazionali straniere, passando quindi di fatto dal “consenso di Washington” al “consenso di Vienna”.
A Vienna infatti, nel maggio del 2006, fu tenuto il quarto vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e dell’America Latina e dei Caraibi dove vennero gettate le basi di questo nuovo programma economico.
Le trattative intraprese allora tra l’Unione Europea e l’America latina e i Caraibi si concluderanno nel maggio prossimo a Lima in occasione del quinto vertice dei governi europei e latinoamericani con la firma e il perfezionamento di alcuni trattati di libero commercio.
Questi vengono descritti nel documento “Europa Globale – in competizione nel mondo” redatto e pubblicato nell’ottobre del 2006 dalla Commissione di Commercio dell’Unione Europea, come “nuovi TLC (Trattati di Libero Commercio) sviluppati dalla competitività …che si propongono di raggiungere il più alto grado possibile di liberalizzazione del commercio, includendo la liberalizzazione di lunga portata per servizi e investimenti”.[3]
E’ in questo contesto, caratterizzato dall’aggressività neoliberale sempre maggiore dell’Unione Europea verso i mercati latinoamericani e tenendo ben presenti queste premesse, che si costituisce Enlazando Alternativas, una rete bicontinentale che manifesta la resistenza della società civile europea e latinoamericana al “progetto europeo” espresso così chiaramente nel documento Europa Globale, alle multinazionali e alle politiche in generale di libero commercio.
Si tratta di un vero e proprio esperimento di democrazia partecipativa che si caratterizza però per la sinergia e l’azione espressa attraverso due continenti così diversi e lontani. Uno spazio politico di azione e riflessione dove la società civile reagisce in maniera costruttiva e propositiva verso la società economica e finanziaria la quale, nella migliore delle ipotesi opera non conoscendo la realtà nella quale si muove, nella peggiore deliberatamente ignora esigenze collettive, ambientali, diritti umani, giustizia sociale e autodeterminazione dei popoli.
La rete è costituita da una moltitudine di attori differenti: dalle ONG, ai sindacati, dalle organizzazioni indigene e contadine, da partiti politici, da associazioni ecologiste così come da singoli individui sia latinoamericani che europei.
Enlazando Alternativas è nata formalmente a Gudalajara nel 2004, in occasione del terzo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Praticamente un “contro vertice” dal basso, che si è definito meglio e ha preso forma e struttura in tutta una serie di incontri successivi avvenuti a livello mondiale soprattutto in concomitanza degli incontri governativi e istituzionali.
Nel maggio 2006 mentre a Vienna si teneva il quarto vertice dei capi di stato europei e latinoamericani, Enlazando Alternativas 2 (EA2), alla quale aderirono più di 200 organizzazioni civili di ambedue i continenti, concretizzava e stabiliva le linee chiave da contrapporre alle politiche neoliberali oggetto del vertice governativo.
Queste consistono principalmente in un deciso NO agli accordi di libero commercio tra l’Unione Europea e l’America latina e i Caraibi, l’abolizione del debito estero con l’Unione Europea, la condanna alla repressione dei migranti, il NO alla privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici all’interno dell’Unione Europea, il rafforzamento dell’unità dei movimenti sociali di ambedue i continenti per l’attuazione del progetto comune di “un altro mondo possibile”.
E’ stato dato inoltre ampio risalto alle iniziative economiche regionali basate sull’integrazione e sulla costruzione di alternative come l’ALBA (Alternativa Bolivariana per l’America Latina e i Caraibi) o il TCP (Trattato di Libero Commercio dei Popoli) proposto dalla Bolivia, nonché del MERCOSUR.
Inoltre con il Tribunale Permanente dei Popoli è stata avviata una sezione specifica del Tribunale per le “Politiche Neoliberali e delle Multinazionali Europee in America latina e Caraibi”. dove sono state esposte le violazioni dei diritti umani ed ambientali commesse da più di 25 multinazionali europee (tra le quali Repsol YPF, Suez, Shell) e loro succursali in tutta la regione .[4]
Attualmente la rete sta preparando il suo terzo appuntamento, Enlazando Alternativas 3 (EA3) che si terrà a Lima nel maggio di quest’anno in concomitanza del quinto vertice dei capi di Stato di ambedue i continenti.
Si preannuncia un appuntamento importante, soprattutto per la sede scelta, il Perù, uno dei paesi latinoamericani più aderenti alle politiche economiche neoliberali, uno dei meno tolleranti verso le domande sociali e con una lunga tradizione di criminalizzazione della protesta.
In questo contesto Enlazando Alternativas, si somma alla campagna nazionale che si sta attualmente portando avanti nel paese andino per dichiarare l’incostituzionalità degli undici decreti legislativi emessi lo scorso anno, che con l’intento di criminalizzare e reprimere ulteriormente le proteste sociali, danno ampi poteri alla polizia, tra i quali quello che consente agli agenti di non essere giudicati per l’uso delle armi da fuoco nelle manifestazioni pubbliche. Appena un mese fa, infatti, durante lo sciopero Nazionale Agrario cinque manifestanti sono stati uccisi a sangue freddo dalla polizia. Agli impegni classici di Enlazando Alternativas, e cioè quelli in difesa del territorio, della sovranità economica e di autodeteminazione dei popoli, si aggiunge pertanto quello più importante e difficile, e cioè la salvaguardia dei diritti dell’uomo, primo fra tutti quello alla vita. Non solo economia, ambiente e sviluppo sostenibile quindi, ma anche rispetto dei diritti umani, è su queste basi che si organizza la solidarietà internazionale tra i movimenti sociali e la società civile dei due continenti.
[1] La critica del neoliberalismo – Luis Javier Garrido introduzione a: La Società Globale di N. Chomsky – H. Dieterich
[2] Roelien Knotterus – Acuerdos de Asociación UE-ALC: NEOLIBERISMO Estilo Europeo –Del Consenso de Washington al Consenso de Viena. pag. 6
[3] Commissione Europea, 2006:11
[4] per i casi documentati di violazioni delle multinazionali europee in America latina e Caraibi consultare il sito www.peoplesdialogue.org
In un paese civile, la candidatura alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di Robero Fiore, leader di Forza Nuova, sarebbe una cosa INACCETTABILE.
Ma non siamo un paese civile e in Italia molte cose sono possibili…il paese dei Balocchi esiste, eccome se esiste…
L’isola che non c’è invece non la troveremo mai…
P.S.. Si obietta che siccome siamo in democrazia, la candidatura di Fiore è legittima. Ricordo che essere in democrazia non vuol dire che tutto è permesso. Purtroppo nella nostra democrazia accade questo. La Costituzione Italiana è antifascista, nata dal rifiuto di quella dittatura e proibisce la costituzione del partito fascista. Invece in Italia si gioca con le parole…e si prende in giro la storia…
Forza Nuova e Roberto Fiore SONO INCOSTITUZIONALI.
Mi hanno appena raccontato che in una parrocchia di Monteverde Nuovo, precisamente quella di Nostra Signora di Coromoto ai Colli Portuesi, il nuovo parroco, Don Giuliani, stamattina ha celebrato la messa in latino per i bambini che si stanno preparando per ricevere la Prima Comunione.
Immagino che sia stata una funzione particolarmente interessante per tutti i bambini e per le loro famiglie.…
Ci rivolgiamo a voi in quanto donne di associazioni per la Pace e per i Diritti Umani, chiedendo il vostro intervento solidale per la situazione delle donne mapuche, appartenenti a un popolo di cultura millenaria che abita il sud del Cile e dell’Argentina ancor prima dell’arrivo degli spagnoli.
Consideriamo la loro situazione drammatica. Molte sono in carcere, perseguitate, minacciate, torturate e criminalizzate perché lottano contro la repressione inflitta dal governo cileno al loro popolo, chiedono la fine dell’occupazione militare delle loro Comunità e il diritto ad una vita degna nella propria Madre Terra.
Il popolo mapuche lotta contro l’etnocidio occultato dal silenzio dei media nazionali e internazionali in tacito accordo con le multinazionali forestali, idroelettriche, minerarie e del salmone.
Queste multinazionali, la maggior parte provenienti dall’Europa e dagli USA, hanno come alleati i governi cileni di turno, che permettono loro nei territori mapuche il saccheggio delle risorse naturali e la devastazione delle terre in nome del profitto, l’arricchimento di pochi e la povertà per molti.
Chiediamo solidarietà con queste donne, aiuto nell’abbattere il muro di silenzio che le circonda e fare conoscere la verità.
Siamo fermamente convinte che la solidarietà delle donne d’Europa e d’Italia, donne di paesi democratici, possa spingere il Governo cileno, il cui presidente é una donna, verso il rispetto dei Diritti Umani e degli Indigeni.
Oggi, questo governo “democratico”, vive con la “costituzione fascista” ereditata dal dittatore Pinochet e non esita a sparare contro i mapuche con le mitragliette UZI, usate anche in Irak. A gennaio di quest’anno i carabineros hanno ucciso uno studente mapuche, Matias Catrileo.
Questo governo non esita nemmeno ad usare le leggi antiterrorismo (create da Pinochet) contro le Comunità indigene mapuche nella IX Regione dell’Araucanía. Questo governo criminalizza la lotta sociale, la difesa dei diritti umani, e le giuste rivendicazioni sulle terre usurpate.
Patricia Troncoso, in carcere ha sostenuto fino al 30 gennaio 2008 un ennesimo sciopero della fame di 112 giorni. Rivendicava la libertà per lei e tutti i sui compagni, agevolazioni carcerarie, fine della persecuzione e della militarizzazione delle Comunità Mapuche.
Juana Calfunao, autorità mapuche, sostenitrice dei Diritti Umani e madre di quattro figli, anche lei in carcere così come quasi tutti i suoi familiari. Ha attuato lo sciopero della fame perché il marito aveva urgente bisogno di un intervento chirurgico e in carcere non concedevano prestazioni mediche.
Prima del processo, per anni fu perseguitata, nel 2005 fu maltrattata dai carabineros al punto di farla abortire. I carabineros hanno incendito anche la sua casa e tra le fiamme è morto un anziano zio. Waikilaf Cadin, suo figlio, studente di giurisprudenza, è stato incarcerato per più di un anno, e durante la detenzione torturato (comunicato diffuso da Amnesty-Cile). Anche lui attuò lo sciopero della fame. In dicembre scorso fu scarcerato, ma poi nuovamente arrestato.
Luisa Calfunao sorella di Juana, madre di quattro figli, in carcere anche lei da quattro mesi incatenata al letto dell’infermeria, è accusata di aver distrutto i documenti processuali.
Mirella Figueroa Araneda, vive in clandestinità, dopo avere auto un processo farsa,..
Miriam Reyes, avvocato, difensora dei prigionieri mapuche, perseguitata, minacciata (2004/05)
Daniela Ñancupil, bambina di 12 anni, perseguitata, molestata, minacciata, ferita da spari, tentativi di sequestro per impedirle la denuncia. (2001)
Le donne Mapuche pehuenche en Ralco, alla testa nella difesa del territorio dove la multinazionale Endesa costruì una centrale idroelettrica
María Huenchún, Sara Lefimil (Gorbea); Teresa Quilencheo (Pitrufquén), nella lotta contro le discariche con oltre 11.500 tonnellate di rifiuti mensili nella regione. a qualche metro dalle loro abitazioni.….
Ci sono tante donne mapuche che vengono perseguitate, sarebbe lungo nominarle tutte,..
Come ci sono anche tante donne, madri, mogli, figlie, sorelle delle prigioniere e dei prigionieri politici mapuche, che vengono quotidianamente offese nella loro dignità, discriminate,.…
_____________________________________________________________
Documentiamo le nostre denunce con alcune fotografie, sull’accanimento contro le donne mapuche.
Con la speranza che la nostra richiesta abbia un riscontro, alleghiamo l’appello da spedire alle autorità indicate con copia alle organizzazioni internazionali ONU e dell’Unione Europea,
Invitiamo chi desidera esprimere la propria indignazione e la propria solidarietà ad inviare una e-mail indirizzata:
Per conoscenza a:
Sr. Rodolfo Stavenhagen, Relatore Speciale dei Diritti Umani e delle Libertà fondamentali per gli Indigeni.
Ufficio dell’ Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, OHCHR,
Nazioni Unite , 1211 Ginevra 10, Svizzera.
Tel: +41 (0) 22– 9179413 / Fax: +41 (0) 22 9179008
Per esprimere la vostra solidarietà e per informazioni potete rivolgervi a:
fac– simile mail da inviare a:
S.E. Presidente del Cile,
Sra. Michelle Bachelet
tramite
l’Ambasciatore del Cile in Italia,
Sr. Gabriel Valdés S.
ci rivolgiamo a Lei per la grave e ingiusta situazione dei prigionieri politici mapuche, in particolare delle donne, detenute nelle carceri del sud del Cile.
Sappiamo dalle immagini, dalle notizie e dalle inchieste di Organismi internazionali quali la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, Human Rights Watch, il Relatore Speciale sulle libertà fondamentali e i diritti degli indigeni, Rodolfo Stavenhagen, il Comitato Diritti Economici e Sociali (DESC) dell’ONU, Amnesty International, la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e il Comitato dei Diritti Umani dell’ONU, che queste persone sono vittime delle violenze poliziesche, di processi artefatti e subiscono la violazione dei diritti umani.
Le nostre Associazioni si rivolgono a Lei, al suo senso di giustizia e di umanità, affinché, in consonanza con le raccomandazioni degli Organismi internazionali sopra citati, molte delle quali sono vincolanti per lo Stato cileno, intervenga per la scarcerazione dei prigionieri politici mapuche, iniziando dai più deboli: donne e malati e si provveda alla revisione degli illegali processi che li hanno condannati.
Con rispetto.
Sottoscrivono;
Osservatorio per la Pace del Comune di Capannori, Lucca Presidente Leana Quillici
Marcela Quillici, assistente sociale
Armida Bandoni, Lucca
Veronica Fabbri, musicista, Forli
Valentina Fabbri, mediatrice interculturale, Forli
Associazione Wenuykan Amicizia col Popolo Mapuche, Como Presidente Violeta Valenzuela
Fonte: Argenpress - por Langer
La crisi delle Ande ha monopolizzato il XX vertice dei capi di stato del Gruppo di Río che è iniziato oggi a Santo Domingo nella Repubblica Dominicana.
Se ne sono sentite di tutti i colori:
- Chávez ha detto che ha le prove in vita di altri sei sequestrati dalle FARC.
- Correa ha chiesto a Uribe di impegnarsi a non aggredire più un paese latinoamericano e gli ha chiesto le sue scuse.
- Uribe ha accettato e ha chiesto scusa a Correa.
- Uribe ha deciso di ritirare la denuncia presentata alla Corte Penale Internzionale contro Chávez per appoggio alle FARC.
- Uribe ha dato la mano a Ortega e hanno deciso che le loro divergenze in materia di acque territoriali verranno discusse con la mediazione del Gruppo del Río (visto che funziona…).
- Uribe ha ammesso di non aver informato Correa delle operazioni militari che hanno portato alla morte di Raúl Reyes ed ha ammesso che gli elicotteri colombiani hanno violato il territorio ecuadoriano.
- Uribe ha però anche confermato le accuse rivolte al governo ecuadoriano di avere legami con la guerriglia delle FARC e che queste avrebbero anche finanziato la campagna elettorale di Correa
- Correa ha risposto che sono tutte bugie.
- Ortega ristabilisce le relazioni diplomatiche con Colombia.
Il presidente della Repubblica Dominicana Leonel Fernández alla fine è riuscito a stappare prima la stretta di mano e poi l’abbraccio.
La crisi sembra essere rientrata…per ora…
11 Gennaio 2007
Los presidentes de Venezuela, Hugo Chavez; Bolivia, Evo Morales; Ecuador, Rafael Correa; Colombia, Alvaro Uribe y el Príncipe de España Felipe de Borbon, en la posesión de Daniel Ortega presidente de Nicaragua.
Intervista esclusiva a Iván Cepeda, promotore della marcia del 6 marzo in solidarietà alle vittime della parapolitica e dei crimini di Stato in Colombia.
di Annalisa Melandri
Iván Cepeda è il figlio di Manuel Cepeda, che fu senatore dell’ Unidad Patriótica quando venne ucciso da membri delle Forze Militari di Stato in accordo con le Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) il 9 agosto 1994. Egli stava indagando sul “Plan Golpe de Gracia”, il piano organizzato dai vertici militari colombiani per assassinare i leader del Partito Comunista Colombiano e della Unidad Patriotica e annientare così le forze di sinistra del paese. Lo stesso Carlos Castaño ha ammesso nel suo libro Mi confesión, la sua partecipazione all’omicidio di Manuel Cepeda. Iván Cepeda, è ora presidente della Fondazione Manuel Cepeda e portavoce del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato (MOVICE).
A.M - Signor Iván Cepeda, lei è uno degli organizzatori della marcia del 6 di marzo in Colombia, un omaggio alle vittime del paramilitarismo, della parapolitica e dei crimini di Stato. Quali sono le motivazioni di questa iniziativa?
I.C.- In Colombia ci sono milioni di sfollati, 15.000 o più desaparecidos e ancora di più morti, vittime dell’esercito e dei paramilitari. Tutti i loro familiari non hanno nessun aiuto da parte dello Stato, sono circondati dal silenzio sociale e da quello delle autorità. Per questo bisogna lottare affinché si conosca la verità, contro l’impunità e per trovare una via di uscita dal conflitto sociale del paese.
A.M. — Quali e quante adesioni ha raccolto fino a questo momento la marcia?
I.C. – Siamo riusciti ad organizzare iniziative in 80 città del mondo e a raccogliere le adesioni di moltissime personalità e organizzazioni internazionali, tra le quali quella della Commissione Etica per la Verità nei Crimini di Lesa Umanità, quella della Confederazione Sindacale Internazionale, che riunisce i sindacati di circa 150 paesi, quella della Federazione Internazionale dei Diritti Umani e quella dell’intellettuale statunitense Noam Chomsky tra le altre. In Colombia abbiamo realizzato eventi in 20 città e parteciperanno alla marcia la Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT) , il Partito Liberale, alcuni settori del Partito Conservatore e il Polo Democratico Alternativo. Parteciperanno inoltre gli ultimi ostaggi liberati dalle FARC in questi giorni e le associazioni dei familiari dei sequestrati.
A.M. — La marcia del 4 febbraio contro le FARC ebbe l’appoggio del governo colombiano e così riuscì ad ottenere una partecipazione a livello mondiale all’evento. Voi avete avuto lo stesso appoggio delle istituzioni a questa marcia in omaggio alle vittime del paramilitarismo?
I.C. – Il 4 febbraio ci fu un appoggio totale nel senso di chiamare a raccolta tutti i cittadini per partecipare a quella iniziativa in tutto il mondo tramite le ambasciate colombiane. Invece il 6 marzo, per mezzo del portavoce del governo, José Obdulio Gaviria siamo stati attaccati preventivamente, accusati di essere amici delle FARC, in seguito siamo stati minacciati e un’organizzatrice è stata anche vittima di un attentato.
A.M. – Iván la morte di suo padre fu una prova che lo Stato era coinvolto nel Plan Golpe de Gracia sul quale stava investigando. Noi in Italia abbiamo una lunga storia di terrorismo di Stato. Cosa si può dire del terrorismo di Stato nel suo paese?
I.C. – Noi consideriamo che “terrorismo” sia un termine inappropriato. Non descrive bene quello che è successo. In Colombia lo Stato ha una lunga tradizione di pratiche criminali con lo scopo di neutralizzare i settori dell’opposizione per mezzo dei paramilitari mentre settori dello Stato hanno sviluppato una vera e propria pratica politica criminale.
A.M. – Come è continuata la sua vita dopo la morte di suo padre? E come riesce a rapportarsi con le autorità del suo paese?
I.C. — Sono il presidente della Fondazione Manuel Cepeda e portavoce del Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato (MOVICE), le relazioni con il governo sono difficili nonostante con alcuni funzionari ci siano relazioni di dialogo a livello per lo più personale, ma in generale con il governo vige un clima di polemica permanente.
A.M. – Suo padre prima di essere stato ucciso era stato accusato di essere un leader della guerriglia dai mezzi di comunicazione. Ora il consigliere di Uribe José Obdulio Gaviria annuncia che il governo non parteciperà alla marcia perchè è organizzata dalla FARC . Sembra che nulla sia cambiato in Colombia…
I.C. — Il governo ha commesso un grave errore. Una delle organizzatrici della marcia, la leader Adriana Gonzáles è uscita illesa da un attentato contro di lei a Pereira. Lei è anche la Segretaria Generale del Comitato Permanente dei Diritti Umani nel dipartimento di Risaralda. Alcuni sicari hanno sparato dei colpi di arma da fuoco contro la porta della sua abitazione. Ha ricevuto inoltre minacce di morte anche Guillermo Castaño, presidente dello stesso Comitato. Noi pensiamo che il consigliere José Obdulio Gaviria con le sue dichiarazioni abbia messo a rischio le nostre vite.
A.M. – Come procede in Colombia il processo di smobilitazione dei paramilitari iniziato nel 2003?
I.C. – Il processo è stato parziale e non trasparente e i militari sono ancora operanti nel territorio colombiano. Sono riusciti a controllare circa il 30 il Congresso e ed avere alleati e uomini in tutte le istituzioni.
A.M. – I giorni scorsi le FARC hanno liberato altri 4 parlamentari grazie alla mediazione del presidente del Venezuela Hugo Chávez e alla senatrice Piedad Córdoba. Adesso con la morte di Raúl Reyes si teme che possa arrestarsi il processo di scambio umanitario. Che ne pensa?
I.C. – La mediazione è uno sforzo necessario e utile da qualsiasi parte venga. Con l’assassinio di Raúl Reyes si è creata una situazione di crisi molto difficile. L’opinione pubblica è divisa, ci sono coloro che appoggiano la soluzione militare di Uribe e coloro che chiedono accordi di pace, in questo senso non c’è omogeneità nel popolo colombiano. Bisogna fare in modo che la guerra non si internazionalizzi nella regione. Bisogna aspettare per vedere come si svilupperà la situazione e compiere tutti gli sforzi possibili per ottenere l’unica via d’uscita accettabile al conflitto sociale che non è quella dell’opzione militare. Noi siamo per lo scambio umanitario e per gli accordi di pace.