Ahora es por la dignidad…

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Bacio le mani.…

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Prostituzione, criminalità, disagio giovanile… I blog sono solo la punta dell’iceberg…Questo e molto di più ovviamente da Bruno Vespa..

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22 Febbraio 2008
 
Stasera su Porta a Porta è stata fatta disinformazione a livelli tanto gravi da chiuderne la trasmissione se avessimo uno stato culturalmente preparato.
- Si è associato il disagio giovanile con Internet.
- Si è parlato di blog come qualcosa di folle che fanno solo i ragazzini.
- E’ stato affermato più volte e da più ospiti che i blog sono scritti da ragazzi affetti da problemi di personalità multipla.
- Che i blog e le perversioni sessuali sono strettamente collegati.
- E’ stato fatto intendere che le ragazze che hanno un blog sono al primo passo verso la prositutizione.
- Hanno equiparato myspace a un luogo di esibizionisti con gravi problemi (facendo vedere la pagina della presunta assassina Amanda Knox), ma poi qualcuno ha affermato che myspace è un sito “legale”… Come dire che gli altri non lo sono…
- Il padre del presunto assassino ha detto che lui aveva la password del blog e tutti, dal padre a Vespa, hanno continuato a intendere che solo grazie alla password si può entrare in un blog.
- Uno dal pubblico per screditare un’informazione citata da un ospite ha detto “Non so dove avrà trovato questa notizia, è falsa, l’avrà trovata su Internet…”
- Il presentatore che va in onda tutti i giorni su milioni di teleschermi si interrogava su quale perversione mentale poteva spingere tutti questi ragazzi ad esporsi e a volersi far vedere a tutti i costi.
- Che non capisce tutta questa voglia di protagonismo.
…e molto altro.
Sono nauseato.
 
 

Io sono María Eugenia! In Argentina figlia di desaparecidos denuncia i suoi “genitori adottivi”.

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E’ iniziato martedì 19 febbraio a Buenos Aires il processo contro i   due genitori adottivi e il capitano dell’Esercito in ritiro Enrique Berthier accusati di aver sottratto María Eugenia Sampallo Barragán ai suoi veri genitori e  di aver annullato la sua vera identità.
Si tratta  del primo processo nel quale una figlia di desaparecidos sequestrata dal regime militare argentino  denuncia i suoi genitori adottivi.
I veri genitori di María  Barragán, militanti del Partito Comunista Marxista Leninista,  furono sequestrati nel 1977, insieme al loro bambino di appena tre anni che successivamente fu consegnato al nonno paterno. La  donna era incinta  di sei mesi e partorì María in  un centro clandestino di detenzione, la bimba tre mesi  dopo il parto fu consegnata ad una  nuova famiglia adottiva.
Dei  veri genitori di María non se ne è saputo più nulla e fanno ormai  parte  della lunga lista di trentamila persone scomparse in Argentina tra il 1976 e il 1983 durante il periodo della dittatura militare.
Nel 2001 la ragazza, oggi trentenne, per mezzo dell’esame del DNA ha potuto accertare  la sua vera identità e dare seguito alla denuncia che ha portato a questo processo che la vedrà coinvolta come testimone. E’ la prima nipote recuperata dall’Associazione Abuelas de Plaza de Mayo.
“Loro credevano di essere dei salvatori. Pensano che quello che hanno fatto fu giusto” ha detto María Eugenia. “La condanna a chi si è  appropriato  di un bambino non è accettata socialmente. Credo che abbia  a  che fare  con qualcosa di più generale che riguarda il fatto su chi siano le persone più adatte  e quelle meno  a crescere un bambino. In ogni momento e anche adesso potrebbero togliere i bambini ai poveri perchè ci sono altre classi sociali che possono crescerli meglio. Nel ’70 erano i militanti che non avevano i mezzi per crescere i loro figli. E la Giustizia, quando tratta un caso di sequestro di bambini durante la dittatura non lo fa come se fosse un caso grave,  ma come se stesse trattando un caso di furto di automobili” denuncia inoltre.
Per la coppia che ha adottato la bambina e per il militare sono stati richiesti 15 anni di carcere, il medico che ha redatto  il falso certificato di nascita invece è già deceduto da tempo.
Berthier nega di aver sequestrato e ceduto bambini e la coppia ha rifiutato qualsiasi dichiarazione ma un testimone ha dichiarato che in una occasione la madre adottiva avrebbe detto a María: “Se non fossi per me ti troveresti in una fossa, mocciosa capricciosa, dovevi essere figlia di una guerrigliera per essere così ribelle…”
AGGIORNAMENTO:
Il 4 aprile 2008 è stata emessa la sentenza con la quale sono stati condannati a 8 e 7 anni “los apropriadores”, i falsi genitori  Osvaldo Arturo Rivas e María Cristina Gómez e a  10 anni  l’ex capitano Enrique José Berthier.
Ascolta qui “Nel nome del popolo argentino…” la puntata del 5 aprile di  Inviato Speciale di Cecilia Rinaldini.

La rinuncia di Fidel: rassegna stampa

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Tutti i giornali questa mattina hanno riportato inevitabilmente la notizia delle “dimissioni” di Fidel Castro.
E’ interessante una panoramica su come hanno trattato la notizia.:
 
Il Corriere della Sera
Castro lascia dopo 50 anni. Gli Usa: l’embargo resta, ora servono libere elezioni.
L’editoriale è di Franco Venturini dal titolo: Il dittatore e il mito.
All’interno articoli di Claudio Magris dall’Avana (Qui all’Avana strana normalità) , di Rocco Cotroneo da Rio de Janeiro (Castro: lascio per sempre il potere) , e di Paolo Valentino, corrispondente da Washington (Gli Usa chiedono democrazia “per adesso l’embargo resta”).
Alessandra Coppola invece intervista lo scrittore Leonardo Padura Fuentes a Lisbona per presentare il suo ultimo libro.
Interessante l’intervista a Rossana Rossanda di Maurizio Caprara (Di comunismo sapeva poco. E snobbò il 68)
C’è anche un articolo di Aldo Cazzullo sul “mito Castro”: Da Calvino alla Carrà, i pellegrini della rivoluzione.
Luigi Accattoli intervista l’ex portavoce vaticano Navarro Walls sulla visita del Papa nel 1998 a Cuba
 
L’Unità
Fidel: non sarò più il Lider Maximo
con articolo in apertura di Maurizio Chierici: La successione. Corsa a 5 legata al voto americano.
Brutta la vignetta di Staino. Si legge : Il popolo cubano apprende la dolorosa notizia che Fidel non si ricandida, e ci sono una ventina di personaggi (donne, uomini, bambini, anziani) che invece appaiono visibilmente contenti e sorridenti.
All’interno un articolo di Leonardo Sacchetti: Il ritiro di Fidel. Castro lascia dopo 49 anni e la corrispondenza da New York di  Roberto Rezzo : Stati Uniti-Cuba, un braccio di ferro lungo mezzo secolo.
Castro, dittatore o mito del Novecento invece si chiede Umberto De Giovannangeli
Le opinioni:
L’esperienza cubana ha esaurito la sua spinta progressiva di Massimo Cacciari
Rifarsi all’esperienza cubana non vuol dire essere malati di nostalgia di Marco Rizzo
L’isola soffre di mancanza di libertà. Avrebbe dovuto lasciare 10–20 anni fa di Mario Capanna
Il regime a Cuba sarebbe dovuto cadere insieme al Muro di Berlino di Umberto Ranieri
Inoltre una biografia di Fidel Castro sempre a cura di Maurizio Chierici
 
La Stampa
Tramonta Castro dopo mezzo secolo sul trono di Cuba
Nuova America Latina – Sogmno rivoluzionario e isola anacronistica di Arrigo Levi
Il Racconto da Miami di Carlo Rossella : “Madre de Dios Fidel renuncia” Hasta la fiesta siempre Nei bar di Miami l’odio più forte della nostalgia.
Mimmo Cándito invece fa un profilo del personaggio: Mezzo secolo al potere. Il comandante dice basta .
Il retroscena è di Jacopo Iacoboni : Quando D’Alema fricchettone sfilava in parata all’Avana , la revolución e la politica di casa nostra.
 
Liberazione
Come sarà Cuba dopo Fidel?
Angela Nocioni da Rio de Janeiro : Il dopo Fidel sarà con Fidel.
Mentre Massimo Cavallini dagli Stati Uniti analizza la notizia in relazione alla campagna presidenziale americana mentre osserva che a Miami “si afferma una gemnerazione di espatriati meno ansiosa di rancorose rivincite”. Che sarà dell’embargo e del rapporto con gli Usa?
Aldo Garzia: Nel segno di Raul, qualcosa cambierà presto. Sbagliano coloro che pensano a un avvicendamento monarchico, Raul non avrà lo stesso potere del fratello ma redistribuirà cariche e imprimerà una svolta politica, forse “copiando” in miniatura il modello cinese.
 
Il Manifesto
La foto in prima pagina è di un Fidel che appare un po’ sconsolato mentre tiene in mano una bandierina. “El buen retiro” il titolo.
Fidel Castro va in pensione. A 81 anni il “lider maximo” annuncia il ritiro dalla scena politica, dopo la malattia che lo aveva colpito nel luglio del 2006. I poteri –per il momento — al fratello Raul. Inizia una difficile transizione. Si chiude un’epoca — tra scelte coraggiose e grandi limiti — che ha cambiato Cuba e ne ha fatto una protagonista della scena mondiale. Ma una cosa non cambia: Bush conferma l’embargo.
In prima pagina e segue all’interno Maurizio Matteuzzi: Fidel, meglio così.
Inoltre articoli di Senel Paez( Buongiorno cubani), di  Alberto D’Argenzio da Bruxelles (Gli Usa  inflessibili: l’embargo resta), di Sara Menafra da Miami (gli esuli a Miami: con Raul cambia poco ci vorrebbe la mano Usa), di Geraldina Colotti (Evo, Hugo, Rafael: i presidenti dell’Alba eredi del lider maximo).
Alessandra Riccio è a Miami e scrive: Fdel Castro ha detto basta, mentre segnaliamo l’articolo di Gianni Minà: Ritiro vincente. E Cuba è già nel suo futuro
 
La Repubblica
Castro, addio al potere. “Mai più comandante”. Bush : ora democrazia, l’embargo resta.
L’editoriale è di Bernardo Valli: l’autunno di Fidel.
Mentre Vittorio Zucconi fa il paragone tra l’annuncio di Fidel Castro e quello di Lyndon Johnson del 1968 in un articolo dal titolo: il lungo assedio del Golia Usa .
All’interno un lungo articolo di Mauricio Vicent da l’Avana dal titolo : Castro, addio al potere. “Mai più lider maximo”.
Arturo Zampaglione da New York: Bush: “Ora elezioni libere ma l’embargo deve restare”
Il reportage da Miami invece è affidato ad Alberto Flores D’Arcais : Ai cubani di Miami non basta: “Cambia poco”.
Omero Ciai parla di economia: il piano di Raul: salvare l’economia. Per garantirsi la sopravvivenza il fratello del lìder punta su riforme pragmatiche.
Omero Ciai intervista anche Vladimiro Roca, figlio di un eroe della Rivoluzione e guida dei dissidenti dell’Avana.
Sebastiano Messina analizza l’impatto della notizia sulla sinistra italiana: Diliberto e Giordano divisi sull’eredità.
 
Il Riformista
Il Riformista affianca in prima pagina due articoli, distinguendoli in castristi e dissidenti.
Quello castrista è affidato a Diletta Varlese (Leaderini in corsa per il dopo Lider) con un’intervista a Sergio Marinoni presidente nazionale dell’associazione Italia-Cuba.
Quello dei dissidenti invece è scritto da Rossana Miranda, giornalista venezuelana autrice di Chávez, il caudillo Pop, che intervista l’onnipresente Vladimiro Roca.

Soldato delle idee.

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Messico: La criminalizzazione della protesta sociale

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La democrazia messicana, dopo le ultime elezioni presidenziali del 2 luglio 2006, vinte per una manciata di voti e in modo poco chiaro da Felipe Calderón Hinojosa, del PAN (Partito di Azione Nazionale) attualmente  poggia le sue fragilissime  basi proprio su questo contestatissimo e assolutamente poco trasparente processo elettorale che ha lasciato il paese nel dubbio se considerare o meno l’attuale presidente legittimo o espurio (illegittimo).
Qualunque sia la legittimità o meno della presidenza di Felipe Calderón,  attualmente il Messico è ben lontano dal poter essere considerato una  democrazia.
Segnato da questa debolezza originaria, l’attuale governo ha rafforzato il suo potere e il consenso intorno al suo mandato, avvalendosi dell’appoggio incondizionato delle Forze Armate.
La nomina di Francisco Ramirez Acuña come ministro degli Interni, ne è la dimostrazione.
Sul suo capo pendono infatti circa  640 denunce per tortura e il suo operato quando era  governatore dello stato di Jalisco,  ha all’attivo centinaia di casi di sparizioni forzate, abuso dell’uso della forza e torture.
Tristemente famoso per la brutale  repressione dei manifestanti che protestavano contro il vertice euroamericano del  2004,  dove centinaia di giovani furono arrestati arbitrariamente, furono picchiati e subirono violenze di ogni tipo dai reparti di polizia che eseguivano i suoi ordini.
Il Messico sta lentamente tornando così al clima della guerra sucia che ha caratterizzato gli anni ‘70.
La Limeddh (Lega Messicana dei Diritti Umani) denuncia in un lungo e dettagliato informe dal titolo: — Criminalizzazione della protesta sociale, una vecchia nuova  grande sfida del campo dei diritti umani -, che “i metodi oggi sono più sofisticati ma la sostanza  è la stessa, reprimere sistematicamente le proteste sociali utilizzando tutti i metodi a disposizione. Ogni volta si fa sempre più difficile dimostrare le violazioni dei diritti umani dal momento che per metterle in pratica  si ricorre alla scienza e alla tecnica; la criminalizzazione sociale contro le riforme giuridiche.”
 
L’11 settembre 2001
Questa data ha rappresentato a livello mondiale un evento limite per il quale,  a partire da quel momento, nel nome della sicurezza tutto è diventato lecito.
E questo imperativo ha travalicato i confini degli Stati Uniti, cioè del paese direttamente interessato, finendo per stabilire un principio universalmente valido e cioè che l’uso della forza viene legittimato in situazioni particolarmente difficili e soprattutto quando manca la volontà politica di condurre trattative diplomatiche dei conflitti in corso.
La lotta contro il terrorismo è diventata, si legge nella relazione della Limeddh,  “la principale arma giuridica e politica usata nella criminalizzazione delle proteste sociali e si articola attraverso una vasta gamma di mezzi e risorse che permettono violazioni dei diritti umani rispettando nello stesso momento le leggi interne degli Stati”.
Mentre a livello mondiale si assiste all’assoluta impunità dell’esercito statunitense anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, i governi dei paesi del centro e sud America  si vedono sollecitati da Washington a militarizzare fortemente la loro risposta interna  ai problemi di sicurezza. In particolare in Messico, il Congresso degli Stati Uniti ha  approvato  nell’ottobre del 2007, il bilancio di spesa di 1400 milioni di dollari da destinare nell’ambito  del Plan México per le spese militari nella regione.
Sebbene tale sforzo sia destinato alla lotta al narcotraffico è evidente che un’estrema militarizzazione della sicurezza pubblica in un paese  come il Messico già caratterizzato da un profondo conflitto sociale  non può che avere come conseguenza una criminalizzazione estrema della protesta sociale e delle categorie sociali ad essa collegate che risultano essere anche e sempre le più deboli.
La perdita di consenso intorno all’operato del governo, unitamente alla richiesta da parte degli Stati Uniti di un maggiore impegno militare nella lotta al narcotraffico fa sì che vengano attuate nuove tipologie di repressione.
Gli apparati di sicurezza, lungi dall’assicurare tranquillità al paese, vengono sempre più spesso utilizzati per criminalizzare e perseguitare i cittadini.
Si registrano denunce sempre più frequenti da parte degli enti nazionali e internazionali, tra i quali la Limeddh (che è affiliata alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e all’ Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) di sistematiche violazioni dei diritti umani verso tutti coloro che nei documenti degli apparati di sicurezza vengono indicati genericamente con il nome di “oppositori”, violazioni che  vanno dalle semplici minacce alle percosse, per finire a casi documentati e accertati di torture, detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali e scomparse.
Si ricordano a titolo di esempio i gravi fatti avvenuti a Guadalajara nel 2004, a Michoacán nel 2005, a San Salvador Atenco nel maggio del 2006, a Mérida nel marzo 2007 durante l’incontro Calderón-Bush e per finire a Oaxaca nel 2006, in cui forze di sicurezza e di intelligence sono state utilizzate massivamente  per reprimere le manifestazioni utilizzando metodi diversi come il  “compiere provocazioni” e l’utilizzo di infiltrati.
Come negli anni della guerra sucia del passato, in Messico si sono registrati solo nel corso del 2007 tre casi di persone scomparse e cioè i due  integranti dell’EPR (Ejercito Popoluar Revolucionario), Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez  e Francisco Paredes della Fondazione Diego Lucero del quale non si hanno più notizie dal 4 ottobre scorso.
 
Oaxaca
Oaxaca ha rappresentato il momento in cui una situazione di repressione fino ad allora tenuta “sotto controllo” a livello nazionale, si è manifestata agli occhi del mondo in tutta la sua violenza, anche e sopratutto per la morte  di Brad Will, il reporter di Indymedia ucciso da un poliziotto in abiti civili il 27 ottobre 2006.
La repressione a Oaxaca ha lasciato un saldo di 23 morti, numerosissimi feriti, più di 500 detenzioni arbitrarie e numerosi casi di tortura.
A Oaxaca possiamo dire che sono stati ripetutamente violati da parte della PFP (Polizia federale preventiva) i diritti umani di centinaia di persone in un contesto di assoluta mancanza di rispetto di ogni principio dello Stato di Diritto.
In tutti i casi registrati di detenzioni arbitrarie avvenute ad Oaxaca, per le quali si può legittimamente parlare di prigionieri e perseguitati politici, (molti di essi accusati di crimini comuni), esiste un denominatore comune, e cioè il fatto che i loro processi presentano gravi irregolarità commesse soprattutto dalla Magistratura e dall’Autorità giudiziaria.
Esistono inoltre forti indizi di mancanza di indipendenza del Potere Giuridico da quello Esecutivo.
 
La Riforma penale in Messico
“Dentro la legge è tutto permesso, al di fuori della legge niente”.
“Si attuerà con profondo rispetto dello Stato di Diritto”
Queste frasi ricorrono spesso nei discorsi dei politici e nei mezzi di comunicazione, la realtà è che si tratta di frasi vuote che mascherano una situazione costante di violazione dello Stato di Diritto.
“Oggi la legge nel nostro paese, permette la violazione dei diritti umani rispettando l’ambito giuridico” denunciano alla Limeddh.
Nel marzo del 2007 è stato presentato dall’Esecutivo al Congresso un pacchetto di riforme in materia penale , che sebbene contenga alcuni elementi positivi e di apertura sociale, rende molto più difficile la difesa dei diritti umani da parte delle associazioni preposte.
Alcune di queste riforme sono:
–La Legge sulla Criminalità Organizzata, creata con il pretesto di legiferare su una serie di azioni o fatti giuridici ma che in realtà può nasconde gravi insidie relativamente a violazioni dei diritti umani e criminalizzazione della protesta sociale.
–La Legge di Sicurezza Pubblica e Basi di Coordinazione in cui si trasferiscono ruoli di polizia all’esercito e con la quale sembra più facilitata la tortura e la creazione o la falsificazione di prove.
–La Legge sulla Polizia Federale Preventiva , che viola la Costituzione in quanto stabilisce che la persecuzione dei crimini è compito del Pubblico Ministero e conferisce poteri di Pubblico Ministero  alla polizia giudiziaria che diventa pertanto una “super polizia” con poteri illimitati e integrata anche da elementi dell’Esercito.
–L’allargamento del concetto di flagranza e di urgenza, in virtù dei quali il Pubblico Ministero può detenere senza ordine preventivo di custodia cautelare.
–La riforma dell’articolo 20 della Costituzione che nega la libertà su cauzione a coloro che sono privi di  precedenti penali e nonostante i delitti per i quali sono stati accusati non siano stati considerati gravi, su richiesta del Pubblico Ministero motivata dalla pericolosità sociale. In questi casi non è previsto il “recurso de amparo”( e cioè la possibilità da parte del cittadino di richiedere un ricorso quando esiste violazione dei suoi diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione).
“Si tratta di una riforma il cui fine è costruire una legalità che giustifichi l’azione repressiva dello Stato contro la dissidenza poltica e sociale, in accordo con le direttive di Washington in materia” scrive l’analista internazionale Carlos Fazio su La Jornada[1]. “Secondo la vecchia dottrina di sicurezza interna, il nemico è il nemico interno, o meglio, tutti coloro che non sono amici, sono possibili nemici”.
José Luis Soberanes, presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha dichiarato relativamente alla riforma che così come è concepita “rappresenta un passo indietro in quanto contempla disposizioni che non tutelano le garanzie individuali dei messicani”.
 
Metodi e luoghi di repressione
Il fatto di essere il Messico uno Stato federale, fa sì che nonostante il paese abbia aderito alle convenzioni ONU e OEA in materia di rispetto dei diritti umani, in realtà nelle costituzioni politiche dei singoli stati esistono delle lacune che rendono difficile il controllo della situazione nel paese da parte  degli enti preposti alla tutela dei diritti umani dei cittadini.
I crimini spesso vengono fabbricati e così anche le prove, gli avvocati o non ci sono o si corrompono.
La situazione carceraria nel paese è disastrosa, tanto che le carceri sono diventate delle vere e proprie “università del crimine” e il narcotraffico le ha trasformate in centrali di smercio e  spaccio di stupefacenti.
La popolazione carceraria in Messico è composta per l’85% da giovani tra i 18 e i 25 anni con scarsi mezzi economici.
Per l’attiva e capillare presenza nel territorio dei movimenti a difesa dei diritti umani, si può affermare che non si registrano quasi più casi di esecuzioni extragiudiziarie, ma continuano e si fanno sempre più violente altre forme di repressione contro gli attivisti sociali.
Queste altre forme sono più subdole e di più difficile individuazione perchè di minor impatto mediatico e consistono prevalentemente  nella fabbricazione di capi d’accusa e nella manipolazione degli atti giuridici.
La criminalità organizzata e il terrorismo rappresentano due categorie di capi d’accusa che ben si prestano ad essere utilizzati come forma repressiva contro gli attivisti sociali.
Si rende inoltre spesso difficile da parte di chi è vittima di abusi commessi dall’autorità giudiziaria il riconoscimento dei colpevoli, e quindi la denuncia,  in quanto le violazioni sono commesse da agenti di polizia dal volto coperto o addirittura da civili che lavorano per le autorità, mentre  gli stessi detenuti sono incappucciati. Si ricorre con sempre maggior frequenza inoltre alla pratica della “tortura scientifica” con la quale si cerca di lasciare meno tracce possibili.
Nonostante esista il Protocollo di Istanbul, documento redatto da un gruppo di lavoro dell’ONU nel 1999 con lo scopo di combattere la tortura nel mondo e che rappresenta uno strumento internazionale di controllo pur senza essere vincolante,  il governo messicano, con l’accordo A/057/2003 della Procura della Repubblica (una versione rivista del Protocollo di Istanbul) ha  stabilito le direttive istituzionali che devono essere seguite dai periti e dai medici legali forensi nella valutazione dei casi di tortura e/o maltrattamenti.
Ciò nonostante, per elaborare l’accordo, il governo di Vicente Fox ha utilizzato in qualità di specialisti, militari ed esperti di pubblica sicurezza che hanno redatto pertanto una versione mutilata e incompleta del protocollo di Istanbul soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto psicologico della tortura.
E’ interessante notare, sottolineano alla Limeddh, che dalla data in vigore dell’accordo A/057/2003 e cioè dal  18 agosto del 2003,  nessun caso di tortura è stato registrato dai periti della Procura Generale della Repubblica nell’applicazione di detto documento, per cui paradossalmente possiamo affermare che in Messico il protocollo di Istanbul viene utilizzato per coprire o nascondere i casi di tortura.
Molti detenuti segnalano inoltre di essere stati arrestati senza che il Pubblico Ministero abbia mai emesso nessun ordine in tal senso, sebbene il mandato di arresto sia poi “miracolosamente” apparso in un momento successivo nei fascicoli del caso.
Le detenzioni senza mandato di arresto avvengono con la motivazione del “caso urgente” per cui possono essere  attuate in qualsiasi momento o circostanza.
Altri metodi repressivi messi in atto consistono nel “seminare prove” quali ad esempio droga, armi o propaganda sovversiva nel corso delle operazioni di polizia con lo scopo di legittimare le detenzioni successive.
Alcune volte  si utilizzano gli avvisi di comparizione per poter compiere detenzioni arbitrarie, la persona viene invitata a presentarsi per generici accertamenti in un posto di polizia dove poi viene immediatamente arrestata.
Casi più gravi di detenzioni arbitrarie riguardano quelli  in cui le persone sono detenute in regime di arresti domiciliari presso case di sicurezza   o stanze di alberghi dove, sebbene possano ricevere le visite degli avvocati e dei familiari, la loro limitazione della libertà non è tutelata da un giudice.
In tali luoghi sono stati documentati anche gravi casi di tortura.
Negli anni dal 1995 al 2000,  soprattutto negli stati di Oaxaca, Guerrero e Distrito Federal,  si è registrata  una recrudescenza dell’utilizzo delle carceri clandestine e delle sparizioni forzate transitorie che hanno caratterizzato la repressione degli anni ’70.
I casi sono stati documentati e presentati alla magistratura in attesa che compia gli accertamenti anche se purtroppo ci sono poche speranze che si possano stabilire le responsabilità penali.
Attualmente sono sotto l’occhio vigile dei difensori dei diritti umani, i CEFERESOS, cioè i Centri federali di massima sicurezza,  dove spesso vengono commessi abusi verso i detenuti che vanno dalla negazione del diritto di difesa, alla mancanza di riservatezza nel rapporto con i legali, (tanto che le conversazioni che i detenuti hanno con i loro avvocati vengono sistematicamente registrate nei parlatori), a trasferimenti che non avvengono nei termini di legge, tanto per citare i meno gravi e i più comuni.
Riguardo ai termini in cui debba avvenire un processo, nonostante esista una legge che stabilisce il periodo  di un anno affinché il giudice emetta la sentenza, ci sono casi incontestabili di persone che hanno atteso vari anni prima di essere giudicati.
La repressione contro gli attivisti sociali,  oltre che in campo giuridico e penale si manifesta anche nei rapporti lavorativi, personali e di studio.
Ci sono frequenti casi di persecuzioni sul lavoro, licenziamenti ingiustificati, retribuzioni ridotte e gli studenti segnalano la presenza di gruppi di scontro (porros) cioè di  provocatori finanziati e promossi dalle autorità, sanzioni amministrative o accademiche, sospensione o espulsione dalle attività didattiche.
 
Gli attori della criminalizzazione della protesta sociale
Il Pubblico Ministero
Un capitolo  a parte nella relazione presentata dalla Limeddh riguardo alla criminalizzazione della protesta sociale spetta alla la figura del Pubblico Ministero.
Questa come viene intesa in Messico e con i poteri che ha in questo paese,  viene definita dalla stessa Lega come la figura  “che rompe con le regole elementari di ogni giusto processo, che possiede il monopolio della persecuzione e dei diritti e l’esercizio dell’azione penale, senza sospensione giuridica”.
In Messico l’80% delle denunce di violazione dei diritti umani riguarda l’operato del Pubblico Ministero.
La riforma dell’articolo 16 del Codice Penale attualmente in vigore,  stabilisce il principio di quasi flagranza o flagranza equiparata.
Questo particolare modo di intendere la flagranza limita il concetto di presunzione di innocenza stabilito in quasi tutti i trattati internazionali ratificati dal Messico.
Anche nella riforma dell’art. 20 con la quale il Pubblico Ministero può  negare la libertà su cauzione a quelle persone prive di precedenti penali accusate di reati non gravi, inserendoli nella categoria generica  di delinquenti socialmente pericolosi,  si può ravvisare un agire che potrebbe permettere giudizi sommari e la criminalizzazione degli attivisti sociali.
Come già testimoniato dal relatore dell’ONU per l’indipendenza della magistratura, in Messico esiste una diffusa corruzione nel potere giuridico.
Mentre gli attivisti e i lottatori sociali vengono condannati con pene altissime per reati comuni, gli agenti dello stato che torturano fino alla morte vengono condannati solo per omicidio colposo senza considerare il reato di  tortura.
Inoltre è stato dimostrato nel tempo che l’applicazione di  pene detentive più severe, in alcuni casi sono state infatti emesse sentenze che prevedevano una detenzione fino a 100 anni di carcere, successivamente ribassata a 40 anni, invece che essere un deterrente contro il crimine,   rendono la criminalità ancora più violenta.
Il potere giudiziario in Messico ha creato una gran quantità di precedenti giuridici in cui viene legittimata la violazione dei diritti umani, questo fa sì che si inneschi una spirale di repressione e violenza dalla quale è sempre più difficile venire fuori mentre nel contempo  l’esercito è stato autorizzato a svolgere sempre più spesso funzioni di polizia .
 
Gli enti pubblici di difesa dei diritti umani
Il principale problema consiste nel fatto che le organizzazioni in difesa dei diritti umani eludono le loro responsabilità argomentando il fatto che il loro compito consiste esclusivamente nel fornire linee guida che inevitabilmente non vengono attese e cadono nel mare dell’impunità.
Il principale ente pubblico preposto alla difesa dei diritti umani, diventato una vera e propria istituzione pubblica nel 1999 è la Commissione Nazionale dei Diritti Umani , nata nel 1990 sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari e riconosciuta nella costituzione del paese nel 1992.
Il suo compito è quello di indagare su violazioni dei diritti umani nei quali sia accertata o anche solo presunta la responsabilità o la complicità di autorità pubbliche.
La CNDH però può solo formulare raccomandazioni agli enti preposti che purtroppo non hanno carattere vincolante. Può anche sporgere denunce alle autorità preposte.
Una delle più grosse difficoltà nel lavoro svolto dalla CNDH è rappresentata dall’impossibilità di avere accesso a tutti i casi di violazioni dei diritti umani che si registrano a livello nazionale, tanto  che spesso si dichiara incompetente a dare risposta a molte situazioni.
Si dovrebbe pertanto, raccomandano alla Limeddh,  realizzare un lavoro congiunto tra le varie associazioni rappresentative dei diversi settori della società per poter monitorare interamente la realtà del paese e determinare così l’operato della CNDH.
Queste sono le linee guida che andrebbero tenute, tenendo presente che,  per gli errori che vengono commessi  e per le limitazioni, la gente non ha molta  fiducia nel lavoro della CNDH:
  1. Il ruolo del Difensore del Popolo è molto importante e andrebbe rivalutato, egli deve far fronte alle richieste nel minor tempo possibile e in nessun modo deve legittimare lo Stato.
  2. Il consiglio direttivo della CNDH dovrebbe avere una partecipazione attiva maggiore e dovrebbe  poter lavorare congiuntamente con le ONG e le organizzazioni in difesa dei diritti umani
  3. Andrebbero  migliorate e incrementate le leggi in difesa dei diritti umani
  4. Dovrebbe essere  mantenuto un contatto costante con le vittime. Una stretta vigilanza sull’attuazione delle raccomandazioni dell’ONU e dell’OEA non dovrebbe essere compito delle vittime ma piuttosto  un impegno costante della CNDH.
  5. Riguardo alle raccomandazioni della CNDH, le sanzioni in caso di inadempienza dovrebbero essere più severe, dal momento che la loro inadeguatezza ai crimini commessi favorisce l’impunità. Nel caso di violazioni commesse direttamente da militari i rapporti dei casi relativi dovrebbero essere inviati direttamente al Presidente della Repubblica come capo supremo delle Forze Armate.
  6. Rafforzare l’operato della CNDH ed eliminare gli ostacoli amministrativi secondo quanto raccomandato dall’articolo 4 della Legge della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Già durante il governo di Vicente Fox si ebbero dei cambiamenti importanti nelle istituzioni responsabili della sicurezza nazionale nel paese. In particolare Il CISEN (Centro de Investigaciones y Seguridad Nacional) si trasformò in un  apparato di sicurezza  e di intelligence e le funzioni specifiche dei suoi uomini adesso sono svolte dalla Polizia Federale Preventiva. Gli archivi precedenti al 1985 inoltre sono aperti al pubblico ma sotto vigilanza stretta di uomini del CISEN.
Nonostante la CNDH abbia emesso nel 2001 la raccomandazione n. 26 sulle persone scomparse e sia stata creata dal governo Fox un tribunale speciale, è un dato di fatto che ad oggi non è stata avviata nessuna azione penale e lo stesso tribunale si è dichiarato incompetente in alcuni casi in cui erano coinvolti militari nella violazione dei diritti umani contro la popolazione civile.
Purtroppo queste istituzioni che nei fatti legittimano l’impunità dei responsabili nei crimini di lesa umanità, non fanno altro che applicare nuove versioni, più moderne, delle leggi di punto finale.
Lo stesso Vicente Fox il 2 dicembre del 2000 ha firmato l’Accordo di Cooperazione Tecnica tra il governo del Messico e l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani che ha tra gli altri, il fine della  creazione di un Programma Nazionale per i  Diritti Umani. Questo importante strumento purtroppo ha  dimostrato essere lacunoso sotto molti aspetti e ha incontrato nella realizzazione del progetto una gran quantità di ostacoli, dovuti principalmente al fatto che la politica del governo non ha assunto come compito principale la difesa dei diritti umani, anzi molti passi indietro purtroppo sono stati fatti in tal senso, come per esempio la cancellazione della segreteria dei Diritti Umani nella Cancelleria. La  realizzazione del Programma Nazionale invece non è stata  minimamente presa in considerazione dall’attuale presidente Felipe  Calderón.
 
La prevenzione
La prevenzione dovrebbe realizzarsi partendo da una adeguata interpretazione dei fatti sociali, che non sono fenomeni imprevisti , ma al contrario rispondono a leggi determinate.
Uno degli aspetti importanti è quello che riguarda la spesa pubblica.
“Dimmi come spendi e ti dirò cosa realmente vuoi per il tuo popolo”.
In materia di sicurezza pubblica, in Messico le spese maggiori vengono sostenute  per l’equipaggiamento delle forze di polizia e per le loro attrezzature, trascurando la spesa necessaria per la sicurezza e la protezione civile, atteggiamento che pertanto  lascia il popolo indifeso di fronte a gravi catastrofi e disastri naturali  e senza gli strumenti necessari per far fronte alle emergenze.
L’altro aspetto fondamentale nel campo della prevenzione  riguarda la possibilità di poter presentare le denunce di gravi violazioni dei Diritti Umani presso la  Corte Penale Internazionale e  la Giurisdizione   Universale dal momento che l’occhio vigile e la condanna della  comunità internazionale aprono spesso importanti fronti  di lotta contro l’impunità.
Mary Robinson, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, ricordava spesso la necessità di prevenzione e la messa in pratica di azioni urgenti per evitare che situazioni a rischio degenerino.
La Limeddh è fortemente impegnata nell’ambito della prevenzione delle violazioni dei diritti umani, intensificando la formazione di personale e reti locali in quelle regioni più colpite dalla violenza, orientare il lavoro educativo della popolazione relativamente alle violazioni dei diritti umani più frequenti e studiando i meccanismi giuridici che favorisco l’impunità.
Tuttavia il primo passo consiste nel riscattare la memoria storica e nel sistematizzare i dati, lavoro che può  essere compiuto sia ampliando la capacità di dar seguito  al maggior numero possibile di denunce, sia approntando  sistemi di registrazione comuni in tutto il paese, creando  gruppi di lavoro a livello nazionale e individuando  vuoti e carenze legislative che possano favorire la violazione dei diritti umani.
E’ necessario inoltre che il Potere Legislativo diventi un organo di controllo e vigilanza sempre più efficace e che sia uno strumento di garanzia dell’impegno del Messico di fronte alle raccomandazioni della comunità internazionale, in accordo alla Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, approvata dal Senato nel 1972.
E’ urgente inoltre una più stretta collaborazione tra le diverse ONG operanti sul territorio e le varie organizzazioni politiche e sociali, collaborazione, che senza nulla togliere al carattere fondamentale di neutralità e indipendenza delle ONG, riesca a fornire strumenti importanti alla popolazione affinché le richieste della società siano accolte con dovizia di mezzi e competenza.
 
Il ruolo della politica
La Limeddh crede che attualmente  lo Stato di Diritto in Messico permette la continua violazione dei diritti umani nel “rispetto della legge”.
Per questo motivo sarebbe necessario:
  1. approntare una politica pubblica che si rifaccia completamente al rispetto della Giurisdizione  Internazionale  dei Diritti Umani.
  2. eliminare le clausole con riserva e le dichiarazioni che danno adito a interpretazioni nei trattati.
  3. armonizzare la legislazione nazionale e statale secondo la Giurisdizione Internazionale dei Diritti Umani
  4. creare leggi che rendano attuabili gli altri diritti economici, sociali e culturali.

Sarebbero auspicabili inoltre tutta una serie di iniziative politiche che vadano dallo sviluppo costante di forme di democrazia partecipativa (il plebiscito, il referendum, la consultazione pubblica) alla promozione di un’ Amnistia per tutti i prigionieri politici e di coscienza del paese, alla verifica delle nuove riforme penali, alla possibilità di rinvigorire la pressione giuridica e le sanzioni sui delitti commessi dai servitori dello Stato, all’accettazione incondizionata da parte del Governo del Messico alla Corte Penale Internazionale,  tra le altre proposte.

Infatti bisogna ricordare che nel 2002 il Senato della Repubblica ha approvato la riforma all’articolo 21 della Costituzione secondo la quale il Potere Esecutivo può riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale caso per caso e con l’avallo del Senato, nonostante il 7 settembre del 2000 sia stato firmato lo Statuto di Roma da parte del Governo Messicano.
La Colazione Messicana per la Corte Penale Internazionale ha manifestato la sua preoccupazione per la messa in atto di questa grave limitazione che potrebbe in alcune occasioni ostruire il lavoro della CPI.
 
 
Piano d’azione
1)     Laboratori permanenti  con il proposito di scambiare esperienze e mettere in pratica le proposte di un’Agenda Nazionale.
2)     Un’ Agenda  Comune di azioni e attività  rivolte all’opinione pubblica, soprattutto in concomitanza di eventi importanti o date commemorative.
 
 
La legge di Amnistia
In questo particolare momento di gravità della situazione, relativamente  ai diritti umani nel paese e soprattutto per la risposta forte del popolo, si può osservare che il governo si vede  costretto a riconoscere l’esistenza di prigionieri politici e di coscienza e a favorire i ricorsi presentati dalla Limeddh tra le altre associazioni, che possono creare strumenti giudiziari tali da poter mettere in atto misure veloci per ottenere la loro liberazione.
La Legge di Amnistia, riconoscendo l’esistenza di prigionieri politici rappresenta  un potente mezzo di distensione nei conflitti sociali e nei casi di negazione dello Stato di Diritto, cosa che propizia la formazione di gruppi ribelli che non vedono altra forma che la belligeranza per far valere i proprio diritti.
La Limeddh tiene a precisare che sebbene la richiesta di un’amnistia viene da diversi settori della popolazione e da varie organizzazioni sociali anche in riconoscimento del valore e dell’apporto sociale del lavoro degli attivisti, questa mai diventerà un modo per confermare l’impunità di coloro che si sono macchiati di gravi crimini contro l’umanità. In nessun modo si potranno accettare nuovamente  le leggi della dimenticanza e del punto finale  che tanti danni hanno causato ai popoli quando  sono state applicate.
“Si ricorda che le violazioni gravi dei diritti umani, come le esecuzioni extragiudiziarie, la sparizione forzata, la tortura e i crimini di guerra sono delitti di lesa umanità, cioè violano l’umanità nel suo insieme, e in accordo alla Giurisdizione Internazionale de Diritti Umani  e al Diritto Internazionale Umanitario essi sono  imprescrittibili e di competenza universale”.
I delitti contro l’umanità pertanto non sono amnistiabili, né si può invocare per essi l’immunità politica, non si  può concedere asilo e sono imprescrittibili.
Molti detenuti si rifiutano di beneficiare di un’amnistia in quanto erroneamente credono che questa significhi un’ammissione di colpevolezza o un pentimento per aver commesso il reato.
In realtà secondo la definizione di Amnistia (dal greco amnestía dimenticanza) si tratta di “un istituto giuridico, disposto per legge, in virtù del quale si estingue il reato, determinando una sentenza di proscioglimento, e se vi è stata condanna, dà luogo alla cessazione della stessa e delle pene inflitte.”[2] Nella legislazione messicana è il Potere legislativo che emette il decreto legge e quello Esecutivo che lo applica.
Bisogna inoltre ricordare che il governo del Messico non ha ratificato il Protocollo della convenzione di Ginevra, in cui si stabiliscono le norme internazionali in casi di conflitto armato interno  al paese. In questi casi, gli scontri tra forze insorgenti ed esercito non vengono assimilati ad azioni di guerra e quindi i belligeranti vengono considerati come delinquenti comuni o terroristi, non riconoscendogli le motivazioni politiche dei loro atti.
Inoltre è urgente che la legge d’Amnistia possa avere sostegno in una commissione apposita detta Commissione d’Amnistia , che dovrebbe essere formata dalla Camera dei Deputati, dall’Esecutivo e dalle ONG per vigilare sulla sua  applicazione, dal momento che le istituzioni pubbliche per la difesa  dei diritti umani non hanno competenze sufficienti in materia giuridica e la difesa d’ufficio non garantisce il diritto alla difesa e al giusto processo.
 
Strumenti
  • Rapporto annuale della situazione degli attivisti sociali e politici
Verrà realizzato un rapporto annuale nel quale verranno esaminati, caso per caso, le situazioni in cui sono coinvolti gli attivisti sociali e politici, differenziandoli a seconda se siano prigionieri di coscienza ( perseguitati per le loro idee) prigionieri politici (legati a gruppi armati contro il governo), quelli relazionati indirettamente alla politica e quelli accusati ingiustamente.
Verranno inoltre visitate le carceri che si trovano negli stati a rischio più elevato, come quelli del Chiapas, Guerrero e Oaxaca. E’ necessario per svolgere questo lavoro che comunque ci sia una coordinazione con le organizzazioni dei vari stati della Repubblica.
  • Osservatorio Nazionale delle Carceri
Prendendo spunto dall’operato e dalle metodologie dell’ Osservatorio Internazionale delle Carceri, verranno monitorate  le condizioni carcerarie del paese  rispetto ai servizi e alle condizioni di detenzione dei prigionieri.
I prigionieri politici e di coscienza sono divisi in diverse categorie: prigionieri politici e di coscienza, prigionieri per motivi politici, ostaggi politici, perseguitati politici e di coscienza.
Inoltre le violazioni dei diritti umani riguardano anche i numerosi prigionieri in carcere accusati di aver commesso crimini comuni,
Vanno inoltre considerate per la gravità e importanza dei casi, le detenute migranti, i detenuti minorenni, le donne con bambini, le indigene e i pazienti malati mentalmente.
Sono oggetto di studio anche le  varie forme di repressione lavorative o sindacali o contro gli studenti.
Verrà stilato un rapporto annuale sulla situazione dei prigionieri politici e di coscienza del paese e tramite dei corsi di formazione formare personale specializzato che possa seguire i casi e le necessità e i bisogni dei familiari dei detenuti, nonché deglii stessi.
Observatorio Nacional de Prisiones : onpdotmexicoatgmaildotcom
  • Aiuto urgente
Ha lo scopo di creare un fondo economico di supporto alle vittime  e finanziare reti di servizi volti alla protezione, alle esigenze sanitarie, scolastiche e abitative delle vittime di repressione.
  • Il Giudizio Popolare Nazionale e il fronte Nazionale Contro la Repressione.

Questi due spazi sono uno sforzo congiunto a livello politico in difesa delle organizzazioni e dei soggetti che hanno subito repressione.

Questi spazi permettono di avvicinare gli obiettivi e monitorare i casi di organizzazioni che sono a rischio di violazione di diritti umani.

L’obiettivo del Giudizio Popolare Nazionale è lavorare dalla base con le persone che sono state vittime di violazione dei diritti umanai e con le loro organizzazioni e fare in modo che nessuno dimentichi il passato
  • Progetto Nunca más
Sono numerosissimi i casi di sparizione forzata, tortura ed esecuzioni extragiudiziarie che si sono registrate in Messico soprattutto intorno alla decade degli anni’ 70. Sebbene negli anni successivi il loro numero sia andato progressivamente riducendosi, tali pratiche purtroppo sono messe in atto ancora oggi, soprattutto nei tra stati già citati di Guerrero, Oaxaca e Chiapas.
Tutti i casi registrati fino a questo momento sono oggetto di studio e investigazione da parte delle varie associazioni dei Familiari di Detenuti Scomparsi, delle ONG, e di persone singole.
Questo studio ha il nome di Progetto Nunca Más.
Il 30 agosto del 2000 furono  arrestati  i generali Mario Arturo Acosta Chaparro e Francesco Quieroz Hermosillo, con l’accusa di traffico  di stupefacenti, associazione a delinquere e corruzione.
Entrambi i generali inoltre sono stati accusati di aver commesso delitti di lesa umanità come la tortura, sparizione forzata, ed esecuzioni extragiudiziarie negli anni ’70 contro gli oppositori politici e i gruppi insorgenti.
Mario Arturo Acosta Chaparro inoltre è accusato di aver preso parte al  massacro di Aguas Blancas quando nel 1995 circa duecento uomini della polizia comandati dal maggiore Manuel Moreno Gonzales, uccisero in un’imboscata dei contadini membri dell’Organizzazione Contadina della Sierra del Sud (OCSS) che in quei giorni erano in rivolta per con il governo dello stato di Guerrero.
In quella che si dimostrò successivamente essere stata una vera e propria operazione pianificata a tavolino contro i contadini,  morirono 17 persone, 23 furono i feriti e molte altre furono detenute e torturate.
La  detenzione di questi due generali  ha aperto la possibilità pertanto che possano essere giudicati per questi gravi delitti di lesa umanità, e le associazioni dei familiari degli scomparsi nonché le organizzazioni dei diritti umani hanno raccolto così tanta documentazione da stabilire con certezza la loro responsabilità nei delitti di lesa umanità, mentre la CNDH ha emesso la raccomandazione relativa ed è stato creato il tribunale speciale.
Tuttavia, le leggi messicane prevedono la prescrizione per i delitti di omicidio e tortura, ed inoltre non è previsto il delitto di sparizione forzata  ma è contemplato solo quello di privazione illegale della libertà come modalità di sequestro. Questo fatto purtroppo favorisce l’impunità.
Sia l’Associazione delle Famiglie dei Detenuti Scomparsi e Vittime di Violazioni dei Diritti Umani in Messico (FADEM) , che la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) organizzazioni con 18 anni di esperienza, stanno portando avanti un progetto complesso in sinergia con volontari, familiari delle vittime, amici e ONG per lo studio, la classificazione e il recupero dei dati riguardanti i casi violazione dei diritti umani registrati in Messico dagli anni ’70 ad oggi.
Il progetto Nunca Más ha la finalità di fare pressioni anche sul sistema legislativo affinché reati come la sparizione forzata, la tortura e il genocidio diventino imprescrittibili.
 
Annalisa Melandri
(in collaborazione con la Limeddh – Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



[1] Carlos Fazio La democrazia en Pie de Guerra de Calderón La Jornada 17/12/2007 http://www.jornada.unam.mx/2007/12/17/index.php?section=opinion&article=019a2pol
[2] Devoto-Oli vocabolario della lingua italiana 2008 Le Monnier , pag.112

Menù quaresimale a scuola, accade anche questo a Roma

2 commenti

A Roma  è polemica nel  XVII Municipio   per l’imposizione della dieta quaresimale nel menù scolastico di tutti i bambini.

La modifica del menù scolastico per motivi religiosi dovrebbe  avvenire soltanto  dietro esplicita richiesta dei genitori e solo in forma individuale


Liberadonna — firma la petizione ai dirigenti del centro-sinistra

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E’ possibile firmare la petizione, promosssa da MICROMEGA, qui


I talebani del cattolicesimo

11 commenti
Ecco chi sono i talebani del cattolicesimo, sono quelli che  stanno tappezzando la capitale di manifesti come questi.
In questi giorni di acceso dibattito sulla legge 194 e sull’aborto, i movimenti più importanti del tradizionalismo cattolico legati all’estrema destra capitolina, stanno invadendo le vie della città di manifesti  che uniscono i temi fondamentalisti del cattolicesimo a quelli politici dell’area fascisteggiante e nazista.
E così accanto a questi manifesti di Azione Giovani, Roma è piena di manifesti del movimento politico “Il Trifoglio” di estrema destra, il cui leader è Alfredo Iorio, proveniente dal  MSI e che è in ottimi rapporti con Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio e capo della Destra.
E nessuna smentita o presa di posizione per i loro  manifesti che utilizzano i dieci comandamenti per fini non propriamente spirituali è giunta dalla Santa sede.
Oggi più che in passato, connivenze e legami tra alcuni settori dell’estrema destra italiana e del cattolicesimo tradizionalista, in modo subdolo e sottile si stanno inserendo nel tessuto sociale del nostro paese per condurlo  lentamente verso una deriva clericofascista.
La lotta contro la legge 194 che adesso sta assumendo toni così pubblici ed espliciti a livello nazionale, in molte realtà minori era già portata avanti da questi nuovi “crociati per la fede”, con metodi che ricordano quelli dei militanti antiabortisti americani. Il movimento Con Cristo per la Vita a Verona già dal 2001 al grido di “basta al peccato” organizzava incontri di preghiera settimanali davanti all’ospedale pubblico nei giorni in cui venivano realizzate le IVG, distribuendo volantini con immagini raccapriccianti e apostrofando le donne che si recavano nella struttura con l’epiteto di “assassine!”.
Lo Stato ha il dovere di proteggere i diritti dei suoi cittadini contro quella che sta assumendo i toni di una vera e propria crociata contro la laicità e la libertà, condotta  senza nessun rispetto per il prossimo da questi nuovi paladini della fede, talebani del cattolicesimo, esaltati e fautori del ritorno del fascismo nel nostro paese.
 

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