Michelle Bachelet in Italia, più ombre che luci.

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Qualche mese fa la presidente del Cile Michelle Bachelet a Ginevra negò la  presenza di prigionieri politici Mapuche nelle carceri del suo paese. “I prigionieri Mapuche sono persone che hanno cercato di risolvere le cose in modo che non è né democratico né pacifico. “Hanno commesso delitti e incendiato proprietà”. Questo diceva in una conferenza stampa durante il suo viaggio in Svizzera, aggiungendo che in Europa c’é una visione distorta sulla situazione dei prigionieri Mapuche e  sottolineando che non si tratta di prigionieri politici ma di detenuti comuni che hanno commesso dei crimini.
Vale la pena ricordare che uno dei punti più importanti della sua campagna elettorale riguardava proprio la situazione dei popoli indigeni del Cile, dal momento che questo è forse l’unico paese latinoamericano con una importante presenza di popolazione indigena che però non è riconosciuta nella sua Costituzione.
“Attueremo urgentemente il riconoscimento costituzionale dei popoli originari. Concorderemo con i dirigenti indigeni la redazione di un testo da proporre al Congresso Nazionale non appena inizi il nuovo governo” Inutile sottolineare che si è trattato di una delle tante promesse incompiute di Michelle Bachelet.
Le lotte del popolo Mapuche, al quale ancora oggi, complici  il governo “socialista” della Concertación, multinazionali e latifondisti,  sottraggono le terre e distruggono il loro ambiente, vengono represse duramente, i loro leader imprigionati, e condannati secondo la legge antiterrorista 18.314 emanata dal governo Pinochet . Il Comitato dei Diritti Umani nel marzo 2007 segnalò che la “definizione di terrorismo indicata nella legge 18.314 è troppo amplia” e pertanto membri della comunità vengono accusati di terrorismo soltanto per aver commesso atti di protesta o di richieste sociali.
Nel maggio di quest’anno è stata presentata da alcune associazioni solidali con la causa Mapuche   una lettera indirizzata ad alcuni parlamentari della Comunità Europea dove venivano esternate le  loro preoccupazioni per la situazione dei diritti umani dei popoli indigeni in Cile, dopo che la situazione era stata anche esposta  ad una riunione dei Comitati delle Nazioni Unite pochi mesi prima.
Carte alla mano (relazioni dell’ONU, della Federazione Internazionale dei Diritti Umani e di Amnesty International) si elencavano delle priorità che il governo avrebbe dovuto esaminare e risolvere:
1.         Ratifica della Convenzione 169 della OIL.
2.         Riconoscimento dei diritti dei Popoli Indigeni nella
            Costituzione.
3.         Modifica della politica e della legislazione penale e di polizia.
4.         Obbligo di consultare le Comunità Indigene prima di
            approvare progetti che danneggiano le loro terre.
5.         Garantire i diritti alla restituzione e protezione delle terre
            ancestrali.
6.         Modificare la legislazione locale che può recare danno alle
            terre ancestrali e ai diritti riconosciuti dal Patto
            Internazionale dei diritti civili e politici.
7.         Garantire i diritti all’istruzione e alla salute dei bambini
            indigeni.
e veniva fissato il termine del marzo 2008 entro il quale lo stato del Cile dovrà rendere noto al Comitato dei Diritti Umani i progressi fatti in tal senso.
Michelle Bachelet è in questi giorni in Italia, dove ha incontrato questa mattina  il presidente Napolitano all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Roma Tre, con Romano Prodi  con il quale discuterà importanti accordi bilaterali in campo scientifico, culturale,  tecnologico ed energetico, con il Papa nonché con tutte le personalità politiche tra cui Bertinotti e Marini. Domani a  Siena riceverà una laurea honoris causa in medicina.
La Bachelet  viaggia accompagnata da una numerosa delegazione politica e  da rappresentanti sindacali  e mentre in Italia la sua storia personale ampiamente  sbandierata in campagna elettorale di ex perseguitata dalla dittatura pinochettista (il papà morì in carcere a seguito delle torture subite) continua ad incantare la nostra sinistra che non perde occasione per tesserne le lodi,  a nessuno sembra quanto meno contraddittorio ma emblematico di cosa sia il suo governo, che nel suo viaggio venga  accompagnata da Maria Angelica Cristi deputata di destra e fedele pinochettista, tanto che proprio ora in occasione dell’arresto dei 23 collaboratori del dittatore e della moglie e dei figli di Pinochet, ha avuto da obiettare che ciò sia avvenuto non casualmente proprio nel momento di minor popolarità del governo Bachelet. Ed era proprio lei che nel 1998 in occasione dell’arresto a Londra di Pinochet viaggiava continuamente tra Londra e Santiago per rendere visita al generale nella London Clinic.
Mentre Michelle Bachelet,  nonostante si stia distinguendo con il suo governo “progressista” per la dura  repressione di ogni genere di manifestazione e richieste sociali, da quella dei “pinguinos” a quella dei lavoratori del legname, da quelle del settore minerario a quelle dei sindacati (salvo farsi accompagnare in Italia da delegazioni degli stessi,), a quella violenta che continua senza sosta dal periodo della dittatura ad oggi del popolo Mapuche,  viene elogiata in Italia  per una delle poche cose moderatamente di sinistra che ha tentato di fare, e cioè la pillola del giorno dopo, Maria Angelica Cristi è quella che ha votato contro in più di una occasione alla proposta di legge contro le molestie sessuali del 2005 che identifica le violenze contro le donne come delitto ed è sempre lei che ha votato contro la proposta di legge della pillola del giorno dopo.
Maria Angelica Cristi inoltre ha sostenuto e proposto l’amnistia per tutti i militari della dittatura che si sono macchiati di violazioni dei diritti umani con l’argomentazione che “bisogna finirla di guardare al passato”.
Maria Angelica Cristi fa parte della delegazione che segue Michelle Bachelet in Italia e, che verrà ricevuta dal Papa  e che la ha accompagnata questa mattina nella conferenza su “Diritti umani, inclusione sociale e democrazia” all’ Università di Roma Tre, la stessa deputata che meno di un anno fa proponeva un progetto di legge che promuoveva la costruzione di monumenti alla memoria di Pinochet tra i quali uno addirittura davanti al Palacio de la Moneda dove morì Salvador Allende l’11 settembre 1973.  
Queste alcune delle dichiarazioni di Maria Angelica Cristi in occasione dei funerali di Pinochet alal Camera dei Deputati Cilena:
“Continuiamo ad essere quasi la metà del Cile, così come in ottobre del 1988…il pinochettismo si è risvegliato, perchè la gente è ansiosa di avere un leader che dica la verità”…
“…abbia il paese la nobiltà di capire che qualsiasi causa che abbia afflitto al generale Pinochet non deve pagare la sua famiglia…Perchè la famiglia deve pagare per ciò che suppostamente si affibbia al generale Pinochet?
Questo è il Cile che piace tanto agli Italiani?
Leggi anche:

Colombia, inaugurazione del Gasdotto Transoceanico

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La data del 12 ottobre 2007 per l’inaugurazione del primo tratto, detto Transguajiro,  del Gasdotto del Sud,   era stata già  anticipata lo scorso mese di agosto durante una conferenza stampa tenutasi  nei giardini di Hato Grande, residenza presidenziale  di Álvaro Uribe,  in occasione di un importante incontro tra il presidente colombiano ed il suo omologo venezuelano. E infatti, ieri, 12 ottobre, Hugo Chávez, Álvaro Uribe e Rafael Correa come testimone,  a Punta Ballenas, nella Guajira colombiana hanno inaugurato i primi 225 Km. del gasdotto Transoceanico  Antonio Ricaurte.  L’opera, alla quale  hanno lavorato 1.378 persone sia di nazionalità colombiana che venezuelana, e che è stato portato a compimento dalla  PDVSA e dalla colombiana Ecopetrol, “apre immense possibilità di trasformare in realtà quello che abbiamo sempre sognato in materia di integrazione energetica” come ha sottolineato Rafael Ramírez,  presidente di PDVSA  nonché ministro del Potere Popolare per l’Energia ed  il Petrolio. Il progetto è stato  oggetto di un investimento di 335 milioni di dollari, ha una lunghezza di 224 Km. di cui 88 in territorio colombiano e permetterà per i primi quattro anni di portare il gas dalla Guajira Colombiana fino al lago Maracaibo in Venezuela, e successivamente in senso inverso. Álvaro Uribe, ha sottolineato l’importanza di questo progetto e del fatto che sia il primo in materia di cooperazione energetica tra la Colombia ed il Venezuela, nonché il primo progetto internazionale di PDVSA, mentre il suo ministro delle Miniere e dell’Energia , Hernán Martinez ha rilevato come sia stato importante il lavoro svolto dalla PDVSA in territorio colombiano e ha auspicato  un’estensione del gasdotto fino a Panamá e successivamente  a tutto il Sud America.
“Siamo pronti, presidente Chávez, ci dica cosa dobbiamo fare, cosa serve per portare questo gasdotto fino a Panamá e raggiungere tutto il Centroamerica” sembrerebbe aver detto un Álvaro Uribe particolarmente  ben disposto e cordiale verso il presidente venezuelano.
Avrebbe anche manifestato in modo deciso   la sua volontà di partecipare al progetto della Banca del Sud, la cui creazione avverrà formalmente il 7 novembre prossimo a Caracas e al quale già aderiscono  Venezuela, Bolivia, Ecuador, Uruguay, Paraguay, Brasile e Argentina,  precisando tuttavia che l’ingresso della Colombia non va inteso come “rifiuto alla Banca Mondiale e al BID (Banco Interamericano de Desarrollo – Banca interamericana di sviluppo), ma come espressione di solidarietà, di lealtà con la fratellanza dell’America  Latina alla quale non verremo meno”.
I tre presidenti di Colombia, Venezuela ed Ecuador, inoltre hanno sottoscritto una nota di integrazione energetica strettamente riferita ai tre paesi in quanto dovrebbe avvenire tramite il Gasdotto Transandino Libertador. Verrà allo scopo designato un comitato di Alto Livello per gli studi di fattibilità e per quelli di impatto ambientale che saranno pronti entro sei mesi.
Indubbiamente si tratta di un grande passo avanti nel processo di integrazione latinoamericana soprattutto perchè riguarda un settore, quello energetico di fondamentale importanza ma anche perchè coinvolge un paese, la Colombia che per il suo rapporto di stretta dipendenza e vicinanza con gli Stati Uniti e per la sua rispondenza  alle soluzioni  economiche neoliberali da questi proposte attraverso le istituzioni della Banca Mondiale e del FMI si trovava in una posizione difficile.
Probabilmente avere buoni rapporti economici e di integrazione nella regione sarà fondamentale   al momento della fine del mandato di Bush, momento in cui l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti al governo di Uribe potrebbe venir meno e questi potrebbe ritrovarsi isolato in una regione che si sta lentamente liberando dal ruolo di patio trasero che ha avuto fino a poco tempo fa e che invece ancora caratterizza la Colombia.  

Manifestazione di AN a Roma

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Attenzione, fascisti in giro oggi…


Il “mio” premio Nobel…

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Brad Will - Oaxaca, Messico

Per parlare di Pace non si può non parlare di guerra e si conoscerà la Pace e si ripudierà la guerra solo se saremo informati sulle guerre. Il “mio”  premio Nobel della Pace lo conferisco  “al giornalista ucciso nello svolgimento della sua  professione”. E penso a Brad Will, Anna Politkovskaja, Ilaria Alpi, Hrant Dink, Enzo Baldoni, al giornalista giapponese ucciso in Birmania poche settimane fa e ovviamente a tanti altri meno conosciuti. A loro il  mio debito morale perchè sono morti per darci uno strumento fondamentale di ripudio della guerra: l’informazione.
La difesa dell’ambiente è importante, il cambiamento climatico è un problema urgente ed è giusto che la soluzione venga trovata urgentemente, ma la soluzione non può essere un premio Nobel. C’è un protocollo al quale circa 170 paesi del mondo hanno aderito per la soluzione di un problema comune. Gli Stati Uniti, l’Australia e il Kazakistan no. Perchè più coerentemente non applicare le sanzioni internazionali ai paesi che non contribuiscono a salvare l’ambiente?

Un’ultima cosa sul Manifesto…

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per rispondere ad alcuni commenti..
Il Manifesto a fasi alterne  mi accompagna da quando avevo 17 anni.
Proprio per questo motivo  non riesco ad immaginare il panorama informativo in Italia senza il Manifesto in edicola e chissà forse per questo pretendo il meglio da quello che considero un po’ anche il “mio” giornale.
Ho trepidato quando nel giugno dello scorso anno, in copertina ho letto “Via Tomacelli, abbiamo un problema…” e mi sono detta “oh no ancora”… e ho creduto anche io come tanti, che fosse importante contribuire anche se con poco al “nostro” giornale.
Noam Chomsky scomodandosi dagli  Stati Uniti fece sapere al Manifesto che “in un’epoca in cui assistiamo ai processi di fusione e annessione alle grandi corporations dei media e un degrado dei loro contenuti, abbiamo ancor più bisogno di voci indipendenti di alta qualità (12/7/2006).
Richard Falk (professore di Diritto Internazionale applicato, Università di Princenton) scriveva il 15 luglio 2006 :“è importante che sopravviva come presenza giornalistica vitale, nell’interresse del giornalismo di qualità e per contrastare le numerose tendenze reazionarie, in Europa e altrove, fra le quali vanno incluse le crescenti fusioni degli organi di informazione e opinione sotto il controllo di un numero ristretto di magnati dei media appartenenti alla destra”.
Paolo Beni (presidente nazionale Arci) confermando l’invio dei primi 2000 euro raccolti fra i dirigenti nazionali, scriveva il 26 luglio 2006 che “gli spazi del confronto e del dissenso vengono costantemente messi in discussione da un sistema editoriale sempre più condizionato dai grandi poteri economici”.
Ma anche tante “donne, uomini, compagni che spesso si incazzano con noi, anche di brutto, ma poi hanno fiducia in questo giornale, lo sentono necessario” scriveva Valentino Parlato il 7 settembre 2006 confermando che la sottoscrizione aveva superato la cifra di 1,5 milioni di euro e preparando la seconda fase della campagna di sostegno al “mostro” una gigantesca colletta che ha coinvolto, pensionati, giovani, casalinghe, impiegati, ma anche dirigenti aziendali, politici, nomi importanti della cultura, piuttosto che i 15 studenti di Genova che hanno comprato 4 copie ciascuno del giornale o i ferrovieri romani, i pacifisti, la sagra del pesce e quella della castagna.
E lo stesso Parlato, preannunciando una grande assemblea nazionale del Manifesto e forse anche una festa, scriveva : “nell’attesa dovremmo avere, sul giornale, iniziative più appassionanti delle dispute tra quel che resta degli antichi partiti, avere inchieste, polemiche, battaglie culturali contro la tendenza dominante, anche in certi giornali democratici come la Repubblica, a seppellire il socialismo e tutte le idee di cambiamento” e invocava dopo gli “anni ruggenti” , “audacia, audacia”…
e ancora pochissimi mesi fa, ad agosto, ci chiedevano di acquistare “senza piagnistei di sinistra” il Manifesto a 5 euro: una richiesta militante che ribadisce come il manifesto sia sempre di più un “lusso di qualità” sia per chi lo fa che per chi lo legge. E cosa dire di Alias il sabato al “prezzo “militante di 5 euro?
Stonano quindi, cari amici, secondo me, dopo un anno di colletta, dopo un anno “di piagnistei di sinistra” ai quali tutti in buona fede abbiamo creduto, sentendoci partecipi del destino di un giornale, quasi identificandolo con il destino della libertà di informazione , le finestre pubblicitarie per Marsilio Editore, e non tanto, non volendo essere troppo puntigliosi,   perchè Marsilio Editore sia di RCS o della famiglia De Michelis,  come alcuni di voi fanno notare, ma piuttosto per i contenuti che esse pubblicizzano.
Dire che “davanti alla pubblicità non bisognerebbe guardare nulla” come scrive l’amico Azor, può andar bene per un supermercato, non per un prodotto culturale, perchè se mettiamo la cultura alla stregua di una qualsiasi merce per la quale vale il principio che è bene che venga venduta al miglior offerente, viene a snaturarsi  lo stesso ruolo formativo della cultura, e che questa possa essere la pratica dei grandi giornali di destra se non ci sorprende affatto, nemmeno  dovrebbe essere la via maestra da seguire se intendiamo la destra come promotrice del principi del liberismo contro quelli di un’etica dell’economia, ai quali noi lettori del Manifesto siamo affezionati..
E’ vero non ho letto il libro, ma sinceramente posso dire che mi è bastata l’anticipazione che ne fanno i due autori su Anna e sono certa di trovare in esso quanto si va leggendo ormai su tutta la nostra stampa nazionale. Solo il Manifesto si distingueva. Almeno per ora.
Alberto, leggere che “Il caudillo fa sempre notizia, per il suo eccentrico protagonismo e perchè lega benissimo con il peggio in circolazione. Da Saddam Hussein (questa mi mancava!!) ad Ahmadinejad passando per Roberto Mugabe. A Lula preferisce Morales e alla vecchia Europa la Russia di Putin” non mi sembra sia parlare di un libro che “sostenga una tesi in contrasto con ciò in cui crediamo”, mi sembra piuttosto sostenere una tesi in contrasto con quella che è la realtà dei fatti, parlare di “presunto” complotto della Cia contro Chávez sostiene l’ipotesi che il complotto possa essere  stato inventato di sana pianta quando ormai è un fatto  reale che è avvenuto.
E’ questo che io ho criticato, è stata la scelta dei due libri in un contesto generalizzato in cui la sinistra sta rivedendo le sue posizioni in materia di politica estera.
E’ vero che sulle pagine del Manifesto si fanno analisi serie sul Venezuela, ma riflettevo ieri appunto che ultimamente vengono fatte per lo più sulla politica estera del Venezuela, un silenzio sembra essere calato su Chávez, sul paese, sulla riforma costituzionale, sul partito unico, troppo difficile, troppo imbarazzante? Sento puzza di bruciato…
Ho solo fatto notare, come lo ha fatto Valentino Parlato attraverso la “richiesta militante” di contribuire con sottoscrizioni alla salvezza del Mostro, che sarebbe bene nel nome del “lusso di qualità” che vorremmo sempre leggere, di non “seppellire il socialismo e tutte le idee di rinnovamento”.
Anche la mia in fin dei conti è stata una “critica militante”…

Tu querida presencia…

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El aparecido (Victor Jara)


Caro Manifesto.…e la coerenza?

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Caro Manifesto.….
 
pensavo che bastassero i vari La Repubblica, Liberazione e Libero nella veste di  sbandieratori di falsità e luoghi comuni su Chávez e il Venezuela.
Perchè pubblicizzare in prima pagina un libro che parla di Hugo Chávez (il caudillo pop) e lo indica come “la nuova icona della sinistra che di fatto assomiglia più al Duce che a Manu Chao”?
Perchè riempirci di belle pagine su Che Guevara se poi in prima si pubblicizza “La via del Che – il mito di Ernesto Guevara e la sua ombra”? di Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera?
E’ un caso che ambedue i libri siano editi dalla Marsilio Editori, che appartiene al Gruppo RCS e sotto la guida della famiglia De Michelis?
Perchè tante campagne abbonamenti, tante copie a 5 euro, “sostieni il mostro”, sostieni l’indipendenza … se poi si fanno contratti con chi l’indipendenza l’ha persa da tempo?
E’ vero a sinistra va tanto di moda parlar male di Chávez e fare del revisionismo su tutto, anche su Ernesto Guevara , ma la coerenza, caro Manifesto, per alcuni è ancora un bene prezioso.

Mario Casasús: Neruda e i falsi cristalli del suo denaro

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Mario Casasús, Brecha
24 agosto 2007
 
 
“Uruguay è parola di un uccello, o lingua dell’acqua, è sillaba di una cascata, è tormento di cristalleria”
Pablo Neruda, Canto generale
 
Neruda ha vissuto clandestinamente in Uruguay tra il 1953 e il 1956, a casa di Alberto Mántaras, nella località  balneare di Atlántida.
Testimonianza di questa permanenza è l’erbario progettato per l’ Ode ai fiori di Datitla (testo pubblicato nel Terzo libro delle Odi; Losada 1957), rimasto inedito fino al 2003.
Il suo esilio fu dovuto alla relazione con Matilde Urrutia  a differenza di quello che fu costretto a vivere  quando in Cile dichiararono  illegale il Partito Comunista e la sua carica di senatore fu  revocata: allora attraversò le montagne a cavallo con destinazione Buenos Aires, dove Miguel Ángel Asturias gli prestò il suo passaporto per far sì che a Parigi,  Picasso lo potesse presentare al Congresso Mondiale per la Pace.
La militanza del nostro poeta non è un segreto, di origini comuniste, diplomatico del Frente e della Unidad Popular, si ficcava in ogni pasticcio, come in Messico, quando liberò dal carcere il muralista Siqueiros  o in Spagna, quando fece emigrare 2500 repubblicani sulla nave Winnipeg.
È da tempo che si dice che la morte di Neruda sia avvenuta più per tristezza che per cancro, io credo che il 23 settembre 1973 agirono entrambe le cause in maniera fulminante.
L’erbario fu composto in Uruguay insieme alla poesia  Testamento del Canto Generale:
 
“Lascio ai sindacati
del rame, del carbone e del salnitro
la mia casa sul mare d’Isla Negra.
Voglio che lì riposino i vessati figli
della mia patria, saccheggiata da asce e traditori,
dissipata nel suo sacro sangue,
consumata in vulcanici brandelli”
 
Sono stati questi i versi che posero le basi del progetto che il poeta scelse di chiamare Cantalao: “Fondazione di Beneficenza senza fini di lucro il cui obiettivo sarà la diffusione della letteratura, dell’arte e della scienza, specialmente nella zona compresa nel  litorale tra San Antonio e Valparaíso (…) a) costruzione e messa a disposizione per il bene comune della Fondazione di edifici che avranno lo scopo di essere luogo di incontro per  scrittori, artisti e scienziati nazionali e stranieri così come avranno la funzione di  ospitarli.
L’articolo quinto relativo alla composizione del Consiglio Direttivo ed Esecutivo: questo sarà formato da due rappresentanti di Pablo Neruda, dai rettori dell’Università del Cile, Cattolica e Tecnica dello Stato, da un rappresentante della Centrale Unitaria dei Lavoratori e da un rappresentante della Società degli Scrittori del Cile (documento inedito, datato il 9 maggio 1973, del quale conservo una fotocopia autenticata davanti ad un notaio pubblico).
Dopo il colpo di Stato del 1973, alla vedova Matilde Urrutia furono confiscate le case del poeta, lo stesso fecero al Partito Comunista erede di Isla Negra. Matilde Urrutia accompagnava le madri dei detenuti scomparsi nei commissariati in cerca di un habeas corpus, faceva dichiarazioni alla BBC sulla sistematica violazione dei diritti umani della dittatura, autorizzava antologie di Neruda a paesi amici – per esempio al Fondo della Cultura Economica del Messico, sporgeva denunce nella Spagna franchista quando venivano censurate le fotografie di Neruda con Salvador Allende, ma lei visse solo fino al 1986. Che successe poi con l’eredità di Neruda dopo la morte della vedova? Dove finì il denaro del poeta? È in quel momento che appare Agustín Figueroa, un personaggio sinistro che si impadronì dei diritti del poeta e dell’amministrazione della sua immagine.
Il legame con Neruda lo stabilisce  tramite sua sorella, Aída Figueroa, che su richiesta del Partito Comunista nascose Neruda nel 1948 (periodo nel quale  scrisse in clandestinità il Canto Generale) e con questo gesto riuscì a conquistarsi  la fiducia e l’amicizia del poeta. Una volta morto Neruda e quando molte persone voltarono le spalle a Matilde Urrutia (o i suoi amici si trovavano in esilio), Aída le presentò suo fratello Juan Agustín (che non fu mai amico di Neruda). Matilde accettò il consiglio della sua amica,  senza sapere che fin dalla sua gioventù Figueroa era stato intimo amico e socio del pinochetista Ricardo Claro. Una volta morta Matilde Urrutia,  la dittatura lasciò campo libero  a Juan Agustín Figueroa.
Contravvenendo alla volontà di Neruda, Figueroa consigliò Matilde affinchè nominasse nel Consiglio Direttivo  della Fondazione un gruppo di persone di sua fiducia tra le quali c’erano  sua moglie (QEPD), sua sorella e l’avvocato del suo studio. Vedendo l’amministrazione di Figueroa, il primo a rinunciare fu Jorge Edwards.
Dove finì il denaro del poeta? Ritornando all’epigrafe: “è tormento di cristalleria”: 2.3 milioni di dollari(USD) incassati solo nel 2003 come diritti d’autore delle opere di  Neruda sono stati investiti  in buoni fruttiferi nella Cristalerias Chile, secondo la logica neoliberale per cui è conveniente un investimento di basso rischio con poca speculazione del capitale, vero? Nel 2005 pubblicai in esclusiva l’inchiesta  completa sulla nuova Fondazione Neruda (si è perduto il nome Cantalao così come come l’erbario uruguayo). Cristalerías Chile è di proprietà di Ricardo Claro: questi fu consigliere di Pinochet fin dal 12 settembre 1973, ambasciatore della dittatura dal 1978, responsabile di aver portato in Cile il suo amico Henry Kissinger, quale fu il motivo del suo viaggio se non orchestrare il Plan Condor?
Nel capitolo VI – Centri di detenzione – della Commissione Nazionale sulla Prigione Politica e Tortura presieduta dal vescovo  Sergio Valech (pagine 312/313; Informe Valech, 2004) si elencano le testimonianze delle navi usate come prigioni a Valparaíso, e come riporta il quotidiano La Nación “Ricardo Claro mise a disposizione delle forze di sicurezza due navi di una sua impresa, la Compañia Sudamericana de Vapores, per essere usati come centri di detenzione e tortura. Una di esse, la Maipo, ha portato 380 detenuti da Valparaíso fino a Pisagua. Molti dei suoi “passeggeri” persero la vita. L’altra nave, la  Lebu, era un  carcere galleggiante e più di 2000 persone passarono e per le sue stive e cabine (05.12.2004).
***
L’esecutore testamentario della Fondazione, Juan Agustín Figueroa dichiarò dieci giorni dopo la pubblicazione della mia ricerca: “Neruda sarebbe stato completamente d’accordo” (in merito all’investimento di denaro nella ditta di Ricardo Claro)…”Il mondo di Neruda è finito e dobbiamo aprirci su altri fronti” e “gli utili permetteranno alla fondazione di sopravvivere quando decadranno i diritti d’autore di Neruda nel 2023” (diario La Tercera; 21.08.2005, dove attualmente è editorialista della domenica Henry Kissinger). Un anno dopo,  il quotidiano ufficiale del Cile, riprese la mia inchiesta e le reazioni della Fondazione Neruda non furono diverse: L’avvocato, bibliotecaria e componente del Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda, Clara Budnik dichiarò a Javier García del quotidiano La Nación: “Voglio che sappiate che se si è investito in modo da ottenere dei dividendi per l’istituzione, per me non ci sono problemi. Inoltre Ricardo Claro apporta  cultura al nostro paese”. (09.07.2006).
La Fondazione Neruda non ha mai potuto smentirmi, li ho accusati di evasione fiscale (per 140 milioni di pesos cileni e del suo equivalente 249,309.95 USD), di negligenza di fronte alla falsificazione dell’Antologia Popolare 1972 da parte dell’editrice Edaf (legata all’estrema destra del PP spagnolo), di influenza da parte di Juan Agustín Figueroa nel rispolverare le Leggi Antiterroriste contro la comunità mapuche, nemmeno il nostro editorialista del quotidiano La Jornada Noam Chomsky visitando Temuco l’anno scorso per una riunione con i leader mapuche, poteva credere che chi presiede la Fondazione Neruda è l’ideologo della Ley Maldita (Legge Maledetta), per la quale Neruda abbandonò il paese, oggi chiamata Legge Antiterrorista.
***
Juan Agustín Figueroa è amico personale e socio di Ricardo Claro dal 1950, ora è chiaro del perchè  la dittatura gli ha lasciato mano libera nella  Fondazione Neruda dopo la morte della vedova del poeta. Figueroa ha apportato “piccoli cambiamenti agi statuti” creati da Neruda, dei  7 membri originari, ora ce ne saranno solo 5,  “le loro cariche saranno vitalizie, ma potranno cessare per rinuncia, e venendosi a creare un posto vacante, gli altri quattro membri possono scegliere il sostituto. Se rimangono solamente uno o più membri del Consiglio sarà compito di questi  designare il sostituto”. L’attuale Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda è composto da:
Aida Figueroa Yávar, sorella del direttore generale; Jorge del Río, socio dello studio degli avvocati di Figueroa; Raúl Bulnes, intimo amico di Figueroa, e con la morte della moglie di Figueroa (che faceva parte anche lei della direzione) si è preparata  la strada a Ignacio Figueroa in qualità di futuro presidente vitalizio, dal momento che suo padre Juan Agustín Figueroa erediterà la Fondazione Neruda… tutto rimarrà in famiglia, niente per gli scrittori, gli universitari o i sindacalisti cileni.
Ho insistito nella necessità di una convocazione della Fondazione Neruda da parte del ministro delle Finanze (imposte interne), ho sollecitato al presidente Bachelet la cancellazione della Personalità Giuridica della Fondazione Neruda, ho intervistato tutti gli amici e biografi del poeta in Spagna, Cuba, Messico, Italia, Germania, Stati Uniti, Uruguay, Argentina e Cile e ho soltanto vinto alcune piccole battaglie: mi hanno concesso le dimissioni di un dirigente esecutivo,(Francisco Torres), l’Agenzia Balcells ha rimproverato l’editrice Edaf per la falsificazione della sua Antologia Postuma 2004 (mentre in realtà è l’Antologia Popular del 1972) , ma la cosa più importante è il caso di  Pascual Pichún, un mapuche di 23 anni che è fuggito attraverso le montagne dopo essere stato accusato di essere un “terrorista” secondo la  logica di Figueroa, in Argentina si deciderà se dovrà essere deportato per la violazione delle leggi migratorie (come avrebbero fatto con Neruda ai tempi della Ley Maldita) e fino a questo momento si trova lì come rifugiato politico, in parte grazie alla mia inchiesta sui diritti di autore di Pablo Neruda investiti nelle aziende di un terrorista di Stato come Ricardo Claro.  
“Cosa penserebbe Neruda di tutto questo?” Cosa scriverebbe nel settimanale Marcha o nel Siglo Ilustrado su Ricardo Claro e Juan Agustín Figueroa? Ricordo una vecchia  foto di Neruda nella redazione di Marcha insieme a Mario Benedetti. La mia editrice Faride Zerán mi dice che il caso Fondazione Neruda “rappresenta la metafora della transizione cilena”.
(Traduzione di Annalisa Melandri)

Mario Casasús è un giornalista nato in Messico  le cui radici sono “rappresentate da un esilio permanente” come egli stesso scrive parlando della sua famiglia cilena  in una lettera aperta al Subcomandante  Marcos e pubblicata su la Jornada Morelos, quotidiano messicano per il quale lavora.
E’ giovanissimo, è nato a Cuautla nel 1980 e lavora anche per il Clarín del Cile. E’ coraggioso e come i migliori giornalisti è mosso da sincera passione e amore per la verità. Se Julio Scherer è il “periodista incómodo” (giornalista scomodo) del Messico, mi sento di definire Mario “periodista incómodo” del Cile.
Io lo ammiro molto e credo che tutti noi che amiamo Neruda dovremmo essere grati a Mario e al suo lavoro”. A.M.
 
ODE AI FIORI DI  DATITLA
Sotto i pini la terra prepara
piccole cose pure:
erbe sottili
dai cui fili
si impennano minuscoli fanali,
capsule misteriose
piene di aria perduta,
ed è diversa lì
l’ombra,
filtrata
e fiorita,
lunghi aghi verdi sparsi
dal vento che attacca e mette in disordine
i capelli dei pini.
Sulla sabbia
capitano
petali frammentari,
calcinate cortecce,
pezzi azzurri
di legno morto,
foglie che la pazienza
degli scarabei
boscaioli
cambia di posto, migliaia
di coppe minime
l’eucaliptus lascia
cadere
sopra
la sua
fresca e fragrante
ombra
e ci sono
erbe
simili a flanella
e argentate
con morbidezza
di guanti,
bastoni
di orgogliose spine,
irsuti padiglioni
di acacia scura
e fiori colore di vino,
stiance, spighe,
cespugli,
ruvidi steli riuniti come
ciuffi nella sabbia,
foglie
rotonde
di ombroso verde
tagliato con forbici,
e tra l’alto giallo
che improvvisamente
alza
una silvestre
circonferenza d’oro
fiorisce la tigridia
con tre
lingue di amore
ultravioletto.

Sabbie di
vicino
all’aperto estuario
de La Plata, nelle prime
onde del grigio Atlantico,
solitudini amate,
non solamente
al penetrante
odore e movimento
di pinete marittime
mi riportaste,
non solamente
al miele dell’amore e alla sua delizia,
ma alle circostanze
più pure della terra:
alla secca e scontrosa
Flora del Mare, dell’Aria,
del Silenzio.

L’Ode ai Fiori di Datitla di Pablo Neruda è un erbario che ha una lunga storia, fatto e manoscritto da Pablo Neruda e Matilde negli anni del loro amore clandestino. Quest’opera fu regalata a Alberto Mantarás, amico di Pablo, come ringraziamento dell’ospitalità che ricevettero in casa di lui, nella zona balneare di Atlántida, in Uruguay, (1953–1956). L’ originale dell’Erbario Ode ai Fiori di Datitla si trova nel Museo “Paseo de Neruda” Fundación Fortín de Santa Rosa, Atlántida, Uruguay.

 

Mario Casasús: Neruda y los falsos cristales de su plata

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“Uruguay es palabra de pájaro, o idioma del agua, es sílaba de una cascada, es tormento de cristalería”
Pablo Neruda, Canto general
Mario Casasús, Brecha
24 agosto 2007
Neruda vivió clandestinamente en Uruguay entre 1953 y 1956, en casa de Alberto Mántaras en el balneario de Atlántida. Constancia de ello fue el herbario proyectado para la Oda a las flores de Datitla (texto publicado en el Tercer libro de las Odas; Losada 1957) que permaneció inédito hasta 2003.
Su exilio era ya por amores con Matilde Urrutia a diferencia del comienzo fugitivo cuando en Chile decretaron ilegal al Partido Comunista y a Neruda senador desaforado: cruza la cordillera a caballo con destino porteño, donde Miguel Ángel Asturias le prestaría su pasaporte para que finalmente Picasso lo presentara en París en un Congreso Mundial por la Paz.
La militancia de nuestro poeta no es un secreto, comunista de cepa, diplomático del Frente y la Unidad Popular, se metía en cada quilombo lo mismo en México, al liberar de prisión al muralista Siqueiros o en España al rescatar a 2,500 republicanos en el barco Winnipeg. Hace tiempo que se dice de la muerte de Neruda por tristeza más que por cáncer, yo creo que ambos de manera fulminante el 23 de septiembre de 1973. El herbario compilado en Uruguay junto al poema Testamento del Canto general:
 
“Dejo a los sindicatos
del cobre, del carbón y del salitre
mi casa junto al mar de Isla Negra.
Quiero que allí reposen los maltratados hijos de mi patria, saqueada por hachas y traidores, desbaratada en su sagrada sangre, consumida en volcánicos harapos.”
 
Fueron estos versos los que colocaron las bases de lo que el poeta eligió llamar Cantalao: “Fundación de Beneficencia sin fines de lucro cuyo objetivo será la propagación de las letras, las artes y las ciencias, en especial en el litoral comprendido entre San Antonio y Valparaíso (…) a) construcción y habilitación en el bien raíz que se aporta para la Fundación de edificaciones que se destinaran a sitios de reuniones de escritores, artistas y científicos nacionales y extranjeros como así mismo para su alojamiento (…) En el artículo Quinto relativo a la Composición del Consejo Directivo y Ejecutivo: ‘Se compondría de dos representantes de Pablo Neruda, de los rectores de las universidades de Chile, Católica y Técnica del Estado, por un representante de la Central Unitaria de Trabajadores y un representante de la Sociedad de Escritores de Chile’” (documento inédito, fechado el 9 de mayo de 1973, del que conservo una fotocopia certificada ante notario público).
Después del golpe de Estado de 1973, a la viuda Matilde Urrutia se le confiscaron las casas del poeta, lo mismo al Partido Comunista heredero de Isla Negra. Matilde Urrutia acompañaba a las madres de detenidos desaparecidos a las comisarías en busca de un hábea corpus, hacía declaraciones en la BBC sobre la sistemática violación de los derechos humanos de la dictadura, autorizaba antologías de Neruda a países amigos –por ejemplo al Fondo de Cultura Económica mexicano-, se querellaba en la España franquista cuando censuraban las fotos de Neruda junto a Salvador Allende, pero ella sólo sobrevivió hasta 1986. ¿Qué pasó con la herencia de Neruda luego de la muerte de la viuda? ¿A dónde fue a parar la plata del poeta? Es entonces cuando aparece Juan Agustín Figueroa, un personaje siniestro que se irá adueñando de los derechos del poeta y del manejo de su figura.
La conexión le llega por su hermana, Aída Figueroa, que a petición del Partido Comunista escondió a Neruda en 1948 (tiempo en el que escribiría en la clandestinidad el Canto general), y con ello se ganó la confianza y amistad del poeta. Una vez muerto Neruda y cuando mucha gente le dio la espalda Matilde Urrutia (o vivían el exilio sus amigos), Aída le presentó a su hermano Juan Agustín (que nunca fue amigo de Neruda). Matilde acepta el consejo de su amiga, pero sin saber que desde su juventud Figueroa era íntimo y socio del pinochetista Ricardo Claro. Una vez muerta Matilde Urrutia la dictadura dejó trabajar sin problemas a Juan Agustín Figueroa.
Desobedeciendo la voluntad de Neruda, Figueroa asesoró a Matilde para que nombrase en el directorio de la fundación a un grupo de personas dóciles a sus intereses entre los que estaba su propia esposa (QEPD), su hermana y el abogado de su despacho. Al ver la administración de Figueroa, el primero en renunciar fue Jorge Edwards.
¿A dónde fue a parar la plata del poeta? Vólviendo al epígrafe: “es tormento de cristalería”: 2.3 millones de dólares (USD) generados sólo en 2003 por derechos de autor de Neruda se invierten mediante bonos bursátiles en Cristalerías Chile, bajo la lógica neoliberal está bien una inversión de bajo riesgo con poca especulación de capitales ¿cierto? Lo Claro, es que en 2005 publiqué en exclusiva la investigación completa sobre la nueva Fundación Neruda (se perdió el nombre Cantalao como el herbario uruguayo) Cristalerías Chile es propiedad de Ricardo Claro: asesor de Pinochet desde el 12 de septiembre de 1973, embajador de la dictadura hasta 1978, responsable de traer a Chile a su amigo Henry Kissinger ¿A qué viajó sino a orquestar el Plan Cóndor?
En el Capítulo VI –Recintos de detención– de la Comisión Nacional sobre Prisión Política y Tortura presidida por el obispo Sergio Valech (páginas 312 a 313; Informe Valech, 2004) acopia los testimonios de los buques usados como prisión en Valparaíso, como resume el diario La Nación “Ricardo Claro puso a disposición de las fuerzas de seguridad dos barcos de otra de sus empresas, la Compañía Sudamericana de Vapores, para ser usados como centros de detención y tortura. Uno de ellos, El Maipo, trasladó a 380 detenidos desde Valparaíso hasta Pisagua. Muchos de sus ‘pasajeros’ perdieron la vida. El otro, El Lebu, cumplió el rol de cárcel flotante y más de dos mil personas pasaron por sus bodegas y camarotes” (05.12.2004).
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El albacea de la Fundación, Juan Agustín Figueroa declaró a 10 días de publicada mi investigación: “Neruda habría estado totalmente de acuerdo” (con la inversión en la empresa de Ricardo Claro)… “El mundo de Neruda se acabó y tenemos que abrirnos a otros lados” y “Las ganancias permitirán a la fundación subsistir cuando caduquen los derechos de autor de Neruda, en 2023″ (diario La Tercera; 21.08.2005, donde actualmente es columnista dominical Henry Kissinger). Un año después el diario oficialista de Chile retomó mi investigación y las reacciones de la Fundación no fueron distintas: La abogada, bibliotecóloga e integrante del directorio de la Fundación Neruda, Clara Budnik declaró a Javier García del diario La Nación: “Quiero que sepas que si se invirtió en términos de que dé dividendos a la institución, yo no veo problemas. Por lo demás, Ricardo Claro ha aportado a la cultura de nuestro país” (09.07.2006).
La Fundación Neruda nunca ha podido desmentirme, los he acusado de evasión fiscal (por 140 millones de pesos chilenos o su equivalente 249,309.95 USD), de negligencia ante la falsificación de la Antología Popular 1972 por parte de la editorial Edaf (ligada a la extrema derecha del PP español), de tráfico de influencias por parte de Juan Agustín Figueroa al desempolvar Leyes Antiterroristas contra la comunidad mapuche, ni nuestro columnista del diario La Jornada Noam Chomsky al visitar Temuco el año pasado para reunirse con líderes mapuches podía creer que quien preside la Fundación Neruda sea el ideólogo de la actualización de la Ley Maldita (por la que Neruda salió de su país) ahora llamada Ley Antiterrorista.
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Juan Agustín Figueroa es amigo personal y socio de Ricardo Claro desde 1950, ahora tiene sentido que la dictadura lo dejara trabajar al frente de la Fundación Neruda a la muerte de la viuda. Figueroa hizo ‘pequeños cambios a los estatutos’ creados por Neruda: de 7 integrantes, ahora sólo serán 5 “Sus cargos serán vitalicios pero podrán cesar por renuncia, producida alguna vacante los otros cuatro miembros elegirán al reemplazante. si sólo quedase uno o más miembros del Consejo a éstos corresponderá designar a los reemplazantes” El actual directorio de la Fundación Neruda lo integran:
Aída Figueroa Yávar, hermana del director general; Jorge del Río, miembro del estudio de abogados de Figueroa; Raúl Bulnes, íntimo amigo de Figueroa, y con la muerte de la esposa de Figueroa (que también estaba en el directorio de la Fundación) le preparan el camino a Ignacio Figueroa como futuro presidente vitalicio, ya que su padre Juan Agustín Figueroa le heredará la Fundación Neruda… todo quedará en familia, nada para los escritores, universitarios o sindicalistas chilenos.
He insistido en la necesidad de una auditoria a la Fundación Neruda por parte del Ministerio de Hacienda (impuestos internos), le he solicitado a la presidenta Bachelet el Desconocimiento de la Personalidad Jurídica de la Fundación Neruda, entrevisté a todos los amigos y biógrafos del poeta en España, Cuba, México, Italia, Alemania, Estados Unidos, Uruguay, Argentina y Chile; y sólo he ganado pequeñas batallas: me concedieron la renuncia de un directivo ejecutivo (Francisco Torres), la Agencia Balcells regañó a la editorial Edaf por la falsificación de su Antología Póstuma 2004 (cuando en realidad es la Antología Popular 1972), pero lo más importante es el Caso Pascual Pichún, un mapuche de 23 años que escapó por la cordillera acusado de ‘terrorista’ bajo la lógica de Figueroa, en Argentina se decide si lo deportan por violar leyes migratorias (como lo hiciera Neruda en tiempos de la Ley Maldita) y hasta ahora está en calidad de refugiado político, en parte por mi investigación sobre los derechos de autor de Neruda invertidos en un terrorista de Estado como Ricardo Claro.
¿Qué pensaría Neruda de todo esto? ¿Qué escribiría en el semanario Marcha o El Siglo Ilustrado sobre Ricardo Claro y Juan Agustín Figueroa? Recuerdo una vieja foto de Neruda en la redacción de Marcha junto a Mario Benedetti. Mi editora Faride Zerán me dice que el Caso Fundo Neruda ‘es la metáfora de la transición chilena’.

“Mario Casasús es un periodista nacido en Mexico cuyas raices son representadas por un exilio permanente” cómo él mismo escribe refiriendose a su familia chilena en una carta abierta al Subcomandante Marcos publicada en la Jornada Morelos, periodico de Mexico, por el, cual trabaja.
Es muy joven, nació en Cuautla en 1980 y escribe también por El Clarín de Chile. Es valiente y cómo los mejores periodistas trabaja por pasión sincera y amor por la verdad. Si Julio Scherere es el “periodista incómodo” de Mexico, estoy segura que puedo llamar Mario “periodista incómodo” de Chile.
Yo lo admiro mucho y todos los que amamos Pablo Neruda deberiamos agradecer Mario por su valiente trabajo”. A.M.

Oda a las flores de Datitla

Bajo los pinos la tierra prepara
pequeñas cosas puras:
hierbas delgadas
desde cuyos hilos
se suspenden minúsculos faroles,
cápsulas misteriosas
llenas de aire perdido,
y es otra allí
la sombra,
filtrada
y floreada,
largas agujas verdes esparcidas
por el viento que ataca y desordena
el pelo de los pinos.
En la arena
suceden
pétalos fragmentarios,
calcinadas cortezas,
trozos azules
de madera muerta,
hojas que la paciencia
de los escarabajos
leñadores
cambia de sitio, miles
de copas mínimas
el eucaliptus deja
caer
sobre
su
fría y fragante
sombra
y hay
hierbas
afraneladas
y plateadas
con suavidad
de guantes,
varas
de orgullosas espinas,
hirsutos pabellones
de acacia oscura
y flor color de vino,
espadañas, espigas,
matorrales,
ásperos tallos reunidos como
mechones de la arena,
hojas
redondas
de sombrío verde
cortado con tijeras,
y entre el alto amarillo
que de pronto
eleva
una silvestre
circunferencia de oro
florece la tigridia
con tres
lenguas de amor
ultravioleta.

Arenas de Datitla
junto
al abierto estuario
de La Plata, en las primeras
olas del gris Atlántico,
soledades amadas,
no sólo
al penetrante
olor y movimiento
de pinares marinos
me devolvéis,
no sólo
a la miel del amor y su delicia,
sino a las circunstancias
más puras de la tierra:
a la seca y huraña
Flora del Mar, del Aire,
del Silencio.

 

ODA A LAS FLORES DE DATITLA DE PABLO NERUDA, es un herbario que tiene una larga historia, hecho y manuscrito por Pablo Neruda y Matilde en los años de su amor clandestino. Esta obra fue regalada a Alberto Mántaras, amigo de Pablo, en agradecimiento a la hospitalidad que recibieron en la casa de aquél, en el balneario de Atlántida en el Uruguay (1953 — 1956).
El original del herbario Oda a las Flores de Datitla, se encuentra en el Museo “Paseo de Neruda”. Fundación Fortín de Santa Rosa, Atlántida, Uruguay.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Italiani fanno il saluto nazista a Monaco: arrestati. Mica come da noi.

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Un italiano è stato arrestato, un altro è stato denunciato, per aver fatto il saluto nazista a Monaco durante l’Oktoberfest. Nel primo caso un uomo, di 32 anni di Lucca, è stato denunciato a piede libero ed allontanato dalla festa, dopo aver pagato una cauzione di 500 Euro. Nel secondo caso un trentenne di San Donà di Piave (TV) si è rifiutato di pagare la cauzione ed è stato così arrestato per essere giudicato in direttissima dal competente giudice di Monaco. (Fonte La repubblica)
Mica come da noi.…
 


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