Rompendo il silenzio (22 aprile 1997–22 aprile 2007)

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Fujimori all'ambasciata giapponese

Dieci anni fa, il 22 aprile 1997 si concludeva tragicamente a Lima, nella sede dell’Ambasciata  giapponese la così detta “crisi degli ostaggi” iniziata 126 giorni prima, il 17 dicembre 1996.

Allora, 14 appartenenti al gruppo TUPAC AMARU guidati dal comandante Néstor Cerpa Cartolini tennero in ostaggio, in un’operazione chiamata “Rompiendo el silencio” (Rompendo il silenzio),   per circa 4 mesi, centinaia di persone appartenenti all’alta società peruviana che si trovavano nell’Ambasciata riuniti per un ricevimento,  dopo aver rilasciato i più deboli ed anziani tra i quali la madre   del presidente Fujimori.
Fujimori per i quattro mesi del sequestro  finse di portare avanti una trattativa con i ribelli i quali chiedevano in cambio  del rilascio dei prigionieri la liberazione di alcuni appartenenti al MRTA detenuti presso le carceri peruviane.
Il 22 aprile, complice anche Monsignor Cipriani (arcivescovo di Lima e membro dell’Opus Dei) il quale avendo accesso all’interno dell’Ambasciata per celebrare la messa, riuscì ad introdurre nella stessa una radio e consegnarla agli ostaggi con la quale questi vennero  informati preventivamente dell’irruzione delle forze speciali dell’esercito.
I ribelli Tupac Amaru vennero trucidati e con essi Carlos Giusti un magistrato che faceva parte del gruppo degli ostaggi ma che risultava “scomodo” al governo Fujimori per aver più volte ribadito l’indipendenza  della magistratura dal potere politico.
Già Human Right Watch all’indomani della presa dell’ambasciata, pur condannando l’azione del MRTA aveva richiamato il governo peruviano e lo aveva invitato  ad ascoltare le richieste dei ribelli Tupac Amaru i quali in sostanza  oltre alla liberazione dei loro compagni reclamavano condizioni carcerarie più umane e processi giusti,  cosa che non avveniva in Perù per i prigionieri politici. Inoltre HRW suggeriva al governo di seguire l’esempio delle trattative portate avanti in una caso analogo, quando guerriglieri dell’M-19 assaltarono l’ambasciata della Repubblica Dominicana in Colombia. In quel caso  gli ostaggi furono posti in libertà con la promessa che una delegazione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani partecipasse in qualità di osservatore al processo di circa 200 guerriglieri detenuti.
In un comunicato stampa di HRW diffuso dopo la liberazione degli ostaggi e il massacro dei ribelli da parte dell’esercito,  si rende noto che molti di essi furono giustiziati dopo essere stati  disarmati e catturati vivi. Inoltre nonostante fosse stato promesso ai familiari la restituzione dei corpi  per darne degna sepoltura, essi successivamente vennero gettati in fosse comuni.
Riporta testualmente il comunicato di HRW:
“Organismi per la difesa dei diritti umani hanno documentato centinaia di esecuzioni extragiudiziali, incluso vari massacri, per mano di membri delle forze di sicurezza peruviane da quando Fujimori ha assunto la presidenza della nazione.
Il Perù oggi non dimentica la passeggiata macabra di Fujimori tra i cadaveri dei 14 Tupac Amaru, e la sua fuga in Giappone non molto tempo dopo e aspetta  con ansia la sua estradizione dal Cile perchè venga condannato finalmente per i crimini commessi.
A Vladimiro Montesinos, all’epoca suo braccio destro e attualmente detenuto nella Base Navale del Callao, per la responsabilità nell’esecuzione extragiudiziale  dei 14 Tupac Amaru,  il prossimo 18 maggio verrà aperto un  procedimento penale per omicidio.
Il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, nello stesso giorno in cui cade l’anniversario del massacro all’ambasciata giapponese, diffonde un comunicato nel quale, “chiama all’unità il popolo peruviano, la sinistra , i movimenti sociali e i settori progressisti e invoca un’Assemblea Costituente che sia espressione della volontà popolare”.
Chiede inoltre che venga rispettata la sovranità popolare tradotta in una “politica latinoamericanista dove i popoli decidano autonomamente il loro futuro” Un primo passo per realizzare questo progetto sarebbe “ il ritiro delle basi nordamericane dal Perù e dall’America Latina” , nonché la nazionalizzazione degli idrocarburi, la difesa delle risorse naturali, la difesa dell’Amazzonia e il rispetto delle identità culturali ed etniche del paese.
Alan García rappresenta tuttavia la continuità del progetto liberista applicato dalla dittatura di Fujimori, che almeno nei metodi era intenzionato a restaurare con la  proposta,  bocciata dal Congresso, di reintrodurre la pena di morte per i prigionieri accusati di terrorismo. Nonostante cresca il malcontento di ampi settori della popolazione e  la popolarità dell’attuale presidente vada  diminuendo sempre più,  per il Perù la primavera appare ancora lontana.
 
 

Una grande forza conservatrice.….(sic, sic, sic)

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Massimo D'Alema

“Io spero che il centro destra si incammini anch’esso lungo la strada della costruzione di una grande forza politica conservatrice che sappia incarnare la destra oltre le frammentazioni della Casa delle Libertà”

(Massimo D’Alema)

Se andiamo per speranze, io spero  invece che la destra rimanga frammentata il più a lungo possibile  e che possibilmente sparisca del tutto prima o poi…Ma le “cose di sinistra” non c’è più nessuno che le dice???


Virginia Tech di Jack Hirschman

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Sono io il “solitario”,
quello che ha smesso di ascoltare,
quello con la miccia nascosta,
con la morsa cieca del pugno,
con un buco nel cuore,
quello con le armi
che spara a raffica/e uccide perchè, solo perchè,
che ammazza a suo piacimento e, perchè
non restano che i morti,
si uccide,
suicida oltre a tutti gli omicidi.
e ora sai/che effetto fa
un mercato nella vecchia Baghdad,
con le sue vittime
“nel posto sbagliato al momento sbagliato”
e perchè tutto il tuo cordoglio
domani entrerà da un orecchio sordo e uscirà dall’altro, assordante.
 
Jack Hirschman
(Trad. Marina Impallomeni)

Una breve historia de la contrarrevolució n cubana

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de Michael Moore

¿Alguna vez se preguntaron como ha hecho Fidel Castro para permanecer tanto tiempo en el poder? Nadie — excepto el Rey de Jordania — ha permanecido en el gobierno por un período más largo de tiempo. El hombre ha sobrevivido a ocho presidentes estadounidenses, diez Juegos Olímpicos, y el regreso del Cometa Halley. Y sin importar lo que el gobierno de Estados Unidos hace para derrocarlo, tiene más vidas que «regresos» ha tenido Cher.

No es porque nuestros líderes (estadounidenses) no hayan hecho su mejor esfuerzo para derrocarlo. No, ya desde que Castro liberó su país del corrupto régimen de Fulgencio Batista (al que apoyaban los Estados Unidos y la Mafia) Washington ha probado una gran variedad de métodos para derrocarlo. Éstos han incluido intentos de asesinato (pagados con el dinero de nuestros impuestos), invasiones, bloqueos, embargos, amenazas de aniquilación nuclear, desorganizació n interna, y guerra biológica (la CIA tiró manojo de gérmenes de Fiebre Porcina Africana sobre el país en 1971, obligando a los cubanos a matar 500 mil cerdos).

Y –algo que siempre me ha parecido extraño– ¡hay actualmente una base naval estadounidense en la isla de Cuba! Imaginen si nosotros los estadounidenses, luego de haber derrotado a los británicos en nuestra Revolución de Independencia, les hubiéramos dejado mantener unos miles de soldados y un puñado de acorazados en la bahía de Nueva York. ¡Increíble! El presidente Kennedy, que siguió con el plan del Presidente Eisenhower para invadir Cuba en la Bahía de Cochinos, ordenó a la CIA matar a Castro, intentándolo todo, desde una lapicera rellena con tinta envenenada hasta un cigarro explosivo. (No, no estoy obteniendo mi información de Maxwell Smart; está todo en el informe del Comité Church al Congreso, de 1975). Por supuesto que nada de esto funcionó. Castro se volvió más fuerte y los Estados Unidos continuaron pasando vergüenza.

Cuba era visto como «el país que se nos escapó». Comenzó a ser una molestia para nosotros. Aquí tenemos a cada nación de este hemisferio metida en nuestro bolsillo, excepto a «esos malditos cubanos». Se ve mal. Como cuando toda la familia sale a cenar y la oveja negra, el pequeño Billy, no se quiere quedar quieto en la silla y hacer lo que le dicen. Todos en el restaurante miran a los padres y se preguntan qué clase de educación le están dando. La apariencia de que no lo están disciplinando o controlando como se debe es la peor humillación.

Entonces comienzan a vapulear al pequeño Billy, el que –olvídenlo– no va a terminar sus porotos nunca. Así es cuán tontos lucimos al resto del mundo. Como si nos hubiéramos vuelto locos por esta pequeña isla a 90 millas de nuestras costas. No nos sentimos de ese modo frente a una real amenaza para la humanidad, como la que significa el gobierno Chino. ¡Y hablo acerca de una pandilla de asesinos! Aún así no podemos movernos más rápido para meternos en la cama con ellos. Washington gastó 23 años poniéndonos en contra de los chinos, y luego, repentinamente: ¡un día son nuestros amigos! Parece que los Republicanos y sus compinches empresarios no estaban realmente en contra de los dictadores comunistas, sino contra aquéllos que no los dejaban entrar a China para hacer dinero. Y ése fue, por supuesto, el error fatal de Castro.

Una vez que tomó el poder, nacionalizó todos los negocios americanos y pateó a la mafia fuera de La Habana. Fue como si se sentara en la Falla de San Andrés, porque la ira del Tío Sam cayó duro sobre él, y no lo ha dejado tranquilo por más de 37 años. Y a pesar de eso Castro ha sobrevivido. Por ese sólo éxito, y a pesar de todos sus defectos (represión política, discursos de cuatro horas y una tasa de alfabetismo del cien por ciento), hay que admirar al muchacho.

Pero: ¿por qué continuamos peleando por esta pata de pavo sobrante de la Guerra Fría? La respuesta puede encontrarse mirando no más lejos de una ciudad llamada Miami. Es desde allí que un puñado de exilados cubanos enloquecidos han controlado la política extranjera de los Estados Unidos hacia esta insignificante nación insular. Estos cubanos, muchos de ellos acólitos de Batista que vivían a todo trapo mientras esa pandilla asolaba el país, parecen no haber cerrado un ojo desde que juntaron su dinero y huyeron a La Florida. Y desde 1960, han insistido en contagiarnos su locura.

¿Por qué es que en cada incidente o crisis nacional que ha sufrido nuestro país en las pasadas tres décadas (el asesinato de Kennedy, Watergate, el caso Irán Contras, la epidemia del abuso de drogas, y la lista sigue…) siempre encontramos a exilados cubanos presentes o implicados?

a.. Primero, fue la conexión de Lee Harvey Oswald con los cubanos de Nueva Orleans. ¿O eran exilados cubanos actuando solos para matar a Kennedy, o Castro ordenando su asesinato porque se había aburrido que Kennedy intentara derrocarlo? En cualquiera de las teorías que usted suscriba, los cubanos están rondando por el barrio.

b.. Luego, en la noche del 17 de junio de 1972, tres cubanos, Bernard Barker, Eugenio Martínez, y Virgilio González (junto con los estadounidenses Frank Sturgis (que fue capitán de Batista) y James McCord Jr.) fueron atrapados entrando en las oficinas de campaña del Partido Demócrata en Watergate. Esta operación encubierta, eventualmente causó la renuncia de Richard Nixon, por lo que entreveo que hay gato encerrado en esa operación del exilio cubano en particular. Hoy, Barker y González son considerados héroes en la comunidad cubana de Miami. Martínez, perdonado más tarde por Ronald Reagan, es el único que se siente mal. «Yo no quise estar implicado en la caída del Presidente de los Estados Unidos», dijo. ¡Oh! ¡Que hermoso de su parte!

c.. Cuando Oliver North necesitó un grupo encubierto para entrar armas en Nicaragua con el objetivo de derrocar al gobierno sandinista: ¿a quién pudo recurrir sino a los cubanos de Miami? Los veteranos de Bahía de Cochinos Ramón Medina y Rafael Quintero eran los hombres clave en la compañía de transporte aéreo que entregaba las armas a los Contras. La guerra de los Contras, apoyada por Estados Unidos, fue responsable de la muerte de 30 mil nicaragüenses.

d.. Uno de los premios mayores que recogimos de nuestra inversión en estos exilados cubanos fue la ayuda que nos dieron introduciendo drogas ilegales en los Estados Unidos, destruyendo familias y barrios enteros de nuestras ciudades. Comenzando a principios de los sesenta, una cantidad de cubanos (que también participaron en la invasión de Bahía de Cochinos) empezó a regentear los círculos mayores de los narcóticos en éste país. La DEA encontró poco apoyo dentro del gobierno federal para ir atrás de estos exilados cubanos, porque se habían organizado a sí mismos bajo la falsa bandera de «grupos de la libertad». De hecho, muchos no eran más que frentes de operaciones masivas de contrabando de drogas. Los mismos con
trabandistas de drogas que ayudaron más tarde a contrabandear armas para los Contras nicaragüenses.

e.. Las organizaciones terroristas cubanas radicadas en los Estados Unidos han sido responsables por la colocación de más de 200 bombas y por lo menos un centenar de asesinatos desde el triunfo de la revolución de Castro. Tienen a todos tan preocupados por apoyarlos, que yo probablemente no debería estar escribiendo este capítulo. ¿Pero por que no estoy preocupado? Porque estos exiliados cubanos, con toda su alharaca y terrorismo, son realmente una manga de cagones. Eso: Cagones.

¿Quieren pruebas?

Para empezar, cuando a uno no le gusta el opresor de su país, se queda allí y trata de derrocarlo. Esto puede ser hecho por la fuerza (Revolución Americana, Revolución Francesa) o a través de medios pacíficos (Gandhi en India o Mandela en Sudáfrica). Pero lo que no se hace meter la cola entre las patas y correr, como hicieron estos cubanos. Imaginen si todos los colonos americanos hubieran huido al Canadá, y luego hubieran insistido en que los canadienses tenían la responsabilidad de echar a los británicos de América.

Los Sandinistas nunca hubieran liberado su país de Somoza si hubieran estado todos sentados en una playa en Costa Rica, bebiendo margaritas y enriqueciéndose. Mandela se fue a la cárcel, no a Libia o a Londres. Pero los cubanos ricos se pelaron a Miami… y se volvieron más ricos.

El noventa por ciento de estos exilados son blancos, mientras la mayoría de los cubanos (62 por ciento) son negros o mestizos. Esos blancos sabían que no podían quedarse en Cuba porque no tenían apoyo del pueblo.

Entonces vinieron aquí, esperando que nosotros peleáramos su pelea por ellos. Y, como tarados, la peleamos. No es que estos nenes llorones de los cubanos no hayan tratado de ayudarse a sí mismos. Pero una rápida mirada a sus esfuerzos recuerda a las viejas películas cómicas mudas. El de Bahía de Cochinos es su fiasco más conocido. Tenía todos los elementos de una gran comedia cómica: barcos equivocados, playa equivocada, no tenían municiones para sus armas, nadie los fue a esperar, y –finalmente– fueron dejados morir vagando por una parte de su isla completamente desconocida para ellos (los choferes de sus limosinas –adivino– nunca los habían llevado allí en los viejos buenos tiempos).

Este fiasco fue tan monumental que el mundo todavía no ha parado de reírse, y los cubanos de Miami nunca han olvidado ni perdonado esto. Diga «Bahía de Cochinos» a alguno de ellos, y lo verán como a un dentista taladrándole el nervio de un diente.

Uno pensaría que la derrota de Bahía de Cochinos les debería haber enseñado una lección, que hubieran dejado de insistir con esas cosas. No hizo eso esta pandilla. Desde 1962 numerosos grupos de exilados cubanos han intentado más incursiones para «liberar» su patria. Veamos las más sobresalientes:

a. En 1981, un grupo de cubanos exilados de Miami desembarcaron en la islita de Providenciales, en el Caribe, camino a invadir Cuba. Su barco, el único que llegó de cuatro que salieron del Río Miami (los otros tres fueron hechos volver por la Guardia Costera debido al mar picado, problemas de motor o falta de chaquetas salvavidas), tocó tierra en un arrecife cerca de Providenciales. Atascados en la isla sin comida ni abrigo, los cubanos de Miami comenzaron a pelearse entre ellos. Rogaron a la gente de Miami que los rescatara de la isla, y luego de tres semanas fueron devueltos a Florida vía aérea. El único de ese grupo que llegó a aguas cubanas, Gerardo Fuentes, sufrió un ataque de apendicitis en el mar, y tuvo que ser evacuado por la Guardia Costera hacia Guantánamo.

b. En 1968, un grupo de cubanos de Miami supieron que un barco polaco estaba amarrado en el puerto y que una delegación cubana podía estar a bordo del carguero. De acuerdo al St. Petersburg Times, los exilados cubanos dispararon con una bazooka casera e hicieron impacto en el casco del buque. Sólo le hicieron un abollón, y el líder del grupo, Orlando Bosch, fue apresado y sentenciado a diez años de prisión, pero fue liberado en 1972. Bosch explicó que habían esperado causar más daños al barco pero, se excusó: «¡Era un barco grande!» Bosch había estado arrestado antes por remolcar un torpedo a través de las calles de Miami a la hora de salida de las oficinas, y otra vez había sido capturado con 600 bombas aéreas cargadas con dinamita en el baúl de su Cadillac. En 1990 la administració n Bush lo sacó de la prisión, donde estaba nuevamente, cumpliendo una pena por violación de libertad condicional.

c. De acuerdo al Washington Monthly, «Durante el verano y principios del otoño de 1963, fueron lanzadas cinco incursiones de comandos contra Cuba con la esperanza de desestabilizar al régimen. La raquítica “quinta columna” en Cuba fue instruida para dejar las canillas abiertas y las lamparillas prendidas para gastar energía… En 1962, según el San Francisco Chronicle, el exilado cubano José Basulto, en una misión auspiciada por la CIA, disparó un cañón de 20 mm desde una lancha rápida contra el Hotel Inca, cerca de la bahía de La Habana, esperando matar a Fidel Castro. El proyectil erró al blanco, y Basulto, viendo que su barco se llenaba de gasolina derramada, pegó la vuelta para Florida. “Uno de nuestros tanques de combustible, hecho de plástico, comenzó a gotear”», explicó Basulto más tarde. «El combustible se derramó sobre la cubierta. No sabíamos qué hacer».

d. Años más tarde, Basulto formó «Hermanos Al Rescate», un grupo de exilados que hace unos años estuvo haciendo vuelos sobre Cuba, zumbando con sus aviones sobre las ciudades, tirando panfletos, y generalmente tratando de intimidar al gobierno cubano. En febrero de 1996, Castro aparentemente se aburrió de este acoso, y luego del 25avo incidente en un año de los «Hermanos» violando el espacio aéreo cubano, ordenó que dos de sus aviones fueran derribados.

Aunque los «Hermanos al Rescate» violaban la ley estadounidense por volar dentro del espacio aéreo cubano, la administració n Clinton fue de nuevo al chiquero del exilio e instantáneamente sacó un decreto para endurecer el embargo contra Cuba. Este embargo trajo la ira del resto del mundo contra nosotros. La Asamblea General de las Naciones Unidas votó 117 a 3 a favor de condenar a los Estados Unidos por su violencia económica contra Cuba, tal y como ha sido en cada votación sobre el tema desde que el embargo fue impuesto.

La semana después de que los aviones fueran derribados, los exilados trataron de apurar a los Estados Unidos, esperando comprometer a los militares en algún tipo de acción contra Castro. Anunciaron que al siguiente sábado llevarían una flotilla de barcos desde Florida hasta la costa cubana para protestar por el derribo de los dos aviones. Clinton decidió la puesta en escena de la más grande exhibición de fuerza contra Cuba desde la Crisis de los Misiles, y envió un escuadrón de cazas F-15, once escampavías de la Guardia Costera, dos cruceros mi
silisticos de la Marina, una fragata de la Marina, dos aviones C 130, una bandada de Choppers, AWACs (Airborne Warning and Control System) y 600 guardiamarinas para apoyar a la flotilla.

Lo único que se olvidó de mandar fue remedio contra el mareo, que –al final– era lo único que los cubanos de Miami hubieran necesitado realmente. Sólo a 40 millas de Key West, los cubanos en los botes comenzaron a marearse, a vomitar y a rogar a sus pilotos que dieran vuelta los malditos yates y volvieran a Miami. Con el mundo entero mirando, los cubanos huyeron de nuevo con la cola entre las patas. Cuando llegaron al puerto, dieron una conferencia de prensa para explicar su retirada. El portavoz estaba todavía un poco mareado, y se podía ver cómo los periodistas se separaban de él, temiendo ser cubiertos por un «Linda Blair Special» en cualquier momento… «Una terrible tormenta se levantó en el mar», dijo el líder de la huida cubana mientras palidecía rápidamente. «¡Las olas tenían más de diez pies de alto, y tuvimos que volver o perder nuestros barcos!» Mientras así hablaba, algún genio creativo en la CNN comenzó a emitir imágenes aéreas de la flotilla rumbo a Cuba. El sol brillaba, el mar estaba calmo como un plato, y el viento soplaba gentilmente, si es que soplaba. Los reporteros en alta mar dijeron que luego de que las cámaras de la CNN se fueron, las aguas se pusieron «bastante duras». Sí, seguro, era por las carcajadas de Fidel, que se estaba cagando de la risa…

 
Traducción de Andrés Capelán


Que viva la revolucion (senza accenti) a Radio3Mondo

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Ascolta la trasmissione da qui

Ho seguito ieri  mattina la trasmissione Radio 3 Mondo. Sorvolando sul titolo (Que viva la revolucion (faticoso mettere gli accenti?)…basta che sia degli altri),  ho trovato banale, quasi puerile l’esordio con la registrazione del discorso di Chávez all’ONU in cui egli chiama Bush “diablo”. Ci sarebbe stato tanto da dire per iniziare il discorso, con tutto ciò che sta dicendo e facendo Chávez  (fatti che cambieranno la storia e che i miei figli probabilmente studieranno a scuola, ma forse per Gian Antonio Stella Chávez sui libri di storia verrà citato solo per aver dato del diavolo a Bush…).
A un certo momento Stefanini viene invitato da  Stella a rispondere a un ascoltatore che dice  testualmente: “dei paesi come l’Argentina, il Brasile e il Venezuela  che sono assolutamente ricchissimi per lo sfruttamento delle proprie risorse sono oggi ancora in mano a poteri che fanno i propri interessi…perchè un Chávez che c’era 25 anni fa in Venezuela…”, ma egli (Stefanini),  inciampando nell’italiano, per la foga di rispondere all’intervento precedente di Gennaro Carotenuto in merito alla notizia dell’annuncio di Mantega di entrare a far parte del Banco del Sur, lo ignora completamente.
Nessuno quindi spiega all’ascoltatore  che questi paesi forse sono ricchissimi di risorse ma non sono assolutamente ricchissimi in quanto sono sempre stati sfruttati da quei poteri a cui lui confusamente fa riferimento, e nessuno gli ha detto che Chávez è stato eletto presidente nel 1998 e non 25 anni fa.  Ebbene secondo Maurizio Stefanini,  sarebbe  un fatto inconciliabile, ma veramente inconcepibile,  che mentre Mantega andava a dare l’ok per il Banco del Sur a Caracas,  Lula “il suo capo” firmava accordi con Bush per l’etanolo. E dove starebbe scritto che i paesi aderenti al Banco del Sur non devono più fare affari con gli Stati Uniti? E’ possibile nell’ottica commerciale mondiale per un paese, un qualsiasi paese grande o piccolo, staterello o grande nazione, non fare affari con gli Stati Uniti? O non averci a che fare come importatori, esportatori, partner o investitori? Io non sono esperta di geopolitica come Stefanini ma una tale possibilità  non riesco proprio a concepirla. E ancora, gli Stati Uniti non si esauriranno certo con Bush, cosa dovrebbero fare secondo Stefanini i paesi latinoamericani, sospendere ogni tipo di accordo con gli USA fino a nuove elezioni? E perchè non chiama le cose con il loro nome invece di strumentalizzarle, cito testualmente: “il Brasile dal punto di vista dell’atteggiamento della finanza internazionale (FMI  e BM) ha interessi analoghi a quelli del Venezuela, quindi si allea con Chávez, dal punto di vista del rapporto dei paesi produttori di petrolio e paesi consumatori ha interessi analoghi a quelli degli Stati Uniti, non di Chávez quindi si allea con gli Stati Uniti”. Perchè un accordo economico o un accordo finanziario devono diventare “alleanze” nel senso di come le intende Stefanini? Un accordo economico è un accordo economico e non vuol significare un’alleanza di due paesi contro un’altro e così per un accordo finanziario. Perchè entrare a far parte del  Banco del Sur sarebbe così in contrasto con un accordo per l’etanolo con gli Stati Uniti? Questa mi sembra sinceramente una visione geopolitica troppo semplicistica e strumentale.  Continua : “il problema poi generale dell’integrazione latinoamericana è che certamente esistono poi questi movimenti storici”  (e quali sarebbero nel caso in oggetto?) “che ogni tanto ritornano ma ci sono poi anche delle differenze di interessi concreti che poi saltano fuori e che saltano fuori anche adesso perchè appunto c’è questa rissa che da mesi che divide due governi entrambi di sinistra uruguayano e argentino per la storia di una cartiera uruguayana…” e che c’entra questo? Solo Stefanini lo sa, a meno che non voglia strumentalizzare anche un dissidio interno a due paesi per mettere in dubbio l’aspirazione all’unità latinoamericana. Si è fatta l’Unione Europea con 27 paesi diversissimi fra loro e in disaccordo spesso su tutto, ora i problemi per la cartiera  per Stefanini sembra che rendano  anche solo l’aspirazione all’unità latinoamericana impensabile.  E meno male che all’ascoltatore risponde Caracciolo il quale però non si capisce perchè parli di  “regime di Chavez”  eapertamente si contraddice, infatti  dice : “quello che caratterizza in particolare oggi il regime di Chávez è il fatto di teorizzare in qualche misura e anche praticare un rapporto diretto fra capo e popolo”. Ma come si concilia questo presunto rapporto diretto con la democrazia partecipativa che è scritta nella costituzione del Venezuela?
Concludo qui, non vado oltre perchè credo che questo basti  a rendere l’idea su che livello venga condotto un dibattito di geopolitica quando il continente in questione è il SudAmerica.
 

Inaugurazione dell’Associazione Fratelli Mattei — Veltroni presente!

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Il sindaco di Roma Veltroni ha inaugurato ieri la sede dell’Associazione Fratelli Mattei, nel trentaquattresimo anniversario della morte dei fratelli Virgilio e Stefano Mattei .
Con tutto il rispetto per i due fratelli Mattei , mi chiedo come si sia sentito “Wuolter” tra un profilo del Duce, fiamme tricolori  e lo striscione di Forza Nuova, in compagnia di Alemanno e Roberto Fiore.
Wuolter, Wuolter, ma era proprio  necessario? E tengo a precisare che quel  tricolore che pure dovrebbe essere rappresentativo di tutta la cittadinanza, con me, in quel contesto non ha nulla a che vedere.

Voci del coraggio a Oaxaca — Violazioni dei diritti umani delle donne nel conflitto sociale e politico — Seconda parte

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LA VIOLENZA OMICIDA CONTRO LE DONNE A OAXACA
(La storia di Maria Luisa)
 
Una non sa fino a che punto può arrivare un marito. Fin da piccola ti insegnano che gli uomini sono donnaioli, molti sono alcolizzati, che altri picchiano e prendono con forza le donne. Ma non immagini mai che l’uomo con il quale ti sei sposata, possa arrivare a picchiarti fino a che non si stanchi, fino a che tu non svieni perché il dolore non lascia fiato nemmeno più per il pianto e il corpo preferisce così  l’incoscienza.
Maria Luisa, indigena zapoteca di San Francisco Lachigoló, avrebbe mai immaginato qualcosa del genere di suo marito tutte le volte che tornava a casa ubriaco e la picchiava davanti ai suoi figli? avrebbero  mai immaginato qualcosa del genere, lei e tutte le donne di questa o qualsiasi altra comunità, con un velo di amarezza, senza poter fare nulla, quando sono picchiate dai loro mariti arrabbiati per la cena fredda, per la mancanza di soldi, per una stupidaggine?
Ci sono alcune che pensano che è la donna che va cercando di essere picchiata, perfino di essere ammazzata. Di Maria Luisa, picchiata fino alla morte da un marito geloso che affermava che sua moglie gli metteva le corna, dicono alcune donne che lei se lo è voluto, che Heriberto ha solo difeso il suo onore di uomo ingannato.
Maria Luisa non ha avuto la possibilità di veder crescere i suoi due figli. In paese si sapeva che Heriberto la picchiava, anche se nessuno nella comunità di San Francisco Lachigolò è intervenuto, fino al giorno in cui lui ha avuto la mano pesante e lei non si è più rialzata.
Maria Luisa è entrata soltanto a 22 anni nella lista delle vittime mortali della violenza contro le donne a Oaxaca che ogni anno conta più di 40 donne assassinate nello stato. Heriberto è entrato in un’altra lista, quella che annovera i nomi degli uomini che pur avendo commesso un  omicidio sono giudicati come se in realtà fossero delle vittime. Con l’appoggio di  una legge che giustifica i crimini verso le donne, basata  nei pregiudizi e nel sessismo che riempie le menti dei servitori pubblici incaricati di concedere  e applicare  giustizia, le donne diventano cittadine di seconda categoria. E le donne indigene e povere, per l’importanza che rivestono per il  Diritto, la Giustizia, e la Democrazia, non sono  quasi nemmeno cittadine.
Heriberto, uscito dal carcere in meno di due anni, fu perdonato legalmente per aver reso orfani i suoi figli, assolto dalle violenze che esercitò su di lei per anni, ed esonerato in nome dell’onore maschile. Fu, in un assurdo senza fine, l’oratore ufficiale durante la cerimonia di liberazione degli arrestati indigeni, con il governatore a capo della manifestazione.
Maria Luisa si trova quindi  nel luogo  dove giacciono senza giustizia centinaia di donne vittime della violenza ed Heriberto nella lista ancora più grande, di coloro che godono dell’impunità.
 
Epilogo
Le notizie dei quotidiani annunciano ad otto colonne una decisione presa dal Congresso di Stato in un giorno memorabile, è stata  abolita nel Giorno Internazionale delle Donne l’impunità per il delitto d’onore o commesso in stato violento emotivo. In alcune istanze di governo si trovano risoluzioni con la didascalia: “A Oaxaca, la parità dei sessi verso una politica statale….8 marzo, decisione storica e d’avanguardia della LIX legislatura statale” El Istituto de la Mujer  applaude e definisce coraggioso, sensibile e moderno il presidente del Congresso.
Maggio 2006. Il volto irriconoscibile di Osiris appare in tutte le pagine dei quotidiani di Oaxaca. Una di più. Da agosto 2005 ad aprile 2006 ventitrè lapidi con nomi di donne sono in attesa che la giustizia le conceda il riposo.
 
L’ABUSO DEL POTERE NELLA PARTECIPAZIONE POLITICA DELLE DONNE
(La storia di Guadalupe)
 
Guadalupe Ávila Salinas, aspirante alla presidenza municipale di San José Estancia Grande, municipio del distretto di Jamiltepec, nella costa di Oaxaca e dirigente del Partito della Rivoluzione Democratica nella regione, fu assassinata il 3 ottobre 2004 dall’allora presidente municipale di quella località, Cándido Palacios Loyola, il quale le sparò alle spalle a bruciapelo quattro colpi di pistola per poi darle il colpo di grazia.
Guadalupe era una donna apprezzata nella comunità e tutto lasciava supporre che avrebbe vinto le elezioni, fatto che causò tensioni tra gli appartenenti al PRI , dal momento che aveva assicurato che una volta vinto, avrebbe aperto delle indagini e le avrebbe portate a termine sui precedenti governanti priisti.
I fatti sono avvenuti quando il sindaco Cándido Palacios seppe che Guadalupe aveva portato in questa comunità un’amica medico che veniva dal Distretto Federale, la quale avrebbe curato le donne della comunità nell’Unità Medica Rurale dell’Istituto Messicano di Sicurezza Sociale.
Palacios si presentò in quel luogo dove si trovavano per lo meno  10 donne ed alcuni adulti per reclamare a gran voce con che diritto svolgeva questo tipo di attività e senza udire ragioni  le gridò, “non mi importa, ti ammazzerò”  per poi prendere la sua pistola calibro 38 e spararle quattro colpi anche se altre fonti giornalistiche parlano di tre. Inoltre causò una ferita all’addome alla dottoressa Georgina Solano Alvarez, del servizio sociale la quale fu ricoverata nell’ospedale di Jamiltepec.
D’accordo con i testimoni presenti, il sindaco uscì e sparò altri due colpi, si diresse  a casa dove prese un fucile e  senza che nessun poliziotto facesse nulla per fermarlo, salì su di un camion di birre per abbandonare il luogo indisturbato. Erano le undici di mattina quando Guadalupe Ávila morì.
Cirilo Ávila Salinas, suo fratello qualificò l’atto come una codardia , “non solo perchè si trattava di mia sorella ma anche perchè avevano distrutto la vita di una donna , una grande lottatrice che voleva solo servire il suo popolo”.
Cirilo assicurò che Guadalupe, “visse  e morì per i suoi ideali”  e chi la assassinò bruciò uno dei suoi più grandi sogni e cioè “essere presidente municipale del nostro paese”, dove aveva tutte le possibilità di vincere.
Guadalupe Ávila Salinas era diplomata alla scuola di Diritto dell’Università Autonoma di Puebla , lasciò orfani  Karina di 12 anni , Paul di 7 e Israel di 4.
Il contesto politico nel quale avvennero questi fatti , in una zona di Oaxaca, vede  pratiche tiranniche di controllo politico, dirette da alcune famiglie della regione, che comprendono anche tattiche di violenza e minacce per dissuadere i cittadini a votare; protetti dal PRI che ha ripetuto queste strategie di violenza per molti anni ed in tutto il territorio di Oaxaca per continuare ad ottenere il potere.
 
IL POTERE AUTORITARIO SULLA CONDIZIONE DI GENERE E DI ETNIA
(La storia di Isabel)
 
Il 25 ottobre del 2006 si mobilitò nella città di Oaxaca una Carovana Femminista e una parte di questa fu a far visita a Isabel Almaraz.
In un giorno di visite nel carcere Ixcotel di Oaxaca, per giungere al reparto femminile delle imputate,  bisogna passare per cinque porte, registrarsi tre volte e attraversare tre cortili. Durante il percorso si vedono altre donne con i loro bambini, che mentre giocano con essi, realizzano con le loro mani palloni da calcio. Si vedono anche uomini, con le loro mogli e figli, perché le altre donne erano sole? e con altre donne e con i loro figli, senza i compagni?
Nell’ area femminile c’era odore di umidità, di cibo, del ferro da stiro, si udiva il mormorio delle altre donne, il rumore della televisione, il pianto di un neonato. Isabel è apparsa con una cartellina in mano e aveva una lettera scritta alle deputate e senatrici dell’attuale governo,  una lettera in più oltre a quelle scritte durante questi ultimi quattro lunghi anni, la stessa che le destinatarie avranno  già ricevuto.
Isabel ha lo sguardo, la calma, il fisico minuto e la pazienza delle donne zapoteche, là in mezzo a tanta umidità, alla vigilanza estrema, all’ isolamento, aspetta una volta al mese che giunga il giorno di visita affinché sua sorella le porti le sue figlie :Doris di 8 e Denise di 5 anni. Ognuno di questi giorni di questi lunghi anni, pensa con tranquillità al modo in cui la sua denuncia venga ascoltata e la sua situazione si risolva.
Dopo la costituzione dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR) nel 1996, furono  arrestati  alcuni abitanti di  San Augustín Loxicha e alcuni membri della sua comunità per presunti vincoli con questo gruppo armato. Ci sono state anche persecuzioni, assassini e violenze sulle donne e sette casi di sequestro.
Isabel fu arrestata il 25 giugno del 2002 a  Santa Cruz Xoxocotlán, in un municipio di Oaxaca.
 
“Alcuni giorni prima del mio arresto lasciai il  paese di San Augustín Loxicha, paese emarginato e dimenticato, dove non c’è medico e ancor meno specialista, mia madre era quasi moribonda e questo mi obbligò ad allontanarmi dal mio paese natio in cerca di un medico specialista  che la curasse e stando qui in città la ricoverai all’Ospedale Civile, lottai fino all’impossibile per salvarla ma sfortunatamente il destino non mi aiutò; la morte strappò dal mio fianco la persona a me più cara, lasciandomi con il dolore e la tristezza, l’ingiustizia si approfitta della mia persona solo per il fatto di essere di  Loxicha, dove le autorità giudiziali statali mi accusano di sequestro e di un presunto vincolo con il gruppo armato EPR, delitti e segnalazioni totalmente false. Dal giorno del mio arresto ho lasciato le mie due figlie, all’epoca la prima aveva  4 anni e la seconda 1 anno e 6 mesi, rimanendo queste bambine in totale stato di abbandono”.
 
Dal 2002 si trova nell’area delle imputate nel carcere di Ixcotel, il tempo passa e suo marito non lo vede dal momento dell’arresto e non sa che fine abbia fatto. Non vede da 6 mesi il suo avvocato, non ha accesso alla sua pratica ed è molto controllata. Le fanno visita solo sua sorella e le sue bambine.
 
“Sono cosciente che non ho commesso alcun delitto, riconosco solo che il mio unico delitto è essere indigena ed essere di Loxicha:per questo le autorità mi hanno privato della mia libertà”.
 
Cosa c’è dietro il fatto di incolpare Isabel oltre al potere autoritario che si esercita sulla sua condizione di genere e di etnia? Isabel da quattro anni continua a sporgere denunce davanti a molteplici autorità: istituzioni, convegni, chiede di essere libera, tante e tante volte, e chiede sempre la stessa cosa, chiede giustizia e libertà, in ogni occasione chiede di essere libera, chiede di poter veder crescere Doris e Denise.
 
NEGAZIONE DEL DIRITTO ALL’ABORTO LEGALE A OAXACA
(La storia di Maria)
 
Ad Oaxaca, come negli altri stati del paese, l’aborto a causa di violenza sessuale è un diritto e non è considerato come un delitto. Secondo la legge vigente, una donna che sia stata vittima di violenza e che da tale violenza ne risulti una gravidanza, ha diritto ad abortire se così decide.
Oggi come oggi, nessun discorso morale, etico o religioso può giustificare una gravidanza frutto di tale violenza all’integrità fisica e psicologica di una donna o di una giovane.
Garantire il diritto all’aborto è il minimo, una richiesta di giustizia che beneficia principalmente le donne povere che non hanno accesso a un aborto sicuro nel mercato clandestino. Ciò nonostante l’accesso reale ed opportuno a questo diritto con il sostegno e la protezione delle istituzioni dello Stato, si vede negato in pratica per pressioni religiose, lacune legali e la doppia morale imperante.
Questa situazione genera storie come quella di Maria.
Il 10 agosto del 2004, Maria giovane oaxaqueña di 19 anni, con disfunzione uditiva (è sordomuta) e sua madre, si recarono davanti all’agenzia del Ministero Pubblico specializzata in delitti sessuali, per presentare una denuncia per violenza sessuale contro lo zio della giovane, così come per segnalare che a seguito di questa aggressione Maria presentava una gravidanza indesiderata.
Nella denuncia penale ambedue segnalarono che Maria non desiderava portare a termine questa gravidanza. Ciò nonostante l’agente specializzato in delitti sessuali, Fulvia Rocio Hernández Cruz non dette ascolto a questa situazione e non facilitò in nessun modo a Maria l’accesso all’interruzione della gravidanza legale. Solamente spiegò  alla mamma della vittima che dovevano attendere il deposito dell’indagine preliminare per procedere con la richiesta dell’interruzione della gravidanza.
Durante quasi due settimane la sua famiglia aspettò che l’agente del Ministero Pubblico (MP) depositasse l’indagine preliminare. Intanto Maria già era a dieci settimane e mezzo di gravidanza e in virtù del fatto che il Codice Penale dello stato di Oaxaca indica come legale l’interruzione della gravidanza frutto di una violenza fino ai tre mesi di gestazione a partire dalla data della violenza sessuale, cercarono appoggio nelle organizzazioni civili del Collettivo Huaxyacac.
Le appartenenti a questa organizzazione esposero direttamente al Procuratore Generale della Giustizia dello Stato, Rogelio Chagoya Romero, la situazione di emergenza nella quale si trovava Maria, il quale indicò che era sufficiente la copia certificata dell’indagine preliminare affinché l’Ospedale Generale “Dr. Aurelio Valdivieso” offrisse il servizio richiesto. Ciò nonostante il direttore di questo ospedale, José Manuel Rodriguez Domingo negó il servizio, segnalando che quello non era un documento valido per interrompere legalmente una gravidanza.
Sollecitarono quindi di nuovo l’intervento della Procura  Generale della giustizia di Stato, per ottenere che l’agente del MP inviasse una comunicazione scritta al direttore dell’Ospedale Generale nella quale si certificava che Maria presentava una gravidanza frutto di una violenza sessuale e che l’interruzione di questa gravidanza costituiva un’azione non punibile , in accordo alla legislazione penale vigente, ma in questa seconda occasione il direttore dell’Ospedale Generale negò a prestare tale servizio medico, argomentando che in quella comunicazione non era specificato chiaramente di interrompere una gravidanza.
Di fronte a questa situazione, la madre di Maria ed il suo avvocato si presentarono alla Commissione Statale dei Diritti Umani con lo scopo di presentare una denuncia per la mancata prestazione di un servizio sanitario, senza immaginare  che il funzionario di turno  Cuauhtémoc Cortès Ramírez si negasse a presentarsi al suo ufficio argomentando che il caso non era urgente e che si trovava lontano dalla Commissione.
Mentre Maria compiva dodici settimane di gravidanza, l’Indagine preliminare fu finalmente consegnata al sesto tribunale penale, a carico di Violeta Sarmineto Sanguines e con indicazioni del Procuratore e previo accordo con il  Segretario della Salute, Fulvio Rocio Herández Cruz  emise una seconda comunicazione diretta al Direttore dell’Ospedale, José Manuel Rodríguez Domingo.
Dopo un lungo e tortuoso percorso burocratico di quasi un mese, per poter accedere all’autorizzazione dell’interruzione della gravidanza, Maria fu ricoverata il 1 di settembre all’Ospedale Generale “Dr. Aurelio Valdivieso”, dove rimase ricoverata 41 ore senza che le fu praticato l’aborto.
Per questo e in risposta  anche di un verbale ricevuto da tre distinte fonti che coincidevano nell’affermare che per “ordini superiori” il procedimento medico era stato sospeso, il 3 di settembre, le appartenenti al Collettivo Huaxyacac insieme alla madre di Maria ottennero la dimissione volontaria e finalmente l’interruzione legale della gravidanza fu eseguita fuori dalle istituzioni pubbliche della salute.
Traduzione di Annalisa Melandri
 
              
 

Italia-Venezuela tra falsità della stampa ed amicizia tra bloggers..

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Vorrei ringraziare pubblicamente il mio amico Bruno Spelorzi. Dal suo Blog Politicamente Incorrecto, dal Venezuela, ha approfondito in due post particolarmente interessanti alcune tematiche già trattate qui.

Nel primo, ironicamente, facendo la parodia di un programma televisivo statunitense, Who Wants to Be a SuperHero, Bruno immagina che un simile programma venga realizzato in Venezuela dal titolo Quien Quiere Ser  Un AntiHeroe Venezuelano. Non sarebbe sorprendente che  dopo aver fallito in tutti i modi democratici e non (Enrique Salas nel 1998, Francisco Arias Cárdenas nel 2000, l’opzione del SI nel referendum del 2004, Rosales nel 2006), l’opposizione venezuelana, sconfitta dalla forza dirompente del popolo che finalmente é “protagonista del proprio destino”, si affidi ai mezzi televisivi privati (disinformativi di opposizione o laboratori di guerra sporca) al servizio delle multinazionali per creare “controfigure mediatiche che si oppongano “con tutte le loro forze, con tutta la loro mente e tutto il loro cuore al presidente Hugo Chavéz”.
Tra i possibili aspiranti a partecipare a questo reality show, il nostro Bruno immagina per esempio, a nome della  società civile Alejandro Peña Esclusa e Maria Corina Machado, per i mezzi di comunicazione privati, Nixon Moreno, Carlos Alberto Montaner e Miguel Rodríguez, e per la chiesa cattolica venezuelana, Il Cardinale Rosalio Josè Castillo Lara e Monsignor Roberto Luckert.
Uno dei primi protagonisti dello show  potrebbe essere per esempio  Nixon Moreno, oppositore e studente della Università delle Ande (ULA), resosi recentemente  protagonista di uno show mediatico con il quale si è rifugiato nella Nunziatura Apostolica chiedendo a Benedetto XVI che gli concedesse un salvacondotto come esiliato politico.
Nixon Moreno è un volgare criminale con un mandato di cattura nel suo paese per omicidio e tentata violenza carnale che fu trasformato come per magia in “vittima del regime”. Nello stesso modo in cui un fascista e golpista come Peña Esclusa nel nostro paese viene fatto passare come “oppositore moderato di Chávez.
Conclude  testualmente Bruno:
“Se decidente di votare per lui o per qualsiasi altro partecipante — del fenomeno dei mass media venezuelani — potete chiamare lo 0–800-dissociazione o scrivere a href=“psicoticaatchivuolessereunantieroevenezuelanodotcomm“>dissociazionepsicoticaatchivuolessereunantieroevenezuelanodotcom e vincere un simpatico dizionario Rosales-Spagnolo Spagnolo-Rosales edito da MonteAvila Editrice e un magico tour alla Casa Bianca per conoscere di persona il presidente con più desiderio di vendetta di tutto il pianeta”.
 
Il secondo post di Bruno è ugualmente molto interessante. Egli ha raccolto il mio invito ad approfondire un articolo apparso tempo fa sul quotidiano La Stampa dal titolo “In fuga da Chavez” di Paolo Manzo, secondo il quale, migliaia e migliaia di italiani residenti in Venezuela, stanno velocemente facendo ritorno in patria terrorizzati dalla “dittatura” di Hugo Chávez e dalla possibilità di perdere i privilegi acquisiti in quel paese dopo anni di duro lavoro. (“Espropri in vista, c’è paura”).
Nota Bruno, che non una parola viene spesa dal giornalista per ricordare che gli italiani giunsero in Venezuela fuggendo da un continente  distrutto da due guerre e che furono amabilmente accolti da questo popolo grazie al quale poterono ricostruirsi una vita.
In Venezuela non si sta espropriando niente, si sta solamente applicando la Legge delle terre riconsegnando ai contadini porzioni di terreno fertile ma improduttivo che erano in mano di alcuni latifondisti i quali non ne erano nemmeno i legittimi proprietari.
E gli espropri di cui l’opposizione va parlando da anni,  semplicemente non esistono..
Di esproprio si parla anche a proposito del mancato rinnovo della licenza all’emittente RCTV, anche in questo caso vengono diffuse menzogne volte a creare timore nella popolazione verso una deriva totalitaria del governo di Hugo Chavez.
Chiarisce Bruno infatti: “E’ insindacabile potere del governo nazionale, come amministratore, in nome del popolo venezuelano, dello spazio radioelettrico, il rinnovo o il non rinnovo delle licenze operative.  In nessun caso si tratta di espropriare l’emittente televisiva ai suoi legittimi proprietari: essi potranno continuare a produrre e ad emettere le loro programmazioni via cable e non, attraverso il segnale aperto.. Ma questo sicuramente non implica nè la chiusura dell’emittente nè la sua espropriazione.”
Ma l’aspetto sul quale occorre riflettere è se sia giusto o meno che a un’emittente televisiva chiaramente coinvolta in un tentativo di colpo di stato, come fu confermato successivamente, venga permesso di utilizzare ancora uno spazio pubblico.
Bruno, sicuramente da italo-venezuelano, comprende molto bene il desiderio degli italiani di ricongiungersi ai loro familiari in Italia dopo una vita di lontananza, anche per recuperare il filo delle origini e della memoria. Indubbiamente ci sono Italiani ai quali non piace Chávez e che temono una “presunta” dittatura alla Castro, e così molti venezuelani, sicuramente non appartenenti ai segmenti più umili della popolazione, vanno al consolato e all’ambasciata statunitense per richiedere il visto per trasferirsi negli Stati Uniti.
Purtroppo La Stampa si unisce al coro dei media italiani quali Il Tempo, La Repubblica, L’Espresso che diffondono notizie opportunamente manipolate e false e mai le reali conquiste del Venezuela: che è diventato il paese a maggior crescita economica in America Latina, che l’emissione dei Buoni del Sud e di quelli di PDVSA è stato un successo, che il Venezuela ha preso il controllo della Falda Petrolifera dell’Orinoco, che promuova il Banco del Sud per liberare le nazioni del continente dal FMI, che è l’unico paese dove la metà dei suoi abitanti sta studiando, che lancerà prossimamente un suo satellite per raggiungere una sovranità tecnologica informatica, che l’UNESCO lo ha certificato come libero dall’analfabetismo, che il paese ha un’ assistenza sanitaria e di educazione gratuite e di qualità.
Questo conta molto meno di tutte le bugie e le falsità.
Vorrei inoltre segnalare  il commento che Gloria, ha lasciato sul blog di Bruno: fa notare infatti come la ridicolaggine si è spinta ben oltre, probabilmente ai più è sfuggita infatti  una puntata della trasmissione di RAI 1 “Il treno dei desideri” condotta da Antonella Clerici dove tempo fa intervistarono una donna venezuelana e i suoi tre figli, secondo i quali il regime costringendoli alla fuga,  gli aveva fatto abbandonare tutti i loro averi e ora si trovavano in miseria. La signora doveva fare pulizie nelle case (ed è così brutto? nemmeno avesse detto prostituirsi..)per sopravvivere ed erano anni che non potevano far ritorno in patria, lontani da amici e parenti. Il programma alla  fine regalava quattro biglietti A/R affinché visitassero i loro cari in Venezuela.
Certo che se ci si mette pure la Clerici….
 
Vorrei segnalare inoltre questo articolo de La Patria Grande, sull’ennesimo attacco al governo venezuelano ancora una volta da parte del quotidiano La Stampa di Torino. In un articolo anonimo, infatti, La Stampa, affermerebbe che il Venezuela sia in rivolta contro Hugo Chávez, presidente populista (come va di moda questa parola!) per l’applicazione della Ley Seca nella Settimana Santa.
Invito tutti infine ad aderire all’appello di La Patria Grande, scrivendo all’ambasciata venezuelana in Italia href=“embaveitatioldotit“>embaveitatioldotit , per chiedere all’Ambasciatore Venezuelano di far sentire la propria voce contro un giornale che sta sistematicamente cercando di screditare il Governo Chavez ed il Venezuela.
 
 
 

Pensiero figurato

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monica iorio

Foto di Monica Iorio

Come sassi in un secchio
il pensiero immaginato del futuro
incontra lungo la via un bambino ricordo,
lo sguardo volge altrove
mentre il domani fugge via.
….
E’ pietra un giorno come questo
di ermetiche sensazioni
di ineffabili chissà
è pietra sul petto
cristallo una lacrima.

Argentina — Marcha en Neuquén en memoria de Carlos Fuentealba

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Fuente: Lavaca
Marcha en Neuquén
La casa negra
anticopyrightUna multitud marchó hasta la sede la gobernación para expresar un contundente nunca más a la represión. Los maestros pintaron de negro las puertas y ventanas de la casa de gobierno en señal de luto. La principal oradora del acto fue Sandra, la viuda del profesor asesinado, quien sintetizó: “La orden del señor gobernador fue como jalar el gatillo”. La historia de este reclamo docente, que sigue cosechando palos en Salta y Santa Cruz.
La gobernación neuquina merece ser rebautizada. A partir de hoy podría llamarse la Casa Negra. Esta mañana, decenas de maestros pintaron de ese color sus puertas y ventanas en señal de luto, por el asesinato de su colega Carlos Fuentealba, ejecutado por la espalda y a quemarropas por la policía provincial el miércoles pasado, cuando se replegaba de un corte de ruta. Esos mismos docentes, mate en mano, armaron ranchadas en cada una de las puertas del edificio para mantener bloqueado el acceso a los funcionarios públicos. Prometen que allí harán guardias rotativas hasta que renuncien los responsables políticos de la muerte del profesor de química. Y para Sandra Rodríguez, la viuda de Fuentealba, no hay dudas de quien debe calzarse el sayo: “Para mí, la orden del señor gobernador fue como jalar el gatillo”, dijo . “(A Jorge Sobisch) le cabe renunciar –completó-, es su deber moral hacerlo”.
Rodríguez habló en el acto central que se realizó en Neuquen para repudiar el asesinato de su marido. Ofreció un discurso tan conmovedor como contundente, que la convirtió en la principal oradora del palco montado en Plaza Roca, frente a la Casa Negra. La mujer estaba rodeada de decenas de maestros que vestían remeras blancas, con la estampa de su compañero fallecido y la leyenda: “Las tizas no se manchan con sangre”, una consigna que este lunes recorrió el país entero, como en ninguna otra marcha de protesta durante el gobierno de Néstor Kirchner.
“Carlos me enseñó a no bajar los brazos. Te lo digo a vos, mi amor, no los estoy bajando”, pronunció Rodríguez con el último hilo de voz que le quedaba. Las lágrimas comenzaron a asomar, así como en buena parte de las 25.000 personas que la escuchaban con atención. Fue el cierre de una concentración de dolor y de bronca. La columna de manifestantes llegó a extenderse a lo largo de 22 cuadras. Fue encabezada por la Asociación de Trabajadores de la Educación de Neuquen, partió de la Plaza San Martín, llegó a la ruta 22 y pegó la vuelta hasta la Casa Negra. Familias enteras, estudiantes, jubilados, organizaciones gremiales, políticas y sociales acompañaron a los maestros, aplaudidos a su paso por los vecinos desde calles y balcones.
La solidaridad con el gremio docente fue in crescendo desde la represión policial que terminó con la vida de Fuentealba. Refloreció la consigna“que se vayan todos” y proliferaron escraches a comisarías y locales partidarios que promueven la candidatura presidencial de Sobisch. Mientras el docente todavía agonizaba en el hospital, en la localidad de San Martín de los Andes, por poner sólo un ejemplo del clima social local, se realizó una asamblea de vecinos autoconvocados que exigió la renuncia de todo los funcionarios locales que firmaron solicitadas en contra de los cortes de rutas de los maestros. El intendente se vio obligado a exigirle la dimisión a su propio hermano.
Las solicitadas jugaron un papel trascendental en este conflicto. Los docentes neuquinos están en conflicto desde fines del año pasado y en paro ininterrumpido desde el último 5 de marzo. El gobierno de Jorge Sobisch –un menemista tardío– había apostado al desgaste gremial, ignorando el reclamo y cerrando cualquier canal de diálogo. Los maestros, entonces, comenzaron a subirle el tono a las medidas de fuerza. Llegaron a cortar hasta cinco rutas al mismo tiempo o los puentes interprovinciales que unen Neuquen con Río Negro. Hasta que llegó el día en que realizaron el corte en Arroyito –más precisamente en la intersección de las rutas 22 y 237, a 40 minutos de la capital provincial-, un lugar clave para el tránsito turístico y el comercio de los combustibles. Los días previos a este piquete, las cámaras comerciales locales publicaron en todos los diarios solicitadas acusando a los docentes de intolerantes y antidemocráticos. Además, elevaron fuertes reclamos a un gobierno que se ufanaba de no tener piquetes en su territorio, no tanto por el bienestar general de la población sino por la efectividad de la represión de la protesta social que ejercía. Sobisch intentó aislar a los docentes publicando algunos recibos de sueldo en los diarios. Y a continuación, reprimió en un sitio que –dicen quienes lo conocen– no deja escapatoria a los manifestantes. El resultado de este coktail está a la vista.

Lo intolerable
“Lo fusilaron”, resumió Sandra Rodríguez: le tiraron a centímetros de distancia una granada de gas lacrimógeno haciéndole estallar la cabeza al maestro. Los médicos que lo atendieron compararon su herida con la que puede ocasionar una caída desde un quinto piso.
Después de la manifestación de hoy, los docentes neuquinos no sólo acamparon en las puertas de la Casa Negra, sino que también volvieron a cortar los puentes interprovinciales que unen Neuquen con Río Negro. “Esto ya no es un conflicto gremial, que se soluciona con un aumento salarial, sintetizó Raúl Godoy, un miembro de la fábrica de cerámicas recuperada Zanón, que se encontraba en la cabecera de la marcha. Coincidían con él numerosos miembros de la Multisectorial que reúne a trabajadores de la salud, de la educación, desocupados, camioneros y otras organizaciones sociales que se movilizaron en solidaridad con el gremio docente. “Ahora la cuestión está planteada en terminar con este tipo de políticas que apelan a la represión para sofocar los conflictos sociales”, completaba El Vasco Irurzun, integrante del Movimiento de Descubrimiento y Dignidad de Allen y Cipolletti.
La Multisectorial de Neuquén ve ahora el momento propicio para asestarle a Sobisch el golpe de gracia. Sin embargo, ninguno quiere gastar a cuenta: nadie desprecia el poder que acumuló el gobernador ni las relaciones que tejió tanto con el empresariado local como con las empresas multinacionales que explotan las riquezas provinciales. Tampoco el peso de la estructura del Movimiento Popular Neuquino, la fuerza política que lo llevó al poder.
Dice Irurzun: “Más allá de que Sobisch renuncié o no, acá lo que está claro es que la sociedad no está dispuesta a utilizar la violencia para reprimir la protesta social, no quiere volver para atrás. Esto también se une a la desaparición de Julio López. Son opciones políticas que para la mayoría ya resultan intolerables”.

Gases en Salta, Gendarmería en Santa Cruz
Al mismo tiempo que Irurzun formulaba estas opiniones, la policía de la provincia de Salta reprimía con gases lacrimógenos, golpes y empujones, a los maestros que se manifestaban en esa provincia para solidarizarse con sus colegas neuquinos. Los docentes salteños atraviesan un conflicto similar al de los neuquinos. Lo mismo ocurre con sus colegas santacruceños. En la provincia del presidente la Gendarmería Nacional impide al actividad gremial en los colegios. Las tres provincias hoy presentan una macroeconomía floreciente debido a que sus principales ingresos se vinculan con las regalías petroleras, en un momento donde el oro negro presenta los precios más altos de la historia.
ATEN critic&oacute
; a la CTERA, la central nacional de trabajadores de la educación, por su falta de reacción ante estas situaciones de represión. El gremio neuquino, es uno de los más combativos dentro de las organizaciones docentes. Aún en los 90, cuando el repliegue sindical caracterizaba el escenario político, se opuso con vehemencia a la Ley Federal de Educación y otros hitos menemistas. Fue en una de esas manifestaciones de protesta donde murió asesinada, hace diez años, Teresa Rodríguez, una empleada doméstica que pasaba azarosamente por el lugar. Aunque pericias del Instituto Balzeiro demostraron que el disparo mortal provino de la policía, nadie fue condenado por el crimen. En el caso de Fuentealba ya está detenido el cabo primero José Darío Poblete, quien tiene una condena en firme por apremios ilegales, otra en la Cámara de Casación por vejaciones y también fue denunciado por amenazas por su propia pareja. Ahora está acusado por homicidio simple, delito por el cual debería pasar hasta 25 años en prisión. Sin embargo, todavía no hay actuaciones sobre las responsabilidades políticas del asesinato del profesor de química.


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