San José de Apartadó, a due anni dal massacro.

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I morti di San José de Apartado

“Oggi stiamo parlando, domani potremmo essere morti”

Luis Eduardo Guerra 15 gennaio 2005

Lo scorso mese di febbraio, a Roma, si sono tenute varie iniziative volte a ricordare i due anni del massacro di San José de Apartadó in Colombia avvenuto il 21 febbraio 2005. Una di queste iniziative,  ha previsto un sit-in davanti all’Ambasciata colombiana, proprio il 21 febbraio,  per chiedere la fine dell’impunità e il rispetto del “diritto di distinzione” della popolazione civile dagli attori armati. Durante questa manifestazione è stata consegnata all’ambasciatore colombiano una lettera indirizzata al Presidente della Colombia Alvaro Uribe.
Il 23 febbraio invece, nella Sede del Parlamento Europeo si è tenuta la tavola rotonda dal titolo “El día en que lo iban a matar!” (Il giorno che lo avrebbero ammazzato) in cui è stato presentato il rapporto dei magistrati di MEDEL (Magistrati Europei per la Democrazia e le Libertà) sui fatti del massacro del 21 febbraio 2005.
Presenti: Luis Fernando Martinez Zapater, magistrato MEDEL,(autore del documento), On. Vittorio Agnoletto, Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!, ha coordinato l’incontro Guido Piccoli, scrittore e giornalista.
Questa ne è una breve relazione:
 
Intervento di Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!
Colombia Vive! è un’associazione nata a Narni (Tr) il 16 giugno 2006, con lo scopo di rafforzare l’impegno della Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace colombiane, costituitasi, sempre nella città di Narni il 13 maggio 2003 per iniziativa di vari enti locali ed associazioni italiane che da tempo stavano realizzando attività di solidarietà con alcuni processi di resistenza civile non violenta alla guerra e allo sfollamento forzato realizzati nella Regione di Urabá e nel Dipartimento del Chocó (Colombia).
Andrea Proietti ha ricordato durante questa tavola rotonda il lavoro svolto in questi due anni dai giudici spagnoli per la Comunità di Pace di San José di Apartadó.
È stato un lavoro importante soprattutto perché a un certo momento i membri della Comunità di Pace si sono rifiutati di collaborare con le autorità giudiziarie colombiane. Questa sotto un certo punto di vista è stata una scelta che ha complicato non poco sia la situazione generale sia il lavoro degli stessi magistrati di MEDEL, ma è stata anche una scelta obbligata in quanto in Colombia è noto che i testimoni diventano spesso delle vittime.
Proprio lo stesso giorno in cui si è tenuta la tavola rotonda tra l’altro, è giunta la notizia che la Fiscalía colombiana sta indagando su 56 militari della Brigata XVII  la quale è direttamente coinvolta nel massacro degli otto membri della Comunitá (tra i quali tre minori) di cui, ricordiamolo, inizialmente furono accusate le FARC. I militari dovranno rispondere in giudizio per i delitti di omicidio e di terrorismo.
Ricorda Andrea Proietti di come rimase colpito e impressionato dal Generale Zapata della XVII Brigata,  che fu quella direttamente implicata nel massacro, alla quale non a caso gli Stati Uniti hanno tolto i finanziamenti a causa delle violazioni dei diritti umani commesse e per al loro responsabilità nella strage di Apartadó. Il generale fu scortese e aggressivo con la delegazione italiana di cui faceva parte tra gli altri anche l’Onorevole  Vittorio Agnoletto. Cercò di screditare il loro lavoro  e cercò di convincerli che la Comunità di Pace in realtà era una comunità di guerriglieri e che Luis Eduardo Guerra fu ucciso dalle FARC in quanto avevano scoperto che collaborava con l’esercito regolare.
 
Intervento di Guido Piccoli – scrittore e giornalista
La Colombia attualmente sta vivendo un momento politico molto particolare.
Una parte del potere colombiano si sta rendendo conto che al suo interno è cresciuto di pari passo un potere mafioso e paramilitare che in parte trova rappresentanza nella figura del  Presidente della Repubblica.
Si sta verificando  in Colombia uno scontro tra il potere oligarchico tradizionale e quello  paramilitare.
Questo momento potrebbe preludere ad un nuovo e cruento bagno di sangue. Il paramilitarismo infatti, probabilmente non si farà mettere da parte tanto facilmente, ma rispetto al  passato  sono emerse forze politiche diverse in grado di rappresentare una speranza per il Paese, tra le quali  il Polo Democratico, i cui senatori però rischiano quotidianamente la loro sicurezza  per il loro impegno politico.
Il cerchio intorno a Uribe sembrerebbe chiudersi lentamente e il Presidente appare sempre più isolato, tutte le figure dietro alle quali si è nascosto  di volta in volta, stanno cadendo infatti nelle maglie della Fiscalía.
 
Intervento di Luis Fernando Martinez Zapater magistrato MEDEL.
Il giudice Zapater presenterà in questa occasione il rapporto che è stato realizzato circa un anno fa.
Innanzitutto fa presente che è la prima volta che MEDEL (organizzazione di magistrati progressisti dell’UE) in circa 20 anni di attività realizza un lavoro di questa portata. L’obiettivo del rapporto consisteva nel raccogliere le testimonianze relative ai fatti del 25 febbraio 2005 e a confrontarsi con le autorità colombiane che stavano indagando su quegli avvenimenti.
I primi giorni trascorsi in Colombia servirono per raccogliere le testimonianze direttamente sul luogo,  successivamente ci fu un incontro con le autorità di polizia sia della zona di San José de Apartadó che di Bogotà.
Non fu possibile proporre una azione giudiziaria in Spagna o nell’ambito dell’ Unione Europea ma comunque fu possibile,  questo sì, far conoscere all’opinione pubblica quanto accaduto il 25 febbraio del 2005.
Furono raccolte testimonianze dei fatti accaduti quel giorno e anche dei giorni successivi da circa 10/12 persone appartenenti alla Comunità di Pace. Il 1 aprile 2005 la polizia entrò a San José de Apartadó ma il 17 novembre 2005 fu ucciso Arlen Salas David leader della Comunità, il 12 gennaio 2006 Ediberto Vasquez e il 4 marzo 2006 Nelly Johanna Durango tutti omicidi compiuti da alcuni militari della Brigata XVII.
I membri della Comunità di Pace in seguito ad un nuovo sfollamento hanno fondato un nuovo villaggio, San Joselito Lugar de Dignidad. La delegazione italiana durante la sua missione a San Josè de Apartadò affrontò anche questi nuovi episodi con il capo della polizia, il quale espresse la versione del governo colombiano e cioè che la Comunità di Pace era relazionata alla guerrilla o per lo meno lo erano  i suoi leader.
La delegazione italiana cercò anche di ottenere  un colloquio con il capo della Brigata XVII ma al momento stabilito dell’incontro egli non si fece trovare, il suo sostituto fornì un indirizzo mail al quale contattarlo che  in seguito si scoprì che essere inesistente.
Fino ad un anno dopo del massacro, la versione ufficiale dell’esercito, riportata anche nel sito web era che in zona il 25 febbraio non si trovavano truppe e che Luis Guerra era stato assassinato dalle FARC in quanto era un guerrigliero che collaborava con il governo.
Tutte le testimonianze raccolte risultarono fondate e non contraddittorie ed emerse  anche il senso di sfiducia che la Comunità aveva nei confronti delle autorità.
Questa sfiducia ha fatto in modo che la Comunità si rifiutasse di collaborare con la Fiscalía, fu contattata allora l’Unità per i Diritti Umani della Fiscalía nella persona del Sig. Carlos Franco, direttore del programma presidenziale dei diritti umani e l’alto commissariato dei Diritti Umani in Colombia e fu riconosciuto che a nessuna delle violazioni dei Diritti Umani precedentemente denunciate era seguita una condanna. La Comunità dall’anno 2000 (come riscontrabile anche dal sito della Corte Interamericana del Diritti Umani) aveva richiesto e ottenuto l’adozione di misure cautelari per proteggere la loro incolumità.
Lo Stato colombiano, facendo parte della Corte Interamericana dei Diritti Umani era tenuto a prendere atto di questo e e farne partecipe ai membri della  Comunità, ma così non fu.
Tra il Governo,  nella persona del Sig,. Carlos Franco e i membri della Comunità erano avvenuti solo degli incontri per stabilire l’eventuale adozione di qualche misura di sicurezza e si era giunti ad un accordo per stabilire un posto di controllo della polizia fuori dal centro urbano di Apartadò.
Uno dei relatori di questi incontri era Luis Eduardo Guerra. L’ultima riunione si tenne nel gennaio del 2005, circa un mese prima del massacro.
Il 1 aprile del 2005, per ordine diretto del presidente Uribe, la polizia si stabilì nel centro di Apartadò, costringendo circa 300 persone a “desplazarse” in un centro vicino alla comunità a cui fu dato il nome di San Joselito.
Tutto ciò nonostante la  Corte Costituzionale colombiana, (a seguito delle pressioni e delle misure previste dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani), con una sentenza del 2004 con la quale aveva riconosciuto i diritti alla protezione della Comunità, aveva stabilito degli obblighi per al Brigata XVII, e aveva riconosciuto altresì il diritto dei membri della Comunità di partecipare con lo Stato nelle decisioni adatte al perfezionamento delle misure di sicurezza.
Il rispetto dei diritti fondamentali dei membri di Apartadò fu affidato alla responsabilità del Comandate della Brigata XVII la quale era responsabile anche di eventuali violazioni commesse da estranei. Questa sentenza fu resa pubblica 10 mesi prima del massacro e adesso è sulla base di questa che la Fiscalía sta indagando sull’operato della Brigata XVII.
La Comunità di Pace negli anni addietro aveva portato avanti azioni internazionali e davanti alle autorità colombiane, aveva stabilito rapporti con l’ufficio dell’Osservatorio per i Diritti Umani in Colombia e con la Difensoría del Pueblo, alla quale ripetutamente aveva chiesto che inviasse un suo delegato ad Apartadò ma questa presenza fu concessa solamente un mese dopo il massacro e divenne in seguito l’unica persona rappresentante dello Stato colombiano con la quel i membri di Apartadò mantennero contatti.
L’indagine a un certo punto si bloccò a causa della mancanza di collaborazione della Comunità e a causa della scomparsa del testimone che nel momento del massacro accompagnava Luis Eduardo Guerra.
I giudici spagnoli allora si confrontarono con la difficoltà che esite in Colombia sulla protezione dei testimoni e  riconobbero che effettivamente corrispondeva  al vero il fatto che molti testimoni in quel paese  hanno pagato con la vita il loro coraggio.
 
Intervento di Beatrice Gnassi – Ufficio Comunicazione di Amnesty International – Italia
Purtroppo il caso di San José de Apartadò non è un caso isolato.
I difensori dei Diritti Umani sono una spina nel fianco dei governi e il loro lavoro generalmente non è riconosciuto da questi.
Il sostegno alle popolazioni colombiane da parte di Amnesty International fa in modo che le situazioni denunciate abbiano un più ampio respiro internazionale.
La “colpa” della Comunità di Apartadò è stata quella di rivendicare la sua neutralità in un conflitto che va avanti da anni e questo ha causato il suo isolamento.
Le minacce e le violenze hanno generalmente un duplice obiettivo: da una parte far tacere voci scomode e dall’altra inviare un chiaro segnale a chi invece ha intenzione di trattare per la pace.
Questo è il clima con cui i difensori dei Diritti Umani lavorano in Colombia e il loro lavoro viene ostacolato sia screditandolo con dichiarazioni pubbliche e procedimenti giudiziari (con accuse di fiancheggiare la guerriglia) sia dando un imput ai paramilitari in modo che sappiano su chi usare violenza.
Questi procedimenti giudiziari hanno anche l’obiettivo di isolare socialmente gli attivisti e i  difensori per i  Diritti Umani.
L’impunità invece di cui hanno ampiamente  goduto i paramilitari gli ha permesso di continuare ad agire indisturbati, oltre che ha trasmesso indirettamente un messaggio negativo alla popolazione, nel senso che è inutile che chieda giustizia in quanto i colpevoli non verranno mai condannati.
 
Intervento dell’On. Vittorio Agnoletto – Parlamentare Europeo
San Josè de Apartadò è diventato un simbolo e ormai a questo punto si tratta solo di capire se sia possibile, nella situazione di conflitto come quella che vive la Colombia, tirarsene fuori senza usare le armi.
Nei prossimi giorni a Bruxelles si terrà un convegno internazionale sulla questione dei diritti umani della Colombia ed è importante che ciò avvenga anche nell’ambito del Parlamento Europeo con il sostegno di gruppi politici per dare maggior visibilità alle problematiche e far sì che vengano assunte delle precise responsabilità dalle forze politiche, anche per la questione dei fondi che l’Unione Europea mette a disposizione della Colombia e che dovrebbero servire al reinserimento nella vita civile degli ex-paramilitari in virtù del piano di smobilitazione, ma che tutti ormai sanno si tratti di una farsa.
Con questo invio di fondi alla Colombia di fatto il Parlamento Europeo ha ratificato uno strumento che dovrebbe esser usato a favore della democrazia nel mondo quando  in realtà l’uso che ne viene fatto è un altro.
 
 
Alla notizia che 56 militari della Brigata XVII sono sotto inchiesta per il massacro di Apartadò, accusati dalla Fiscalía colombiana, di essere gli autori dell’omicidio di otto contadini, tra i quali tre bambini, le dichiarazioni pubbliche del Presidente Uribe, in cui calunniava la Comunità di Pace accusandola di avere legami con le FARC e nelle quali ordinava la militarizzazione della stessa, suonano più che mai inquietanti!!
 

Neuquén, Argentina, come Oaxaca, Messico.

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Carlos Fuentealba

Una protesta di alcuni docenti della provincia argentina di Neuquén che reclamavano per salari migliori è stata duramente repressa dal governatore Jorge Sobisch.
Un docente,  Carlos Fuentealba,  è stato ucciso in seguito all’esplosione, nell’abitacolo dell’auto in cui si trovava, di una granata di gas lacrimogeno lanciata dalla polizia per disperdere i manifestanti.
Sobisch come Ulises Ruiz. Circa trecento maestri hanno circondato la Casa del Governo chiedendo le immediate dimissioni al grido di “Sobisch asesino”.
Sono previsti altri scioperi nei prossimi giorni ai quali oltre ai sindacati dei maestri parteciperanno anche quelli dei lavoratori e di altri settori della società.
Il governatore Sobisch era intenzionato a candidarsi alle elezioni per la prossima presidenza.
Il governo centrale ha precisato , tramite il ministro dell’Interno che i conflitti “si risolvono parlando, con la discussione politica, cercando un accordo e non con una fucilata in testa”.

Breve presentazione della Comunità di Pace di San José de Apartadó

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Comunità di Pace San Josè de Apartado

Testo a cura di Colombia Vive! Onlus

Ubicazione: Municipio di Apartadó, dipartimento (equivalente amministrativo delle nostre regioni) di Antioquia, nord ovest della Colombia, vicino alla frontiera con Panama. Esistono forti interessi economici su quest’area per le sue ricchezze minerarie e non solo.
 
Conflitto armato. Attualmente lo scontro in questo territorio vede contrapporsi la guerriglia delle FARC, le Forze Armate Colombiane ed i paramilitari. A partire dalla metà degli anni novanta, i paramilitari irrompono nella regione applicando la strategia del terrore contro la popolazione civile: nella città di Apartadó chiunque sia impegnato in attività sociali viene visto come un nemico, vengono uccisi politici, insegnanti, giornalisti e maestri; mentre, nelle aree rurali (come San José) tutti i contadini sono considerati potenziali guerriglieri. Attraverso i massacri e gli omicidi mirati, i paramilitari tentano di assumere il controllo di San José de Apartadò e del suo territorio. Le continue violenze e minacce indiscriminate, e l’assassinio dei principali Leader comunitari, causano lo sfollamento forzato dei suoi abitanti.
 
Nascita della Comunità di Pace: Con l’aiuto della Chiesa Cattolica e di alcune ONG, i contadini sviluppano una strategia di neutralità e nonviolenza al fine di difendere la propria vita ed il proprio territorio. Il 23 marzo 1997 si firma pubblicamente la dichiarazione costitutiva della COMUNITÀ DI PACE.
 
La Comunità di Pace di San José de Apartadó è composta da 1300 persone che si impegnano a non partecipare, direttamente o indirettamente, alla guerra, a non portare armi, a denunciare pubblicamente le violazioni commesse da ognuno degli attori armati, a partecipare nelle attività di lavoro comunitario, a non reagire alla violenza con la violenza.
 
Aggressione da parte degli attori armati: Dal 1997, la Comunità di San José ha comunicato pubblicamente le violenze subite: persecuzioni giudiziali attraverso false testimonianze, sfollamenti forzati, stupri e soprattutto l’assassinio di 164 suoi membri. Dopo la sua costituzione, la Comunità di Pace ha denunciato sia la guerriglia, sia le Forze Armate Colombiane, sia i paramilitari per i gravi e ripetuti atti di violenza contro i propri membri, azioni che di fatto disconoscono il diritto dei civili a restare neutrali rispetto al conflitto. In base a queste denunce, sono proprio i gruppi illegali paramilitari quelli che hanno aggredito con maggior intensità la popolazione di San José, con la complicità attiva od omissiva delle Forze Armate. Contemporaneamente, è stata testimoniata anche una durissima pressione economica: i furti del denaro ricavato dalla vendita dei loro prodotti, gli incendi delle abitazioni, i blocchi paramilitari permanenti nella strada che collega San José con il Comune di Apartadò ed i blocchi economici.
 
Nel 2005 si sono registrati vari atti tragici, tra i più gravi ricordiamo:
-          il massacro di 8 persone avvenuto il 21 di febbraio, tra le quali morirono i líderes Luis Eduardo Guerra Guerra , Alfonso Bolívar e 3 bambini di 11, 6 e 2 annidi età;
-          l’occupazione da parte della Polizia della Zona Umanitaria di San Josè, azione che ha spinto la Comunità allo sfollamento tempestivo, poiché il suo principio di neutralità non gli permette di vivere nello stesso spazio con un qualsiasi attore armato, dato che questo la converte automaticamente in obiettivo militare dell’attore armato ad esso contrapposto;
-          l’uccisione da parte dell’esercito di Arlen Salas David, Coordinatore della Zona Umanitaria Arenas Altas, lo scorso 17 di novembre.
 
Nel corso del 2006 è stato denunciato l’assassinio da parte dell’esercito nazionale di Edilberto Vasquez Cardona ex coordinatore della Zona Umanitaria di Arenas Altas, di Nelly  Johanna  Durango, il  massacro del 26 dicembre a la vereda La Cristalina e la continua minaccia di nuovi massacri contro la Comunità
Successi raggiunti:
- La Definizione e l’applicazione di un progetto di vita che contrappone la resistenza civile nonviolenta alla guerra e la costruzione di una proposta economica di tipo comunitario, al centro della quale viene messa la soddisfazione delle necessità fondamentali della persona e non l’accumulazione dei beni;
- Il rafforzamento delle Zone Umanitarie come meccanismo di protezione per la popolazione civile e di applicazione del Diritto Internazionale
- La riaffermazione della popolazione civile come soggetto sociale e politico e non come semplice risorsa strategica manipolata dagli attori armati;
- L’accoglienza delle famiglie sfollate della zona per facilitare i loro ritorno appena possibile nella loro terra;
- La produzione biologica e solidale;
- La prevenzione affinché i giovani non si vincolino ai vari gruppi armati;
- La tutela delle vedove e degli orfani
- La formazione per il superamento nonviolento dei conflitti;
- La convivenza di diverse confessioni religiose;
- La difesa dei diritti umani
- Il contrasto della controriforma agraria con la pratica della proprietà collettiva della terra;
- Il superamento delle ineguaglianze nei rapporti di lavoro, attraverso la formazione di gruppi di lavoro nei quali ciascuno è padrone e operaio;
- Il ricordo vivo dei propri “martiri”.
- La costituzione della Rete delle Comunità in Resistenza e la creazione dell’Università Contadina della Resistenza Civile ( come spazio di formazione collettivo dei membri delle diverse Comunità di Pace e in Resistenza Civile)
 
La Comunità di Pace di San José de Apartadò, al pari di altre esperienze indigene, contadine ed afrocolombiane che in Colombia si oppongono in maniera nonviolenta alla guerra, all’ingiustizia ed allo sfollamento forzato, resiste non solo all’inclemenza di un territorio periferico nel quale la malaria e la povertà fanno da sempre parte della quotidianità, ma anche al terrore generato dalle azioni violente dei gruppi armati contro la popolazione civile ed alla tentazione permanente della vendetta, cosa per niente facile quando le aggressioni sofferte permangono nella più totale impunità.
 
Il futuro di questi valorosi contadini e contadine, è intimamente legato alla solidarietà e alla pressione politica internazionale. Per la sua resistenza, per le azioni di vita che offre, per i martiri caduti, per l’impegno deciso ad offuscare il terrore con la speranza, questo esempio straordinario di nonviolenza, in un contesto tremendamente complicato dal conflitto armato, deve essere considerato Patrimonio dell’Umanità
 
Il 23 marzo 2007 la Comunità di Pace compirà 10 anni di resistenza nonviolenta per la difesa della vita e del territorio dimostrando così che la costruzione di un mondo diverso è possibile
Colombia Vive! Onlus - Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace colombiane
Febbraio 2007
 

Joint Strike Fighter, problemi etici contro interessi industriali

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Joint Strike Fighter

Così commenta Patrizio Pazzaglia, direttore finanza di Banca Insinger di Beaufort, alle proteste dei pacifisti per l’accordo firmato nel silenzio mediatico più completo,  dal sottosegretario Lorenzo Forcieri negli Stati Uniti i primi giorni di febbraio  per la produzione in Italia del super caccia americano F-35 Joint Strike Fighter:
“Problemi etici contro interessi industriali”
Più chiaro di così….
Ma si tratta solo di “problemi etici”?
 
Leggi anche:

Ernesto Galli della Loggia e la pillola

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pillola anticoncezionale

Questo è ciò che si legge oggi, sulla prima pagina del Corriere della Sera, a firma di Ernesto Galli della Loggia in un suo editoriale dal titolo “Addio ai padri” (in cui esamina la situazione della scuola e gli  atteggiamenti dei giovani in tale contesto):
“….più o meno nello stesso periodo (1960) ha preso forma una gigantesca rivoluzione scientifico-tecnica di portata generale, sì, ma capace di irrompere in modo pervasivo nella quotidianità del privato (si pensi alla pillola, alla tv, a Internet, all’ingegneria genetica), ed è in questa nuova quotidianità – distruttiva degli antichi universi valoriali e stilistici rappresentati universalmente dalla scuola– che si forma la nuova soggettività giovanile….”
Ora passi per Internet, passi per la TV, qualche dubbio sull’ingegneria genetica che non mi sembra che irrompa in modo così pervasivo nella quotidianità di tutti noi, ma sulla pillola proprio non ci sto. E non ci sto come donna e come cittadina. Non ci sto a considerare la pillola come un qualcosa che “irrompendo in modo pervasivo nella quotidianità”  la trasformi rendendola “distruttiva degli antichi universi valoriali e stilistici…”
Aborto, divorzio, libertà sessuale una volta sono state delle conquiste, le abbiamo fatte nostre, le abbiamo vissute e interiorizzate come eventi ormai legittimi e naturali. Ma sembra che la battaglia debba ricominciare, tutto viene messo nuovamente in discussione e certezze acquisite e opzioni civili  di garanzia e sicurezza e  soprattutto di dignità  per i cittadini stanno diventano strumento sottile di discriminazione.
Concludo citando Erica Jong :
“Ripenso a tutte le tetre profezie diffuse negli anni Sessanta e Settanta: “Se le donne avranno la pillola anticoncezionale, smetteranno di fare bambini, se le donne lavoreranno fuori casa i loro figli diventeranno dei criminali, se le donne guadagneranno dei soldi, spaventeranno gli uomini e li allontaneranno”.Tutte profezie che si sono rivelate assurde. le donne continuano a volere bembini e ad averli.Gli uomini sono liberi di essere padri. I bambini continuano ad ipnotizzare madri, padri, nonni e nonne. Il mondo non si è fermato. Ho imparato che i mercanti di paura di solito si sbagliano sui cambiamenti. E’ magnifico aver vissuto abbastanza per vederlo.”
 
 
 

Cile, 29 marzo, la Giornata del Giovane Combattente

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29 marzo 2007

La protesta più violenta negli ultimi 17 anni di Concertazione.

 

 

Il 29 marzo si celebra in Cile il Giorno del Giovane Combattente in memoria di Eduardo e Rafael Vergara Toledo uccisi dalla dittatura di Pinochet quello stesso giorno dell’anno 1985, avevano rispettivamente 20 e 18 anni.
La famiglia Vergara Toledo, di umili origini era formata da quattro figli e Pablo il maggiore, già appartenente al MIR era stato di esempio di impegno sociale e militanza per gli altri fratelli. Morirà anch’egli nel 1988 insieme ad Aracely Romo giovane donna militante del MIR.
Solo nel 2005 si è stabilito che l’assassinio di Eduardo e Rafael Vergara Toledo fu  commesso da funzionari di polizia nel clima di “repressione politica dell’epoca”.
Recentemente sono stati accusati  come autori materiali dell’omicidio i poliziotti Francisco Toledo Puente, Marcelo Muñoz Cifuentes, Álex Ambler Hinojosa e Jorge Martin Jiménez.  Il giudice Gajardo ha tenuto a precisare che “nel modo in cui sono avvenuti i fatti si è evidenziato  che si è trattato non solo di una azione di polizia tendente a controllare e reprimere episodi di delinquenza comune ma una azione concentrata e diretta contro i fratelli Vergara Toledo che si è conclusa  con la loro morte”.
Tuttavia all’accusa non è seguita ancora condanna,  perché secondo quanto hanno scritto recentemente gli anziani genitori di Eduardo e Rafael in una lettera alle autorità chiedendo giustizia,  si “cancella il ricordo e si sostiene l’impunità come base per la governabilità e la stabilità politica”.
Eduardo e Rafael furono uccisi mentre insieme ad altri quattro giovani cercavano di rapinare una panetteria con l’intento di procurare liquidità per la causa rivoluzionaria del MIR. Secondo le versioni della stampa dell’epoca e della polizia locale ci furono scontri a fuoco nel quale per legittima difesa i poliziotti uccisero i due giovani. Successivamente  una perizia balistica sui due corpi  dimostrò invece che i ragazzi furono colpiti alle spalle e che quindi non c’era stato uno scontro a fuoco con essi e venne inoltre ricostruita sulla base di numerosissime testimonianze,   tutta la realtà sociale locale  in riferimento al periodo storico,   dimostrando che il paese dove avvenne l’episodio in quel giorno era in stato di allerta e che nella stessa giornata fu uccisa  una giovane militante del MIR  ed altri quattro giovani furono trovati massacrati.
Come ogni anno, da quel giorno,  si ripetono le manifestazioni a Santiago e in tutto il Cile  per ricordare la tragica morte di quei due ragazzi che hanno dato la vita per la libertà del loro paese, chi li ricorda oggi come rivoluzionari “lo fa più  per la forma in cui sono vissuti che non per   il modo in cui sono morti”.
Quest’anno la manifestazione a Santiago è stata particolarmente violenta e ad oggi si contano più di 800 giovani arrestati molti dei quali minorenni.
La protesta però si inserisce e viene amplificata dal  clima di crescente insoddisfazione per la politica dell’attuale presidente del Cile, Michelle Bachelet , il cui gradimento tra la popolazione sta calando dal 55 al 42% odierno.
Dopo l’iniziale euforia per la vittoria della “presidenta” circa un anno fa, crescenti proteste hanno scosso la società cilena. Iniziando dalla “rivolta dei pinguni” nel maggio dello scorso anno, duramente repressa dalle forze di polizia,  che ha visto studenti scendere in piazza e far sentire la loro voce contro una scuola settaria e di bassa qualità retaggio della dittatura di Pinochet.  Una  rivolta che se inizialmente  ha interessato direttamente i giovani studenti,  successivamente ha poi coinvolto  i loro genitori e ampi settori della società civile.
Da nord a sud il paese è scosso alle radici. La morte di Augusto Pinochet,  probabilmente nello stesso istante in cui è stata accolta con gioia da tutti i cileni che hanno subito perdite,  lutti e privazioni della libertà durante la dittatura,  ha riaperto vecchie ferite e ha reso evidente  nei giorni precedenti e successivi alla morte del vecchio tiranno,  come l’esercito cileno sia ancora pesantemente compromesso con il pinochettismo e che sia ben lontano dall’essere l’istituzione al servizio della società che la Concertazione di Bachelet  ipocritamente vuole far credere.
Ci sono importanti settori dell’oligarchia, militari ed ecclesiastici che di fatto muovono ancora i fili del potere e della politica istituzionale.
In questo anno di governo di Bachelet la protesta in Cile,  dal movimento degli studenti si è estesa  alla base popolare, al movimento mapuche, ai lavoratori del settore sanitario e a quello dei trasporti.
Su questo substrato di profonda insoddisfazione e di rivendicazioni portate avanti con determinazione si è aggiunta ultimamente infatti la protesta per il Transantiago , il nuovo sistema di trasporto pubblico urbano, annunciato come una rivoluzione innovativa e foriera di progresso e  che si è dimostrato di fatto del tutto inefficace a risolvere i problemi della città e che ha causato numerosi disagi alla popolazione, tanto che  Michelle Bachelet nei giorni scorsi si è vista costretta a sostituire quattro suoi ministri per le montanti proteste.
Una miscela esplosiva di insoddisfazione, disillusione e rabbia che ha provocato gravissimi incidenti a Santiago e in tutto il Cile questo giovedì  29 marzo per la commemorazione del Giorno del Giovane Combattente.
Il sottosegretario agli interni, Felipe Harboe ha informato  che 819 persone sono state arrestate, di cui 747 appartengono alla regione metropolitana,  38 poliziotti sono feriti di cui alcuni in modo grave e numerosi  danni sono stati causati alle strutture pubbliche.
Più della metà degli arrestati sono minori di età.
La giornata era iniziata con il dispiegamento di 4000 carabinieri e in un clima di repressione generale.
Alcuni Avvocati di Diritti Umani hanno accusato le Autorità e i mezzi di comunicazione di aver esaltato gli animi e provocato i cittadini già esasperati da situazioni difficili.
All’alba della giornata di giovedì carabinieri  avevano  fatto irruzione nell’Università di Santiago dove in una tesi sostenuta  anche dai media si trovavano sostanze  chimiche per la fabbricazione di bombe molotov e alcuni machetes che dovevano essere usati durante le manifestazioni.
Pronta la smentita dell’Università, le cui autorità hanno  espresso risentimento con il governo per  la  criminalizzazione che è stata fatta degli studenti e della stassa Università. La professoressa  del corso di danza africana,  Sig.ra Muunzenmeyr ha confermato che le spade erano a disposizione del corso per uno spettacolo  e che erano senza affilatura della lama, mente  i professori dei corsi di Chimica e Biologia hanno comunicato  che le sostanze chimiche erano residui di laboratorio in attesa di essere raccolti  da una ditta specializzata in smaltimento di rifiuti speciali.
Già dall’alba del 28 marzo inoltre,   un grande dispiegamento di forze di polizia si trovava a Villa Francia,  uno dei quartieri più poveri alla periferia di Santiago,  luogo dove sempre maggiori sono stati gli scontri in passato. Posti di blocco di polizia si sono formati  anche nelle vicinanze delle abitazioni dei dirigenti sociali più conosciuti, come negli anni più bui della dittatura.
Nel corso degli scontri alcuni bus della linea del Transantiago sono stati dati alle fiamme,  così come si sono registrati casi di sospensione dell’energia elettrica dovuti probabilmente  ad alcune esplosioni. La  polizia ha risposto ai manifestanti con l’uso massiccio di gas lacrimogeni e idranti.
Senza dubbio questa è stata una delle giornate commemorative del Giorno del Giovane Combattente più violenta degli ultimi anni e dovrebbe far riflettere il fatto di come a distanza di un anno emergano tutte le ombre in un governo che pure era stato salutato come “di sinistra”  nella nuova primavera latinoamericana.
La sfida vera che Michelle Bachelet a questo punto si trova a dover affrontare sta sia nel   riuscire a recuperare fiducia e consenso  del  suo elettorato ma più ancora nel  conquistare i sentimenti dei  ceti più poveri del suo paese, degli emarginati di sempre, dei giovani e degli studenti, dei mapuche, degli operai e dei contadini e questo, a suon di arresti e dure repressioni pare oltremodo difficile.

Messico, la II Convenzione Nazionale Democratica

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Lo Zocalo 25/03/07

La mia amica Monique Camus ha partecipato a Città del Messico alla II Convenzione Nazionale Democratica convocata allo Zócalo capitolino da AMLO, ricordiamo che dopo la vittoria elettorale di Felipe Calderón ottenuta a suon di brogli il 2 luglio scorso, Andrés Manuel López Obrador il 16 settembre 2006 aveva convocato  allo Zócalo di Città del Messico la I Convenzione Nazionale Democratica alla quale avevano partecipato più di un milione di persone e che al di là delle rivendicazioni sulla frode elettorale aveva lo scopo di organizzare le azioni future.
Si creò allora il governo parallelo guidato da AMLO che giurò fedeltà (leggi qui) al suo popolo il 20 novembre 2006 sempre allo Zócalo di Città del Messico.
La Convenzione Nazionale Democratica si è riunita ancora una volta per fare un bilancio della situazione e pianificare le azioni future per portare avanti l’obiettivo principale e cioè quello di “trasformare il Messico, protegegre il popolo e difendere il patrimonio della Nazione”.
Analizzando la risposta che il popolo ha dato alla frode elettorle, risposta responsabile e cosciente, Amlo non può fare a meno di constatare che l’atteggiamento adottato e il cammino intrapreso siano stati quelli giusti: né si è risposto secondo “i giochi della politica tradizionale” andando cioè a braccetto con coloro che hanno calpestato la volontà popolare, né tanto meno dando sfogo alla violenza, fatto che avrebbe solo delineato “la via crucis del carcere, dei morti, dei desaparecidos e della tortura”.
La II Assemblea della Convenzione Democratica del Messico è terminata domenica 25 Marzo con una grandiosa marcia che ha percorso i circa tre chilometri che separano il Monumento all’ Angelo dell’Indipendenza dallo Zócalo di Città del Messico, in protesta contro le intenzioni del presidente Felipe Calderón di privatizzare la statale Petróleos Mexicanos.
 
Il movimento “è in piedi e più prima  che poi trionferà”.
 
 “Non siamo uno, non siamo cento, stampa venduta, contaci bene”
 
II Convenzione Nazionale Democratica
Monique Camus 
Oggi ho marciato ancora una volta per un ideale.
Ho riconosciuto volti noti, ne ho visti di nuovi. Mi sono scontrata con le moltitudini. Ho sentito ciò che lo scrittore Elias Canetti nel suo libro “Massa e Potere” sostiene: una volta che uno si è abbandonato alla massa non teme più il suo contatto. In questo caso ideale tutti sono uguali tra loro. Nessuna differenza conta più, nemmeno quella dei sessi. Chiunque sia quello che ci troviamo appiccicato addosso, lo scopriremo identico a noi stessi, lo sentiremo nello stesso modo nel quale sentiamo a noi stessi”. Questa sensazione mi ha invasa, mi sono abbandonata alla massa. In modo pacifico circa novecentomila persone abbiamo marciato dal monumento del Ángel de la Independencia al Zócalo di Città del Messico.
Andrés Manuel López Obrador, Presidente legittimo del Messico, camminava sicuro della sua leadership, il Presidente spurio Felipe Calderón, giorni prima aveva riconosciuto davanti ad alcuni giornalisti de La Jornada la leadership del tabasqueño.
 
Insieme, uniti da un medesimo ideale: la trasformazione democratica del Messico attraverso i movimenti sociali originati dal Frente Amplio Progresista e i partiti di sinistra: PRD, Convergencia e Partido del Trabajo, Organizzazioni Civili, Sindacati, studenti e società in generale.
 
Resoconto della II Assemblea de la Convención Nacional Democrática (CND) realizzata tra il 21 e il 25  marzo a Città del Messico.
Si è conclusa con la marcia che alle 10.30 del mattino si è avviata verso lo Zócalo per presentare la sintesi dei lavori.
 
Principalmente, difendere il patrimonio nazionale, rifiutare la privatizzazione di Petróleos Mexicanos e difendere l’industria elettrica nazionalizzata, la non privatizzazione dei settori salute e alloggi; rifiuto della politica economica che beneficia i più ricchi del paese e gruppi di monopolio che speculano con la fame dei messicani.
La II Convenzione Nazionale Democratica ha avviato numerose iniziative e progetti per passare immediatamente all’azione: 
Opporsi alla riforma che sta promuovendo la destra per modificare l’articolo 73 della Costituzione, è questa l’unica maniera di impedire che le zone archeologiche smettano di essere protette dal governo federale e rimangano in mano dei governi statali.
 
Esigere ai ministri che facciano marcia indietro con la così detta Ley Televisa la quale favorisce due catene televisive: Azteca e Televisa.
 
Redigere un inventario completo e dettagliato di tutte le ricchezze che integrano il patrimonio architettonico, culturale e artistico del paese, “affinché i messicani lo conoscano e difendano”.
 
In ambito educativo si è proposta la formazione di una “rete nazionale di amministratori dei cittadini per proteggere i diritti degli studenti all’educazione” in tutte le tappe dell’insegnamento.
 
“Un presidente deve avere tre qualità: non rubare, non tradire il suo popolo ed essere integro” ha segnalato nel suo discorso il Presidente legittimo del Messico, Andrés Manuel López Obrador.
 
Ha sottolineato l’accordo per l’instaurazione di una nuova Repubblica mediante un processo costituente e per rifiutare l’invasione di semi e alimenti transgenici, così come per  rinegoziare il capitolo agricolo e zootecnico del Trattato di Libero Commercio con l’America del Nord.
 
Ha proposto di creare la Commissione di Verità, per indagare sul Fondo Bancario della Protezione al Risparmio (FOBAPROA).
 
Finalmente il leader della sinistra si è impegnato con i suoi sostenitori per dare impulso a una nuova convivenza sociale, una nuova economia e una nuova politica.
La Convenzione Nazionale Democratica è la forza e la sua praticabilità futura non si mette in dubbio, ma bisognerà indirizzarla bene, apportargli un sostegno dal basso, verso una costruzione orizzontale senza strutture burocratiche.
 
Di fronte a un panorama critico per la sinistra messicana e per il paese in generale, Andrés Manuel dovrà offrire soluzioni pratiche  e non solo proposte di consolazione. È un leader necessario e onesto, di cui la Repubblica ha bisogno, per combattere in un Messico, frustrato dalla povertà estrema, dalla corruzione, dal narcotraffico, dall’esplosione di violenza, dalla militarizzazione imposta dal Presidente spurio, Felipe Calderón.
 
AMLO, sa che non è solo, che migliaia di messicani crediamo in lui e dovrà “trasformare il Messico come sia possibile, con ciò che sia possibile e fino a dove sia possibile” come disse a a suo tempo il miglior Presidente nella storia del Messico, Benito Juárez.
 
25/03/07
Monique Camus
Traduzione di Annalisa Melandri

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México, II Convención Nacional Democrática

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Mi amiga Monique Camus participò a la II Convención Nacional Democratíca realizada en el Zócalo capitolino. Recordamos que despuès de la victoria de Felipe Calderón ganada por fraudes el 2 de julio pasado, Andrés Manuel López Obrador convocó al Zócalo de Ciudad de México el 16 de septiembre la I Convención Nacional Democrática a la que participaron más de un millón de personas y que además de hacer rivendicaciones sobre el fraude electoral tenía el intento de organizar las acciones futuras.

Se formó entonces el gobierno paralelo y el Presidente legítimo AMLO juró ser fiel a su pueblo (aquí) el 20 de novembre de 2006 en la plaza de lo  Zócalo capitolino.
La Convención Nacional Democrática se reunió todavía una vez para hacer un balance de la situación y plantear las acciones futuras para desarrollar la tarea principal o sea “transformar a México, proteger al pueblo y defender el patrimonio de la nación”.
Analizando la respuesta que el pueblo dio al fraude electoral, respuesta responsable y consciente, Amlo no puede hacer menos de constatar que fue justo “haber optado por esa estrategia” y haber tomado ese camino: no se respondió según las reglas de los juegos de la política tradicional, tomando acuerdos políticos con quienes “pisotearon la voluntad popular” ni pisando el camino de la violencia, con el cúal hubieramos tenido “el vía crucis de las cárceles, ls muertos, los desaparecidos, la tortura”
La II Asamblea de la Convención Democrática de México terminó el domingo 25 de Marzo con una gran marcha por los tres kilometros desde el monumento del Ángel de la Independencia hasta al Zócalo de la Ciudad de México, protestando contra los intentos del Presidente Felipe Calderón de privatizar la estatal Petróleos Mexicanos.
 
“No somos uno, no somos cien, prensa vendida cuéntanos bien”.
II Convención Nacional Democrática
Por Monique Camus 
Hoy, volvía a caminar por un ideal. Vi rostros conocidos, otros nuevos, me topé con las multitudes. Sentí lo que el escritor Elias Canetti en su libro “Masa y Poder” sostiene: “una vez que uno se ha abandonado a la masa no teme su contacto. En este caso ideal todos son iguales entre sí. Ninguna diferencia cuenta, ni siquiera la de los sexos. Quien quiera que sea el que se oprime contra uno, se le encuentra idéntico a uno mismo, se le percibe de la misma manera en que uno se percibe a sí mismo”. Esa sensación me inundó, me dejé abandonar a la masa. De manera pacifica marchamos aproximadamente novecientas mil persona del monumentos del Ángel de la Independencia al Zócalo de la Ciudad de México. Andrés Manuel López Obrador, Presidente legítimo de México caminaba seguro de su liderazgo, el Presidente espurio Felipe Calderón días antes reconocía ante periodistas de “La Jornada” el liderazgo nato del tabasqueño.
Juntos, unidos por un mismo ideal: La transformación democrática de México a través de los movimientos sociales emanados del Frente Amplio Progresista y los partidos de izquierda: PRD, Convergencia y Partido del Trabajo; Organizaciones Civiles, Sindicatos, estudiantes y sociedad en general.
El resumen de la II asamblea de la Convención Nacional Democrática (CND), realizada a partir del 21 al 25 de marzo en la ciudad de México. Cerró con la marcha que a las 10:30 de la mañana encaminó al Zócalo para presentar un resumen de los trabajos.
Primeramente, defender el patrimonio nacional, rechazar la privatización de Petróleos Mexicanos y defender la industria eléctrica nacionalizada, la no privatización del sector salud y vivienda; repudio a la política económica que beneficia a los más ricos del país y a grupos monopólicos que especulan con el hambre de los mexicanos.
Numerosas iniciativas y proyectos para pasar a la acción de inmediato, arrojó la II Convención Nacional Democrática:
Oponerse a la reforma que está impulsando la derecha para modificar el artículo 73 de la Constitución, es la única manera de impedir que las zonas arqueológicas dejen de estar protegidas por el gobierno federal y queden en manos de gobiernos estatales.
 
Exigir a los ministros que den marcha atrás a la llamada ley Televisa, que favorece a dos cadenas televisivas: Azteca y Televisa.
Levantar un inventario completo y detallado de todos los tesoros que integran el patrimonio arquitectónico, cultural y artístico del país, “para que los mexicanos lo conozcan y defiendan”.
En el ámbito educativo se propuso la formación de una “red nacional de contralores ciudadanos para proteger los derechos de los estudiantes a la educación” en todas las etapas de la enseñanza.
“Un presidente debe tener tres cualidades”: no robar, no traicionar al pueblo y ser íntegro” señalo en su discurso el Presidente legítimo de México, Andrés Manuel López Obrador.
Destacó el acuerdo para la instauración de una nueva República mediante un proceso constituyente y rechazar la invasión de semillas y alimentos transgénicos, así como renegociar el capítulo agropecuario del Tratado de Libre Comercio de América del Norte.
Se propuso crear la Comisión de la Verdad, para investigar el Fondo Bancario de Protección al Ahorro (FOBAPROA).
 
Finalmente el líder de la izquierda, se comprometió con sus seguidores a impulsar una nueva convivencia social, una nueva economía y una nueva política…
La Convención Nacional Democrática es la fortaleza y su viabilidad futura no se pone en duda, pero habrá que encaminarla bien, aportarle a una construcción desde abajo, a una construcción horizontal sin estructuras burocráticas.
Ante un panorama crítico para la izquierda mexicana y para el país en general, Andrés Manuel tendrá que ofrecer acciones operables y no sólo propuestas de consuelo. Es un líder necesario, honesto, que la República necesita, para combatir al México azotado por la pobreza extrema, la corrupción, el narcotráfico, la violencia desbordada, la militarización impuesta por el presidente espurio, Felipe Calderón.
AMLO, sabe que no está sólo, que miles de mexicanos creemos en él y tendrá que “transformar a México como se pueda, con lo que se pueda y hasta donde se pueda”, como lo dijo en su momento el mejor Presidente en la historia de México, Benito Juárez.
Ciudad de México, 25 Marzo 2007
Proximamente “El reinicio de la otra” Por Monique Camus
 
 

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