Ben oltre il realismo magico in Repubblica Dominicana
Abbiamo installato oggi la filiale della Commissione Nazionale dei Diritti Umani ad Hato Mayor del Rey, un piccolo paesino capoluogo del municipio di Hato Mayor che fa parte della Región Este della Repubblica Dominicana.
Con piú chiese (appartenenti ad ogni setta possibile ed immaginabile) che buche per strada e con un colonnello della Polizia Nazionale che ci ha giurato, (altro…)
Esserci e non esserci. Poesia ai detenuti scomparsi
Con questa poesia di Adrian Ramírez López (presidente della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani LIMEDDH) vogliamo ricordare tutti i detenuti scomparsi in Messico. La poesia è tratta da: Poemas Disonantes – Plaza y Valdes Editores Primer edición octubre 2010
Esserci e non esserci
Tutto ti ricorda.
La tua presenza la sentiamo, e non ci sei.
Come descrivere la tua presenza assente?
Così, semplicemente in questo modo
come ti sentiamo, come ci incoraggi,
come ti guardiamo.
Francisco resisti
come hai sempre resistito,
continua dandoci la tua forza
per aiutarci a ritrovarti.
Quanti milioni di persone sono passate
per la storia?
Quante hanno lasciato traccia?
Ci sono milioni e milioni di desaparecidos anonimi,
ma non voi i detenuti scomparsi.
Voi non siete scomparsi,
i vostri nomi li teniamo con noi,
le vostre biografie sono la storia.
Sono parte della lotta per la democrazia
e le libertà fondamentali;
per essere più umani.
Los desaparecidos sono costruttori di democrazia.
Francisco Michoacán,
Francisco Zirahuem,
Francisco Pueblo,
Francisco con noi.
A Michoacán sei tu,
senza te, ma tu.
Tutti ti cerchiamo.
Ti troviamo in Yanahui,
ti vediamo nella forte Cristina.
Francisco, adesso sei volto di donne
che cercano con sorriso vivo e terra.
Lotta e vita.
Francisco, guardiamo il tuo volto,
sei con noi,
sei andato a cercare gli altri,
a Edmundo e a Gabriel,
e a tutti gli scomparsi,
sei tra loro.
Ti accompagnamo e ti cerchiamo,
a te e a tutti fino a trovarvi.
(Adrian Ramírez López)
Traduzione di Annalisa Melandri
Sparizione forzata in Messico: crimine costante
Nell’ ultima settimana di maggio, dichiarata dall’ONU come Settimana Internazionale del Detenuto Scomparso, ricordiamo i quattro anni della scomparsa dei due militanti politici Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez.
In Messico si tratta di un caso emblematico di sparizione forzata in quanto avvenuta successivamente al loro arresto (il 25 maggio 2007) a Oaxaca. Da allora dei due uomini non si sa più nulla ma nulla è emerso ad oggi nemmeno sul fronte delle indagini. “Fino a questo momento non esiste un solo responsabile indagato per questo crimine, ma non si sono realizzate neanche le indagini relative per trovarlo” denunciano in un comunicato i familiari dei due scomparsi.
Di questa vicenda ce ne eravamo occupati in varie occasioni, anche rispetto al tentativo di mediazione tra il governo messicano e l’ EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario), formazione politico-militare alla quale appartenevano Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez. La mediazione, della cui commissione faceva parte anche lo scrittore messicano ora scomparso, Carlos Montemayor, si risolse in nulla appena un anno dopo il suo inizio, per l’evidente mancanza di volontà del governo messicano a dare risposte certe rispetto alla sparizione dei due integranti dell’ EPR.
La sparizione forzata di persone è un crimine contro l’umanità e come tale imprescrittibile e continuato, senza possibilità di indulto o amnistia e che continua a perpetrarsi in Messico nonostante siano ormai lontani gli anni bui della “guerra sucia”.
Vogliamo qui ricordare anche la vicenda di Francisco Paredes, difensore dei diritti umani e co– fondatore della fondazione Diego Lucero, scomparso il 26 settembre del 2007 presumibilmente dopo un arresto effettuato dalla polizia.
Uno degli ultimi casi di sparizione forzata in Messico è avvenuto il 25 marzo scorso quando da Veracruz si sono perse le tracce del militante del Frente Popular Revolucionario Gabriel Antonio Gómez Caña mentre si recava a dare il suo sostegno a più di 500 commercianti ambulanti che da cinque giorni portavano avanti una protesta pacifica nella piazza principale della città contro il provvedimento che vietava loro di esercitare il commercio in strada.
Questi sono i casi invece più recenti di sparizioni forzate denunciate dall’ AFADEM (Associazione dei Familiari dei Detenuti Scomparsi e delle Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico) oltre ai già menzionati di Francisco Paredes, Gabriel Alberto Cruz Sanchez e Edmundo Reyes Amaya:
Víctor Ayala Tapia detenuto scomparso il 14 settembre 2010 a Papanca, Guerrero
Erick Isaac Molina García detenuto scomparso il 14 giugno 2008 ad Acapulco, Guerrero
Jorge Gabriel Ceron Silva detenuto scomparso il 14 marzo 2007 da Chilpancingo, Guerrero Messico.
L’AFADEM reclama inoltre il compimento della sentenza del caso 12511–Rosendo Radilla Pacheco. La Corte Interamericana per i Diritti Umani il 16 dicembre 2009 ha condannato lo Stato messicano per la sua sparizione avvenuta il 25 agosto 1974 ad Atoyac de Álvarez ed ha riconosciuto l’esistenza di un contesto di violazioni sistematiche e numerose ai diritti umani durante la così detta “guerra sucia”.
La sentenza inoltre ordinava allo Stato di riformare il Codice di Giustizia Militare per impedire che i casi di gravi violazioni dei diritti umani commesse da membri dell’ apparato di sicurezza dello Stato siano giudicate dal Tribunale Militare e chiedeva che fosse tipificato il delitto di sparizione forzata di persona nel codice penale.
Caso Becerra: respuesta al Partido CARC — Italia
Esta es mi respuesta al comunicado del Partido de los Comités de Apoyo a la Resistencia — por el Comunismo (P-CARC) ITALIA respecto al caso de la deportación de Joaquín Becerra (lo leen al final):
Queridos camaradas del Partido de los Comités de Apoyo a la Resistencia — por el Comunismo (P-CARC) ITALIA:
Antes que todo gracias por su adhesión a la carta que, junto a varios intelectuales, periodistas y activistas hemos enviado hace unas semanas al presidente de Venezuela Hugo Chávez. Ha sido un mensaje claro de condena por la injusta detención y deportación a Colombia por parte del gobierno venezolano del compañero y colega periodista, director de la agencia Anncol y uno de los fundadores de la Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC), a la que también pertenece mi página web.
Como ustedes ya saben, es desde Colombia que Joaquín tuvo que huir hace veinte años refugiándose en Europa tras las amenazas recibidas en el marco del genocidio político sufrido por el partido de la Unión Patriótica, al que el mismo Joaquín pertenecía y que costó la vida también a su primera esposa. No estoy aquí a contarles lo que era en aquellos años el compromiso político y social de Joaquín y tampoco el grado de violencia que el ejército colombiano y los paramilitares desataron contra todos aquellos que buscaban una vía democrática a la acción política en representación de las clases oprimidas, de los campesinos, de los indígenas. Hay libros y documentos extensos y detallados que dan testimonio de esto. De hecho Joaquín obtuvo asilo político en Suecia y la nacionalidad de ese país.
Estas son las aclaraciones necesarias para comprender el hecho pero también la portada de la gravedad de la deportación a Colombia de Joaquín por parte de las autoridades venezolanas.
Hoy, en vez, tomo nota de su postura actual, muy distante de aquella adhesión, y que me ve en total desacuerdo. Me siento en derecho y en obligación de responderles porqué me han citado directamente en su comunicado. Pero sobre todo porqué por la actividad periodística que ambos desarrollamos, me siento solidaria con Joaquín.
A este respecto me gustaría precisarles una serie de inexactitudes contenidas en el comunicado.
En primer lugar, no es cierta la afirmación que hacen ustedes que Joaquín Pérez Becerra era “buscado públicamente por Colombia”.
Nadie, fuera de Manuel Santos y los servicios secretos colombianos, (y obviamente los venezolanos cuando fueron informados de la llegada de Becerra) estaba al tanto de que Joaquín era requerido por Colombia ni que tenía pendiente la ficha roja de Interpol (presuntamente emitida mientras el compañero estaba en vuelo desde Alemania hacia Caracas), tampoco el mismo Joaquín. El proceso que condujo a su detención parece haber sido implantado en Colombia en secreto desde casi un año y entonces durante la presidencia de Álvaro Uribe. Lo que han hecho Santos y Chávez ahora, ha sido nada más que dar seguimiento a un operativo impulsado por el gobierno del ex mandatario colombiano.
Probablemente por el desconocimiento que tienen del caso, como ustedes mismos admiten, no saben que la detención de Joaquín se inserta perfectamente en el contexto del escándalo de las famosas “chuzadas” del DAS (inteligencia colombiana). Con este término se define la práctica de interceptar llamadas y correos electrónicos ilegalmente llevada a cabo por el DAS en conjunto con la presidencia de la República (léase Álvaro Uribe) sin autorización previa de la Fiscalía.
Ha sido definitivamente acertado que el ex mandatario colombiano, utilizando el DAS llevaba a cabo una verdadera persecución contra sus opositores políticos. Hace dos años se dio conocimiento al hecho que muchos, políticos, periodistas, activistas de los derechos humanos, integrantes de la OEA (Organización Estados Americanos) y de la Cruz Roja Internacional estaban investigados directamente (e ilegalmente) por la inteligencia colombiana.
Más tarde fueron descubiertos en oficinas del DAS algunos archivos llamados “Operación Europa” con informaciones de inteligencia sobre los exiliados colombianos en el exterior, pero también sobre diputados del Parlamento Europeo, miembros de diferentes ONG, incluso el secretario general de la FIDH, Federación Internacional de los Derechos del Hombre.
En Suecia, la embajada colombiana en ese país, tenía a nomina de sueldos un “respetable” detective, el politólogo Ernesto Yamhure, quien fue amigo y consejero político del jefe paramilitar Carlos Castaño. El Sr. Yamhure ha sido visto en varias ocasiones tomando fotografías a los refugiados colombianos en manifestaciones o acciones de protesta contra el gobierno de Uribe.
Como si esto no fuera suficiente, las acusaciones formuladas contra Joaquín Becerra tienen fundamento en los presuntos correos encontrados en la computadora de Raul Reyes que se mantuvo intacta después del bombardeo en 2008 en Ecuador donde murieron el n. 2 de las FARC Raúl Reyes, 21 guerrilleros y 4 jóvenes estudiantes mexicanos.
En Colombia a pesar de que un capitán de la DIJN (la policía científica antiterrorismo) haya admitido en una declaración jurada que en la computadora de Reyes no había correos electrónicos y un técnico de Interpol haya declarado que en algún momento se ha interrumpido la cadena de seguridad en la custodia de los mismos, durante un periodo de tiempo (permitiendo así que cualquiera hubiera podido añadir material nuevo), los servicios secretos colombianos sacan nuevas “pruebas” cada vez que necesitan enrollar a alguien. Lo han hecho con políticos, militantes y activistas, con la senadora Piedad Córdoba hasta con unos camaradas del Partido di Rifondazione Comunista.
Incluso los mismos presidentes de Venezuela y de Ecuador, Hugo Chávez y Rafael Correa son acusados de haber tenido vínculos importantes con la guerrilla sobre la base de tales “pruebas”.
Después de esta “análisis concreto de la situación” cabe preguntarse si realmente la razón de Estado pude justificarlo todo y sobre todo si podemos como militantes y revolucionarios ser cómplices de todas estas mentiras, engaños y violaciones de los derechos humanos.
A los que equivocándose, creen que Santos represente el nuevo curso de la política colombiana, yo diría que incluso se trata de complicidad con el ex-régimen de Álvaro Uribe, ya que esta operación es una apéndice natural de su política de “seguridad democrática” que tantas víctimas inocentes ha hecho en Colombia.
¿Sobre estas bases estamos construyendo un proceso revolucionario?. O tal vez sería más exacto decir que estamos en la misma lógica perversa del capitalismo, por la que hay que tomar en cuenta los “daños colaterales”, como las masacres de civiles por las bombas de la OTAN en Afganistán o el alto precio a pagar en términos de impacto ambiental por la explotación del petróleo en el delta del Niger por las transnacionales…
Esto es lo que desprende de su análisis y la de los compañeros de la redacción de la revista ALBAinformazione a la que he renunciado hace unos días: que Joaquín no es más que un “daño colateral” en el camino accidentado de la revolución, un precio injusto pero necesario.
Además respecto a su declaración: “No resulta ningún acuerdo preliminar entre Joaquín Pérez Becerra y las autoridades venezolanas según el cual éstas habrían acordado protección. ¿Alguien sostiene que la hubo?”
Nadie lo sostiene, camaradas, porque Joaquín no necesitaba de un acuerdo previo de protección para viajar a Venezuela, como no lo había necesitado en ocasión de otros viajes los años pasados.
Al parecer, Joaquín, así como todos los colegas y organizaciones que en los últimos años lo habían invitado a Caracas, pensaba que el asilo político concedido por Suecia era por sí mismo una forma de protección. Está prohibido por el derecho internacional deportar una persona que goza de asilo político en el país de donde tuvo que huir. La protección la tenía y se la otorgaba propio aquel derecho burgués que tantos revolucionarios desprecian y que paradójicamente lo hubiera protegido (si aplicado) más de cuanto lo ha hecho un gobierno revolucionario. Doblemente traicionado Joaquín, por el derecho burgués y por la solidaridad revolucionaria.
También preguntan ustedes: “¿Por qué Joaquín Pérez Becerra viene a Caracas?. ¿Llega clandestina o públicamente?”.
Estas preguntas son realmente incomprensibles. ¿Acaso ustedes militantes del partido CARC cuando viajan por Europa les preguntan si lo hacen “clandestina o públicamente?” ¿O los criminalizan pidiéndoles las razones de sus viajes? ¿Y si así fuera no gritarían a voz alta su derecho a viajar líberamente por donde quieren? Realmente extrañas preguntas de parte de un partido comunista revolucionario.
También se desprende de su declaración, sobre todo cuando escriben que los camaradas no deben utilizar Venezuela “como base operativa o como territorio de tránsito, salvo acuerdo con las autoridades venezolanas. Si no pueden evitar hacerlo, tienen que estar dispuestos a afrontar (y a tomar en cuenta) las consecuencias de sus eventuales errores. Ciertamente no pueden pretender ser ellos los que dicten la conducta y querer imponer la agenda a las autoridades venezolanas” que comparan la situación de Becerra a la de los demás guerrilleros que en el pasado han sido extraditados a Colombia.
Joaquín no es un guerrillero bajado de un avión en mimética y metralleta y es un gran error, según mi opinión, la equiparación de situaciones completamente diferentes para justificar lo injustificable.
Y hasta en casos de guerrilleros extraditados en total apego de la ley hay que recordar que la solidaridad revolucionaria no justifica nunca la entrega de revolucionarios. Sabemos que el gobierno venezolano ya había extraditado en varias ocasiones guerrilleros de las FARC y del ELN.
Recuerdo una vez más que incluso el actual gobierno reaccionario de Italia, se ha negado a extraditar hace unos meses en manos de Turquía que había pedido su entrega, un líder del PKK kurdo-detenido en su territorio, de nacionalidad holandesa. La razón está en el hecho que en Turquía es vigente la pena de muerte. No olvidemos que en Colombia aunque la pena de muerte no sea vigente de manera institucional, un opositor político, un defensor de derechos humanos, un guerrillero (que no pierde por serlo sus derechos) están en peligro de vida. Recordemos también que la tortura es una de las razones posibles para una negación de la entrega de personas según la convención de Ginevra respecto a la extradición. En Colombia se tortura y esa no es ninguna novedad, ¿O no?
Una opción diferente entonces era posible, por lo menos simplemente respetando el Derecho. Leo pero que para ustedes esto hubiera significado poner a riesgo la “coexistencia pacífica”. Pero la coexistencia pacífica no quiere decir la traición total de la identidad revolucionaria ni de la solidaridad internacionalistas con las luchas de los pueblos contra el imperialismo y el capitalismo internacional.
Lenin decía: “Nos planteamos ahora la tarea principal de triunfar sobre los explotadores y atraer a nuestro lado a los elementos vacilantes. Esta es una tarea mundial. Son vacilantes toda una serie de Estados burgueses, que como Estados burgueses, nos odian, pero como oprimidos, prefieren vivir en paz con nosotros.” Esta debería ser la tarea, atraer los Estados vacilantes, no al revés dejarse involucrar en sus sistemas capitalistas de explotación y opresión del hombre sobre el hombre…
Respecto al utilizar Venezuela cómo “territorio de transito”, nosotros militantes anti-fascistas, bolivarianos, compañeros internacionalistas, colegas y amigos de Joaquín, solidarios con la lucha de liberación del pueblo colombiano, así como con la de todos los pueblos oprimidos, nunca hemos considerado Venezuela “territorio de tránsito”. Por el contrario, considerábamos y seguimos considerando Venezuela la tierra donde poder sembrar junto al Comandante Hugo Chávez, la semilla del socialismo, donde poder trabajar y colaborar para que diera sus mejores frutos.
Cierto, hemos considerado Venezuela “base operativa”, pero no como ustedes equivocadamente piensan, o sea una base logística de guerrilleros infiltrados, que ponen trabas al gobierno venezolano.
Venezuela es para nosotros una fábrica donde diseñar y construir la Patria Grande, donde construir con el liderazgo del presidente Chávez y junto al pueblo venezolano una nueva esperanza para la región. Sin “daños colaterales”, pero sí con coherencia y honestidad.
Además hay que añadir que peores de la detención y de la deportación de Joaquín han sido las palabras del presidente Chávez, expresadas después de una semana de silencio.El presidente Chávez, como han hecho ustedes, se pregunta: ¿Quien ha invitado Joaquín a Venezuela? ¿Quién lo ha subido al avión? ¿Qué iba a hacer en el país? Sobre todo ha acusado a los militantes, los camaradas bolivarianos, que muchas veces han invitado Joaquín a Venezuela, los colegas periodistas que comparten con él la ardua tares de difundir noticias sobre el terrorismo de Estado en Colombia y a quienes me sumo con orgullo, de que somos un “movimiento infiltrado hasta la medula”. Perdonen pero me siento encima estas acusaciones y no puedo aceptarlo.
Y la infamia y la gravedad de las acusaciones como estas, propio ustedes camaradas, deberían conocerlas muy bien. Propio ustedes que por ejemplo en Roma algunas veces en pasado han sido acusados de ser un movimiento “cuestionado”. Falsas acusaciones de las cuales siempre los he defendido. Falsas acusaciones que siempre han acompañado por ejemplo las viejas Brigadas Rojas y otros movimientos revolucionarios.
Además y concluyo, conocen ustedes la persecución y represión que han sufrido y sufren muchos compañeros del partido CARC. Ustedes mismos están difundiendo desde tiempo un llamado de solidaridad hacia algunos camaradas del partido y en contra de la persecución judicial a los comunistas. Sabemos que ha habido y hay juicios en contra de dirigentes y activistas del partido por ser acusados de sostenedores de este o aquel movimiento armado o de asociación subversiva, todos cargos, que sabemos bien han caído por faltas de pruebas, pero que han tenido y tienen un costo muy alto en términos de criminalización y represión de la acción política.
Eso para decirles que no es absurdo imaginar que lo que ha sucedido con Joaquín, con los militantes del ELN y de las FARC, con los internacionalistas vascos expulsados de Venezuela, algún día no pueda pasar a todos nosotros.
Sólo la solidaridad entre los militantes comunistas puede ser el antídoto a la violencia y al terrorismo de estado, pero también al avance del imperialismo criminal y del capitalismo deshumano.
Annalisa Melandri
Santo Domingo, 20 mayo 2011
este el comunicado del Partido:
Partido de los Comités de Apoyo a la Resistencia — por el Comunismo (P-CARC) ITALIA
Dirección Nacional – Sector de las Relaciones Internacionales
Sede: Via Tanaro, 7 — 20128 Milano — Tel/Fax 02.26306454
e-mail: resistenzacarcit – sito: www.carc.it
10/05/2011
El caso de Joaquin Pérez Becerra
El pasado 23 de abril las autoridades venezolanas arrestaron en el aeropuerto de Caracas (Maiquetía) a Joaquin Pérez Becerra consignándolo a las autoridades colombianas dos días después, el 25 de abril. Fue como entregar un palestino a Israel, visto el rol que el Estado Colombiano ha tenido en América Latina al servicio del Imperialismo Usa y de las clases reaccionarias.
A partir de este hecho, parte una campaña de denuncia de Chávez como traidor de la revolución que refuerza la acusación (ya ampliamente difundida) de Chávez y de sus seguaces como falsos revolucionarios.
El Partido (CARC) ha fijado posición con respecto al caso, adheriendo a una nota crítica dirigida al presidente de Venezuela Chávez, propuesta por la colega Annalisa Melandri, quien con algunas compañeras del Partido, formaron parte de la Conferencia Mundial de las Mujeres desarrollada en marzo en Venezuela. La crítica al gobierno venezolano exprime la profunda amargura de la compañera Melandri frente a lo sucedido.
Seguidamente, en el Partido iniciaron a desarrollarse una serie de discusiones que impulsaron a compañeras y compañeros a prestar mayor atención a este hecho, con el fin de desarrollar un análisis concreto de la situación, con el ánimo del marxismo, y con el precioso instrumento de la dialéctica que nos enseña a considerar cada hecho y acontecimiento en su propio contexto y su relación con las diversas partes del contexto mismo. La dialéctica nos lleva a considerar todos (al menos los principales) aspectos de cada hecho, acontecimiento o cosa.
Los comunistas somos materialistas dialécticos, estamos a la vanguardia en la lucha contra el capitalismo; nos distinguimos de otros revolucionarios porque tenemos una comprensión más avanzada de las condiciones, formas y resultados de las luchas de clase y sobre esta base la apoyamos a seguir adelante.
Estos son los principales principios y criterios que hay que tener presente para examinar el caso en cuestión y decidir cómo actuar. Sobre la base de estos principios y criterios exponemos seguidamente los acontecimientos y las reflexiones sobre los mismos, teniendo presente – y que no podemos obviar — nuestro escaso conocimiento directo de los hechos y las pocas o nulas relaciones directas que tenemos con los protagonistas de este caso.
Ha sido indiscutible el rol reaccionario del Estado colombiano y la campaña conducida por el imperialismo USA y por el gobierno colombiano. En esta campaña Chávez está a la defensiva: se defiende de las acusaciones de apoyar a las FARC, sostiene que las autoridades venezolanas no intervienen en los asuntos internos de Colombia, trata de obtener que las autoridades colombianas (y los imperialistas USA) no intervengan en los asuntos internos de Venezuela –lucha por la coexistencia pacífica-: sobre esta linea trata de unir fuerzas y aislar a la derecha.
Las autoridades venezolanas han fijado una posición defensiva en las divergencias surgidas con las autoridades colombianas y con el imperialismo USA que los guía, proteje, financia y usa. Pero no es esta actitud a la defensiva -¿corresponde o no a las relaciones forzadas que Chávez no está en capacidad para derrotar de un solo golpe y usando sólo sus fuerzas; o es fruto de atraso, de oportunismo, de rendición o de colaboración secreta?- que los acusadores de Chávez ponen en discusión.
En este contexto Joaquin Pérez Becerra, buscado públicamente por Colombia llega a Caracas. No resulta ningún acuerdo preliminar entre Joaquín Pérez Becerra y las autoridades venezolanas según el cual éstas habrían acordado protección. ¿Alguien sostiene que la hubo?. ¿Por qué Joaquin Pérez Becerra viene a Caracas?. ¿Llega clandestina o públicamente? Ciertamente las autoridades colombianas eran al corriente de su llegada.
El arribo de Joaquin Pérez Becerra ha sido una acción equivocada (lanzada) o una provocación concordada con las autoridades colombianas. Cuando un país se encuentra en una posición “a la defensiva” como Venezuela, los revolucionarios en sus actividades tienen que ser prudentes yno crear dificultades (no usar a Venezuela como base operativa o como territorio de tránsito, salvo acuerdo con las autoridades venezolanas). Si no pueden evitar hacerlo, tienen que estar dispuestos a afrontar (y a tomar en cuenta) las consecuencias de sus eventuales errores. Ciertamente no pueden pretender ser ellos los que dicten la conducta y querer imponer la agenda a las autoridades venezolanas. Si las autoridades de Venezuela aceptaran símilares imposiciones, estarían a merced de sus enemigos, de sus provocadores, de los desprevenidos: demostrando en la práctica no estar a la altura de la tarea de la cual proclaman querer liberarse.
Joaquín Pérez Becerra no puede pretender de las autoridades venezolanas aquello que no habían prometido. El deber de un revolucionario en su condición de tal, es defender a las autoridades venezolanas de cualquier acusación y denunciar a las autoridades colombianas y al imperialismo USA de haber tejido una emboscada para poner en dificultad a las autoridades venezolanas.
Quienes a partir de un movimiento equivocado o de una provocación concordada con las autoridades colombianas a través del nombre de Joaquín Pérez Becerra, han encontrado un pretexto tirano para conducir una campaña contra Chávez y las autoridades venezolanas, estos son una nebulosa de organismos y personalidades, cada uno movido por motivos propios persiguiendo objetivos propios.
Es imposible y hasta equivocado entonces, tratar de juzgarlos del mismo modo y asumir en relación a cada uno de ellos la misma conducta. Tenemos que analizarlo caso por caso, sobre la base del análisis concreto de cada situación , de nuestros principios y de nuestros objetivos.
Nosotros comunistas oponemos a esta campaña las razones antes mencionadas. Cada uno está en condición de pronunciarse sobre los principios y los criterios que nos guian si quieren tener una relación de unidad de criterios con nosotros. De este modo, nos pronunciamos sobre los principios y criterios que han guiado la conducta de aquéllos compañeros, que ya hemos claramente enunciado en lineas anteriores.
Los pueblos, los grupos y las personas que luchan contra el sistema imperialista mundial se encuentran actualmente frente a grandes dificultades pero al mismo tiempo están frente a grandes posibilidades de conseguir el éxito. Asumirse responsabilidades, regular en cada caso la propia conducta según principios y criterios adecuados al hecho concreto, no actuando a las ciegas ni cayendo en trampas y provocaciones, no regulándose según el sentido común y la cultura de la clase dominante, ni cediendo a las campañas de desinformación y de “intoxicación” de las opiniones, manteniendo y ampliando la unidad y elevando el nivel de las fuerzas revolucionarias, uniendo todo aquéllo que puede ser unido y concentrando poco a poco el ataque contra el principal enemigo, distinguiendo amigos de enemigos, distinguiendo las contradicciones entre nosotros y el enemigo y distinguiendo las contradicciones en el seno del mismo pueblo. Son las condiciones para avanzar con vigor hacia la victoria.
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Caso Becerra: risposta al Partito dei CARC
La mia risposta al comunicato del Partito dei Carc (che copio di seguito):
Cari compagni e compagne del Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza — per il Comunismo (P-CARC)
innanzitutto vi ringrazio per aver aderito alla lettera che insieme a molti intellettuali, giornalisti, personalità del mondo della cultura e militanti abbiamo inviato qualche settimana fa al presidente Hugo Chávez. Si è trattato di un chiaro messaggio di condanna per l’arresto e la deportazione in Colombia da parte del governo venezuelano del compagno e collega giornalista, direttore della agenzia Anncol, tra i fondatori dell’ Asociacion Bolivariana de Comunicadores (ABC), alla quale appartiene anche il mio sito.
Come sapete ormai, è proprio dalla Colombia che Joaquin é dovuto fuggire una ventina di anni fa per cercare rifugio in Europa in seguito alle minacce ricevute nel contesto del genocidio politico del partito Unión Patriotica al quale lui apparteneva, genocidio che costò la vita anche alla prima moglie dello stesso Joaquín. Non sto qui a raccontare quale fosse l’impegno politico e sociale di Joaquín e nemmeno la portata della violenza che l’esercito colombiano e i paramilitari in quegli anni scatenarono contro tutti coloro che cercavano una via democratica all’ agire politico in rappresentanza delle classi oppresse, degli indigeni, dei contadini. In rete ci sono ampi e dettagliati documenti che testimoniano tutto questo. Fatto sta che Joaquín in Svezia ottenne asilo politico e la cittadinanza di quel paese.
Questi sono i chiarimenti necessari per poter comprendere la vicenda ma anche la portata della gravità della deportazione in Colombia di Joaquín da parte delle autorità venezuelane.
Prendo atto adesso della vostra attuale presa di posizione, molto distante da quella adesione, ma la quale ovviamente mi trova completamente in disaccordo. Mi sento in diritto e in dovere di rispondervi sia perché mi avete citato direttamente nel vostro comunicato, ma anche perché, per l’attività giornalistica che entrambi svolgiamo, in qualche modo mi sento vicina a Joaquín.
A tal proposito vorrei segnalarvi alcune inesattezze riportate nel vostro comunicato che gentilmente mi avete inviato per conoscenza.
Innanzitutto l’ affermazione “Joaquín Becerra ricercato pubblicamente dallo Stato della Colombia” non corrisponde al vero.
Nessuno, eccetto Manuel Santos e i servizi segreti colombiani (oltre ovviamente quelli venezuelani una volta informati dellˈarrivo di Becerra) erano al corrente che Joaquín fosse richiesto dalla Colombia né che pendesse sulla sua testa il codice rosso dell’ Interpol, (presumibilmente emesso mentre il compagno si trovava in volo tra la Germania e il Venezuela), nemmeno, ovviamente lo stesso Joaquín. Il procedimento che ha portato al suo arresto sembra sia stato impiantato in gran segreto quasi un anno fa e quindi ancora durante la presidenza di Álvaro Uribe.
Quello che hanno fatto Chávez e Santos non è stato altro che dare seguito a una operazione pianificata durante il governo dellʹex presidente colombiano.
Probabilmente proprio per lʹignoranza che avete dei fatti, come voi stessi ammettete nel comunicato, non siete al corrente del fatto che la detenzione di Joaquín si inserisce perfettamente nel contesto dello scandalo delle famose “chuzadas” del DAS (servizi segreti colombiani). Con questo termine si definisce la pratica illegale di intercettare telefonate e posta elettronica portata avanti dal DAS insieme alla Presidenza della Repubblica (leggi Álvaro Uribe) senza l’ autorizzazione preliminare del magistrato.
E’ stato definitivamente verificato che l’ex presidente colombiano, in concerto con il DAS effettuava delle vere e proprie persecuzioni contro i suoi oppositori politici. Due anni fa è stata diffusa la notizia che molti politici, giornalisti, attivisti per la difesa dei diritti umani, perfino integranti della OEA (Organizzazione degli Stati Americani) e della Croce Rossa Internazionale erano costantemente (e illegalmente) tenuti sotto controllo dai servizi segreti colombiani.
Successivamente vennero scoperti all’interno del DAS alcuni fascicoli che portavano il nome di Operación Europa (Operazione Europa) che contenevano informazioni sugli esiliati colombiani all’estero ma che delineavano anche complesse operazioni di spionaggio e di montaggio di accuse (e prove) false. Riguardavano non solo esiliati colombiani, ma anche membri del Parlamento Europeo, politici, appartenenti a diverse ONG, perfino il segretario generale della FIDH (Federazione Internazionale dei Diritti dell’ Uomo).
In Svezia, l’ ambasciata colombiana in quel paese aveva alle sue dipendenze un investigatore di “tutto rispetto” e cioè il politologo Ernesto Yamhure , che in passato fu amico e assessore politico del capo paramilitare Carlos Castaño. Il signor Yamhure è stato notato varie volte scattando fotografie ai rifugiati politici colombiani durante manifestazioni o iniziative di protesta contro il governo di Uribe.
Come se non bastasse, le accuse mosse a Joaquín trovano “fondamento” nelle presunte mail trovate nel computer di Raúl Reyes rimasto intatto dopo il bombardamento da parte dell’esercito colombiano in Ecuador dove rimasero uccisi il n. 2 delle FARC, altri 21 guerriglieri e 4 giovani studenti messicani.
Nonostante in Colombia un capitano della DIJN (squadra antiterrorismo) abbia reso ai giudici una dichiarazione giurata affermando che non c’erano messaggi di posta elettronica nel computer di Reyes e un tecnico dell’Interpol abbia dichiarato che la catena di sicurezza sul computer era stata interrotta un certo periodo di tempo (permettendo quindi a chiunque di inserire materiale nuovo), a quanto pare i servizi segreti colombiani continuano a scoprire nuove “prove” ogni volta che hanno bisogno di incastrare qualcuno. Lo hanno fatto con politici, militanti e attivisti, con la senatrice Piedad Córdoba e perfino con alcuni compagni del Partito della Rifondazione Comunista.
Anche lo stesso presidente del Venezuela Hugo Chávez e il presidente dell’Ecuador Rafael Correa sono accusati di avere avuto in passato importanti vincoli con la guerriglia sulla base di tali “prove”.
Questa è la sola “analisi concreta della situazione concreta” da fare a mio avviso.
E dopo averla fatta, domandarsi se veramente la ragion di Stato può giustificare tutto e soprattutto se possiamo come militanti e rivoluzionari essere complici di tutte queste menzogne, inganni e violazioni dei diritti umani.
A quelli che, sbagliandosi, credono che Santos rappresenti il nuovo corso della politica colombiana, direi che si tratta anche di complicità con i crimini di Álvaro Uribe , dal momento che questa operazione è una appendice naturale della sua politica di “sicurezza democratica” che tante vittime innocenti ha fatto in Colombia.
Su queste basi stiamo costruendo un processo rivoluzionario? O forse non sarebbe più appropriato dire che ci troviamo nella stessa logica perversa del capitalismo, per cui i “danni collaterali” sono sempre da mettere in conto, come i civili massacrati per le bombe NATO in Afghanistan o l’ alto prezzo da pagare in termini di impatto ambientale per lo sfruttamento del petrolio nel delta del Niger da parte delle multinazionali…
Questo è quello che traspare dalla vostra analisi e da quella dei compagni della redazione della rivista ALBAinformazione, che ho lasciato qualche giorno fa in segno di protesta: che Joaquín altro non è che un “danno collaterale” nel tormentato percorso verso la rivoluzione, un prezzo ingiusto ma necessario da pagare.
Inoltre alla vostra affermazione: “Non risulta che c’era un accordo preliminare tra Joaquín Pérez Becerra e le Autorità del Venezuela secondo il quale queste gli avrebbero accordato protezione. Qualcuno sostiene che c’era?”
Nessuno lo sostiene, cari compagni e compagne perché Joaquín non aveva bisogno di nessun accordo preliminare per viaggiare in Venezuela come non ne aveva avuto bisogno in occasione di altri viaggi gli anni scorsi.
Evidentemente Joaquín, così come tutti i compagni e le organizzazioni che in passato lo avevano invitato a Caracas, pensava che l’asilo politico riconosciuto dalla Svezia fosse di per sé una forma di protezione. E’ proibito dal diritto internazionale deportare una persona che gode di asilo politico nel paese dal quale ha dovuto fuggire. La protezione c’era e veniva proprio da quel diritto borghese che tanti rivoluzionari disprezzano ma che paradossalmente avrebbe protetto (se applicato) Joaquín più di quanto lo abbia fatto un governo rivoluzionario. Due volte tradito Joaquín, dal diritto borghese e dalla solidarietà rivoluzionaria.
Vi domandate inoltre : “Perché Joaquin Perez Becerra è sbarcato a Caracas? E’ sbarcato clandestinamente o pubblicamente?”
Veramente sono domande incomprensibili. Per caso a voi militanti del Partito dei CARC quando viaggiate in Europa vi chiedono se lo fate “clandestinamente o pubblicamente?” O vi criminalizzano chiedendovi spiegazioni sui vostri viaggi? E se ciò dovesse avvenire, non gridereste ad alta voce il vostro diritto sacrosanto di persone libere a muoversi e viaggiare? Strane domande davvero da parte di un partito comunista rivoluzionario.
Traspare dal vostro comunicato inoltre, soprattutto dove scrivete che i compagni non devono usare il “Venezuela come base operativa o come territorio di transito, salvo accordo con le autorità del Venezuela. Se non possono fare a meno di farlo, devono essere disposti ad affrontare , e mettere in conto, le conseguenze dei loro eventuali errori. Certamente non possono pretendere di dettare loro la condotta e di imporre il calendario e l’ ordine del giorno alle Autorità del Venezuela” che la questione di Becerra viene di fatto paragonata a quella dei guerriglieri estradati in passato alla Colombia.
Joaquín non è un guerrigliero sceso dall’ aereo in mimetica e mitraglietta ed è un grande errore a mio avviso, equiparare situazioni completamente diverse per giustificare l’ingiustificabile.
Perfino nel caso di guerriglieri estradati applicando la legge, bisogna ricordare che la solidarietà rivoluzionaria non giustifica mai la consegna di rivoluzionari. Sappiamo che il governo venezuelano già aveva estradato qualche tempo fa guerriglieri delle FARC e dell’ELN.
Ricordo ancora una volta che perfino l’attuale governo reazionario dell’Italia, si è rifiutato mesi fa di consegnare nelle mani della Turchia che ne reclamava l’estradizione, un leader del PKK-KURDO arrestato nel proprio territorio di nazionalità olandese. Il motivo sta nel fatto che in Turchia vige la pena di morte. Non dimentichiamo che in Colombia anche se la pena di morte non vige istituzionalmente, un oppositore politico, un difensore dei diritti umani, un guerrigliero (che come tale non perde i suoi diritti) si trova in pericolo di vita. Ricordiamo anche che la tortura è una delle possibili ragioni per rifiutare, secondo la convenzione di Ginevra, l’ estradizione di una persona. In Colombia si tortura e questa non è certo una novità, o no?
Come vedete una scelta diversa era possibile, per lo meno semplicemente rispettando il Diritto. D’ altra parte leggo però che secondo voi questo avrebbe significato mettere a repentaglio la “coesistenza pacifica”. Ma la coesistenza pacifica non vuol dire il tradimento totale della identità rivoluzionaria e nemmeno della solidarietà internazionalista con la lotta dei popoli contro l’imperialismo e il capitalismo internazionale.
Lenin diceva:”Il compito principale che noi oggi ci proponiamo è di combattere gli sfruttatori e di conquistare alla nostra causa gli esitanti. E’ questo un compito di importanza mondiale. Un buon numero di paesi capitalisti è esitante: come paesi capitalisti, essi ci odiano, come paesi oppressi, preferiscono vivere in pace con noi”. Questo dovrebbe essere il compito, attrarre gli Stati esitanti, non al contrario lasciarsi coinvolgere nei loro sistemi capitalisti di sfruttamento e oppressione dell’uomo sull’uomo…
Rispetto al fatto di utilizzare il Venezuela come “territorio di transito”, noi militanti antifascisti, bolivariani, compagni internazionalisti, colleghi e amici di Joaquín, solidali con la lotta di liberazione del popolo colombiano così come con quella di tutti i popoli oppressi, non abbiamo mai considerato il Venezuela “territorio di transito”. Al contrario consideravamo il Venezuela terra dove poter seminare insieme al Comandante Hugo Chávez il germe del socialismo, dove poter lavorare e collaborare perché desse i suoi frutti migliori.
E’ vero che consideravamo il Venezuela “base operativa”, ma non come erroneamente pensate voi, come base logistica di guerriglieri nemici, magari infiltrati che vogliono mettere i bastoni fra le ruote al governo.
Il Venezuela è per noi una fucina dove poter costruire e progettare la Patria Grande, dove poter costruire insieme al popolo venezuelano e con la guida del presidente Chávez una nuova speranza per la regione. Senza “danni collaterali” ma con coerenza e onestà.
Bisogna aggiungere inoltre che peggiori dell’arresto e della deportazione di Joaquín, se vogliamo, sono state le parole del Comandate Chávez, espresse dopo quasi una settimana di silenzio sull’ accaduto. Come avete fatto anche voi, Chávez si chiede: chi ha invitato Becera in Venezuela? Chi lo ha messo sull’ aereo? Cosa è andato a fare a Caracas? Soprattutto però ha accusato i militanti, i bolivariani, i compagni che altre volte hanno invitato Becerra in Venezuela a partecipare a dibattiti e incontri, i colleghi giornalisti che con lui condividono l’arduo compito di diffondere informazione sul terrorismo di Stato in Colombia e dei quali con orgoglio sento di far parte, di essere un “movimento infiltrato fino al midollo”. Scusate ma queste accuse sono dirette in prima persona a tutti noi e non posso accettarlo.
E l’infamia racchiusa in queste parole proprio voi, compagni e compagne dei CARC dovreste conoscerla molto bene. Proprio voi che per esempio a Roma avete subito in passato, in qualche occasione l’accusa infamante di essere un movimento politico “chiacchierato” . Falsa accusa dalla quale la sottoscritta, per inciso, vi ha sempre difeso. Falsa accusa che continua ad accompagnare ancora oggi per esempio le vecchie Brigate Rosse (e altre formazioni rivoluzionarie).
Inoltre, e concludo, è nota la persecuzione e la repressione che hanno subito e subiscono ancora oggi molti compagni e compagne dei CARC. Voi stessi state diffondendo da tempo
un appello alla solidarietà verso alcuni compagni del partito e contro la persecuzione dei comunisti. Sappiamo che sono vari i procedimenti aperti contro leader e militanti del partito dei CARC accusati a più riprese di essere “fiancheggiatori” di questo o quel movimento armato o di “associazione sovversiva”. Tutte accuse che come sappiamo si sono dimostrate false per mancanza di prove ma che comunque hanno avuto ed hanno un altissimo costo in termini di criminalizzazione e di repressione dell’agire politico.
Questo per dirvi che non è azzardato ipotizzare che quello che è accaduto a Joaquín, ai guerriglieri ELN e FARC, ai militanti baschi espulsi dal Venezuela, un giorno non possa accadere a qualcuno di noi.
Solo la solidarietà tra militanti comunisti può essere il vero antidoto alla violenza e al terrorismo di Stato, ma anche un deterrente all’ avanzata dell’ imperialismo criminale e del capitalismo disumano.
Annalisa Meandri
Santo Domingo, 20 maggio 2010
di seguito il loro comunicato:
10/05/2011
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza — per il Comunismo (P-CARC)
Direzione Nazionale — Settore delle Relazioni Internazionali
Sede: Via Tanaro, 7 — 20128 Milano — Tel/Fax 02.26306454
e-mail: resistenzacarcit – sito: www.carc.it
Il caso di Joaquin Perez Becerra
Le Autorità del Venezuela il 23 aprile hanno arrestato all’aeroporto di Caracas Joaquin Perez Becerra e il 25 aprile lo hanno consegnato alle Autorità della Colombia. È come se avessero consegnato un palestinese a Israele, visto il ruolo che lo Stato della Colombia ha in America Latina al servizio dell’imperialismo USA e delle classi reazionarie. Da qui una campagna di denuncia di Chavez come traditore della rivoluzione e una campagna che rafforza la denuncia (già ampiamente diffusa) di Chavez e dei suoi seguaci come falsi rivoluzionari.
Il Partito dei CARC ha preso posizione rispetto alla questione, aderendo a una nota critica rivolta al presidente del Venezuela Chavez propostaci dalla compagna Annalisa Melandri, con cui compagne del Partito hanno preso parte alla Conferenza Mondiale delle Donne tenutasi a marzo in Venezuela. La critica al governo venezuelano esprime la profonda amarezza della compagna di fronte all’accaduto.
Di seguito però nel Partito si è sviluppata una discussione, che ha spinto compagni e compagne a prestare maggiore attenzione alla vicenda, ai fini di sviluppare l’analisi concreta della situazione concreta, che è l’anima del marxismo, con lo strumento della dialettica, che insegna a considerare ogni fatto e avvenimento nel contesto suo proprio: i suoi legami con le altri parti del contesto.
La dialettica insegna a considerare tutti (almeno i principali) aspetti di ogni fatto, avvenimento e cosa.
I comunisti sono materialisti dialettici.
I comunisti sono l’avanguardia della lotta contro il capitalismo; essi si distinguono tra gli altri rivoluzionari perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti.
Questi sono i principali principi e criteri che dobbiamo tenere presente per esaminare il caso in questione e decidere come agire.
Sulla base di questi principi e criteri esponiamo gli avvenimenti e la riflessione su di essi, tenuto conto del fatto, a cui non possiamo ovviare di colpo, della nostra scarsa conoscenza diretta delle cose e dei pochi o nessun rapporto diretto che abbiamo con i protagonisti della vicenda.
Indiscutibili sono il ruolo reazionario dello Stato della Colombia e la campagna contro Chavez condotta dagli imperialisti USA e dallo Stato della Colombia. In questa campagna Chavez è sulla difensiva: si difende dall’accusa di sostenere le FARC, sostiene che le Autorità del Venezuela non intervengono negli affari interni della Colombia, cerca di ottenere che le Autorità della Colombia (e gli imperialisti USA) non intervengano negli affari interni del Venezuela (lotta per la coesistenza pacifica): su questa linea cerca di unire forze e isolare la destra.
Le Autorità del Venezuela hanno una posizione difensiva nello scontro con le Autorità della Colombia e con l’imperialismo USA che le guida, protegge, foraggia e usa. Ma non è questa attitudine difensiva (corrisponde o no ai rapporti di forza che Chavez non è in grado di rovesciare di colpo e con le sue sole forze o è frutto di arretratezza, di opportunismo, di cedimento, di collaborazione nascosta?) che gli accusatori di Chavez mettono ora in questione.
In questo contesto Joaquin Perez Becerra, ricercato pubblicamente dallo Stato della Colombia, sbarca a Caracas.
Non risulta che c’era un accordo preliminare tra Joaquin Perez Becerra e le Autorità del Venezuela secondo il quale queste gli avrebbero accordato protezione. Qualcuno sostiene che c’era?
Perché Joaquin Perez Becerra è sbarcato a Caracas? È sbarcato clandestinamente o pubblicamente?
Di certo le Autorità della Colombia erano a conoscenza del suo arrivo.
Lo sbarco di Joaquin Perez Becerra a Caracas metteva in difficoltà le Autorità del Venezuela. Se lo consegnavano alle Autorità della Colombia, si esponevano all’accusa di tradimento della rivoluzione con l’indebolimento delle forze che questa accusa comporta. Se non lo consegnavano alle Autorità della Colombia, indebolivano la loro lotta per costringere le Autorità della Colombia alla coesistenza pacifica e dovevano inoltre farsi carico di una questione che veniva loro imposta (trattare loro il caso di Joaquin Perez Becerra dal punto di vista di principi, leggi e trattati).
Lo sbarco di Joaquin Perez Becerra a Caracas è stato una mossa sbagliata (avventata) o una provocazione concordata con le Autorità della Colombia.
Quando un paese è nella situazione difensiva in cui si trova il Venezuela, i rivoluzionari nelle loro attività devono badare a non creare difficoltà (non usare il Venezuela come base operativa o come territorio di transito, salvo accordo con le Autorità del Venezuela). Se non possono fare a meno di farlo, devono essere disposti ad affrontare (e mettere in conto) le conseguenze dei loro eventuali errori. Certamente non possono pretendere di dettare loro la condotta e di imporre loro il calendario e l’ordine del giorno alle Autorità del Venezuela. Se le Autorità del Venezuela accettassero simile imposizione, si metterebbero alla mercé di ogni nemico, di ogni provocatore, di ogni sprovveduto: dimostrerebbero nella pratica di non essere all’altezza del compito che proclamano di voler assolvere.
Joaquin Perez Becerra non può pretendere dalle Autorità del Venezuela quello che esse non avevano promesso. Il dovere di un rivoluzionario nelle sue condizioni è difendere le Autorità del Venezuela da ogni accusa e denunciare le Autorità della Colombia e l’imperialismo USA di avergli teso un’imboscata per mettere in difficoltà le Autorità del Venezuela.
Quelli che, dalla mossa sbagliata (avventata) o provocazione concordata con le Autorità della Colombia che porta il nome di Joaquin Perez Becerra, tirano pretesto per condurre una campagna contro Chavez e le Autorità del Venezuela, sono una nebulosa di organismi e personalità. Ognuno di essi è mosso da motivi suoi propri e persegue obiettivi suoi propri. È impossibile e quindi sbagliato dare di essi uno stesso giudizio e assumere nei confronti di ognuno di essi la stessa condotta. Dobbiamo regolarci caso per caso, sulla base dell’analisi concreta della situazione concreta, dei nostri principi e di nostri obiettivi.
Noi comunisti opponiamo alla loro campagna le ragioni che abbiamo esposto. Ognuno di essi è quindi in condizioni di pronunciarsi sui principi e sui criteri che ci guidano, se vuol avere un rapporto di unità con noi. Noi ci pronunceremo sui principi e i criteri che guidano la condotta di quelli tra loro che li enunceranno chiaramente.
I popoli, i gruppi e le persone che lottano contro il sistema imperialista mondiale si trovano attualmente di fronte a grandi difficoltà e nello stesso tempo a grandi possibilità di decisivo successo. Assumersi responsabilità, regolare in ogni caso la propria condotta secondo principi e criteri giusti e adeguati al fatto concreto, non agire alla cieca e non cadere in trappole e provocazioni, non regolarsi secondo il senso comune e la cultura della classe dominante, non cedere alle campagne di disinformazione e alle campagne di intossicazione dell’opinione, mantenere e allargare l’unità ed elevare il livello delle forze rivoluzionarie, unire tutto quello che può essere unito e concentrare di volta in volta l’attacco contro il nemico principale, distinguere i nemici dagli amici, le contraddizioni tra noi e il nemico dalle contraddizioni in seno al popolo sono condizioni per avanzare con vigore verso la vittoria.
Lettera aperta a Hugo Chávez Frías, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela
Presidente Chávez, speriamo che il suo governo abbandoni queste pratiche così poco degne per la rivoluzione bolivariana che tanto difendiamo e che con orgoglio vogliamo continuare a difendere a testa alta,
27 aprile 2011
Lettera aperta al presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frías:
Signor Presidente,
Il 23 aprile scorso è stato arrestato all’aeroporto venezuelano di Maiquetía (Caracas) il cittadino svedese di origine colombiana, Joaquín PÉREZ BECERRA. Il comunicato ufficiale del governo da Lei presieduto afferma che questo giornalista, direttore dell’agenzia di notizie ANNCOL era «ricercato dalla giustizia colombiana, con una circolare rossa Interpol per i delitti di associazione a delinquere, finanziamento del terrorismo e amministrazione di fondi relativi ad attività terroriste.» Per cui si procedeva alla sua estradizione in Colombia.
All’improvviso, due giorni dopo, il 25 aprile, il presidente della Colombia ed ex ministro della Difesa, Juan Manuel Santos, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano El Tiempo di Bogotà, ha dichiarato quello che sembra essere la verità: «Sabato ho chiamato il presidente Chàvez e gli ho detto che un personaggio per noi molto importante appartenente alle FARC sarebbe arrivato in un volo della Lufthansa quel pomeriggio a Caracas e se lo poteva arrestare. Chávez non ha avuto esitazioni. Lo ha fatto arrestare e ce lo consegnerà.» (altro…)
Carta pública a Hugo Chávez Frías, presidente de la República Bolivariana de Venezuela
Abril 27 del 2011.
Carta pública a Hugo Chávez Frías, presidente de la República Bolivariana de Venezuela
Señor presidente:
Este 23 de abril fue detenido en el aeropuerto venezolano de Maiquetía el ciudadano sueco, de origen colombiano, Joaquín Pérez Becerra. El comunicado oficial del gobierno que Usted encabeza, dijo que este periodista, y director de la agencia de noticias ANNCOL, era “requerido por los órganos de justicia de la República de Colombia, a través de INTERPOL, con difusión roja, por la comisión de los delitos de concierto para delinquir, financiamiento del terrorismo y administración de recursos relacionados con actividades terroristas.” Por lo cual se dispondría su extradición a Colombia.
Sorprendentemente, dos días después, el 25 de abril, el presidente de Colombia y ex ministro de Defensa, Juan Manuel Santos, en declaraciones al diario El Tiempo de Bogotá, expresó: “el sábado llamé al presidente Chávez y le dije que un tipo muy importante para nosotros de las Farc llegaba en un vuelo de Lufthansa esa tarde a Caracas y que si lo podía detener. No titubeó. Lo mandó capturar y nos lo va a entregar.” (altro…)
Lettera a Vittorio Arrigoni
Ciao Vik,
Ci siamo scambiati una mail veloce pochissimi giorni fa. Eri sotto le bombe, come sempre, affacciato alla finestra della tua casa che dà sul porto di Gaza. Non l’ho mai vista casa tua, né il porto di Gaza City, e a dire la verità nemmeno Gaza. Immaginavo tutto con i tuoi occhi. Attraverso i tuoi occhi e i tuoi scritti sentivo le detonazioni degli spari, le esplosioni, le grida e finanche il sapore amaro del sangue. Sentivo anche le risate e le voci dei bambini di cui ti circondavi sempre. Sembravi un gigante rispetto a loro, esili e minuti, sempre sorridenti vicino a te. Anche per questo ti ammiravo da lontano, per l’amore per i bambini e per un popolo che avei fatto tuo.
Ti ammiravo e ti stimavo perché eri l’ ultimo internazionalista rimasto, ti chiamavano pacifista e io continuavo a definirti internazionalista, perché incarnavi i principi di abnegazione e sacrificio che devono essere propri di un internazionalista. Io ci credo nell’internazionalismo e io stessa mi considero tale, ma tu andavi oltre… tu eri il popolo che avevi deciso di difendere, difendevi te stesso insieme al popolo palestinese perché ogni ingiustizia che subivano i tuoi fratelli tu la subivi per primo.
Ci siamo scambiati qualche mail in questi anni, non molte , ma ti ero vicina e il mio pensiero andava spesso al porto di Gaza City, a quella figura che scrutava il mare, al tuo coraggio. Ci siamo scritti quando, dopo due giornate febbrili tra telefonate e mail (e con il coinvolgimento di tante altre persone) siamo riusciti a far oscurare i due siti, uno canadese e uno italiano dove alcuni pazzi estremisti di destra ti minacciavano di morte. Fu il mio modo per farti sapere che c’ero, che ti stimavo e che apprezzavo il tuo lavoro, pur non seguendolo quotidianamente. Ho sempre sentito sulla mia pelle le ingiustizie commesse contro gli altri, come diceva il Che, e le minacce di morte contro di te, erano un’ingiustizia che non potevo tollerare. Ti ero, e ti sono riconoscente perché quando nessuno voleva stare in quell’inferno, tu c’eri e i tuoi occhi erano la nostra finestra sul dolore di un popolo intero, erano il testimone contro il genocidio commesso da Israele.
Mi hai scritto qualche giorno fa, forse affacciato alla finestra della tua casa sul porto di Gaza. Avevi appena inviato il tuo bollettino di guerra, 5 palestinesi uccisi, una quarantina di feriti, molti bambini e preannunciavi l’offensiva israeliana. Rispondesti ai miei saluti e alla frase con cui terminano le mie mail: L’uomo è nato libero ed è ovunque in catene. (J.J.Rousseau):
Grazie
Se ho deciso di stare qui è perché
viviamo in catene ma moriamo liberi.
Abbraccio Vik
Sei nato, sei vissuto e sei morto libero. Profondamente libero. Soprattutto libero di seguire il tuo cuore. In catene sono gli uomini che ti hanno ucciso, chiunque essi siano, prigionieri del loro odio e dei loro integralismo. Non so se credere alla versione secondo la quale sia stato un gruppo di Salafiti a toglierti la vita.
La responsabilità è sempre e comunque di Israele, la sua politica genocida sta permettendo che Gaza finisca sempre di più nelle mani degli integralisti.
Crepate tutti. Non siete umani.
Annalisa Melandri
Limeddh: le donne Zihuame ricamano diritti
L’Organizzazione di Donne Indigene di Huaxcaleca, Zihuame, nasce nel 2009 dopo otto anni di lavoro in tema di diritti umani e di diritti delle donne nel Municipio di Chichiquila nella Sierra Orientale dello Stato di Puebla. Una risposta di tipo comunitario alla disintegrazione progressiva della comunità indigena, alla perdita di identità e alla solitudine nelle quali si trovano a vivere sempre più spesso le donne delle comunità. Interi nuclei familiari colpiti profondamente dalle contraddizioni della modernità in un mondo ancora profondamente legato alle sue origini e radici, toccano da vicino gli effetti della perdita progressiva delle tradizioni e della disgregazione dei legami familiari. Chi paga maggiormente sulla propria pelle gli effetti di tali cambiamenti sono le donne. Spesso vittime di violenze fisiche e psicologiche, generalmente disprezzate o non valorizzate all’interno dei nuclei familiari, con limitato accesso al mondo del lavoro, le donne delle comunità indigene di Huaxcaleca, hanno deciso di organizzarsi, dando il nome di Zihuame (donna in dialetto Náhuatl) alla loro cooperativa. Un lavoro collettivo e solidale per dare una risposta comune a un problema generalizzato. Per cercare di risolvere le difficoltà economiche condividendo impegno, rischio e soprattutto esperienza. Un momento di produzione economica ma soprattutto di condivisione emozionale e di arricchimento reciproco. La Limeddh, Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani le sta accompagnando in questo importante processo.
Si riuniscono per condividere i loro sogni, prendono in mano i loro aghi e scelgono con cura i fili, ogni punto una lettera, ogni colore un sentimento. Scrivono parole sulla stoffa, modesta tela ancestrale, papiro di cotone. I loro sentimenti e le loro esperienze più belle sono ricamate in ogni tela, le loro tristezze contate durante ogni sessione di ricamo. Le donne plasmano allegrie nella tela e condividono le proprie tristezze, non si vedono le lacrime che la vista lascia disegnando un fiore. Bei fiori vivaci ed allegri ma nessuno sospetta che siano bagnati con le perle salate delle emozioni, perché poi in ogni tela rimane una speranza, un desiderio di piacere e l’unione e la somma dei dolori di ogni donna che ricama sia una forza per conquistare più dignità, conquistare la vita, sentire più lievi le preoccupazioni e portare al tavolo di ricamo l’alimento frutto di questo sforzo, questo frutto che è la riunione delle donne che tessono i propri sogni in una coperta con la penna ago e l’inchiostro filo, che punto dopo punto raccontano i loro sentimenti perché tutti li ammirino e li vogliano fare propri. E finalmente in modo impercettibile, le donne Zihuame ricamano i diritti, si intrecciano nell’unità dei loro sforzi per dire basta, siamo donne, abbiamo diritti.
Protesta dei parlamentari francesi ed europei contro la nomina di Álvaro Uribe Vélez in Francia.