Libia: nuove menzogne dei media mainstream
TRIPOLI, ABU SLIM, 25 settembre: UN BUCO CON ALCUNE OSSA ANIMALI DIVENTA FOSSA COMUNE CON OLTRE 1.200 CORPI (o forse 1.700). IL CNT ALLA FINE DEVE AMMETTERE “OSSA TROPPO GRANDI PER ESSERE UMANE. FORSE E’ QUALCOS’ALTRO”. MA MOLTI MEDIA NON SE NE ACCORGONO
Avevano già funzionato benissimo a febbraio le false fosse comuni sul mare di Tripoli: un video e delle foto, il sito americano One day on Earth (http://www.onedayonearth.org/profiles/blogs/mass-burial-tripoli-libya-feb) aveva spacciato per tali il rifacimento di un cimitero avvenuto nell’agosto scorso. Il mondo credette, e anche se in pochi giorni il trucco fu svelato, chi se n’è accorto? Nell’immaginario rimanevano a pesare le “fosse scavate in fretta dai miliziani di Gheddafi” per nascondere parte dei “diecimila morti e 50mila feriti fra i manifestanti”, cifre sparate da un twitter della saudita Al Arabiya il 22 febbraio, fonte un sedicente membro libico del Tribunale penale internazionale, il quale ultimo lo sconfessava il giorno dopo, ma sempre invano.
Come ha insegnato la propaganda nazista, dire menzogne enormi e ripeterle come un disco rotto paga; le smentite non saranno udite. (altro…)
La OTAN apoya el CNT con armas indiscriminadas
La OTAN admite que el Cnt utiliza GRAD (“armas indiscriminadas) contra civiles sitiados. La OTAN apoya el CNT con armas indiscriminadas y no desmiente las acusaciones de Mussa Ibrahim sobre los asesinatos de civiles.
Marinella Correggia* desde Libia
Los aliados libios de la Otan que están sitiando Sirte y Bani Walid lanzan misiles Grad contra las ciudades y lo admiten descaradamente a la prensa según Reuters y un medio indiano que notifica las declaraciones del “comandante” Abu Shaala sin agregar comentarios) . Hace algunos días, el vocero del gobierno legítimo libio, Mussa Ibrahim había acusado a los Grad de haber matado 150 civiles mientras se encontraban en sus casas en Sirte. La Otan todavía no contesta a nuestras preguntas.
La Otan misma ha afirmado en pasado que el utilizo de los Grad es un crimen de guerra porqué son “armas indiscriminadas” por lo que no pueden mirar con precisión sobre objetivos militares. Propio el presunto utilizo de estas armas de parte de los lealistas de Gadafi mientras asediaban Misurata había sido por muchas semanas la justificación utilizada por la Otan para los bombardeos sobre objetivos militares (u objetivos civiles si refugio de militares con matanzas de decenas de mujeres, niños y hombres).
La semana pasada el coronel de la Otan Roland Lavoie desde desde Napoles, (el comando militar de las operaciones) justificaba los bombardeos sobre Sirte con el hecho que desde Sirte, dos semanas antes, los “lealistas” habían lanzado dos Grad hacia Misurata (¡a 250 km!) y Brega (¡a 340 km!). Entonces para la Otan los “lealistas” representaban una amenaza para la población civil.
El mismo coronel Lavoie a una acusación de Mussa Ibrahim – 2.000 muertos no combatientes en un mes a Sirte, centenas de civiles caídos en la noche del 16 de septiembre durante un bombardeo), ha contestado lacónico: “No podemos verificar. Muchas veces esas afirmaciones no son exactas”. ¡Muchas veces…significa que alguna vez lo son! (altro…)
Libia: menzogne e omissioni dei media. Verità al telefono
LIBIA. ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI RAGGIUNTI AL TELEFONO
Marinella Correggia
Menzogne di una notte insonne (anche sotto il fortunato cielo italiano che nessuno bombarda dal 1945). Menzogne e arroganza fino all’ultimo in una guerra cominciata e continuata con notizie false, in cui i media hanno avuto il ruolo dell’aiuto carnefice. Solo la tivù russa Rt e quella venezuelana Telesur spiegano che è una vittoria dovuta alla carneficina compiuta dalla Nato anche con droni ed elicotteri Apache soprattutto negli ultimi giorni. Per la democrazia che il popolo libico merita, dice il premier britannico Cameron. Peccato che in tutti i mesi scorsi proprio la Nato e i “ribelli” avessero sempre lasciato cadere le proposte di libere elezioni con controllo internazionale avanzate dal governo libico.
Cosa dicono i soliti media
La Nato fa strage a Tripoli bombardando di tutto e uccidendo 1.300 persone in poche ore come denuncia Tierry Meyssan del Réseau Voltaire; ma Repubblica on line scrive che Gheddafi bombarda la folla. Giusto un titolo, senza spiegazione, giusto un modo per non perdere l’allenamento. La stessa Repubblica che non si è mai degnata di chiamare soldati i membri –decimati — dell’esercito di un paese sovrano (erano sempre definiti “mercenari e miliziani”), adesso chiama “soldati del Cnt” i ribelli, tacciando invece di “pretoriani di Gheddafi” i superstiti soldati libici (quelli non decimati dalla Nato). (A proposito: uno del Cnt, Jibril, ha fatto appello ai suoi armatissimi “ragazzi” affinché diano prova di moderazione e non attacchino gli stranieri e chi non li appoggia (il rischio è certo visti i precedenti).
L’Unità scrive che Tripoli “è insorta”, quando in realtà è occupata dai cosiddetti ribelli con la copertura aerea della Nato e i civili cioè i disarmati se ne stanno rintanati nelle case (vedi le testimonianze ottenute al telefono). (altro…)
La “bambina dei mattoni” e l’ipocrisia dei media
E’ vero la foto è bellissima e commovente, tuttavia è notizia di ieri che l’ Unicef ha dichiarato che nella sola Somalia sono 780mila i bambini che rischiano di morire di fame se non verranno portati loro aiuti urgenti, in quella che l’ONU ha decretato essere la peggior crisi umanitaria degli ultimi anni . Non mi sembra che nessuno si stia attivando per risalire all’ identità di ognuno di quei 780mila bambini. La bambina pakistana della foto ha acqua e non sembra denutrita. E’ però diventata il simbolo della carenza d’acqua in Pakistan e della crisi alimentare in quel paese. (altro…)
Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela
Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela
Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC
Tutti i fatti relativi all’arresto e alla deportazione del giornalista bolivariano Joaquín Pérez Becerra sono stati caratterizzati da una censura alla libertà di informazione:
Prima, la stessa detenzione di Pérez, la voce dissidente del governo colombiano più riconosciuta e letta non solo in quel paese; la pagina di ANNCOL riusciva, come nessun altro mezzo alternativo in Colombia, a raggiungere le 800mila visite in alcuni momenti di particolare congiuntura politica, cosa che in Colombia avviene costantemente.
Successivamente, un’ora dopo la detenzione di Joaquín, veniva diffuso un comunicato ufficiale, che con il linguaggio caratteristico della destra, indicava le ragioni dell’arresto, dettate non dall’ INTERPOL ma dall’ex consigliere di Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un oscuro personaggio noto per i suoi vincoli con il narcotraffico e il paramilitarismo in Colombia.
Poi, il 25 aprile, la convocazione da parte del MINCI ai mezzi di informazione per una conferenza stampa all’aeroporto di Maiquetía rispetto a una probabile consegna del compagno, infine la successiva e quasi immediata cancellazione dell’invito con la motivazione di una momentanea sospensione di tutto il processo in corso.
Per finire, una trasmissione a reti unificate del governo, passata nello stesso momento in cui stavano trasferendo Becerra in Colombia.
Inoltre, il Ministero dell’ Informazione e della Comunicazione del Venezuela (MINCI), nella persona del ministro Andrés Izarra, dà disposizione a tutti i mezzi di comunicazione che dirige, di non coprire nessun avvenimento relativo alla solidarietà a Joaquín Pérez Becerra e alle proteste di un ampio settore del popolo rivoluzionario del Venezuela per la deportazione, per le nuove condizioni della relazione Colombia – Venezuela e per gli accordi di ambedue i governi in materia di “sicurezza” e cooperazione militare.
E’ deplorevole il ruolo che hanno giocato i mezzi di informazione che, come la VTV e Telesur, si sono distinti per la loro assenza nei luoghi cruciali dove si è manifestata la risposta della sinistra rispetto al caso di Joaquín Pérez. I loro racconti si sono limitati ai comunicati di governo e alle accuse della Colombia sui presunti crimini commessi dal direttore di ANNCOL.
Sono venuti meno alla verità e soprattutto all’impegno di trasformare il Venezuela nello spazio di costruzione di una stampa impegnata con gli interessi delle masse popolari, con la rottura del pensiero unico e con l’ egemonia mediatica capitalista che ha contribuito a consolidare questo feroce sistema. Telesur e altri mezzi di informazione sono venuti meno al principio socialista di costruire una comunicazione per la liberazione.
Attraverso questo comunicato rispondiamo anche a Iván Maiza che nell’unico articolo di opinione pubblicato da TeleSUR, in cui, più o meno assicura che il comunicatore bolivariano si è andato a cercare il suo arresto (come le donne che usano la minigonna sono colpevoli delle violenze che subiscono – nostro commento).
Dice Maiza che il movimento di sinistra è probabilmente infiltrato da “alcuni compagni” o da qualche “partito rivoluzionario” che hanno fatto dei piani per sabotare le strategie pianificate dal Comandante. Anche costruendo trappole ai danni dei compagni di lotta? Compagni che non accettando la decisione di avvicinarsi a Santos sono disposti a fare qualsiasi cosa che possa “minare la fiducia” tra Chávez e il suo popolo, tra Chávez e i “popoli del continente”.
No, signor Maiza e signori di TeleSUR, noi direttori dei mezzi di informazione alternativi che abbiamo invitato in qualche occasione Joaquín Pérez Becerra per consolidare un progetto di comunicazione bolivariana, né lavoriamo né tanto meno facciamo accordi diplomatici con il DAS.
Noi abbiamo invitato in Venezuela in diverse occasioni Joaquín perché eravamo assolutamente sicuri che il nostro governo non avrebbe mai deportato al governo fascista colombiano un militante impegnato con la verità, con gli ideali bolivariani, un militante che ha sempre difeso in Europa questo processo che rappresenta la speranza dell’America latina.
Chi avrebbe mai immaginato che una deportazione così vile e lontana dal diritto (perfino quello borghese), sarebbe stata possibile nel paese con il maggior numero di emittenti comunitarie dell’America latina, il paese nel quel si sono svolti tanti incontri, congressi e dibattiti sul ruolo dei mezzi di informazione nella costruzione della Nostra America; l’unico paese dell’America latina dove c’è un processo rivoluzionario che dice di essere socialista; il paese del premio Rodolfo Walsh alla comunicazione popolare.
Proprio nel corso dell’incontro della fondazione della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) che realizzammo nel dicembre del 2008 e nella quale partecipò anche Joaquín Pérez, decidemmo in sede plenaria che la sede della ABC sarebbe stata a Caracas per essere stata questa città la culla del nostro libertador Simón Bolívar e il luogo più sicuro contro la censura, le persecuzioni e la diffamazione della destra.
Scegliemmo Caracas perchè consideravamo che il Venezuela avesse bisogno di una Associazione che smontasse le calunnie della stampa borghese e del suo Colegio Nacional de Periodistas. Considerammo che Caracas doveva essere la capitale dell’unità latinoamericana nel settore della comunicazione alternativa.
Dicemmo quindi allora, come già in altre occasioni al nostro caro amico: “compagno Joaco, vieni che questa è una terra liberata”.
Come ci sbagliavamo!
Traduzione a cura di Annalisa Melandri
La censura di Stato di TeleSUR sul caso Joaquín Pérez Becerra
E’ stato allegramente pubblicato un articolo veramente infamante da parte della redazione di TeleSUR sul caso del direttore dell’ agenzia ANNCOL, arrestato in Venezuela ed estradato in Colombia: o a TeleSUR hanno la memoria corta, oppure le direttive di governo sono più forti della necessaria solidarietà a un giornalista da sempre coerente con gli stessi ideali bolivariani di questa catena televisiva nata sei anni fa come mezzo di informazione rivoluzionario e come “progetto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.
Sembra che qualcosa sia andato perduto di quei valori originari nei pochi anni che sono trascorsi da quel 24 luglio 2005, quando nel 222° anniversario della nascita di Simón Bolívar, l’antenna televisiva iniziava a trasmettere il suo primo blocco informativo.
L’articolo al quale mi riferisco porta il titolo “Su Joaquín Pérez Becerra” ed è scritto da tal Iván Maíza (che né so chi è e nemmeno voglio saperlo) ed è il primo (e l’unico di opinione) che si trova su Google cercando TeleSUR+Joaquín Becerra. Le altre notizie pubblicate da TeleSUR sull’arresto all’aeroporto di Caracas e la successiva deportazione in Colombia del giornalista svedese sono di cronaca nuda e cruda.
Evidentemente la redazione di TeleSUR non ricorda più la solidarietà che molti militanti e “giornalisti terroristi” come ora chi chiamano, manifestammo quando nel mese di novembre del 2006, in Colombia il DAS arrestò il suo corrispondente Fredy Muñoz, accusandolo di essere membro delle FARC.
L’allora direttore dell’antenna televisiva, Andrés Izarra, attuale ministro della Comunicazione e Informazione, in quella circostanza dichiarò molto preoccupato: “la vita di Muñoz è in pericolo”. Aveva ragione. La Colombia non è un paese sicuro per i giornalisti che denunciano l’imperante terrorismo di Stato promosso dal suo governo e apparati di sicurezza.
La Colombia però, e questo la redazione di TeleSUR dovrebbe saperlo molto bene, non è un paese sicuro nemmeno per Joaquín Pérez Becera, a maggior ragione non lo è per lui, nato là, ex consigliere comunale del partito Unión Patriotíca, che a seguito delle minacce ricevute, circa 20 anni fa dovette abbandonare il paese per non diventare un numero in più degli oltre 4000 militanti di quel movimento politico assassinati in pochi anni dai paramilitari e dall’ esercito colombiano. In quel genocidio politico conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo (Danza Rossa) sequestrarono e uccisero anche la sua prima moglie.
Joaquín quindi cercò rifugio in Svezia e in questo paese europeo ottenne asilo politico e cittadinanza.
Nonostante questa storia, le autorità del Venezuela lo hanno arrestato, deportato e consegnato nelle mani del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro della difesa del governo Uribe) senza battere ciglio, dopo la telefonata ricevuta da Chávez con la quale il suo omologo colombiano gli chiedeva il favore.
TeleSUR quindi oltre a non preoccuparsi della sicurezza di Joaquín Pérez Becera, pubblica anche articoli offensivi e denigranti su di lui.
Conoscendo il percorso umano e politico del giornalista svedese, che abbiamo appena raccontato, leggere le infamanti domande (non dimentichiamolo! pubblicate come opinione sulla pagina di TeleSUR e non su qualsiasi piccolo blog) che pone il tal Maíza, autore dell’articolo, non possiamo non riflettere sul nuovo corso intrapreso dalla Rivoluzione Bolivariana: “Chi ha fatto salire in questo momento Joaquín sull’aereo? Chi lo ha venduto per mettere la Rivoluzione Bolivariana a rischio di perdere il suo ordine strategico?… ci sono settori nella sinistra rivoluzionaria che ricevono ordini dal DAS?”
Questo si può leggere nella pagina di una catena televisiva che pretende di essere alternativa oltre che rivoluzionaria, che vuole dare la voce ai senza voce… Che pretende di rappresentare un governo rivoluzionario, bolivariano…
Ma non basta. La cosa peggiore è che l’ex presidente di TeleSUR, Andrés Izarra, dal suo terzo incarico come ministro della Comunicazione e dell’Informazione, fa del sabotaggio perfino sulla copertura informativa rispetto alle giuste proteste che il governo sta ricevendo in questi giorni per la deportazione di Joaquín Becerra.
Ieri a Caracas, di fronte al ministero degli Esteri, dove centinaia di rappresentanti dei movimenti sociali e organizzazioni politiche si erano riuniti per chiedere al governo spiegazioni su quanto accaduto, oltre al fatto che i giornalisti di TeleSUR non erano presenti (ricevono precise disposizioni dal ministero della Comunicazione, MINCI) non lo erano nemmeno quelli dei maggiori mezzi di informazione del paese. I pochi alternativi che hanno coperto le proteste come l’Agencia Bolivariana de Prensa (sarà una casualità ma la pagina ABP oggi non funziona), Radio del Sur, Avila TV, Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV, lo hanno fatto “contravvenendo l’orientamento generale dato dal ministero della Comunicazione”.
Fonti venezuelane presenti hanno commentato che lo stesso Izarra stava realizzando varie chiamate telefoniche minacciando e insultando i giornalisti per la copertura che stavano dando alla mobilitazione.
Tornano allora alla mente le dichiarazioni che faceva in una intervista due anni fa Aram Aharonian, importante giornalista uruguayano, uno dei fondatori ed ex direttore di TeleSUR, allontanatosi dalla televisione per “differenze politiche ed anche etiche” : “TeleSUR è occupata da inetti, controrivoluzionari nel più ampio senso della parola: gente che recita slogan per sembrare rivoluzionaria ma che non ha la minima idea di cosa voglia dire”. Le sue accuse, che allora apparivano gravi e pesanti, erano rivolte a Izarra. Ora sono invece confermate sicuramente dai fatti.
Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
Certo bisogna farne di strada/da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano/che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta /per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire/che non ci sono poteri buoni.
(Fabrizio De Andrè)
Pronunciamiento de la ABC contra la censura a la comunicación alternativa en Venezuela
Pronunciamiento de la ABC contra la censura a la comunicación alternativa en Venezuela
Por: Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC
Todos los hechos que han rodeado el proceso de captura y entrega del comunicador bolivariano Joaquín Pérez Becerra se encuentran enmarcados en la censura a la libertad de prensa:
Primero, la misma detención de Pérez que representa la voz disidente del gobierno colombiano más reconocida y leída no sólo en ese país; ANNCOL como ningún otro medio alternativo en Colombia tenía 800 mil visitantes en momentos de coyuntura política, que en Colombia es permanente.
Posteriormente, a una hora de la detención de Joaquín la expedición de un comunicado oficial que con un lenguaje propio de la derecha señalaba las razones de la captura, dictadas no propiamente por la INTERPOL sino por el ex asesor de Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un personaje oscuro reconocido por sus vínculos con el narcotráfico y el paramilitarismo en Colombia.
Luego, el día lunes 25 de abril, la convocatoria del MINCI a diversos medios a una rueda de prensa en el aeropuerto de Maiquetía con motivo de la posible entrega del compañero y la casi inmediata cancelación de la invitación bajo el argumento de que el proceso en cuestión se encontraba congelado.
Al instante, una cadena nacional del Ejecutivo, a la misma hora en que estaban trasladando al director de ANNCOL a Colombia.
Ahora, el Ministerio de Información y Comunicación de Venezuela (MINCI), en la persona del ministro Andrés Izarra, orienta a todos los Medios de Comunicación que dirige, a no cubrir ningún evento relacionado con las expresiones de solidaridad con Joaquín Pérez Becerra y más aún, con el reclamo de un amplio sector del pueblo revolucionario de Venezuela por la entrega y las condiciones de la relación Colombia-Venezuela y los nuevos acuerdos de ambos gobiernos en materia de “inteligencia” y cooperación militar.
Es lamentable el papel que han jugado los medios informativos que como, VTV y Telesur, han brillado por su ausencia en los lugares cruciales donde se ha desarrollado la noticia sobre la respuesta de la izquierda frente al caso de Joaquín Pérez. Sus reportes se han limitado a los comunicados del gobierno y las acusaciones del gobierno colombiano sobre los presuntos crímenes cometidos por el director de ANNCOL.
Han faltado a la verdad y sobre todo al compromiso de convertir a Venezuela en el espacio de construcción de una prensa comprometida con los intereses de las mayorías populares, con la ruptura del pensamiento único y con la hegemonía comunicacional capitalista que ha consolidado ese feroz sistema. Telesur y otros medios han faltado al principio socialista de construir una comunicación para la liberación.
En esta vía le respondemos a Iván Maiza en el único artículo de opinión publicado por Telesur que en palabras más, palabras menos asegura que el comunicador bolivariano se buscó la captura (como las mujeres que usan minifalda son culpables de su violación-observación nuestra-). Dice Maiza que el movimiento de izquierda posiblemente infiltrado por “algunos “camaradas” o algunos “partidos revolucionarios” han aventurado planes para sabotear las estrategias planteadas por el Comandante, ¿Incluso montando trampas a compañeros de lucha?, camaradas que no aceptan que el Comandante haya tomado la decisión de acercarse a Santos y están dispuestos a hacer cualquier cosa que “quiebre la confianza” entre Chávez y su pueblo, entre Chávez y los pueblos del continente”.
No señor Maiza y señores de Telesur, los directivos de medios alternativos que hemos invitado en algunas ocasiones a Joaquín Pérez Becerra para consolidar un proyecto de comunicación bolivariana, ni trabajamos ni hacemos acuerdos diplomáticos con el DAS. Nosotros hemos invitado a Venezuela en diferentes ocasiones a Joaquín porque estábamos absolutamente seguros que nuestro gobierno jamás entregaría al gobierno fascista de Colombia, a un militante comprometido con la verdad, el ideario bolivariano, un militante que siempre ha defendido en diferentes escenarios de Europa este proceso que es esperanza de Latinoamérica.
Quién iba pensar que una entrega tan vil y alejada de todo derecho (hasta burgués) iba a ser posible en el país con el mayor número de emisoras comunitarias de Latinoamérica, el país que ha hecho tantos encuentros, congresos y coloquios sobre el papel de los medios de comunicación en la construcción de Nuestra América; el único país de Sur América en donde hay un proceso revolucionario que dice ser socialista; el país del premio Rodolfo Walsh a la comunicación popular.
Justamente en el encuentro de fundación de la Asociación Bolivariana de Comunicadores que realizamos en diciembre de 2008 y en la que participó Joaquín Pérez decidimos en plenaria que la sede de la ABC sería en Caracas por ser la cuna de nuestro libertador Simón Bolívar y el lugar más seguro contra la censura, las persecuciones y la difamación de la derecha. La escogimos porque consideramos que Venezuela necesitaba una Asociación que hiciera mella a las calumnias de la prensa burguesa y su Colegio Nacional de periodistas. Además se consideró que Caracas debía ser la capital de la unidad latinoamericana del sector comunicacional alternativo.
Así pues que le dijímos ahora, como en más de una ocasión, a nuestro querido compañero, “camarada Joaco, venga que ésta es tierra liberada”.
!Nos equivocamos!
La censura de Estado de TeleSUR sobre el caso de Joaquín Pérez Becerra
Se ha publicado alegremente un artículo infame por la redacción de TeleSUR: o tienen memoria muy corta o las directivas de gobierno son más fuertes que la necesaria solidaridad a un periodista comprometido con los mismos valores e ideales bolivarianos de esta cadena televisiva que nació hace seis años para ser un medio revolucionario y un “proyecto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.
Parece que algo se haya perdido de los valores originarios en el transcurso de estos pocos años, desde aquel 24 de julio de 2005 cuando en el 222 aniversario del nacimiento de Simón Bolívar, la antena TeleSUR empezaba a transmitir su primer bloque de informaciones.
El artículo al que me refiero se titula “Acerca de Joaquín Pérez Becerra” y está escrito por tal Ivan Maíza (que ni se quien es y ni voy a averiguarlo) y es el primero (y el único de opinión) que se encuentra en Google buscando TeleSUR+Joaquín Becerra. Las otras noticias publicadas por TeleSUR respecto a la detención en el aeropuerto de Caracas y a la siguiente deportación a Colombia del periodista sueco director de la agencia ANNCOL, son de pura crónica pelada, monda y lironda.
Evidentemente en la redacción de TeleSUR ya no recuerdan la solidaridad que muchos militantes y “periodistas terroristas” como ahora está de costumbre llamarnos, les brindamos cuando en el mes de noviembre de 2006 en Colombia el DAS detuvo el corresponsal de ellos, Fredy Muñoz, acusándolo de ser miembro de las FARC.
El entonces director de la antena televisiva, Andrés Izarra (actual ministro de la Comunicación y la Información), declaró en aquellas circunstancias muy preocupado: “la vida de Muñoz corre peligro”. Tenía razón. Colombia no es un país seguro para los periodistas que denuncian el imperante terrorismo de Estado promovido por sus gobiernos y sus órganos de seguridad.
Pero Colombia, y eso la redacción de TeleSUR debería saberlo muy bien, no es un país seguro tampoco para Joaquín Pérez Becerra, con mayor razón para este hombre, nacido allá, ex concejal del partido Unión Patriótica, que hace 20 años tuvo que huir de su país para no ser un numero más de los casi 4000 militantes de esta fuerza política asesinados en pocos años por los paramilitares y las fuerzas de seguridad colombianas.
Joaquín tuvo que buscar refugio en Suecia después del secuestro y homicidio de su primera esposa, una víctima más de aquel genocidio político que llevó el nombre macabro de Baile Rojo. Allá obtuvo estatus de refugiado político y la ciudadanía sueca.
No obstante esta historia, las autoridades de Venezuela lo ha detenido, deportado y entregado en las manos del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro de defensa en el gobierno de Uribe) sin pestañear, después de haber recibido Hugo Chávez una llamada telefónica de parte de su homologo colombiano pidiéndole el favor.
TeleSUR entonces no se preocupa por la seguridad de Joaquín Becerra pero además de eso publica artículos ofensivos y denigrantes.
Conociendo la trayectoria humana y política del periodista sueco, que acabamos de contar, leer las infamantes preguntas, (¡no olvidémoslo! publicadas como opinión en la página de TeleSUR y no en cualquier bloguesito) que hace el tal Ivan Maíza, autor del artículo, no se puede no reflexionar seriamente sobre el nuevo rumbo tomado por la Revolución Bolivariana: “¿Quién montó en este momento a Joaquín en ese avión? ¿Quién lo vendió para poner a la Revolución Bolivariana en riesgo de perder su ordenamiento estratégico?… ¿hay sectores en la izquierda revolucionaria que reciben órdenes del DAS?”
Eso se lee en la página de una cadena televisiva que pretende ser alternativa y además revolucionaria, que pretende dar la voz a los sin voz… Que pretende ser cadena televisiva de un gobierno revolucionario, bolivariano…
No es suficiente. Lo peor es que el ex presidente de TeleSUR Andrés Izarra desde su actual y tercer cargo de ministro de la Comunicación y la Información (MINCI), sabotea también la cobertura informativa respecto a las justas protestas que el gobierno está recibiendo en estos días por la deportación de Joaquín Becerra.
Ayer en Caracas, frente a la cancillería, donde centenares de representantes de los movimientos sociales y organizaciones políticas se habían reunido para exigir al gobierno una explicación sobre lo sucedido, además de no estar presentes los periodistas de TeleSUR (que reciben precisas disposiciones del MINCI) ni de los mayores medios de comunicación, los pocos medios alternativos que cubrieron las protestas como la Agencia Bolivariana de Prensa (será una casualidad pero la página ABP hoy no funciona),Radio del Sur, Avila TV, Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV, lo hicieron “contraviniendo la orientación general del Ministerio de Comunicación”. Fuentes venezolanas comentaron que el mismo Izarra, realizó varias llamadas telefónicas a unos de ellos, amenazándolos e insultándolos por dar cobertura del plantón.
Vuelven entonces a la memoria las declaraciones que hacía en una entrevista hace dos años Aram Aharonian, destacado periodista uruguayo, uno de los fundadores y ex director de TeleSUR que se alejó de la misma por “diferencias políticas, e incluso éticas”: “Telesur está tomada por ineptos, contrarrevolucionarios en el amplio sentido de la palabra: gente que recita consignas para parecer revolucionarios pero que no tienen la menor idea de qué se trata”. Sus acusaciones, que entonces parecieron pesadas y graves, estaban referidas al mismo Izarra. Ahora se ven definitivamente confirmadas por los hechos.
Annalisa Melandri
El diario colombiano El Tiempo miente respecto al presunto apoyo de la izquierda alemana al TLC con Colombia
“Izquierda dura alemana apoya TLC con Europa, pero con reservas”, así titula el diario colombiano El Tiempo respecto a la postura de la izquierda alemana acerca del apoyo al TLC con Colombia.
En estos días el presidente colombiano Santos está de gira en Europa para profundizar relaciones económicas y políticas en el Viejo Continente.
Según cuanto reportado por el diario colombiano, Gregor Gysi, presidente del grupo parlamentario Die Linke habría expresado al Presidente “que su partido tiene todavía algunas inquietudes para respaldar la firma del TLC de Colombia con Europa, […] y que el gobierno del Presidente Santos presenta la coyuntura ideal para darle fin a la problemática con las Farc”.
Sin embargo hoy los mismos dirigentes del partido socialista alemán (socialdemócratas y no comunistas o izquierda dura como escribe El Tiempo manipulando a beneficio propio hasta la postura política del partido alemán) desmintieron el reportaje del diario colombiano agregando que Gregor Gysi había firmado también una moción parlamentaria contra la aplicación del TLC con Colombia.
Este es el comunicado de prensa difundido por Heike Hänsel diputada de la misma bancada de Die Link: “el tratado de libre comercio de la UE con Colombia y Perú no hará ningún aporte a los derechos humanos y el desarrollo, sino que agudizará más las tensiones sociales en Colombia, declara la vocera de la bancada parlamentaria de la Izquierda, Heike Hänsel, con motivo de la visita de estado del presidente Juan Manuel Santos Calderón en el día de hoy a Berlín… Santos busca actualmente en Europa profundizar las relaciones económicas sobre la base del tratado de libre comercio neoliberal. Negocios exitosos para las grandes empresas europeas y colombianas – pero la pérdida de la base de supervivencia para los pequeños campesinos y pequeñas y medianas empresas colombianas. Estos impactos del tratado de libre comercio, que se encuentra adportas de su ratificación, son los temidos por las organizaciones sociales en Colombia, afirma Heike Hänsel”.
“La situación de derechos humanos en Colombia sigue siendo problemática, asi el presidente Santos intente limpiar la imagen durante su actual visita a alemania“, añade Heike Hänsel. Las amenazas de muerte contra miembros de diversas organizaciones de derechos humanos y su criminalización por parte del estado colombiano hacen parte del orden del dia.
“La Izquierda le pide al gobierno federal alemán hacer valida su influencia ante el gobierno colombiano para que envie señales serias con el fin de dar inicio a un proceso de paz con las FARC, después de las últimas liberaciones unilaterales llevadas a cabo por esta guerrilla”, continua la vocera de la bancada parlamentaria La Izquierda.
“En caso de entrada en vigor del tratado de libre comercio se estímularian aún más los conflictos por la tierra. La Izquierda rechaza el tratado de libre comercio y exige en lo posible un proceso de ratificación amplio y democrático a través de los parlamentos de los estados miembros de la Unión Europea”, declara finalmente Heike Hänsel.
El Tratado de Libre Comercio con Colombia, que hace parte de la propuesta más amplia de TLC entre Unión Europea, Colombia y Perú, ha sido rechazado en Europa y en América latina por grupos parlamentarios y por asociaciones y movimientos sociales sobre todo por la grave situación de las violaciones de los derechos humanos en Colombia y por consideraciones según las cuales estos acuerdos van a favorecer la concentración de los recursos naturales de los países en las manos de las transnacionales extranjeras. Sin embargo el acuerdo ya se ha firmado entre la Comisión Europea y los dos países andinos. Falta la aprobación y la rubricación del Parlamento Europeo.
Nucleare nelle scuole: disinformazione di governo fin dalla prima media
Vivo all’estero e mio figlio avrebbe dovuto frequentare in Italia quest’ anno la prima media. Il suo testo di geografia era il seguente: GEOGRAFIA Edizioni Atlas 1 Europa (2008), che ho comprato comunque e che ogni tanto sfogliamo insieme, tanto per rimanere al passo con i suoi vecchi compagni di scuola.
Poco tempo fa stavamo leggendo insieme il capitolo relativo alle “Risorse e l’energia”. Interessante per un bimbo di 11 anni: le risorse del sottosuolo, la produzione di energia, le energie alternative, il petrolio… Arriviamo al paragrafo dell’energia elettrica e dell’energia nucleare, che copio testualmente:
“La forma di energia più utilizzata in Europa è quella elettrica. Essa viene prodotta prevalentemente nelle centrali termoelettriche mediante la combustione di petrolio, carbone o gas naturale oppure attraverso impianti idroelettrici che sfruttano la caduta dell’acqua.
A partire dagli anni ’80 si è diffuso l’utilizzo dell’energia nucleare, prodotta dalla disintegrazione (fissione) dei nuclei atomici dell’uranio. Alcuni Paesi europei (Francia, Russia, Regno Unito, Germania, Ucraina, Svezia, Spagna) sono tra i più “nuclearizzati” del mondo per l’elevato numero di impianti nucleari presenti sul loro territorio.
In Francia, ad esempio, esistono circa 60 centrali nucleari , che producono i ¾ dell’energia nazionale.
A causa della pericolosità delle centrali nucleari alcuni paesi (Svezia, Germania, Paesi Bassi) avevano deciso di arrivare nel lungo periodo alla graduale chiusura di questi impianti. Il miglioramento dei sistemi di sicurezza approntati, il problema di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra (prodotti dai combustibili fossili) e i minori costi dell’energia nucleare, hanno indotto i governi a sospendere questa decisione”.
Il paragrafo seguente (10 righe) tratta dell’ impatto ambientale ed economico della produzione energetica, della dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento, del pericolo di incidenti, della difficoltà di smaltimento delle scorie e del fatto che le riserve di fonti energetiche sono esauribili.
Continuiamo a leggere una pagina intera dedicata al petrolio e alle catastrofi ambientali (incidenti alle petroliere e lavaggi delle cisterne). Si prosegue con le fonti rinnovabili. Tanta teoria e poca pratica. Fine del capitolo.
Resto basita!!!
Leggete attentamente il testo in corsivo per favore… Ci sono alcune omissioni importanti ed evidenti. Innanzitutto non una parola, una sola, sul referendum con cui gli italiani in massa nel 1987 dissero NO al nucleare. Eppure si fa una lista di paesi, Svezia, Germania e Paesi Bassi che “avevano deciso di arrivare nel lungo periodo alla graduale chiusura di questi impianti”. Ma che poi, non lo fecero per tutti quei bei motivi elencati (il miglioramento dei sistemi di sicurezza, le emissioni di gas ad effetto serra, i minori costi dell’energia nucleare…).
Tuttavia, oltre ad essere strano che proprio un testo italiano ometta la notizia del referendum in Italia, osserviamo che si omette anche di dire, rispetto ai paesi citati, che nel 2006 proprio in Svezia si registrò un gravissimo incidente nucleare per cui tre delle dieci centrali furono chiuse. Altri due reattori chiusero per difetti di progettazione. Non si dice nemmeno che la Svezia nonostante l’utilizzo del nucleare, contempli tra i piani energetici governativi l’abbandono del combustibile fossile per i trasporti nel 2030, che nel 2020 dovrebbe avere il 50% di energia da fonti rinnovabili e che il paese dovrebbe entro il 2050 arrivare ad emissioni zero.
Ma se di per se questo è già abbastanza grave, gravissimo invece appare che non si faccia nel citato testo, un solo riferimento al più grave incidente nucleare della storia, quello di Chernobyl, avvenuto in Ucraina il 26 aprile 1986. Questa evidente disinformazione, compiuta a discapito dei bambini è criminale.
Chiudiamo il libro e davanti alle fotografie di Chernobyl che si trovano per fortuna, in rete, ne parliamo.