Le veline di Álvaro Uribe alla nostra stampa nazionale
Sede dell’ ambasciata colombiana
Sono loro, Néstor Pongutá Puerto, corrispondente da Roma del quotidiano colombiano El Tiempo, Omero Ciai (la Repubblica) e Alessandra Coppola (il Corriere della Sera), le pedine giornalistiche sulle quali Álvaro Uribe fa affidamento per condurre in Italia la sua campagna di criminalizzazione di quanti si sono impegnati per favorire una soluzione politica e pacifica del conflitto colombiano. Di quanti senza timori denunciano le innumerevoli violazioni dei diritti umani che vengono commesse da quando egli è presidente della Colombia, ma soprattutto denunciano i suoi vincoli con il paramilitarismo ed il narcotraffico.
Da quando è stato recuperato il computer di Raúl Reyes, (ma nel frattempo i pc sono diventati tre), il numero due delle Farc ucciso in un bombardamento del suo accampamento a Sucumbíos, in Ecuador, il 1 marzo scorso, e da quando l’intelligence colombiana e successivamente anche l’Interpol ci hanno messo le mani, le mail compromettenti scritte da Reyes o da lui stesso ricevute, che sono state recuperate, sono un’infinità : 39 milioni di pagine Word, riferisce il rapporto forense Interpol. Questo materiale è stato utilizzato in Colombia per avviare processi contro la senatrice Piedad Córdoba e contro Carlos Lozano, il direttore di Voz, (il giornale del Partito Comunista Colombiano), contro Hugo Chávez, presidente venezuelano, mentre Hugo Guzmán Rambaldi, un giornalista cileno, per lo stesso motivo, ha perso il lavoro.
In Italia la corrispondenza di Raúl Reyes “accusa” un ex parlamentare di Rifondazione Comunista Ramón Mantovani, un dirigente dello stesso partito, Marco Consolo, nonché l’Associazione Nuova Colombia, di essere stati a vario titolo la base d’appoggio della guerriglia colombiana nel nostro paese. Anche il nome di Pier Ferdinando Casini risulterebbe tra gli “amici” delle FARC.
Marco Consolo e Ramón Mantovani non hanno mai nascosto di avere legami con Raúl Reyes e con le FARC, legami volti al raggiungimento di un accordo di pace che non sono mai stati nascosti alle istituzioni italiane e comunitarie, con le quali è stato organizzato almeno un viaggio di Reyes in Italia.
L’Associazione Nuova Colombia invece dalle pagine del suo sito web ha sempre condannato le violazioni dei diritti umani commesse dal governo di Álvaro Uribe, e ha spesso organizzato manifestazioni nei pressi dell’ ambasciata o del consolato di Colombia protestando contro la rappresentanza diplomatica inviata nel nostro paese, formata da personaggi con curriculum criminali, legati al paramilitarismo e che successivamente sono stati richiamati in Colombia per essere sottoposti a processo come l’ex console di Milano, Jorge Noguera Cote che si trova attualmente in carcere nel suo paese e come l’ex ambasciatore Luis Camilo Osorio, attualmente ambasciatore a Città del Messico dove anche lì viene dichiarato pubblicamente persona non grata dalle associazioni di difesa dei Diritti Umani di quel paese.
Dal mese di agosto di quest’anno sia la Repubblica che il Corriere della Sera si stanno alternando nel diffondere i presunti contenuti delle mail del computer di Raúl Reyes che “proverebbero” i vincoli dei nostri citati connazionali con la guerriglia colombiana.
Il tramite tra i servizi di sicurezza colombiani e la nostra stampa sarebbe Néstor Pongutá Puerto, non un corrispondente qualsiasi di El Tiempo (quotidiano di proprietà della famiglia Santos, l’attuale vicepresidente della Colombia), ma l’addetto stampa dell’ambasciata colombiana in Italia, e quindi un dipendente della presidenza della Repubblica a tutti gli effetti, come si legge sulla pagina web della stessa ambasciata.
I termini del suo contratto sono i seguenti: “servizi per disegnare, sviluppare ed appoggiare le strategie di comunicazione in Italia e in Grecia, volti alla promozione dell’immagine della Colombia, delle politiche e dei successi del Governo Nazionale nei confronti dei governi d’Italia e della Grecia”. E’ per questo che egli passa alla stampa italiana le veline governative di Uribe: nello svolgimento del lavoro di “promozione della politica del Governo Nazionale”, ma anche nell’ interesse della personale campagna del presidente colombiano contro i suoi oppositori politici o chiunque esprima dissenso dentro e fuori del paese.
Il 24 settembre scorso, è apparso un articolo sul Corriere della Sera a firma di Alessandra Coppola nel quale si fa riferimento all’avvio delle indagini da parte della Procura di Roma contro Ramón Mantovani, Marco Consolo e un membro dell’ Associazione Nuova Colombia.
Sui tavoli del procuratore capo Giovanni Ferrara e del sostituto Angelantonio Racanelli ci sarebbero 1200 tra mail e documenti scaricati dai portatili di Raúl Reyes.
Questi documenti, scrive Alessandra Coppola, sarebbero giunti in Italia, alla Farnesina, via ambasciata colombiana direttamente da Bogotà, con tanto di certificazione Interpol.
Stranamente invece, Néstor Puerto scrive lo stesso giorno su El Tiempo, di aver appreso la notizia dalle pagine del Corriere della Sera, lui che proprio a Via Pisanelli, sede dell’ambasciata colombiana ci lavora e che si suppone quindi abbia visionato il materiale giunto da Bogotà e in quanto addetto stampa lo abbia trasmesso al Corriere della Sera.
Ramón Mantovani e Marco Consolo hanno già chiarito pubblicamente la loro posizione in una conferenza stampa i primi giorni di agosto, seguita ad un articolo a firma di Omero Ciai apparso su la Repubblica, mentre l’Associazione Nuova Colombia invia proprio in questi giorni una “lettera aperta al Corriere della Sera” dove chiarisce di non aver mai nascosto le “simpatie per le proposte politiche dell’insorgenza colombiana… poiché siamo convinti che senza il dialogo con la guerriglia non si potrà mai giungere ad un accordo di Pace duraturo” .Concludono che “non sarà la logica del governo colombiano, che addita come guerriglieri o fiancheggiatori tutti coloro che non si allineano alle sue politiche guerrafondaie, a farci retrocedere nella nostra attività di controinformazione e denuncia”.
Compañero Casini, presente!
“Durante il mio mandato di presidente della Camera, e anche successivamente come presidente dell’ Unione Interparlamentare, ho più volte ricevuto Mantovani, impegnato a favorire un disgelo tra il governo Uribe e le Farc, con cui aveva intrattenuto rapporti politici. Ho ritenuto doveroso rendere questa testimonianza perchè tutto mi divide politicamente da lui, am gli devo riconoscere onestà intellettuale e trasparenza politica”.
Probabilmente Pier Ferdinando Casini se fosse stato informato dei poteri magici del computer di Raúl Reyes avrebbe contato fino a dieci prima di manifestare la sua solidarietà a Ramón Mantovani.
Infatti, detto fatto, e zacchete! esce anche il suo nome dal famoso pc . L’Espresso del 25 settembre parla di una mail spedita a Reyes da Lucas Gualdron (considerato il presunto rappresentante delle FARC in Europa) nella quale si esprime parere favorevole sull’elezione a presidente della Camera di Casini perchè “molto amico” di Mantovani. Si prospetta addirittura nella mail la possibilità di poter approfittare della circostanza.
Certo è che come girano queste mail…dalla Repubblica, al Corriere della Sera, all’Espresso…con una facilità.
Viene da pensare che a Via Pisanelli le distribuiscano in pacchetti da dieci…come le figurine Panini.
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P.S. Dopo le dichiarazioni di Berlusconi su Nicoletta Gandus:“i miei avvocati vennero a sapere che Nicoletta Gandus era una militante della sinistra estrema” dalla Colombia fanno sapere che nel pc di Reyes sarebbero state trovate delle mail dove il n. 2 delle FARC si complimentava con lei ed esprimeva solidarietà ai magistrati italiani. In Italia, aggiunge, Berlusconi sta divendando sempre più simile a Uribe. Vi state colombianizzando, conclude Rául Reyes. Si attendono ulteriori veline da Via Pisanelli.
Se la cantano e se la suonano…
L’ho letto da Bogotalia, sembrerebbe che la Procura di Roma abbia aperto un’inchiesta sulla presunta “rete” italiana di appoggio alle FARC.
I nomi ovviamente sono quelli di Marco Consolo, Ramón Mantovani e Nuova Colombia. Le prove ormai le conosciamo tutti, le e-mail conservate nel magico computer di Raúl Reyes.
In Italia ne ha parlato il Corriere della Sera, in Colombia ovviamente El Tiempo.
L’ambasciata colombiana e l’ambasciatore Sabas Pretelt de la Vega, passano le informazioni ora a la Repubblica ora al Corriere della Sera.
Il corrispondente di El Tiempo dall’ Italia invece è Néstor Pongutá Puerto, che poi altro non è che l’addetto stampa e pubbliche relazioni di Via Pisanelli, il quale tempo fa ci dette questo “pessimo esempio” di come fare giornalismo.
Sempre più “magico” il computer di Raúl Reyes
Sempre più “magico” il computer di Raúl Reyes. Praticamente ci sarebbe di tutto lì dentro. Basta solo avere fantasia e soprattutto aver bisogno di quello che si sta cercando.
Risulta infatti dalla posta elettronica del capo guerrigliero (Raúl, ma non cancellavi mai la posta?) che anche i Mapuche chiesero tempo fa a un alto comandante delle FARC consulenza per l’addestramento militare con il fine di portare avanti la loro lotta contro il Governo cileno nel sud del paese, e particolarmente per la liberazione di un’ampia porzione di territorio del Cile.
“Ovviamente” il tramite lo avrebbe fatto la Coordinadora Continental Bolivariana, capitolo cileno, anche questa un calderone dal quale praticamente l’intelligence colombiana e quella degli Stati Uniti all’occorrenza tirano fuori tutto ciò di cui hanno bisogno: terroristi, guerriglieri e amici o simpatizzanti delle FARC.
Nella relazione consegnata al pubblico ministero cileno Sabas Chahuán viene menzionata anche la Cumbre de los Pueblos, che riunisce movimenti sociali ed organizzazioni non governative di sinistra dell’Europa e dell’America Latina e che svolge i suoi incontri parallelamente ai quelli dei capi di Stato e di Governo di Europa, America Latina e Caraibi. L’ultimo a Lima, nel maggio scorso, dove mentre i capi di Stato europei e latinoamericani cercavano di formalizzare accordi economici basati sullo sfruttamento di risorse naturali e umane, la Cumbre de los Pueblos e il suo “braccio giuridico”, il Tribunale Permanente dei Popoli, denunciavano i crimini commessi da una ventina di multinazionali che, rispondendo ad un modello neoliberale di sfruttamento economico e umano, condannano alla fame e alla povertà milioni di persone, causando anche danni ambientali e naturali irreparabili nei territori dove queste vivono.
I Mapuche, invece in Cile, fin dalla dittatura di Augusto Pinochet sono considerati e vengono giudicati nei tribunali come terroristi. Nonostante questo, continuano a lottare con dignità e coraggio per recuperare le loro terre, contro lo sfruttamento e la distruzione dei territori dove vivono, e soprattutto contro la repressione e la violazione dei loro diritti umani da parte di un governo che si qualifica come di “sinistra”.
Non ci sorprende pertanto che sia i Mapuche, che la Cumbre de Los Pueblos, due spine in più nel fianco dei poteri economici e politici che pretendono governare l’America Latina e dei grandi interessi stranieri ad essi legati, siano saltati fuori dal computer di Raúl Reyes.
Omero Ciai e la Repubblica, megafoni italiani di Álvaro Uribe
Importante, qui la risposta di Ramón Mantovani all’articolo di O.Ciai
Ci è andato pesante questa volta Omero Ciai contro Ramón Mantovani e Marco Consolo. Già ci aveva provato tempo fa.
Finge di non aver capito che le FARC, piaccia o no ad Álvaro Uribe, per anni hanno goduto e godono tutt’ora dell’appoggio di una larga parte della società civile e istituzionale di moltissimi paesi.
E che questo non vuol dire necessariamente, per chi lo fa, essere dei terroristi, né star sul punto di diventarlo, né essere complici di alcun crimine, né avere il passaporto pronto per andarsi ad arruolare nella guerriglia colombiana.
Vuol dire credere, piaccia o no ad Álvaro Uribe, che c’è chi pensa che in Colombia esiste una via diversa da quella della risoluzione armata del conflitto e che questa via passa necessariamente per il dialogo e attraverso contatti con le parti in causa, che possono probabilmente anche formalizzarsi in relazioni amichevoli e di lunga durata. Si lavora per la pace ed è questo un lavoro ampio e costruttivo che richiede diplomazia, coraggio, sforzo ed impegno costante, diversamente da quanto ne occorrono per sorvolare accampamenti e gettare bombe.
Ramón Mantovani e Marco Consolo avevano già esaurientemente spiegato e chiarito la loro posizione in una conferenza stampa, meno di un mese fa.
A Omero Ciai non è bastato. Ingrid Betancourt viaggia in Italia in questi giorni e lui ci tiene a far sapere al mondo intero che in Italia esistevano i complici dei suoi carcerieri.
Invece di reclamare e difendere la sovranità del nostro paese, accettando che vi possano essere differenti modi di valutare la realtà colombiana, Omero Ciai e chi per lui si piega agli interessi di una nazione che da decenni, fregandose sfrontatamente del diritto internazionale e di ogni rispetto per i diritti umani, esercita il potere con la violenza. Omero Ciai e la Repubblica permettono ai politici che ci stanno governando di esprimere ancora una volta la loro subordinazione sia agli interessi degli Stati Uniti che stanno ormai mondialmente estendendo la loro concezione di “terrorismo”, sia alle isterie del governo colombiano, che pur di distogliere gli occhi dal pantano maleodorante nel quale è invischiato crea oltreoceano campagne mondiali di criminalizzazione contro il loro “nemico interno”.
Omero Ciai ha permesso a Maurizio Gasparri, rappresentante della destra italiana attualmente al governo, di poter finalmente stamattina dire che bisogna indagare sui legami dei terroristi con i comunisti italiani e che “si impongono chiarimenti urgenti anche in considerazione della sicurezza interna nel nostro Paese, poiche’ le Farc sono dedite ai sequestri e al traffico di droga e sono considerate dall’Onu organizzazioni terroriste”.
Vale a dire che i comunisti rappresentano un rischio terroristico anche nel nostro paese.
Evviva la destra e i paramilitari di Uribe, i veri ed assodati narcotrafficanti a livello mondiale. Chissà se a Omero Ciai dice niente il nome di Salvatore Mancuso. Li abbiamo avuti in casa nostra, i paramilitari di Uribe, per anni abbiamo avuto infatti in Italia come rappresentanza diplomatica nel nostro paese della Colombia, personaggi inequivocabilmente legati al paramilitarismo, alla mafia politica e al crimine. L’attuale ambasciatore colombiano a Roma è indagato per aver comprato nel suo paese i voti di Yidis Medina che hanno permesso la seconda rielezione di Uribe. L’ex console a Milano, si trova in carcere in Colombia per vincoli con il paramilitarismo, ha messo in mano dei paramilitari liste di centinai a di persone “scomode” da eliminare.
Nessuno a casa nostra, a partire da Repubblica e dal solerte Omero Ciai, si è mai degnato di protestare con il governo Colombiano per l’abitudine ricorrente che ha avuto nel tempo di inviare nel nostro paese delinquenti e assassini come rappresentanza diplomatica. Nessuno ha avuto mai il coraggio di chiedere che venissero dichiarate persone non grate nel nostro paese. Álvaro Uribe sta chiedendo e sta ottenendo che in Europa vengano incriminate e criminalizzate tutte quelle voci che operano perchè in Colombia la pace venga raggiunta attraverso una via diversa da quella della guerra e Omero Ciai e la Repubblica gli prestano il megafono.
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La vera storia di Ramón il terrorista che Omero Ciai ha nascosto ai lettori di Repubblica
Raúl Reyes a Fiumicino con la moglie Olga Marín ed altri leader FARC
Due articoli apparsi uno il 27 luglio sul sito di Radio Caracol e uno due giorni fa sull’edizione online del quotidiano El Tiempo, dichiarano che le autorità colombiane sono a conoscenza dei nomi, saltati fuori dal computer di Raúl Reyes, dei presunti “fiancheggiatori” delle FARC in Europa e che tali informazioni sarebbero state già trasmesse ai governi dei paesi interessati.
Anche l’Italia figura fra questi, il sito di Radio Caracol fa infatti riferimento a un certo “Ramón”, mentre quello di El Tiempo cita due persone che usano gli “alias” di Ramón e “Consolo” e “le cui identità sarebbero già note”.
In Italia la stessa notizia è stata ripresa ieri dal quotidiano La Repubblica a firma del suo latinoamericanista Omero Ciai, che in un ignobile articolo dal titolo “Ecco chi aiuta le FARC dall’Italia”, scrive: “degli Italiani si conoscono solo i “nomi di battaglia” estratti dal computer di Reyes (“Ramon” e “Consolo”) ma, sempre secondo El Tiempo, la polizia italiana ne conosce la vera identità e l’ha già comunicata ai colombiani”.
Si lascia sfuggire una grande occasione Omero Ciai, quella di fare il suo mestiere come andrebbe fatto, e cioè usando la curiosità ma soprattutto la conoscenza dell’argomento trattato, per riportare una notizia in modo corretto e onesto.
Per chi fosse infatti appena dentro le vicende colombiane (come dovrebbe esserlo il latinoamericanista di un grande quotidiano nazionale) non era difficile immaginare che “Ramón” e “Consolo” non erano affatto degli “alias” come riporta El Tiempo e tanto meno dei “nomi di battaglia” come inventa Omero Ciai colorando il suo articolo con un tocco di fantasia.
Ramón e Consolo sono in realtà Ramón Mantovani e Marco Consolo, il primo ex parlamentare del Partito di Rifondazione Comunista, il secondo dirigente del gruppo, da anni impegnati per il raggiungimento di un accordo di pace nel conflitto che da circa mezzo secolo insanguina la Colombia.
Chi segue le vicende colombiane sa benissimo che sia Ramón Mantovani che Marco Consolo con Raúl Reyes e sua moglie Olga Marín ( figlia di Tirofijo) intrattenevano rapporti di amicizia oltre che di collaborazione in virtù di uno scambio di prigionieri tra le FARC e il governo colombiano. Raúl Reyes e sua moglie vennero in Italia invitati da Rifondazione Comunista una prima volta nel 1997 e in quell’occasione furono ricevuti anche dalla Farnesina. “Noi facemmo in modo che venissero ricevuti dalla Farnesina. Era utile che il governo italiano conoscesse le intenzioni delle FARC circa un eventuale processo di pace. Venne deciso che FARC e governo italiano avrebbero intrattenuto una relazione stabile presso l’ambasciata italiana in un paese terzo”. Questo scriveva Ramón Mantovani in un suo articolo pubblicato il 6 marzo scorso su Liberazione, appena tre giorni dopo la morte di Raúl Reyes, avvenuta in seguito ad un’ incursione illegale in territorio ecuadoriano da parte dell’esercito colombiano, nella quale morirono oltre a lui e sua moglie, altre venti persone.
Quell’incontro tra il governo italiano e quello che era il portavoce delle FARC portò alla liberazione unilaterale di un prigioniero che si trovava nelle mani della guerriglia colombiana.
Successivamente Reyes ebbe modo di incontrare, grazie alla mediazione di Ramón Mantovani, anche la Commissione Esteri della Camera dei Deputati e la Segreteria di Stato Vaticana, mentre numerosi furono i viaggi dei due politici italiani in Colombia organizzati e attuati completamente alla luce del sole e in accordo con l’ambasciata italiana a Bogotá, come gli stessi Mantovani e Consolo hanno reso noto in una conferenza stampa realizzata oggi stesso presso la sede di Rifondazione Comunista di Via del Policlinico a Roma.
Raú Reyes, e questo Omero Ciai dovrebbe saperlo, in qualità di “ministro degli Esteri” delle Farc ha sempre viaggiato tantissimo, ha incontrato politici e intellettuali in vari paesi europei e li ha ricevuti nella sua tenda in Colombia nella selva. Incontri volti esclusivamente al raggiungimento di accordi di pace tra le parti di quella che forse è una delle guerre civili più lunghe ancora in corso. Quando il dialogo e gli accordi di pace erano ancora ipotizzabili forse in una Colombia sì martoriata ma non ancora messa nelle mani armate della politica di sicurezza democratica di Álvaro Uribe. Incontri pubblici come quando nel 2000 in Spagna Reyes fu invitato e ricevuto con tutti gli onori insieme all’Alto Commissario colombiano per la Pace Víctor Ricardo, come dimostra la foto,dall’allora dirigente del Partido Popular e presidente della Generalidad Valenciana, Eduardo Zaplana.
Temendo la possibilità di un riaccendersi del dibattito circa il conferimento dello status di belligeranza alle FARC, Álvaro Uribe nel mese di gennaio di quest’anno, ha organizzato un viaggio in Europa per sferrare un’ “offensiva diplomatica” alla guerriglia colombiana, incontrando alcuni capi di stato europei e denunciando il “carattere terrorista” delle FARC e dell’ELN, l’atro gruppo ribelle che combatte da anni in Colombia e richiamando l’attenzione dei suoi omologhi sui presunti “legami internazionali”delle FARC.
Si è prestato bene quindi alla politica del governo colombiano il nostro latinoamericanista.
Dopo i combattenti Ramon e Consolo, tira in ballo nel suo articolo anche l’Associazione Nuova Colombia, colpevole di organizzare pubblicamente dibattiti e cene.
In conclusione del suo articolo un fugace riferimento alla “relazione, citata dal procuratore Pietro Grasso, tra alcune organizzazioni criminali italiane legate alla camorra e alla ‘ndrangheta e le Farc”. Ricordiamo a Omero Ciai che l’esempio più noto di vincolo tra ‘ndrangheta e Colombia è rappresentato da quel Salvatore Mancuso, capo indiscusso delle Auc, Autodefensas Unidas de Colombia, gruppo paramilitare di estrema destra, estradato negli Stati Uniti poco tempo fa perchè in Colombia stava parlando troppo sui vincoli tra potere politico e paramilitarismo e il cui computer a differenza di quello di Reyes, recuperato intatto dopo un bombardamento aereo, è invece “sparito” dalla sua cella prima del suo trasferimento all’aeroporto.
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Quella che doveva essere la smentita alla notizia (denunciata da un articolo di Maurizio Matteuzzi pubblicato sul Manifesto), che almeno una delle grandi interviste, quella al presidente colombiano Álvaro Uribe, realizzate da Jordi Valle e pubblicate dal Venerdì di Repubblica lo scorso 11 luglio era falsa, in realtá ben poco chiarisce su tutta la vicenda.
In particolare, la smentita, preannunciata da una lettera che lo stesso capo redattore del Venerdì, Attilio Giordano, aveva inviato nei giorni scorsi alla sottoscritta in risposta alla richiesta di chiarimenti sulla vicenda, avrebbe dovuto spiegare se Jordi Valle aveva incontrato, dove e come, Álvaro Uribe lo scorso 26 giugno. Incontro che era stato negato dalla stessa presidenza della repubblica della Colombia in un comunicato apparso sul sito ufficiale del governo.
In realtà sul Venerdì di Repubblica di ieri, quella che appare in un angolo poco visibile del giornale è una lettera dell’ambasciatore colombiano a Roma, Sabas Pretelt de la Vega, che non smentisce il suo governo ma piuttosto sembra rettificare soltanto una parte della presunta intervista, quella in cui Álvaro Uribe parla di politica statunitense: “Sfortunatamente, sul numero dell’11 luglio del vostro giornale è stato pubblicato un articolo che fa riferimento alla campagna elettorale negli Stati Uniti e mi permetto di chiarire che il Signor Presidente Alvaro Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso nessun candidato alla Casa Bianca.”
La lettera continua senza riferimenti né a Jordi Valle, né all’intervista con le FARC (sulla quale pure esistono ragionevoli dubbi), né soprattutto al fatto che dal citato comunicato del governo colombiano risulta che il signor Jordi Valle non risulta essere entrato in Colombia : “Según registros migratorios del Departamento Administrativo de Seguridad (DAS), quien dice llamarse Jordi Valle,… no ha ingresado a Colombia.”
La lettera dell’amabasciatore colombiano Sabas Pretelt de la Vega, nulla chiarisce ma anzi rende tutta la vicenda ancora più vergognosa, sembra infatti il raggiungimento più un accordo tra diplomazia e grande editoria. E se i dubbi sull’onestà dei nostri mezzi di informazione li abbiamo da tempo, giova forse ricordare a questo punto di quale diplomazia si tratti. Di quella colombiana, che nel nostro paese in tre anni ha visto nell’ordine venire richiamati in patria prima il console colombiano a Milano, Jorge Noguera Cote, poi arrestato nel suo paese con l’accusa di aver permesso l’infiltrazione di gruppi paramilitari di estrema destra del DAS, successivamente l’ambasciatore a Roma Luis Camilo Osorio, prima trasferito in Messico e poi richiamato in patria per rispondere in tre processi tuttora aperti in cui è accusato di aver favorito l’ingerenza dei paramilitari quando ricopriva la carica di Fiscal General tra il 2001 e il 2005.Ora tocca all’attuale ambasciatore Sabas Pretelt de la Vega, inquisito nel suo paese per lo scandalo della Yidispolitica, cioè la vendita di voti per permettere la rielezione di Uribe. Sabas Pretelt avrebbe corrotto direttamente la senatrice Yidis Medina che si trova attualmente in carcere quando egli era ministro dell’interno nel suo paese. Probabilmente anche lui presto sarà richiamato in patria, non senza aver rilasciato prima favori a qualcuno qui da noi.
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qui di seguito l’articolo di Maurizio Matteuzzi pubblicato sul Manifesto del 2 agosto:
LA POLEMICA
Due lettere e tante interviste impossibili
Maurizio Matteuzzi
Sul manifesto del 20 luglio è uscito un articolo intitolato «Gli scoop di Jordi, la nostra invidia» in cui si sollevava qualche dubbio, misto a meraviglia, sulle strabilianti interviste firmate di recente da Jordi Valle — interviste impossibili per noi mestieranti: Garcia Marquez, Hugo Chavez, Alfoso Cano (il nuovo leader delle Farc, ben due volte), Alvaro Uribe — e anche qualche perplessità sulla loro collocazione. «Relegate» sul Venerdì di Repubblica, anziché «sparate» nel quotidiano, la nave ammiraglia, come avrebbe fatto qualsiasi altro giornale del mondo.
Subito dopo Jordi Valle ha inviato una lettera al manifesto. Questa qui sotto (leggermente ridotta per ragioni di spazio).
«Leggo il pezzo a firma Matteuzzi. Chapeau ci sta giusto bene, dato che Le Monde ha pubblicato e pubblicherà del famoso riscatto e di un Cano che non è vero non abbia rilasciato interviste da tempo. (…) Non voglio entrare nel merito del “relegare” (…). Per la stima che ho sempre ho avuto per Attilio Giordano. Anzi anche per il coraggio di fare “giornalismo”. Quel giornalismo che ha perso curiosità e la voglia di scandagliare e “cercare” le notizie! Sì, passione. Quella passione che genera la “ricerca”. (…) Ho vissuto lunghi anni in sud America (…), ho imparato a conoscere “gente”. E ne ho scritto (…). I tempi cambiano, le grandi firme invecchiano. Mi sembra che gli “scribacchini” (mi permetto un termine con cui chiamo me stesso, e solo me stesso) abbiano perso la curiosità. (…) Dopo la polemica, montata da un free lance colombiano con radio Caracol, c’è stata una precisa presa di posizione dell’Ambasciata Colombiana, che ringrazia il Venerdì di Repubblica per la collaborazione, e scuse in diretta (…) di Maria Molina su Radio Caracol. E una lettera che ho ricevuto autografa da pochi minuti di solidarietà del Marquez. (…). Senza curiosità il giornalismo scivola (anche al manifesto?) su chine di standardizzazione. (…)
Con stima, Jordi Valle».
Ringraziamo Jordi Valle per la lettera. Solo due precisazioni. La prima: «una precisa presa di posizione dell’ambasciata colombiana»? È vero che nella lettera uscita ieri sul Venerdì di Repubblica, l’ambasciatore Sabas Preteit De la Vega «ringrazia» il settimanale per l’affettuosa «collaborazione» alle gesta di Uribe e nega solo che «il Signor Presidente» abbia usato le parole «squalificanti» sul nero Barack Obama attribuitegli nell’intervista. Tuttavia «fonti dell’ambasciata« colombiana a Roma — che hanno nome e cognome — (mi) dicono che «per l’ambasciata la posizione resta quella del comunicato ufficiale della presidenza della repubblica». Che il 18 luglio parlava di «una lettera di smentita inviata alla direzione del giornale» (certo non la missiva dell’affettuoso ambasciatore uribista), di Uribe che «non si è mai incontrato con il signor Valle né gli ha mai concesso alcuna intervista», della polizia di frontiera a cui non risulta che nessun Jordi Valle «sia mai entrato in Colombia». La seconda: le «scuse in diretta di Maria Molina su Radio Caracol», dopo che l’emittente colombiana gli aveva dato del «mitomane». Maria Molina, raggiunta per telefono, (mi) dice che «nessuna scusa in diretta. Il signor Valle ha minacciato di querelarci ma noi non abbiamo niente da ritrattare».
Resta il mistero Repubblica. Che sia solo la vecchia pratica dei giornali italiani di spacciare fuggevoli incontri da lontano (o anche peggio) per «interviste esclusive»? Voci maligne (mi) dicono che una «intervista» a Cano (un’altra!) annunciata da Valle di imminente uscita su Le Monde sia stata rifiutata perché non corredata da prove inconfutabili di autenticità. Almeno finora. Ha ragione Jordi Valle. Per fare questo mestieraccio ci vuole curiosità, voglia di scavare, coraggio. E anche molta fantasia.
Subito dopo Jordi Valle ha inviato una lettera al manifesto. Questa qui sotto (leggermente ridotta per ragioni di spazio).
«Leggo il pezzo a firma Matteuzzi. Chapeau ci sta giusto bene, dato che Le Monde ha pubblicato e pubblicherà del famoso riscatto e di un Cano che non è vero non abbia rilasciato interviste da tempo. (…) Non voglio entrare nel merito del “relegare” (…). Per la stima che ho sempre ho avuto per Attilio Giordano. Anzi anche per il coraggio di fare “giornalismo”. Quel giornalismo che ha perso curiosità e la voglia di scandagliare e “cercare” le notizie! Sì, passione. Quella passione che genera la “ricerca”. (…) Ho vissuto lunghi anni in sud America (…), ho imparato a conoscere “gente”. E ne ho scritto (…). I tempi cambiano, le grandi firme invecchiano. Mi sembra che gli “scribacchini” (mi permetto un termine con cui chiamo me stesso, e solo me stesso) abbiano perso la curiosità. (…) Dopo la polemica, montata da un free lance colombiano con radio Caracol, c’è stata una precisa presa di posizione dell’Ambasciata Colombiana, che ringrazia il Venerdì di Repubblica per la collaborazione, e scuse in diretta (…) di Maria Molina su Radio Caracol. E una lettera che ho ricevuto autografa da pochi minuti di solidarietà del Marquez. (…). Senza curiosità il giornalismo scivola (anche al manifesto?) su chine di standardizzazione. (…)
Con stima, Jordi Valle».
Ringraziamo Jordi Valle per la lettera. Solo due precisazioni. La prima: «una precisa presa di posizione dell’ambasciata colombiana»? È vero che nella lettera uscita ieri sul Venerdì di Repubblica, l’ambasciatore Sabas Preteit De la Vega «ringrazia» il settimanale per l’affettuosa «collaborazione» alle gesta di Uribe e nega solo che «il Signor Presidente» abbia usato le parole «squalificanti» sul nero Barack Obama attribuitegli nell’intervista. Tuttavia «fonti dell’ambasciata« colombiana a Roma — che hanno nome e cognome — (mi) dicono che «per l’ambasciata la posizione resta quella del comunicato ufficiale della presidenza della repubblica». Che il 18 luglio parlava di «una lettera di smentita inviata alla direzione del giornale» (certo non la missiva dell’affettuoso ambasciatore uribista), di Uribe che «non si è mai incontrato con il signor Valle né gli ha mai concesso alcuna intervista», della polizia di frontiera a cui non risulta che nessun Jordi Valle «sia mai entrato in Colombia». La seconda: le «scuse in diretta di Maria Molina su Radio Caracol», dopo che l’emittente colombiana gli aveva dato del «mitomane». Maria Molina, raggiunta per telefono, (mi) dice che «nessuna scusa in diretta. Il signor Valle ha minacciato di querelarci ma noi non abbiamo niente da ritrattare».
Resta il mistero Repubblica. Che sia solo la vecchia pratica dei giornali italiani di spacciare fuggevoli incontri da lontano (o anche peggio) per «interviste esclusive»? Voci maligne (mi) dicono che una «intervista» a Cano (un’altra!) annunciata da Valle di imminente uscita su Le Monde sia stata rifiutata perché non corredata da prove inconfutabili di autenticità. Almeno finora. Ha ragione Jordi Valle. Per fare questo mestieraccio ci vuole curiosità, voglia di scavare, coraggio. E anche molta fantasia.
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Jordi Valle: un buontempone a Repubblica
Da leggere e diffondere. Inevitabilmente viene da ridere ma il fatto è gravissimo.
VENERDÌ DI REPUBBLICA
Gli scoop di Jordi La nostra invidia
Maurizio Matteuzzi
fonte : Il Manifesto
Chapeau a la Repubblica, anzi al Venerdì di Repubblica.
In metà anno ha fatto una serie di scoop strabilianti. In sequenza: il 18 gennaio un incontro-intervista con Gabriel Garcia Marquez a Cartagena, notoriamente non facile da avvicinare; il 9 maggio un’intervista al venezuelano Hugo Chavez nel palazzo di Miraflores a Caracas; il 6 giugno un’intervista «in un luogo segreto della foresta amazzonica» con i due leader massimi delle Farc dopo la morte di Tirofijo, Alfonso Cano e Mono Jojoy; l’11 luglio incontro-intervista, in un luogo imprecisato di Bogotá, forse lo stesso palazzo presidenziale di Nariño, con il presidente colombiano Alvaro Uribe, l’eroe della cinematografica liberazione della Betancourt di qualche giorno prima (il 2 luglio), un altro che per avvicinarlo bisogna sputar sangue; il 18 luglio in un luogo imprecisato della selva forse in Colombia forse in Ecuador, un nuovo incontro-intervista con Alfonso Cano nel giro di un mese. Straordinario, considerato che mezzo mondo cerca Cano, a cominciare dagli efficientissimi reparti anti-guerriglia di Uribe. E che, a quanto si sa Cano sono (erano) 8 anni che non dava interviste.
Scoop che si devono tutti a un solo uomo. Jordi Valle si chiama, un ingegnere petrolifero che è nato in Catalogna ma vive sul lago di Como e «scrive per divertimento» (lo dice lui). Un amateur quindi, ma uno che, a quanto si legge nelle sue interviste, conosce ed è conosciuto. «Ti trovo sempre bene, don Gabriel», dice a Gabo. «Gli ricordo che…» fa a Uribe. Chavez «lo interrompiamo per chiedergli…». Il Mono Jojoy lo «aspetta davanti a una birra». Intimità e autorevolezza, capacità di trovare e avvicinare in qualsiasi momento gente che i giornalisti di mezzo mondo (e in qualche caso anche i servizi segreti) non si sognano nemmeno di poter localizzare e avvicinare.
Roba da rosicare dall’invidia.
Cappello. Anche se — a nostro modesto parere — la Repubblica non li ha sfruttati come avrebbe dovuto, visto il timing straordinario di quegli incontri-intervista con personaggi di cui tutto il mondo stava parlando in quel momento. Anziché «spararli» sul quotidiano, l’ammiraglia della flotta li ha relegati — quasi volesse nasconderli — sul Venerdì. Non solo ma su nessuno di loro, eccetto l’ultimo, ci ha fatto la copertina, «sprecandoli» nelle pagine interne.
I colombiani, invidiosi anche loro, non ci stanno. Caracol, forse la radio più autorevole dell’America latina, dice di aver parlato con Valle al telefono e di aver concluso che è «un mitomane». L’ambasciata colombiana a Roma ha smentito l’intervista a Uribe, precisando che il presidente non concede interviste a nessuno da molti mesi. La stessa presidenza della repubblica colombiana (www.presidencia.com.co) ha addirittura diffuso venerdì scorso un comunicato in cui sostiene di aver scritto una lettera alla direzione di Repubblica già l’11 luglio per precisare che «il Presidente Alvaro Uribe non ha mai fatto le false dichiarazioni» attribuitegli dal «giornalista Jordi Valle». Anzi Uribe sostiene «di non aver mai incontrato il signor Valle né di avergli concesso alcuna intervista» e intigna ancora affermando che «il signor Valle dal 2002 non ha mai messo piede alla presidenza della repubblica». E non solo a Palazzo Nariño: dai registri di migrazione del Das, il Dipartimento amministrativo di sicurezza, non risulta che qualcuno «che dice di chiamarsi Jordi Valle sia mai entrato in Colombia».
Chissà che prima o poi non si faccia vivo anche Alfonso Cano.
In metà anno ha fatto una serie di scoop strabilianti. In sequenza: il 18 gennaio un incontro-intervista con Gabriel Garcia Marquez a Cartagena, notoriamente non facile da avvicinare; il 9 maggio un’intervista al venezuelano Hugo Chavez nel palazzo di Miraflores a Caracas; il 6 giugno un’intervista «in un luogo segreto della foresta amazzonica» con i due leader massimi delle Farc dopo la morte di Tirofijo, Alfonso Cano e Mono Jojoy; l’11 luglio incontro-intervista, in un luogo imprecisato di Bogotá, forse lo stesso palazzo presidenziale di Nariño, con il presidente colombiano Alvaro Uribe, l’eroe della cinematografica liberazione della Betancourt di qualche giorno prima (il 2 luglio), un altro che per avvicinarlo bisogna sputar sangue; il 18 luglio in un luogo imprecisato della selva forse in Colombia forse in Ecuador, un nuovo incontro-intervista con Alfonso Cano nel giro di un mese. Straordinario, considerato che mezzo mondo cerca Cano, a cominciare dagli efficientissimi reparti anti-guerriglia di Uribe. E che, a quanto si sa Cano sono (erano) 8 anni che non dava interviste.
Scoop che si devono tutti a un solo uomo. Jordi Valle si chiama, un ingegnere petrolifero che è nato in Catalogna ma vive sul lago di Como e «scrive per divertimento» (lo dice lui). Un amateur quindi, ma uno che, a quanto si legge nelle sue interviste, conosce ed è conosciuto. «Ti trovo sempre bene, don Gabriel», dice a Gabo. «Gli ricordo che…» fa a Uribe. Chavez «lo interrompiamo per chiedergli…». Il Mono Jojoy lo «aspetta davanti a una birra». Intimità e autorevolezza, capacità di trovare e avvicinare in qualsiasi momento gente che i giornalisti di mezzo mondo (e in qualche caso anche i servizi segreti) non si sognano nemmeno di poter localizzare e avvicinare.
Roba da rosicare dall’invidia.
Cappello. Anche se — a nostro modesto parere — la Repubblica non li ha sfruttati come avrebbe dovuto, visto il timing straordinario di quegli incontri-intervista con personaggi di cui tutto il mondo stava parlando in quel momento. Anziché «spararli» sul quotidiano, l’ammiraglia della flotta li ha relegati — quasi volesse nasconderli — sul Venerdì. Non solo ma su nessuno di loro, eccetto l’ultimo, ci ha fatto la copertina, «sprecandoli» nelle pagine interne.
I colombiani, invidiosi anche loro, non ci stanno. Caracol, forse la radio più autorevole dell’America latina, dice di aver parlato con Valle al telefono e di aver concluso che è «un mitomane». L’ambasciata colombiana a Roma ha smentito l’intervista a Uribe, precisando che il presidente non concede interviste a nessuno da molti mesi. La stessa presidenza della repubblica colombiana (www.presidencia.com.co) ha addirittura diffuso venerdì scorso un comunicato in cui sostiene di aver scritto una lettera alla direzione di Repubblica già l’11 luglio per precisare che «il Presidente Alvaro Uribe non ha mai fatto le false dichiarazioni» attribuitegli dal «giornalista Jordi Valle». Anzi Uribe sostiene «di non aver mai incontrato il signor Valle né di avergli concesso alcuna intervista» e intigna ancora affermando che «il signor Valle dal 2002 non ha mai messo piede alla presidenza della repubblica». E non solo a Palazzo Nariño: dai registri di migrazione del Das, il Dipartimento amministrativo di sicurezza, non risulta che qualcuno «che dice di chiamarsi Jordi Valle sia mai entrato in Colombia».
Chissà che prima o poi non si faccia vivo anche Alfonso Cano.
…
per completare:
intervista a Jordi Valle di W Radio Colombia
smentita ufficiale del governo colombiano sull’intervista a Uribe
Ingrid Betancourt al TG1
Qui l’intervista in esclusiva che Ingrid Betancourt ha concesso al Tg1 ieri sera.
Gossip, spettacolo, cazzate, se preferite. Tra i capelli lunghi e il riscoperto piacere dei vestiti, del trucco e delle preghiere.
Politica niente, la Colombia non esiste.
Pensavo di trovarla nel resto dell’intervista che andava in onda nel corso della trasmissione “Nel nome del cuore” condotta in diretta da Assisi da Carlo Conti, subito dopo.
Mi sono sorbita anche i Pooh per sentir dire alla Betancourt che lei quasi come San Francesco ha preso in mano i serpenti nella giungla per non farli uccidere dai guerriglieri e dagli altri compagni di prigionia.
Complimenti al TG1 per lo scoop!
…
Leggi anche:
Il TG1. Alberto Romagnoli e Ingrid Betancourt di Gennaro Carotenuto
El Tiempo e il Venezuela ovvero il terrorismo mediatico
Cercando fotografie sul sito del quotidiano colombiano El Tiempo, scopro che pur di mostrare il lato peggiore del Venezuela, i Santos (proprietari della testata) mettono sotto la voce “Actualidad” (attualità) ben 26 fotografie del 29 gennaio scorso relative a una tentata rapina in una filiale del Banco Provincial del gruppo Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA) in località Altagracia de Orituco,Venezuela, quando 4 rapinatori tennero in ostaggio circa 30 persone per 29 ore e poi fuggirono in una ambulanza con 6 di essi che si erano offerti volontari.
Dal gennaio ad oggi in Colombia, in America latina, nel mondo non è successo nient’ altro??
Riflettendo però, si tratta di ben poca cosa rispetto a quanto si legge tra le notizie principali, e cioè che un presunto sergente della Guardia Nazionale venezuelana sarebbe stato arrestato in Colombia mentre stava vendendo armi alle FARC. Inutile dire che il nome del sergente non risulta né tra gli effettivi né tra i congedati della Guardia Nazionale.