Il “pecorella” ha fatto solo il suo dovere, perché l’encomio solenne?

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Non capisco gli elogi e l’ encomio solenne che  ha reso il comandante generale dell’Arma, Leonardo Gallitelli al carabiniere al quale il NO TAV ha gridato in faccia tutta la sua rabbia nel corso della manifestazione in Val di Susa.  Lo dice anche lui :” ho fatto solo il mio dovere”.

Vorrei ricordare che non si dovrebbe ringraziare o elogiare pubblicamente  un carabiniere perché non  alza un manganello contro un dimostrante per di più  armato soltanto di tanto fiato.  Non si fanno  elogi alle forze dell’ordine che, nell’adempimento del loro dovere, rispettano  i diritti umani di coloro che hanno di fronte, chiunque essi siano. (altro…)


Quando si torna a trebbiare fascisti?

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“Oggi” disse un altro “trebbiamo fascisti e dalla pula uscirà la libertà di questo pueblo

Per chi suona la campana(H. HEMINGWAY)


7 maggio 2010: forziamo il blocco!

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UN APPELLO ALLE FORZE DEMOCRATICHE E ANTIFASCISTE DELLA CAPITALE E D’ITALIA
 
 
Esattamente un anno fa, attraverso un infame disegno di legge l’”Ordine del Tricolore”, ambienti governativi cercavano di infliggere l’ennesimo fendente mortale alla storia repubblicana del Paese assimilando partigiani e repubblichini alla medesima visione mistificatrice e senza memoria del nostro
passato.
Grazie alla mobilitazione spontanea e di massa dell’Italia antifascista l’aborrito proposito rientrava ma nei mesi successivi sistematicamente si continuava a perseguire, a più livelli, un preciso obiettivo: riscrivere, in spregio alla verità, la storia del passato per meglio controllare quella del futuro. Altrimenti non potrebbe essere in un Paese nel quale politicanti, trasformisti e avventurieri di ogni risma governano facendo e disfacendo leggi a loro piacimento e convenienza personale, sputando senza vergogna sulla Costituzione vergata col sangue di un’intera gioventù che seppe ribellarsi all’arbitrio e alla prevaricazione fatte sistema.
In questo quadro, dove a vincere sono sempre i furbetti potenti di turno, i prepotenti e gli uomini privi di etica, la Resistenza, simbolo reale e metastorico degli alti ideali di Giustizia sociale e Libertà rappresenta un precedente scomodo e ingombrante di cui sbarazzarsi frettolosamente.
Abbiamo così assistito al tentativo truffaldino di derubricare dai programmi scolastici i temi della Resistenza e della guerra di Liberazione, nella nostra città, medaglia d’oro alla Resistenza, al taglio dei fondi per le celebrazioni in onore dei caduti partigiani (Fosse Ardeatine, Quadraro). Tutto questo mentre ministri non hanno perso occasione di esaltare la “mai dimenticata X MAS”, noti imprenditori vicini al governo hanno sponsorizzato celebrazioni in ricordo delle SS italiane (vedi Nettuno), famigerati criminali neonazisti sono stati dislocati in posizioni strategiche dell’amministrazione comunale (vedi i recenti scandali comparsi sulle cronache cittadine).
Per il 7 maggio CasaPound e Blocco Studentesco, gli orgogliosi fascisti del III millennio, hanno indetto la loro piccola marcetta su Roma, una manifestazione nazionale che intende sfilare per le strade di Roma da piazza della Repubblica fino a piazza Venezia, in un evidente sussulto di nostalgia mussoliniana. In spregio al dettato costituzionale questo ennesimo tassello di una più articolata, rinnovata “mobilitazione reazionaria” si profila come particolarmente insidioso. La manifestazione, infatti, pur priva di una piattaforma rivendicativa intelligibile, reca con sè il fine strategico e oggettivo di far accreditare i fascisti che la organizzano come forza pienamente accettata e accettabile in una democrazia ferita e miope che ha perso le sue radici e le sue ali.
Un corteo di fascisti che fieramente inneggiano al traditore Mussolini (il guerrafondaio nemico dei popoli, collaborazionista dei criminali nazisti), un corteo di personaggi che puntutamente, da qualche anno a questa parte, rinverdiscono le vili gesta delle squadracce in camicia nera rendendosi responsabili in tutta Italia di vili aggressioni a studenti e studentesse (vedi i recenti fatti dell’Università di Tor Vergata). Un corteo di questo tipo sarebbe un’onta incancellabile per il cuore Libero e Generoso della nostra città.
Non possiamo tollerare che la memoria e la dignità delle migliaia di soldati, partigiani, uomini e donne che generosamente hanno sacrificato la loro vita nella lotta al nazifascismo per consegnarci una società più giusta vengano ancora una volta infangate complici l’oblio, la rassegnazione, l’indifferenza.
Intendiamo dare una risposta chiara e unitaria ai fascisti e ai loro padrini, per questo lanciamo un appello a tutte le forze dell’antifascismo romano e nazionale per bloccare sul nascere questa annunciata presenza in piazza dei nostalgici di Hitler e Mussolini.
Per questo chiediamo accoratamente alle associazioni partigiane, a quelle dei combattenti, ai movimenti, ai centri sociali, ai partiti, ai comitati di quartiere, ai singoli, ai comunisti, agli anarchici, agli antifascisti di ogni tendenza di sottoscrivere questo appello per creare insieme un ampio fronte che
esiga la cancellazione del corteo.
 

Per adesioni, informazioni e quant’altro: href=”/mc/compose?to=forziamoilbloccoatyahoodotit” rel=“nofollow” target=“_blank” ymailto=“forziamoilbloccoatyahoodotit“>forziamoilbloccoatyahoodotit
 
Patria Socialista, RASH Roma, Magazzini Popolari Casalbertone


Silvio Berlusconi e il 25 aprile

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Vignetta Mauro Biani

Liberazione occupata
di Alessandro Portelli
23 aprile 2009

Avevamo un Presidente Operaio. Il terremoto ci ha regalato un Presidente Odontotecnico che aggiusta le dentiere alle anziane signore. Adesso, grazie ai buoni uffici di Franceschini, abbiamo anche un Presidente Partigiano che si prepara ad andare a celebrare il 25 aprile.

Io non capisco che bisogno c’era di insistere per regalare a Berlusconi un ennesimo palcoscenico. Berlusconi non viene il 25 aprile perché finalmente si è convinto che i partigiani avevano ragione, che la Costituzione non è bolscevica, e che la colpa delle Fosse Ardeatine è dei nazisti. No, viene il 25 aprile perché alla fine la bulimia prevale sull’ideologia: «Non lo lascio alla sinistra», ha detto. Come dire che non poteva sopportare che esistesse nella sfera pubblica uno spazio non occupato da lui e non definito dalla sua presenza.

Il migliore omaggio che potesse rendere alla Resistenza , Berlusconi lo faceva standosene in famiglia il 25 aprile. Era un modo per dire che l’antifascismo è una differenza. Non esclude nessuno, ma ridefinisce chi include.


Ora, il 25 aprile che viene non ridefinisce Berlusconi, ma è Berlusconi che venendo ridefinisce il 25 aprile. Vi ricordate quando dicevamo, ingenui e settari, che «la Resistenza è rossa e non è democristiana»? Bene, non il Presidente Partigiano ha già annunciato che verrà a spiegarci che non è né rossa (Deus avertat) ma non è nemmeno democristiana; verrà a spiegarci che i partigiani (quelli buoni) hanno combattutto affinché l’Italia fosse come l’ha fatta diventare lui.

Abbiamo già visto episodi abbastanza grotteschi in proposito, come l’intervista in cui nientemeno che La Russa, nostalgico di Salò, ci ha spiegato che la Resistenza va bene, ma quella dei comunisti no perché loro combattevano per lo stalinismo e non per la libertà. Che dobbiamo prendere lezioni di libertà da un simile figuro è segno di che disastri stanno succedendo al linguaggio, oltre che alle idee.
Ci fosse venuto di sua iniziativa, sarebbe un’altra cosa: sarebbe un segno di evoluzione, di riflessione, magari di ripensamento. Ma viene degnandosi di aderire all’insistente invito del «leader» dell’«opposizione», e io non vedo che bisogno ci fosse di insistere per offrire a Berlusconi un’ennesima piattaforma, un ennesimo spazio di esibizione.

Capisco l’idea di recuperarlo a una cultura democratica che nasce dalla Resistenza; ma questo recupero dovrebbe avvenire, se mai, sui contenuti e sui valori, non sulle cerimonie. Se no, tanto vale offrirgli anche il palco del Primo Maggio a San Giovanni, magari con il fido Apicella, e poi fregarci le mani dicendo che l’abbiamo recuperato al movimento operaio. Che, peraltro, in quanto Presidente Operaio, era già cosa sua.


L’antifascismo si agisce e non si celebra. Dimissioni per Moratti e De Corato

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“Sono manifestazioni di idee” Letizia Moratti

 
La giunta comunale della città di Milano, Medaglia d’Oro della Resistenza e capitale della Guerra di Liberazione, oggi lascia il compito della difesa dei  valori dell’antifascismo e della libertà contro la feccia neonazista giunta da tutta Italia e da tutta Europa, a circa  500 coraggiosi giovani italiani antifascisti che scenderanno in piazza contro quest’iniziativa, per consentire la quale è prevista la presenza di un migliaio di  agenti di polizia, la chiusura di una stazione della metropolitana e la deviazione di venti linee  di autobus. Tutto ciò per rendere possibile lo svolgimento di  un “congresso” di negazionisti, razzisti e nazisti, i cui simboli, linguaggi e teorie sono apertamente vietate dal nostro codice penale, oltre che ovviamente dalla coscienza civile  (per i fortunati che ne sono provvisti).
 
“Sono manifestazioni di idee, se non ci sono problemi di ordine pubblico non mi sento di intervenire”ha detto il sindaco Letizia Moratti. Idee che vale la pena ricordare al sindaco hanno causato migliaia di morti.
 
Le iniziative previste dal Comune di Milano  in programma per la celebrazione del 25 aprile, giorno della liberazione dalla dittatura fascista,  a questo punto appaiono  soltanto come la  ripetizione simbolica e sterile di eventi e valori dei quali da tempo la giunta comunale ha preso le distanze. L’antifascismo si agisce e non si celebra.
 
Saranno considerati responsabili  pertanto il sindaco di Milano Letizia Moratti e il vicesindaco De Corato  per tutto ciò che potrà oggi accadere.
 
 
 

The march of Mussolini into Italy’s mainstream

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Appena dieci giorni dopo: The Guardian

Fonte: The Independent - Friday, 20 March 2009 Peter Popham reports

The flames are going out all over Italy. Tomorrow, the flame which for more than 60 years has been the symbol of neo-Fascist continuity with Mussolini, will disappear from mainstream politics. The National Alliance, the last important home of that inheritance, is “fusing” with Silvio Berlusconi’s People of Freedom party to give the governing bloc a single identity and a single unchallenged leader.
The change has been a long time coming – 15 years and more. Mr Berlusconi broke the great taboo of Italian post-war politics after he won his first general election victory in 1994 and incorporating four members of the National Alliance into his coalition.
Embracing the Fascists and neo-Fascists was taboo for good reason. For one thing, their return after they had led the nation to ruin in the war was banned by the new Constitution, whose Article 139 states, “the re-organisation, under whatever form, of the dissolved Fascist party, is forbidden.”
That veto had been honoured in the breach rather than the observance since 1946, when Giorgio Almirante, the leader of the Italian Social Movement, picked up the baton of Mussolini where he had left it at his death and led the new party into parliament. But the neo-Fascists remained in parliamentary limbo, far from power. Berlusconi blew that inhibition away.
Under the wily leadership of Gianfranco Fini the “post-Fascists” have been gaining ground since. Tall, bespectacled, buttoned up, the opposite of Berlusconi in every way, the Alliance’s leader impressed the Eurocrats with his democratic credentials when he was brought in to lend a hand at drafting the EU’s new Constitution.
He leaned over backwards to break his party’s connection to anti-Semitism, paying repeated official visits to Israel where he was photographed in a skull cap at the Wailing Wall. On one visit, in 2003, he went so far as to condemn Mussolini and the race laws passed in 1938 which barred Jews from school and resulted in thousands being deported to the death camps.
“I’ve certainly changed my ideas about Mussolini,” he said at the time. “And to condemn [the race laws] means to take responsibility for them.” Statesmanlike: the word stuck to him like lint. Party hardliners such as Alessandra Mussolini, the glamorous granddaughter of Il Duce, were furious and split away to form fascist micro-parties of their own. But Mr Fini’s strategy prevailed. Under Mr Berlusconi’s patronage, he became foreign minister then deputy prime minister and now speaker of the lower house, a more prestigious job than its British equivalent. As Berlusconi’s unquestioned number two in the new “fused” party, he is also his heir-apparent.
The puri e duri, the hardcore fascist elements, have been gritting their teeth and screaming defiance. One group wanted to stage a ceremony to mark the extinguishing of the flame at the “Altar of the Nation”, the wedding cake-like symbol of Italy that towers over Piazza Venezia in Rome. The city’s mayor, ironically himself a lifelong “post-Fascist”, banned it.
But the puri e duri will not give up. “The National Alliance dies, the Right lives!” declares a flyer scattered about by one of the hard-right parties, whose symbol sports an oversized flame.
“Today, with the betrayal of our ideas, of our story and our identity,” roars one of their leaders, Teodoro Buontempo, the national president of The Right party, “we have the duty to make clearer than ever that our party was born to assure the continuity of our ideals … [Join us] to scream your indignation against a ruling class of trimmers and nobodies.”
Black Bands, an investigative book into the hard right by Paolo Berizzi published in Italy this week, claims “at least 150,000 young Italians under 30 live within the cults of Fascism and neo-Fascism. And not all but many in the myth of Hitler.” Five tiny registered parties account for 1.8 per cent of the national vote, between 450,000 and 480,000 voters. These are significant numbers, yet even combined they are not nearly enough to reach the 4 per cent threshold to break into parliament.
By this reading, the Fascist element in Italy is no more significant than the BNP in Britain: an embarrassing irritant that can make noise and win insignificant victories, but nothing more.
Despite the claims of the loony right to the contrary, the going out of the Fascist flame does not mean Fascist ideas have disappeared from the Italian political scene. Quite the reverse. Fifteen years after Mr Berlusconi brought the neo-Fascists in from the cold, their impact on politics has never been more striking, never more disturbing.
According to Christopher Duggan, the British author of Force of Destiny, an acclaimed history of modern Italy, the fusion of the two parties does not mark the disappearance of Fascist ideas and practices but rather their triumphant insinuation. “This is an alarming situation in many, many ways,” he says.
“The fusion of the parties signifies the absorption of the ideas of the post-Fascists into Berlusconi’s party … the tendency to see no moral and ultimately no political distinction between those who supported the Fascist regime and those who supported the Resistance. So the fact that Fascism was belligerent, racist and illiberal gets forgotten; there is a quiet chorus of public opinion saying that Fascism was not so bad.”
One example of the way things are changing is the treatment of the veterans of the Republic of Salo, the puppet Fascist state ruled by Mussolini on the shores of Lake Garda in the last phase of the war. Under the thumb of Hitler and responsible for dispatching Jews to the death camps, Salo was seen by Italians after the war as the darkest chapter in the nation’s modern history.
But steadily and quietly it has been rehabilitated in the Italian memory. The latest step, before parliament, is the creation of a new military order, the Cavaliere di Tricolore, which can be awarded to people who fought for at least six months during the war – either with the Partisans against the “Nazi-Fascists”, with the forces of the Republic of Salo on behalf of the Nazis and against the Partisans, or with the forces in the south under General Badoglio.
In this way, says Duggan, the idea of moral interchangeability is smuggled into the national discourse, treating the soldiers fighting for the puppet Nazi statelet “on an equal footing morally and politically with the Partisans”.
Duggan contrasts the post-war process in Italy with that in Germany, where the Nuremberg trials and the purge of public life supervised by the Allies produced a new political landscape. Nothing of the sort happened in Italy.
“There was never a clear public watershed between the experience of Fascism and what happened afterwards. It’s partly the fault of the Allies, who after the war were much more concerned with preventing the Communists from coming to power.
“As a result very senior figures in the army, the police and the judiciary remained unpurged. Take the figure of Gaetano Azzariti, one of the first presidents, post-war, of Italy’s Constitutional Court, yet under Mussolini he had been the president of the court which had the job of enforcing the the race laws. The failure of the Allies to put pressure on Italy also reflects a perception that still exists: that the Fascist revival is not to be taken seriously because Italy is ‘lightweight’. Whereas if the same thing happened in Germany or Austria, you’d get really worried.”
The widespread defiance of the anti-Fascist Constitution can be seen in the profusion of parties deriving inspiration from Mussolini; in the thousands who pour into Predapio, Mussolini’s birthplace, to celebrate his march on Rome on 20 October every year; in shops and on market stalls doing a lively trade in busts of Il Duce and other Fascist mementoes of every sort.
Far more alarming, Duggan says, is what is happening out of the spotlight to the national temper, where the steady erosion and discrediting of state institutions is playing into the hands of a dictatorial elite, just as it did in the 1920s.
“What is so disturbing is not just the systematic rehabilitation of Fascism but the erosion of every aspect of the state, for example justice, with the result that people have the urge to throw themselves into the arms of the one man who they believe can sort things out.
“You create very personalised relations with the leader, so that in Mussolini’s case, he received 2,000 letters a day from people pleading with him to help. If the state doesn’t work, you trust in one man to pick up the phone and sort things out. This is how liberalism disappeared in the 1920s, with the steady discrediting of parliament so that in the end there was no need for Mussolini to abolish it, he merely ignored it. Something very similar is happening in Italy today.”

La democrazia del manganello

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Manganello democratico

Fonte: QuiNews Foto: Repubblica.it

Tensione a Roma. Dopo la prima carica della polizia avvenuta nel piazzale Aldo Moro antistante l’ingresso dell’Università, anche all’uscita su via Cesare De Lollis della Sapienza si sono verificati nuovi scontri tra forze dell’ordine e studenti. La situazione è tesa.

“Quanto si sta verificando in queste ore all’universita’ La Sapienza e’ a dir poco inaudito. Le cariche delle forze dell’ordine, che vogliono impedire agli studenti di muovere in corteo pacifico verso la manifestazione indetta dalla Flc-Cgil contro i tagli all’istruzione operati dal Governo, e’ il primo atto di un provvedimento assurdo che limita il diritto allo sciopero e riduce gli spazi di partecipazione democratica”. E’ quanto afferma la consigliera regionale della Sinistra, Anna Pizzo, in merito agli scontri di stamane in piazzale Aldo Moro.

Azione Universitaria (AN) fuori dall’Università!

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Nell’armadietto c’erano anche volantini inneggianti al nazi-fascismo.
Nell’armadietto dell’aula dove si riuniscono i giovani di destra della facoltà di Scienze Politiche di Roma 3 sono state trovate spranghe e catene. La scoperta è stata fatta questa mattina da studenti e personale dell’istituto. Nell’armadietto c’erano anche volantini inneggianti alle associazioni ‘Foro753’, ‘Azione Universitaria’, ‘Il Manifesto di Verona’.
 
Gli studenti dei Collettivi hanno esposto all’ingresso dell’aula A un pannello contenente il materiale trovato nella stanza dei giovani di destra dove c’erano scritte come ‘Onore a Jorge Haider’, ‘Comandante Cecchini: presente’, ‘Paolo vive’, una copia dell’edizione straordinaria del Messaggero intitolata ‘L’Italia è in guerrà, nonchè una grande vignetta sulla presenza degli zingari in Italia con frasi come “io da grande ruberò in metropolitana” oppure “non sono maggiorenne ma ho già 14 figli”, riferite ai bimbi rom.
 
“Questa delle spranghe è una novità dell’ultimo minuto. Cercheremo di fare piena luce in tempi rapidissimi su questo episodio”. Lo ha detto il Preside della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma 3, Francesco Guida, a margine di una conferenza stampa organizzata dai collettivi di sinistra dopo gli scontri fra opposte fazioni che hanno avuto luogo ieri davanti all’ateneo.
 
Rispondendo ad una domanda su come fosse possibile che all’interno di una facoltà potessero esserci, proprio in un’auletta sita nell’atrio principale, spranghe e catene, Guida ha risposto che “basta vedere come è strutturato questo palazzo”. Riferendosi poi all’aggressione di ieri il Preside ha detto che “la facoltà ha deciso di seguire con estrema attenzione quanto accaduto.
 
Condanniamo gravemente questi fatti e vogliamo risalire alle responsabilità attraverso l’inchiesta che è in corso. E sulla base di questo assumeremo poi i provvedimenti necessari che non sono solo di facoltà ma di ateneo”. (17 marzo 2009)
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Le altre foto

Neo-fascismo: è imperativo resistere

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“Il compito dei comunisti oggi è quello di difendere la storia della Resistenza ma soprattutto di proseguire la loro lotta, non solo per difendere le conquiste che hanno conseguito (Costituzione, diritti democratici ecc.), ma per completarla. A nostro avviso completare la loro lotta vuol dire lottare per la democrazia reale e per il socialismo, per costruire una società libera dal fascismo e dai parassiti che oggi la governano, per una società diretta dai lavoratori, per fare dell’Italia un nuovo paese socialista”.  

Gianfranco Fini e Roberto Menia: fascisti erano…

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Roberto Menia e Gianfranco Fini

Quello alle spalle di Gianfranco Fini con il braccio alzato nel saluto romano è Roberto Menia, il promotore della legge che ha istituito il 10 febbraio come “Giorno del Ricordo” dedicato ai martiri delle Foibe .

Qui, ripuliti e soddisfatti al governo…  : - (


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