sono sempre loro, dalla strada al palazzo, il fascismo al governo. Ormai Menia può tenere le braccia incrociate… complimenti Italia!
“Quello che oggi viene chiamato revisionismo ha radici lontane, che risalgono al periodo finale della Seconda Guerra Mondiale quando il movimento partigiano divenne un pericolo mortale per le classi dominanti che avevano messo al potere il fascismo, abbandonandolo solo quando divenne chiaro che i sogni imperiali si stavano trasformando in una catastrofe che minacciava di travolgere il loro stesso ruolo dominante perchè gran parte degli uomini e delle donne che erano diventati partigiani le armi non le avevano prese soltanto per liberarsi dall’occupazione nazista e fascista ma anche per spazzare via chi del fascismo era stato il padrino e per costruire un mondo diverso che sembrava possibile a portata di mano…” Ascolta qui l’intervista realizzata da Radio Onda Rossa a Sandi Volk (storico, Trieste) sulle Foibe e il revisionismo di Stato.
Riferimento: Foibe: Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica. Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico
“Tutto il “sistema dei partiti” ha sostanzialmente contribuito al funzionamento di questa distorta forma di governo delegando alla magistratura enormi poteri giudiziari e discrezionali, elaborando una legislazione “speciale” che avrebbe dovuto avere una funzione transitoria e che invece è stata trasferita nel corpo delle leggi “normale”, costruendo decine di “carceri speciali” con trattamento “differenziato”, governando continuamente per “decreti” e frequentemente in stridente contrasto con i princìpi della Costituzione. Per fare ciò si è provveduto ad agitare in continuazione un supposto “pericolo per la democrazia”, di volta in volta individuato nel “terrorismo”, nella criminalità organizzata o in altri fenomeni sociali che mai, in ogni caso, hanno rappresentato un’autentica minaccia per il quadro democratico”
Primo Moroni
A rischio l’archivio Primo Moroni, una straordinaria raccolta di documenti, testi e riviste rappresentativi di esperienze e di percorsi politici e sociali spesso convergenti, spesso diversissimi fra loro, che hanno fatto un pezzo di storia politica d’Italia, quella dei movimenti della sinistra extraparlamentare a partire dal 1971, data di fondazione dell’archivio e della storica libreria Calusca fondata dallo scrittore e intellettuale milanese.
Giovedì scorso il centro sociale Conchetta, sede dell’archivio e della libreria è stato sgomberato e i locali posti sotto sequestro.
Nella Milano sempre più fascista che tollera realtà come quella della libreria Cuore Nero, si decide che “niente abbia più valore” come dice Maysa Moroni, figlia di Primo in un intervista concessa a Il Manifesto.
L’amarezza di Maysa è quella che proviamo tutti noi nel constatare la facilità con cui il fascismo si sta riappropriando di alcuni spazi. Purtroppo oggi “è cambiato tutto… Facebook vale più di un’assemblea, la spesa ideologica aggrega più delle bandiere rosse”, si sfoga nell’intervista. Come darle torto.
Se gli anni Settanta appaiono sempre più lontani, simbolicamente racchiusi in un archivio pronto da distruggere, è anche vero che appaiono sempre più difficili da aggregare e condividere spazi di riflessione e di proposte. La contestazione, risoltasi nell’attimo della scesa in piazza non matura e fermenta, producendo idee nuove e nuovi percorsi, ma appiattita dalla massificazione mediatica alla quale siamo costantemente sottoposti, si sgonfia su se stessa creando incolmabili vuoti comunicativi.
Una riflessione pertanto è necessaria su quanto di nostra responsabilità ci sia in questo continuo perdere terreno e quanto il nostro sistema comunicativo odierno non stia quindi rendendo il compito più facile a nuove forme di repressione.
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Questo articolo di Alessandro Portelli è talmente semplice e chiaro nella sua lucida analisi di quello che sono il razzismo e il fascismo oggi che andrebbe secondo me letto in tutti i licei. “Io non sono razzista ma…”, “io non sono fascista ma…”: è questo limbo di vigliacchi razzisti e fascisti che si trovano a mezza strada tra gli antifascsisti e gli antirazzisti convinti e i fascisti e razzisti dichiarati, che stanno affossando la coscienza morale e civile della nostra società. Quei vigliacchi che hanno dato purtroppo ampia rappresentazione di sè nei commenti a questo post.
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Alessandro Portelli
Fonte: Il Manifesto
Hanno proprio ragione i magistrati e i politici milanesi secondo cui massacrare una persona chiamandolo «negro di merda» non è un atto di razzismo. Infatti hanno dalla loro la più autorevole giurisprudenza del nostro paese: un paio di anni or sono, la Corte di Cassazione sentenziò, infatti, che «l’espressione ’sporco negro’» — pronunciata da un italiano mentre aggredisce persone di colore alle quali provoca serie lesioni — non denota, di per sé, l’intento discriminatorio e razzista di chi la pronuncia perché potrebbe anche essere una manifestazione di ‘generica antipatia, insofferenza o rifiuto’ per chi appartiene a una razza diversa».
Immagino che la suddetta preclara giurisprudenza possa applicarsi anche a espressioni affini come «negro di merda». Quindi, «nessuna aggravante». In effetti, i due assassini di Milano hanno fatto sapere che avrebbero fatto lo stesso anche se il loro bersaglio fosse stato bianco e questo, secondo loro, dovrebbe rassicurarci (mi viene in mente la signora con bambina che allo stadio faceva «buuu» ai giocatori di colore e, alle mie rimostranze, rispose che lo faceva pure ai bianchi. Come se una schifezza ne scusasse un’altra). Ma loro almeno lo fanno per proteggersi — e comunque, per fortuna, manca la conferma empirica. Quelli che davvero non hanno vergogna sono quelli che nelle istituzioni e nei media gli tengono bordone. Io infatti ero convinto che «generica antipatia, insofferenza o rifiuto per chi appartiene a una razza diversa» fosse appunto una perfetta definizione del razzismo: un atteggiamento mentale e culturale, che può o meno produrre altri effetti criminosi ma è già un orrore in sé. Per aver definito «negro di merda» un giocatore avversario, il commissario tecnico della nazionale spagnola si beccò una meritata bufera di accuse di razzismo. Si vede che certe espressioni smettono di essere razziste quando alle parole si accompagnano le mazzate. La strategia discorsiva è la stessa seguita dal tribunale californiano nel caso Rodney King (quello che scatenò la rivolta di Los Angeles): suddividere un evento unitario in frammenti distinti in modo da separarne causa ed effetto e renderlo incomprensibile. In questo caso, le botte e le parole non fanno più parte di un medesimo processo, ma sono due cose separate e senza relazione fra loro: non danno le botte perché la vittima è comunque ai loro occhi uno «sporco negro», ma da una parte hanno verso di lui una «generica antipatia» e dall’altra lo ammazzano, però l’una cosa con l’altra non c’entra. Se vogliamo, su tragica piccola scala, questa è la logica che presiede la separazione fra le leggi razziali e il fascismo rivendicata dal sindaco di Roma e dai suoi seguaci: il regime cacciava i bambini dalle scuole e aiutava i nazisti a sterminarli, ma non perché era fascista e quindi razzista, ma per una mera aberrazione. Staccato dalle sue conseguenze materiali, insomma, il razzismo diventa una cosa nebulosa e astratta, che uno può negare e persino condannare, continuando a praticarlo. Questa mi pare anche la debolezza dell’« antifascismo» dichiarato da Fini: se davvero ci riconosciamo nei valori della Resistenza e della Costituzione, allora sarà il caso di metterli in pratica, e di smettere di discriminare e schedare i rom, cacciare gli immigrati, considerare aggravante la clandestinità, praticare politiche che colpiscono sistematicamente i più deboli e più marginali. Cioè: ricomponiamo parole e fatti, ricomponiamo i proclami di antirazzismo con pratiche antirazziste, egualitarie, civili — il contrario di quelle per le quali la commissione europea ha appena ribadito la condanna al nostro governo (contro quello che avevano proclamato Maroni e i tg). Invece facciamo esattamente il contrario: separiamo le parole dai fatti che ne conseguono, e ci serviamo di questa scissione per attenuare la gravità di un assassinio, o per prendersi patenti di democraticità senza bisogno di fare una politica democratica. La parola chiave del razzismo nostrano è «ma»: «io non sono razzista ma…». Io non sono razzista, ma quelli i biscotti li avevano presi. Io non sono razzista, ma i rom rubano. Il documento degli «scienziati» fascisti sulla razza, almeno, proclamava che era l’ora che gli italiani si proclamassero «francamente» razzisti. Adesso, noi italiani brava gente ci vergogniamo del nostro razzismo al punto da negarlo in faccia all’evidenza — e proprio questa negazione ci permette di continuare a praticarlo in forme sempre più violente.
Montenegrina – Questa giovane ragazza, fotografata prima della cattura, era sospettata di essere una collaboratrice dei partigiani. Fu uccisa schiacciandole la testa con una pietra: c’era l’ordine di non sprecare pallottole nelle esecuzioni dei “ribelli”.
“La storia d’Italia conservata nelle case” è il titolo di una trasmissione che andrà in onda a Radio Onda Rossa domani, 23 luglio alle ore 11.
Sarà diretta da Salvatore Ricciardi e si avvalerà della collaborazione dell’amico Gavino Puggioni, esperto e studioso di storia orale e scrittura popolare, che interverrà telefonicamente.
La trasmissione, alla quale seguiranno altre iniziative sia editoriali che in rete, ha per oggetto proprio lo studio della storia orale del nostro paese, fatta e scritta da coloro i quali l’hanno vissuta in prima persona.
Nel corso della prima trasmissione sarà presente Davide Conti,
autore del libro: L’occupazione italiana dei balcani – Crimini di guerra e mito Della brava gente (1940–1943). Ed. Odradek.
“La trasmissione di mercoledì 23 parlerà del Regio Esercito durante l’occupazione italiana dei Balcani negli anni 1940–1943.
Occupazione caratterizzata da una lunga serie di crimini di guerra, di cui una testimonianza sono le quattro fotografie, (di cui pubblicata su questo sito) scattate a Niksic in Montenegro da un soldato italiano tra il maggio e il novembre 1942. Delle quattro fotografie racconteremo le loro origini, il loro ritrovamento e le ricerche che ne sono seguite per raccontare la storia, le storie, di cui sono viva testimonianza.” (Gavino Puggioni)
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Qui la registrazione della trasmissione di Radio Onda Rossa
Grande assemblea studentesca oggi alla Sapienza. Contro il parere della magistratura, dei politici e delle forze dell’ordine, che all’unanimità parlano di una rissa tra studenti di opposte fazioni e non di un’aggressione neofasciosta premeditata, le istituzioni universitarie, rappresentate al momento dal pro rettore vicario Luigi Frati (per l’assenza del rettore Guarini che da Mosca dove si trova segue comunque la vicenda e approva l’operato del suo vice) si schierano apertamente con i ragazzi dei collettivi di sinistra, condannando l’aggressione subita da tre di loro e chiedendo che venga fatta distinzione tra aggrediti e aggressori. Per Emiliano Marini, infatti, simpatizzante di sinistra, sono stati confermati ieri nel processo per direttissima che si è tenuto insieme ad altri sei giovani, di cui 4 appartenenti a Forza Nuova, gli arresti domiciliari e il processo è stato rimandato a luglio. I suoi compagni ne chiedono oggi a gran voce la liberazione.
Il pro rettore vicario Luigi Frati, sta assumendo un ruolo sempre più importante in tutta la vicenda e significativo e fondamentale appare proprio in questo momento la sua presa di posizione a favore di un’università antifascsita dove la violenza e la prepotenza non possono più essere tollerate. Ieri è stato duramente attaccato da Forza Nuova per queste sue dichiarazioni :”lo stesso sindaco Alemanno, che ha una storia non proprio vicina alla nostra ha condannato apertamente la xenofobia di queste persone…potrebbe essere anche strumentale o quello che vi pare, ma questo rafforza ancora di più le nostre riflessioni”. A nome del preside che rappresento — ha aggiunto Frati — fermiamo ogni forma di violenza e di espressione se accompagnata da qualcuno che ha in mano un pugnale o bastoni. Questi soggetti non possono prendere parola all’interno dell’università”. Ieri pomeriggio inoltre alle ore 18 è uscita dal suo ufficio questa circolare: L’università sta esaminando la possibilità di costituirsi parte civile nei procedimenti giudiziari che riguardano fatti che hanno danneggiato la vita accademica…ribadiamo ancora una volta la linea di garanzia per un confronto libero e civile delle idee e di condanna delle aggressioni e di ogni atto che con la violenza o in nome della violenza vuole imporre idee”.
E’ controverso che l’aggressione compiuta da una squadraccia di venti persone incappucciate, ai danni dei negozi di cittadini del Bangladesh avvenuta qualche giorno fa nel quartiere romano del Pigneto, non abbia una matrice politica come ha reso noto la Polizia. Non c’è ombra di dubbio invece sulla matrice politica che ha guidato l’aggressione di questa mattina agli studenti dei collettivi antifascisti, avvenuta poche ore fa nei pressi dell’Università La Sapienza.
Sembra di essere tornati nella Roma degli anni ’70. Siamo invece nel 2008 e i militanti di Forza Nuova, eredi di quei fascisti picchiatori e assassini, dei quali uno è appena diventato sindaco di Roma, come decenni fa utilizzano ancora mazze, tirapugni e bastoni contro altri giovani, colpevoli soltanto di attaccare dei manifesti per strada.
All’origine dell’aggressione ci sarebbe però la revoca dell’autorizzazione da parte del pro rettore dell’università La Sapienza, al convegno organizzato da Forza Nuova e da Lotta Studentesca che si sarebbe dovuto tenere giovedì prossimo nelle aule della facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo, dal titolo: “Foibe, l’unica verità contro il negazionismo dei collettivi antifascisti”. Era previsto anche un intervento di Roberto Fiore, segretario nazionale di Forza Nuova.
Gli studenti antifascisti, indignati giustamente dal fatto che nella facoltà si tenesse un convegno organizzato da un partito di estrema destra di chiara matrice neofascista e neonazista, hanno occupato ieri la presidenza della facoltà di Lettere e Filosofia e hanno scritto una lettera al rettore, firmata anche da numerosi docenti, invitandolo a rivedere l’autorizzazione al convegno. Il rettore, preoccuapato che la situazione potesse degenerare e probabilmente influenzato anche da quanto accaduto qualche giorno fa al Pigneto e dal clima di intolleranza e di violenza che si respira in questi giorni nella capitale, ha deciso così di revocare l’autorizzazione.
Nella nottata le vie adiacenti alla facoltà, per ripicca, sono state tappezzate dai militanti di Forza Nuova di volantini di chiara matrice fascista e mentre oggi studenti dei collettivi antifascisti stavano provvedendo a coprirli, è scattata l’aggressione. Da quattro auto sono scese circa venti persone, armate di spranghe, bastoni e catene. Qualcuno parla anche di coltelli. Raccontano i testimoni: “uno aveva la maglietta dei Boys”, un gruppo ultrà della curva romanista notoriamente di estrema destra, “e un altro una croce celtica tatuata sul polpaccio”, “tutti sui trent’anni”.Il bilancio dell’aggressione, avvenuto davanti a decine di persone, è di tre feriti da “codice giallo” , un ragazzo con una spalla lussata altri due con ferite alla testa.
Nel primo pomeriggio è stata indetta presso l’ateneo, da parte dei collettivi universitari un’assemblea e una conferenza stampa.
Il pro rettore ha dichiarato che si tratta di “fatti di un’enorme inciviltà” e che questo dimostra pertanto che l’organizzazione del convegno aveva scopi diversi da quello culturale come di voleva far credere.
Inoltre ha dichiarato di aver messo i manifesti dell’iniziativa a disposizione dell’autorità giudiziaria, in quanto “non è possibile, nel 2008, mettere un pugnale nel proprio simbolo: uno che mette nel suo simbolo un pugnale non ha cittadinanza in questa università”.