Gianfranco Fini e Roberto Menia: fascisti erano…

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Roberto Menia e Gianfranco Fini

Quello alle spalle di Gianfranco Fini con il braccio alzato nel saluto romano è Roberto Menia, il promotore della legge che ha istituito il 10 febbraio come “Giorno del Ricordo” dedicato ai martiri delle Foibe .

Qui, ripuliti e soddisfatti al governo…  : - (


Roberto Menia e Gianfranco Fini: e fascisti rimangono…

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Roberto Menia e Gianfranco Fini

sono sempre loro, dalla strada al palazzo, il fascismo al governo. Ormai Menia può tenere le braccia incrociate… complimenti Italia! 


Foibe: Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica

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“Quello che oggi viene chiamato revisionismo ha radici lontane, che risalgono al periodo finale della Seconda Guerra Mondiale quando il movimento partigiano divenne un pericolo mortale per le classi dominanti che avevano messo al potere il fascismo, abbandonandolo solo quando divenne chiaro che i sogni imperiali si stavano trasformando in una catastrofe che minacciava di travolgere il loro stesso ruolo dominante perchè gran parte degli uomini e delle donne che erano diventati partigiani le armi non le avevano prese soltanto per liberarsi dall’occupazione nazista e fascista ma anche per spazzare via chi del fascismo era stato il padrino e per costruire un mondo diverso che sembrava possibile a portata di mano…” Ascolta qui l’intervista realizzata da Radio Onda Rossa a Sandi Volk (storico, Trieste) sulle Foibe e il revisionismo di Stato.

Riferimento: Foibe: Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica. Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico


Metti una sera a cena: l’incoronazione del premier-re

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L'incoronazione di Carlo Magno

L’incoronazione di Carlo Magno — Raffello Sanzio Musei Vaticani

La cena organizzata dalla principessa Nicoletta Odescalchi mercoledì 4 febbraio nello storico palazzo di piazza Santi Apostoli  a Roma, è passata quasi in sordina se non fosse  perchè tra gli invitati c’era  anche Silvio Berlusconi  accompagnato dalla sua ombra per eccellenza, l’onnipresente Gianni Letta, il ciambellano, come lo ha  definito per l’occasione  La Repubblica.
 
Tuttavia è affrettato scrivere come fa il  quotidiano romano,  che   questa riunione non avrà “alcun rilievo né conseguenze nella vita degli italiani”.
A palazzo Odescalchi infatti era presente tutta l’aristocrazia nera, storicamente legata al Vaticano e all’Opus Dei. Non poteva mancare tra gli invitati anche   Maria Angiolillo, vedova di quel Renato Angiolillo,  fondatore in odor di P2 del quotidiano Il Tempo, del quale Letta è stato direttore per ben 15 anni, succedendo allo stesso Renato.
 
I nobili  presenti alla cena, i vari Ruspoli, Massimo, Torlonia, Borghese, Pacelli, Colonna, Orsini, sono gli stessi personaggi che nel  settembre del 2000 si incontrarono  nella Basilica di San Lorenzo in Lucina per la cerimonia di beatificazione del loro papa-re,  Pio IX . Uniti a loro   nella fedeltà a colui che fino alla morte  si definì un “prigioniero dello stato Italiano”, ma che era invece il simbolo dell’assolutismo e dell’arroganza del potere temporale della Chiesa,  c’erano in quell’occasione, come se  non fosse abbastanza,  anche gli esponenti di Militia Christi e del Centro Culturale Lepanto, le più reazionarie frange dell’estremismo cattolico, spesso legate alla destra più radicale.
 
Sicuramente anche l’insofferente  Berlusconi, premier-re si sente attualmente prigioniero dello Stato. E la cena alla quale ha partecipato deve avergli portato buoni  consigli se appena terminata,  ha dichiarato che si stava  “lavorando per intervenire” a un giornalista che gli chiedeva  cosa avesse intenzione di fare  sulla vicenda Englaro.
 
A palazzo Odescalchi invece, quella sera probabilmente si è deciso  molto di più della  linea da tenere nel caso Englaro.
L’aristocrazia nera, una volta beatificato il papa-re, ha trovato un premier-re da ungere a dovere.  E sul corpo di Eluana il terreno adatto dove misurare il rapporto di forza con il capo dello Stato, cioè con il presidente della Repubblica,  dove ripristinare vecchi giochi di potere e dove rispolverare antiche “questioni romane” probabilmente non ancora del tutto risolte.
 
Un braccio di ferro volto non solo a dimostrare che è possibile governare il paese senza fare ricorso alla Costituzione e senza i limiti imposti dalla divisione dei tre poteri dello Stato (l premier – re ha deciso infatti di incarnarli tutti),  ma volto anche a  riconfermare quel potere temporale della Chiesa sullo Stato Italiano al quale in quel di Oltretevere non hanno mai rinunciato del tutto. 
 
Eluana è morta prima del previsto. Prima che l’accanimento integralista su quello che restava del suo corpo prendesse definitivamente la forma di un colpo di stato (Vaticano?).
A chi crede possiamo dire che ci ha pensato il buon dio,  non appena gli è stata data la possibilità di farlo interrompendo la somministrazione di sostanze che la tenevano in vita (non nel mio nome, deve essersi detto questa volta…)
A tutti gli altri diciamo che probabilmente il premier-re e il papa-re non si fermeranno qui.

URGENTE: Fermati membri del Comitato Juicio y Castigo a Podlech

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URGENTE:

Alcuni membri del Comitato Juicio y Castigo a Podlech  sono stati fermati nei pressi del colonnato di San Pietro  mentre stavano testimoniando con piccoli cartelli e una bandiera cilena la necessita’ di ottenere giustizia nel caso che vede in carcere Alfonso Podlech Michaud, il torturatore di Temuco accusato della scomparsa del cittadino italo-cileno  Omar Venturelli . Tra i fermati c’e’ anche la vedova Venturelli, signora Fresia Villalobos e in questo momento sono stati portati presso il Commissariato Borgo di Piazza Cavor  per accertamenti.

Leggi anche: Volantini per i diritti umani in piazza san Pietro — fermata la nipote di Allende con sei cileni


Giovanni Russo Spena: chiudere le ferite civili degli “anni di piombo”

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Giovanni Russo Spena
 
Sono convinto che il cosiddetto “caso Battisti”, per noi comunisti garantisti e libertari, alluda alla necessità di riaprire una discussione sugli “anni di piombo”, partendo anche dalle proposte legislative di amnistia che per più legislature abbiamo presentato e discusso in Parlamento.
 
Dobbiamo, allora, prescindere sia dalla personalità (invero scadente, irritante, torbida) di Battisti, sia dalla ossessione sicuritaria, propagandistica, giustizialista del governo italiano. Il ministro della giustizia brasiliano, quando afferma che l’Italia è «ferma agli anni di piombo», ripete, un po’ grossolanamente, ma positivamente le affermazioni che la cultura garantista italiana ed europea ha sempre pronunciato.
 
Non ci si può, infatti, indignare perché il Brasile riconosce lo status di “rifugiato politico” senza riflettere sulle ragioni altrui e sul deficit del nostro stato di diritto. Ritorna uno degli interrogativi di fondo della nostra storia recente: lo Stato italiano ha sconfitto la lotta armata («una vera e propria guerra civile», dice Erri De Luca che ha visto l’incriminazione di 5mila persone per banda armata) senza intaccare profondamente, con l’emergenzialismo di una legislazione speciale e di una giurisprudenza eccezionale, lo stato di diritto? Io credo che non sia affatto; e mi pare che questa convinzione non abbia solo il Brasile ma, in forme e in modi diversi, la Francia, il Canada, il Nicaragua, la stessa Gran Bretagna.
 
Le norme varate negli anni dell’emergenza non sono difendibili; alcune prassi giurisdizionali ancor meno. La Francia di Mitterand (ma anche di Chirac) hanno sempre considerato lesive le attribuzioni della responsabilità penale delle azioni di una banda armata ad ogni suo componente, per quanto marginale. E’, in ogni caso, sacrosanto che si tenga conto, dopo circa un trentennio, che vi sono stati percorsi personali profondi, veri, che, nella maggior parte dei casi, ha cambiato le persone che, faticosamente, hanno ricostruito lavori, affetti.
 
Il conflitto degli “anni di piombo” è definitivamente finito, con la sconfitta della strategia della lotta armata. Nel rispetto massimo che abbiamo per i familiari delle vittime, per i lutti dolorosissimi che sono stati inferti, dobbiamo essere capaci di una rielaborazione, di una rilettura, di una analisi dei gravi errori della lotta armata affinché non si ripetano. Il Sudafrica, di fronte a narrazioni storiche di ben altro spessore e drammaticità, ci ha dato un esempio importante. Molti paesi, sia europei che latinoamericani, finite le guerre civili hanno avuto la forza l’autorevolezza statuale di promulgare forme di amnistia, di chiudere le ferite civili. I governi italiani rincorrono ancora la via giudiziaria.
Io credo abbia ragione Mauro Palma: «Dal mondo greco in poi il delitto, comunque politicamente motivato, anche se tale motivazione può apparire surrettizia, è oggetto di maggiore benevolenza da parte statuale, una volta sconfitti i nemici di un tempo, perché interesse della collettività stabilire una cesura con l’esperienza vissuta e recuperare al contesto sociale coloro che sono stati sconfitti».
 
Aggiungo che una revisione profonda, organica, dei codici penali e di procedura penale (sto pensando anche al lavoro della Commissione Pisapia) sarebbe l’occasione per eliminare dalla normativa l’emergenzialismo di leggi speciali che tuttora sussistono con lesione grave dello stato di diritto. Esse hanno costituito anche la base di prassi giurisdizionali che hanno dato vita ad una consuetudine di sentenze di condanne sempre con il massimo di pena che hanno suscistato, all’estero, fondati sospetti. Il concorso morale, la collaborazione premiata, le parole del “pentito” come prova assoluta, la condanna automatica al massimo della pena edittale, hanno dato vita ad una cultura giurisprudenziale nel complesso non condivisibile. Sono per un «diritto penale mite» che preveda pene certe entro gli standards europei che presentano massimi di pena molto inferiori ai nostri. Abolendo l’ergastolo, pena disumana e, comunque, inefficace. Forse di questi temi dovremmo seriamente discutere, non dell’abolizione o meno della partita di calcio Italia-Brasile. Ma, del resto, ogni botte, come ogni governo dà il vino che ha…
 
 
01/02/2009
 
 

Maroni: “Cattivi contro i clandestini”

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Foto di Annalisa Melandri


Il nuovo decreto legge anti-stalking: la sicurezza delle donne vale meno di quella di un’automobile

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Per il furto con scasso, un reato contro la proprietà,  sono previsti fino a sei anni di reclusione. Per il reato di “stalking” cioè la persecuzione generalmente commessa da ex mariti, conviventi o fidanzati ai danni di una donna al massimo è prevista la condanna fino a quattro anni di reclusione.
 
E’ stato approvato oggi il Ddl anti-stalking che introduce l’articolo 612-bis nel codice penale per  “chiunque molesta o minaccia taluno con atti reiterati e idonei a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’ incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita”. Un reato quindi contro  la persona, punibile da oggi con una pena fino a un massimo di quattro anni.
 
E’ stato inoltre respinto l’emendamento presentato da Barbara Pollastrini (PD),  che prevedeva la possibilità di patrocinio gratuito per le vittime di stalking, che quindi dovranno farsi carico di tutte le spese legali  nel caso decidessero di sporgere denuncia. Il  patrocinio gratuito sarebbe stato sicuramente  un valido sostegno per tutte quelle donne che si trovano in situazioni difficili e che non sanno come venirne fuori. La possibilità di godere del patrocinio gratuito avrebbe potuto aiutarle nella già di per sé difficile decisione di sporgere denuncia contro un familiare che nella stragrande maggioranza dei casi è stato o è una persona affettivamente e sentimentalmente vicina alla vittima. E’  noto inoltre come simili situazioni avvengano in ambienti già di per sé difficili per la donna,  soprattutto dal punto di vista economico. Difficoltà quella economica,  che rappresenta un notevole impedimento per le donne a liberarsi di alcuni meccanismi che oltre allo stalking comprendono spesso anche casi di violenze fisiche. Le donne economicamente indipendenti o comunque più abbienti  infatti, sicuramente hanno meno impedimenti  a ricostruirsi una vita anche lontano dal luogo di residenza originario,  o a cambiare città se non paese, indipendentemente dal fatto di aver  presentato o meno denuncia.
 
Generalmente chi commette stalking è una persona con gravi turbe psichiche che ha problemi ad accettare percorsi di cura e difficilmente rispetterà per esempio il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, così come difficilmente terrà conto del richiamo orale che potrebbe venirgli dal Questore, come previsto dal Ddl. Se padri separati,  queste persone, almeno allo stato attuale delle cose continuano a vedere i propri figli, spesso usandoli o plagiandoli  per continuare a commettere violenze contro le ex mogli.
 
Resta inoltre il problema gravissimo della lentezza giudiziaria. Oggi una donna che denuncia il proprio coniuge per violenze in famiglia deve aspettare mediamente due anni o tre per vedere il suo fascicolo sul tavolo di un giudice in prima udienza. Passeranno altrettanti anni probabilmente per arrivare a una condanna definitiva. In tutto questo periodo di tempo è lasciata completamente sola dalle istituzioni a gestire situazioni difficili e pericolose che spesso sfociano in vere e proprie tragedie.
 
Più che il problema della pena, resta grave infatti quello del  grande vuoto delle istituzioni, completamente assenti  dal momento in cui una donna sporge denuncia   fino a quello in cui viene emessa una condanna spesso inutile ed irrisoria, periodo durante il quale può veramente accadere di tutto.
 
 

Lucca : pulizia etnica

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Nuova ordinanza comunale approvata dalla giunta di centro destra riservata a bar e ristoranti : «Non è ammessa l’attivazione di esercizi di sommini-strazione, la cui attività sia riconducibile ad etnie diverse ».


Primo Moroni, a rischio il suo archivio

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Primo Moroni

“Tutto il “sistema dei partiti” ha sostanzialmente contribuito al funzionamento di questa distorta forma di governo delegando alla magistratura enormi poteri giudiziari e discrezionali, elaborando una legislazione “speciale” che avrebbe dovuto avere una funzione transitoria e che invece è stata trasferita nel corpo delle leggi “normale”, costruendo decine di “carceri speciali” con trattamento “differenziato”, governando continuamente per “decreti” e frequentemente in stridente contrasto con i princìpi della Costituzione. Per fare ciò si è provveduto ad agitare in continuazione un supposto “pericolo per la democrazia”, di volta in volta individuato nel “terrorismo”, nella criminalità organizzata o in altri fenomeni sociali che mai, in ogni caso, hanno rappresentato un’autentica minaccia per il quadro democratico”
Primo Moroni
 
A rischio l’archivio Primo Moroni, una straordinaria raccolta di documenti, testi e riviste rappresentativi di esperienze e di percorsi politici e sociali spesso convergenti, spesso diversissimi fra loro,  che hanno fatto un pezzo di storia politica d’Italia, quella dei movimenti della sinistra extraparlamentare  a partire dal 1971, data di fondazione dell’archivio e della storica libreria Calusca fondata dallo scrittore e intellettuale milanese.
Giovedì scorso il centro sociale Conchetta, sede dell’archivio e della libreria è stato sgomberato e i locali posti sotto sequestro.
Nella Milano sempre più fascista che tollera realtà come quella della libreria Cuore Nero, si decide che “niente abbia più valore” come dice Maysa Moroni, figlia di Primo in un intervista concessa a Il Manifesto.
L’amarezza di Maysa è quella che proviamo tutti noi nel constatare la facilità con cui il fascismo si sta riappropriando  di alcuni spazi. Purtroppo oggi “è cambiato tutto… Facebook vale più di un’assemblea, la spesa ideologica aggrega più delle bandiere rosse”, si sfoga nell’intervista. Come darle torto.
Se gli anni Settanta appaiono sempre più lontani, simbolicamente racchiusi in un archivio pronto da distruggere,  è anche vero che appaiono sempre più difficili da aggregare e condividere spazi di riflessione e di proposte. La contestazione, risoltasi nell’attimo della scesa in piazza  non matura e fermenta, producendo idee nuove e nuovi percorsi,  ma appiattita dalla massificazione mediatica alla quale siamo costantemente sottoposti,  si sgonfia su se stessa creando incolmabili vuoti comunicativi.
Una riflessione pertanto è necessaria su quanto di nostra responsabilità  ci sia in questo continuo perdere terreno e quanto il nostro sistema comunicativo odierno non stia quindi rendendo il compito più facile a nuove forme di repressione.

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