Marcia dei folli — La schizofrenia di Israele tra le macerie della Striscia
Prima di demonizzarlo e bombardarlo a Gaza, Hamas è stato appoggiato da Tel Aviv, per contrastare l’Olp. E con i raid di oggi, lo Stato ebraico, non farà che rafforzare il movimento islamico
Appena dopo la mezzanotte, l’emittente araba di Al Jazeera stava trasmettendo le notizie degli eventi di Gaza. Improvvisamente la telecamera ha inquadrato in alto, verso il cielo scuro. Lo schermo era nero fondo, non si riusciva a distinguere niente. Ma c’era un suono che si poteva sentire: il rumore degli aerei da guerra, uno spaventoso, terrificante boato. Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che stavano sentendo, nello stesso momento, quel suono, paralizzati dalla paura, in attesa delle bombe dal cielo.
«Israele deve difendersi dai razzi che stanno terrorizzando le nostre città del sud», ha spiegato il portavoce israeliano. «I palestinesi devono rispondere alle uccisioni dei loro combattenti nella Striscia di Gaza», ha dichiarato il portavoce di Hamas. Per essere esatti, nessun cessate il fuoco è stato interrotto, perché nessun cessate il fuoco era mai iniziato. Il requisito principale di ogni cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l’apertura dei passaggi. Non ci può essere vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma le frontiere non sono state aperte, se non poche ore ogni tanto.
Bloccare un milione e mezzo di esseri umani per via di terra, mare e aria è un atto di guerra, esattamente come il lancio delle bombe o dei razzi. Paralizza la vita nella Striscia di Gaza: elimina gran parte delle fonti che creano occupazione, porta centinaia dimigliaia al limite della morte di fame, blocca il funzionamento della maggior parte degli ospedali, distrugge la distribuzione di elettricità e d’acqua.
Coloro che hanno deciso di chiudere i passaggi — sotto qualsivoglia pretesto — sapevano che non ci sarebbe stato nessun reale cessate il fuoco in queste condizioni. Questo è il fatto principale. Poi ci sono state piccole provocazioni volte deliberatamente a suscitare la reazione di Hamas. Dopo diversi mesi durante i quali i razzi Qassam a malapena si sono visti, un’unità dell’esercito è stata inviata nella Striscia «per distruggere un tunnel che arrivava vicino alla recinzione della frontiera». Da un punto di vista puramente strategico, avrebbe avuto più senso tendere un’imboscata sul nostro lato della frontiera. Ma lo scopo era quello di trovare un pretesto per metter fine al cessate il fuoco, in una maniera che consentisse di addossare la colpa ai palestinesi. E così è stato, dopo diverse piccole azioni del genere, nelle quali alcuni guerriglieri di Hamas sono stati uccisi, Hamas ha risposto con un massiccio lancio di missili, ed ecco, il cessate il fuoco è giunto alla fine. Tutti hanno incolpato Hamas.
Qual è lo scopo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: rovesciare il governo di Hamas a Gaza. I Qassam sono serviti solo come pretesto. Rovesciare il governo di Hamas? Suona quasi come un capitolo estratto dalla «Marcia dei folli». Dopo tutto non è un segreto che fu il governo israeliano a supportare Hamas, all’inizio. Una volta interoggai su questo l’allora capo dello Shin-Bet, Yakakov Peri, che rispose enigmaticamente: «Non lo abbiamo creato noi, ma non abbiamo impedito la sua creazione.»
Per anni le autorità d’occupazione promossero il movimento islamico nei territori occupati. Ogni altra iniziativa politica era rigorosamente soppressa, ma lo loro attività nelle moschee era permessa. Il calcolo era semplice, e ingenuo: al tempo l’Olp era considerato il nemico principale, Yasser Arafat il satana. Il movimento islamico predicava contro l’Olp e Arafat ed era perciò visto come un alleato.
Abu Mazen, un «pollo spennato»
Con l’esplodere della prima intifada nel 1987, il movimento islamico si rinominò ufficialmente Hamas (l’acronimo arabo di «movimento islamico di resistenza») e si unì alla lotta. Anche allora lo Shin-bet non mosse un dito contro di loro per quasi un anno, mentre i membri del Fatah erano imprigionati o uccisi in gran numero. Solo dopo un anno lo sceicco Ahmed Yassin e i suoi colleghi furono arrestati. Da allora la ruota ha girato. Hamas è il satana odierno, e l’Olp è considerato da molti in Israele quasi una branca del movimento sionista. La conclusione logica per un governo di Israele interessato alla pace sarebbe stata quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: la fine dell’occupazione, la firma di un trattato di pace, la fondazione dello stato di Palestina, il ritiro entro i confini del 1967, una soluzione ragionevole al problema dei rifugiati, il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Questo avrebbe sicuramente arrestato l’ascesa di Hamas.
Ma la logica ha una scarsa influenza sulla politica. Niente del genere è accaduto. Al contrario, dopo l’uccisione di Arafat, Abu Mazen, che ha preso il suo posto, è stato definito da Ariel Sharon un «pollo spennato». Ad Abu Mazen non è stato concesso il minimo margine di operatività politica. I negoziati, sotto gli auspici americani, sono diventati una barzelletta. Il più autentico leader di Fatah, Marwan Barghouti, è stato mandato in carcere a vita. Al posto di un massiccio rilascio di prigionieri, ci sono stati «segnali» meschini e offensivi.
Abu Mazen è stato umiliato sistematicamente, Fatah ha assunto l’aspetto di una conchiglia vuota, e Hamas ha ottenuto una risonante vittoria alle elezioni palestinesi — le elezioni più democratiche mai tenute nel mondo arabo. Israele ha boicottato il governo eletto. Nella successiva battaglia interna, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. E ora, dopo tutto ciò, il governo di Israele ha deciso di «rovesciare il governo di Hamas a Gaza».
Il nome ufficiale dell’azione bellica è «piombo fuso», due parole tratte da una canzone infantile su un giocattolo di Hanukkah. Sarebbe stato più appropriato chiamarla «guerra delle elezioni». Anche nel passato le azioni militari sono state intraprese durante campagne elettorali. Menachen Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna del 1981. Quando Shimon Peres affermò che si trattava di una trovata elettorale, Begin alzò la voce al comizio seguente: «Ebrei, davvero credete che io potrei mandare i nostri figli coraggiosi alla morte, o, peggio ancora, ad esser fatti prigionieri da degli animali, solo per vincere le elezioni?». Begin vinse.
Ma Peres non è Begin. Quando, durante la campagna del 1996, ordinò l’invasione del Libano, tutti erano convinti che si trattasse di una trovata elettorale. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Netanyahu salì al potere. Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco. Secondo i sondaggi, la prevista vittoria di Barak gli ha fatto guadagnare 5 seggi della Knesset. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare sui cadaveri. Il successo potrebbe evaporare in un istante, se la guerra cominciasse a essere considerata un fallimento dall’opinione pubblica israeliana. Per esempio, se i missili continuano a colpire Beersheba, o se l’attacco di terra porta a un pesante numero di vittime tra gli israeliani.
Un esperimento scientifico
Il momento è stato scelto con cura anche da un altro punto di vista. L’attacco è cominciato due giorni dopo Natale, quando i leader americani e europei sono in vacanza. Il calcolo: anche se qualcuno volesse provare a fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle vacanze. Il che ha garantito diversi giorni senza alcuna pressione esterna. Un’altra ragione che rende il momento appropriato: sono gli ultimi giorni della permanenza di Bush alla Casa bianca. Ci si aspettava che questo idiota assetato di sangue appoggiasse entusiasticamente l’attacco, come in effetti ha fatto. Barack Obama non ha ancora iniziato il suo incarico, e ha quindi un pretesto per rimanere in silenzio: «C’è un solo presidente».
Questo silenzio non fa presagire nulla di buono per il mandato di Obama. La linea fondamentale è stata: non bisogna ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Questo è stato ripetuto incessantemente in ogni notiziario e talk show. Ma ciò non toglie che la guerra di Gaza sia una replica pressoché identica della seconda guerra del Libano. Il concetto strategico è lo stesso: terrorizzare la popolazione civile attraverso attacchi aerei costanti, seminando morte e distruzione. I piloti non corrono alcun pericolo, in quanto i palestinesi non hanno una contraerea. Il calcolo: se tutte le infrastrutture che consentono la vita nella Striscia sono letteralmente distrutte, e si arriva quindi alla totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas. Abu Mazen rientrerà poi a Gaza al seguito dei carri armati israeliani. In Libano questo calcolo non ha funzionato. La popolazione bombardata, cristiani inclusi, si è radunata attorno a Hezbollah, e Nashrallah è diventato l’eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile accadrà probabilmente anche questa volta. I generali sono esperti nell’usare le armi e nel muovere le truppe, non nella psicologia di massa.
Qualche tempo fa scrissi che il blocco di Gaza può essere inteso come un esperimento scientifico, mirato a scoprire quanto si può affamare una popolazione prima che scoppi. Questo esperimento è stato portato avanti con il generoso aiuto dell’Europa e degli Stati uniti. Finora non è riuscito. Hamas è diventato più forte e la gettata dei Qassam più lunga. La presente guerra è una continuazione dell’esperimento con altri mezzi. Potrebbe essere che l’esercito «non abbia alternativa» se non riconquistare la Striscia, perché non c’è altro modo per fermare i Qassam, se non quello — contrario alla politica del governo — di arrivare a un accordo con Hamas. Quando partirà la missione di terra, tutto dipenderà dalla motivazione e dalla capacità dei combattenti di Hamas rispetto ai soldati israeliani. Nessuno può prevedere quanto accadrà.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Al Jazeera trasmette immagini atroci: brandelli di corpi mutilati, parenti in lacrime in cerca dei loro cari tra le dozzine di cadaveri, una donna che solleva la sua bambina da sotto le macerie, dottori senza mezzi che cercano di salvare le vite dei feriti.
In milioni stanno vedendo queste immagini terribili, giorno dopo giorno. Queste immagini saranno impresse nella loro mente per sempre. Un’intera generazione coltiva l’odio. Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare ancora a lungo dopo che gli altri effetti della guerra saranno stati dimenticati in Israele.
Ma c’è un’altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni: l’immagine dei corrotti e passivi regimi arabi. Visto dagli arabi, un fatto s’impone su tutti gli altri: il muro della vergogna. Per il milione e mezzo di arabi a Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l’unica apertura al mondo che non sia dominata da Israele è il confine con l’Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo che consente la vit
a, da lì arrivano i medicinali che salvano i feriti. Al culmine dell’orrore questo confine resta chiuso. L’esercito egiziano ha bloccato l’unica via d’accesso per cibo e medicinali, mentre i chirurghi operano senza anestetici.
Per il mondo arabo, da un capo all’altro, hanno fatto eco le parole di Hassan Nashrallah: «I leader egiziani sono complici in questo crimine, stanno collaborando con il «nemico sionista» che cerca di rompere il popolo palestinese». Si può assumere che non intendesse solo Mubarak, ma anche tutti gli altri leader, dal re saudita al presidente dell’Anp. Se si guarda alle manifestazioni in tutto il mondo arabo, se si ascoltano gli slogan, se ne deduce l’impressione che i loro leader sono visti da molti come patetici nel migliore dei casi, come meschini collaborazionisti nel peggiore.
Questo avrà conseguenze storiche. Un’intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell’ideologia nazionalista secolare araba — i successori di Nasser, di Hafez al-Assad e Yasser Arafat– sarà messa fuori scena. In campo arabo, l’unica alternativa percorribile è l’ideologia del fondamentalismo islamico.
Questa guerra è un presagio infelice: Israele sta perdendo l’occasione storica di fare la pace con il nazionalismo arabo secolare. Domani potrebbe essere davanti a un mondo arabo uniformemente fondamentalista, un Hamas mille volte più grande.
(traduzione di Nicola Vincenzoni)
Gaza: Genocidio
Gaza: Guernica è uscita dalla tela e si è trafigurata in realtà in questo inferno
Vittorio Arrigoni
blog:
Non accetteremo di diventare una forza di repressione e di terrore. Lettera dei militari greci
I soldati di 42 campi dell’esercito greco dichiarano:
“CI RIFIUTIAMO DI DIVENTARE UNA FORZA DI TERRORE E DI REPRESSIONE CONTRO LE MOBILITAZIONI; APPOGGIAMO LA LOTTA DEGLI STUDENTI DI SCUOLA/UNIVERSITA’ E DEI LAVORATORI”
“Siamo dei soldati da ogni parte della Grecia Soldati ai quali, a Hania, è stato ordinato di opporsi a studenti universitari, lavoratori e combattenti del movimento movimento antimilitarista portando le nostre armi e poco tempo fa. Soldati che portano il peso delle riforme e della “preparazione” dell’esercito greco. Soldati che vivono tutti i giorni attraverso l’oppressione ideologica del militarismo, del nazionalismo dello sfruttamento non retribuito e della sottomissione ai “nostri superiori”. Nei campi dell’esercito nei quali serviamo, sentiamo di un altro “incidente isolato”: la morte, provocata dall’arma di un poliziotto, di un quindicenne di nome Alexis.”
“Sentiamo di lui negli slogan portati sopra le mura esterne del campo come un tuono lontano. Non sono stati chiamati incidenti anche la morte di tre nostri colleghi in agosto? Non è stata pure chiamata un incidente isolato la morte di ciascuno dei 42 soldati che sono morti negli ultimi tre anni e mezzo? Sentiamo che Atene, Thessalonica ed un sempre crescente numero di città in Grecia sono diventate campi di agitazione sociale, campi dove viene recitato fino in fondo il risentimento di migliaia di giovani, di lavoratori e di disoccupati. Vestiti con uniformi dell’esercito ed “abbigliamento da lavoro”, facendo la guardia al campo o correndo per commissioni, facendo i servitori dei “superiori”, ci troviamo ancora lì in quegli stessi campi.”
” Abbiamo vissuto, come studenti universitari, come lavoratori e come disperatamente disoccupati, le loro “pentole d’argilla”, i “ritorni di fiamma accidentali”, i “proiettili deviati”, la disperazione della precarietà, dello sfruttamento, dei licenziamenti e dei procedimenti giudiziari. Ascoltiamo i mormorii e le insinuazioni degli ufficiali dell’esercito, ascoltiamo le minacce del governo, rese pubbliche, sull’imposizione dello “stato d’allarme”. Sappiamo molto bene cosa ciò significhi. Viviamo attraverso l’intensificazione del lavoro, aumentate mansioni dell’esercito, condizioni estreme con un dito sul grilletto.”
“Ci è stato ordinato di stare attenti e di “tenere gli occhi aperti”.
Ci chiediamo: A CHI CI AVETE ORDINATO DI STARE ATTENTI?
Oggi ci è stato ordinato di stare pronti ed in allarme.
Ci chiediamo? VERSO CHI DOVREMMO STARE IN ALLARME?
Ci avete ordinato di stare pronti a far osservare lo stato di ALLARME:
• Distribuzione di armi cariche in certe unità dell’Attica [dove si trova Atene] accompagnata anche dall’ordine di usarle contro i civili se minacciate. (per esempio, una unità dell’esercito a Menidi, vicino agli attacchi contro la stazione di polizia di Zephiri)
• Distribuzione di baionette ai soldati ad Evros [lungo la frontiera turca]
• Infondere la paura nei dimostranti spostando i plotoni nell’area periferica dei campi dell’esercito • Spostare per protezione i veicoli della polizia nei campi dell’esercito a Nayplio-Tripoli-Korinthos
• Il “confronto” da parte del maggiore I. Konstantaros nel campo di addestramento per reclute di Thiva riguardo l’identificazione di soldati con negozianti la cui proprietà è stata danneggiata
• Distribuzione di proiettili di plastica nel campo di addestramento per reclute di Corinto e l’ordine di sparare contro i nostri concittadini se si muovessero “minacciosamente” (nei riguardi di chi???)
• Disporre una unità speciale alla statua del “Milite ignoto” giusto di fronte ai dimostranti sabato 13 dicembre come pure mettere in posizione i soldati del campo di addestramento per reclute di Nayplio contro la manifestazione dei lavoratori
• Minacciare i cittadini con Unità Operazioni Speciali dalla Germania e dall’Italia — nel ruolo di un esercito di occupazione — rivelando così il vero volto anti-lavoratori/autoritari
“E’ per questo che preparano un esercito che assuma i compiti di una forza di polizia e la società ad accettare il ritorno all’esercito del totalitarismo riformato. Ci stanno preparando ad opporci ai nostri amici, ai nostri conoscenti ed ai nostri fratelli e sorelle. Ci stanno preparando ad opporci ai nostri precedenti e futuri colleghi al lavoro ed a scuola. Questa sequenza di misure dimostra che la leadership dell’esercito, della polizia e l’approvazione di Hinofotis (ex membro dell’esercito professionale, attualmente vice ministro degli interni, responsabile per “agitazioni” interne), del QG dell’esercito, dell’intero governo, delle direttive della U.E., dei negozianti-come-cittadini-infuriati e dei gruppi di estrema destra mirano ad utilizzare le forze armate come un esercito di occupazione — non ci chiamate “corpo di pace” quando ci mandate all’estero a fare esattamente le stesse cose? — nelle città dove siamo cresciuti, nei quartieri e nelle strade dove abbiamo camminato.”
” La leadership politica e militare dimentica che siamo parte della stessa gioventù. Dimenticano che siamo carne della carne di una gioventù che sta di fronte al deserto del reale all’interno ed all’esterno dei campi dell’esercito. Di una gioventù che è furibonda, non sottomessa e, ancora più importante, SENZA PAURA.”
SIAMO CIVILI IN UNIFORME.
“Non accetteremo di diventare strumenti gratuiti della paura che alcuni cercano di instillare nella società come uno spaventapasseri. Non accetteremo di diventare una forza di repressione e di terrore. Non ci opporremo al popolo con il quale dividiamo quegli stessi timori, bisogni e desideri/lo stesso futuro comune, gli stessi pericoli e le stesse speranze.”
CI RIFIUTIAMO DI SCENDERE IN STRADA PER CONTO DI QUALSIASI STATO D’ALLARME CONTRO I NOSTRI FRATELLI E SORELLE.
“Come gioventù in uniforme, esprimiamo la nostra solidarietà al popolo che lotta e urliamo che non diventeremo delle pedine dello stato di polizia e della repressione di stato. Non ci opporremo mai al nostro popolo. Non permetteremo nei corpi dell’esercito l’imposizione di una situazione che ricordi i “giorni del 1967″
(1) — Testo originale in lingua greca:
(2) — Traduione in inglese:
http://www.tapesgoneloose.blogspot.com/
Grecia: disordini
Fonte: gli amici di QuiNews.it
Affari e misteri sulla rotta Italia — Libia
11 Settembre e lotta al terrorismo, non tutte le vittime sono invitate
Unione del Mediterraneo: no da Gheddafi
(ANSA) — TRIPOLI, 9 LUG — Gheddafi critica l’Unione per il Mediterraneo, progetto che a suo dire nasce ‘troppo squilibrata’ in direzione del versante europeo. Il progetto che verra’ lanciato domenica nel vertice Euro-Mediterraneo di Parigi sotto l’egida di Sarkozy. ‘Su 34 Paesi aderenti, meno di un quarto sono quelli del Nord Africa, dall’Egitto alla Mauritania’, ha sottolineato Gheddafi, che vedrebbe meglio un progetto associativo del tipo 5+5 o 6+6.
La foto è tratta dal blog di Pino Scaccia inviato a Tripoli per il TG1
Il loro cortile: chi l’ha detto che se ne erano dimenticati?
La portaerei USS BOXER
Desaparecidos de la guerra contra el terror
Las tres organizaciones de derechos humanos a cargo de la querella estiman que la Agencia Central de Inteligencia (CIA) mantiene desde hace cinco años a los desaparecidos en cárceles secretas.
El capítulo estadounidense de Amnistía Internacional, el Centro de Derechos Constitucionales y la Clínica Internacional de Derechos Humanos de la Facultad de Derecho, de la Universidad de Nueva York, entablaron la demanda en el marco de la ley de Libertad de Información.
Las tres organizaciones con sede en Nueva York sostienen que el gobierno retiene documentos que pueden contribuir a conocer el destino de 39 detenidos– desaparecidos y proporcionar datos sobre su paradero.
“Queremos saber dónde están esas 39 personas ahora y qué les pasó desde el momento de su desaparición” , señaló Joanne Mariner, a cargo de investigaciones sobre terrorismo y antiterrorismo de la organización Human Rights Watch (HRW).
A pesar de no ser demandante, HRW contribuyó con un informe sobre el que se basa el proceso, publicado el jueves, el mismo día en que se presentó la querella.
“Ya es un grave abuso mantenerlas en prisiones secretas de la CIA. Y ahora tememos que las puedan haber transferido a países donde pueden seguir en cárceles secretas y más abusos”, añadió.
El informe de 21 páginas, para que el que realizaron aportes también las organizaciones Cageprisioners y Reprieve, ambas con sede en Londres, menciona la identidad y otros datos de 39 personas desaparecidas tras su detención.
En su mayoría fueron apresados en Pakistán entre 2001 y 2005.
El documento “Off the Record” (“fuera de registro”, en inglés) también registra la detención de esposas o hijos, e incluso el caso de un bebé de seis meses, de las personas que fueron apresadas.
Las seis organizaciones indicaron que se trata del listado más completo de personas detenidas-desaparec idas que se haya compilado desde que Estados Unidos declaró su guerra contra el terror en 2001.
“Nosotros no cuestionamos el deber del gobierno de proteger a las personas de atentados terroristas” , declaró desde Londres el director de investigaciones de Amnistía, Claudio Cordone.
“Pero sí se cuestiona el secuestro de hombres, mujeres y hasta niños y el hecho de mantenerlos en prisiones secretas privándolos de los derechos más básicos de cualquier detenido. El gobierno de Estados Unidos debe terminar de una vez por todas con esa práctica ilegal y moralmente repugnante”, enfatizó.
Por su parte, la CIA se negó a confirmar o desmentir la veracidad de la información de la investigación de las organizaciones de derechos humanos.
“Cuando se trata de la CIA y de la lucha antiterrorista, no faltan acusaciones de inexactitudes” , alegó el portavoz de la agencia, Paul Gimigliano.
“La verdad lisa y llana es que actuamos de acuerdo con la legislación estadounidense y que nuestras iniciativas antiterroristas, sometidas a un cuidadoso análisis y supervisión, han sido muy eficaces para desbaratar conspiraciones y salvar vidas”, añadió.
La publicación del informe coincide con una renovada polémica por varios aspectos de las prácticas de detención del gobierno de George W. Bush.
Este viernes comenzó en la septentrional ciudad italiana de Milán el tan esperado proceso en ausencia de 25 agentes de la CIA y del ex jefe de Inteligencia de Italia por el supuesto secuestro de un imán en las calles de esa ciudad en febrero de 2003.
El hecho se habría enmarcado en el programa de Washington de “entregas extraordinarias” , que consiste en la detención de un sospechoso en un país y su entrega a las autoridades de otro donde la tortura y los tratos inhumanos son habituales.
El imán Hassan Mustafa Osama Nasr fue trasladado a Egipto donde, según sus relatos, fue torturado durante un interrogatorio antes de ser liberado bajo arresto domiciliario.
En el ámbito local, la CIA también es cuestionada.
El mes pasado, la gubernamental Junta de Ciencia de la Interrogación publicó un duro informe que cuestiona las técnicas violentas utilizadas por la agencia porque no son efectivas y son contraproducentes.
Las organizaciones de derechos humanos las calificaron de tortura y el ex asesor de la secretaria de Estado (canciller) Condoleezza Rice, Philip Zelikow, las había considerado “inmorales”.
Mientras, el Comité de Inteligencia del Senado publicó la semana pasada un informe que cuestiona el valor del programa de interrogatorios y detenciones secretas de la CIA.
Además, sugiere que la información de inteligencia obtenida por estos medios no compensan la publicidad negativa ni evitan la recaudación de datos falsa.
Por último, la Unión Estadounidense de Libertades Civiles demandó la semana pasada a una subsidiaria de la aerolínea Boeing, involucrada en el programa de entregas extraordinarias de la CIA, en representació n de un egipcio, un etiope y un italiano trasladados a cárceles secretas donde habrían sido torturados.
Al igual que la tortura, las desapariciones forzosas violan varios tratados de derechos humanos ratificados por Estados Unidos.
Esa práctica se inició con el conocido decreto “Nacht und Nebel” (“noche y niebla”), del régimen nazi alemán durante la Segunda Guerra Mundial (1939–1945), y fue muy utilizado por las dictaduras militares de América Latina en los años 70 para eliminar opositores.
El propio Bush reconoció por primera vez en septiembre de 2006 que la CIA tenía prisiones secretas en varias partes del mundo.
Bush anunció entonces la transferencia de 14 presos destacados, incluido el supuesto estratega de los atentados del 11 de septiembre de 2001 contra Nueva York y Washington, Khalid Sheikh Mohammed, de una cárcel de la CIA al centro de detención en la base naval estadounidense de Guantánamo, Cuba.
Cientos de supuestos terroristas habrían sido detenidos y trasladados en el marco del programa de entregas extraordinarias, aunque la mayoría de ellos enviados luego a Guantánamo, liberados o habrían corrido otra suerte, según las explicaciones oficiales.
El informe reagrupa en tres categorías a las 39 aún desaparecido. Tres de ellos pertenecen al grupo de los que Estados Unidos en algún momento reconoció, a nivel oficial, haber detenido, de otros 18 hay pruebas sólidas, incluidos testimonios de testigos, de que permanecieron en prisiones secretas.
Del resto existe alguna prueba de que están en algún centro de detención secreto.
La mayoría de esas personas habrían sido originalmente detenidas en Pakistán. Figuran ciudadanos de Egipto, Kenia, Libia, Marruecos y España. También se habrían realizado secuestros en Irán, Iraq, Somalia y Sudán.
Respecto de los casos en que familiares de presuntos terroristas habrían sido detenidos, el informe señala que algunos fueron liberados y otros no aparecen.
Los hijos de siete y nueve años de Khalid Sheikh Mohammed habrían sido apresados por las fuerzas de seguridad pakistan&
iacute;es en septiembre de 2002. Y una vez que él fue secuestrado, según el informe, los niños fueron utilizados por la CIA para “obligar al padre a cooperar con Estados Unidos”.