Quale uscita dalla crisi? La “crisi” da un altro punto di vista.
QUALE USCITA DALLA “CRISI”?
di Salvatore Ricciardi* - ottobre 2011
Partiamo dagli slogan. Se è vero che gli slogan nella loro sintesi rappresentano il sentore, la consapevolezza e il percorso politico di un movimento.
“la crisi non l’abbiamo provocata noi”… “la crisi non la paghiamo”…
Mentre la seconda affermazione ha un senso ed esprime una volontà di lotta, la prima è profondamente sbagliata.
“La crisi non l’abbiamo provocata noi”:
*ha un significato “difensivo”, “lamentoso” ed anche “giustizialista”, quasi a voler utilizzare la logica del codice penale (non l’ho commesso io, non ho colpa, non vado punito per qualcosa che non ho fatto…)
*ma soprattutto è un’affermazione non vera! Questa crisi capitalistica è si il portato di contraddizioni interne al modello di accumulazione capitalistica messo però in crisi da un’offensiva della classe operaia nei decenni Sessanta e Settanta. Quindi l’abbiamo provocata noi! E ne siamo orgogliosi!!!
Se per noi intendiamo la classe operaia, il proletariato (ma anche la “piccolissima borghesia” che possiamo definire “proletarizzata”, per intenderci: il piccolo commercio e artigianato, le piccole cooperative, le partite Iva, ecc…).
“Acuire la crisi” è un “compito storico” della classe lavoratrice, è il suo “dovere” fondamentale. La crisi capitalistica non è necessariamente un problema, può essere parte della soluzione, dal versante proletario. Può essere l’inizio della soluzione dei problemi dello sfruttamento e dell’oppressione; se però la classe lavoratrice inasprisce la crisi e non aiuta certo a risolverla; altrimenti diventa “collaborazionista” con il capitale.
La classe lavoratrice deve impedire che si “superi” la crisi, che si “esca” dalla crisi con una “ripresa economica” (che vuol dire “ripresa dei profitti del capitale”, instaurazione di un nuovo modello di sfruttamento che sottometterà e disciplinerà per un altro lungo ciclo la classe lavoratrice). La classe deve impedire che si stabilizzi il meccanismo di accumulazione imposto dal capitale in ogni sua fase di sviluppo.
Non sono d’accordo con chi condanna le violenze
posto qui di seguito il secondo articolo che considero valga la pena di leggere rispetto al 15 ottobre.
Consiglio inoltre questo di Gennaro Carotenuto, da Giornalismo Partecipativo :
Caccia all’uomo: cambia l’ Italia, denuncia un Black bloc!
Rivolta morale in Italia! Finalmente i cittadini compatti denunciano il crimine. I mafiosi? No! Gli evasori che tutti conoscono? Nooo! I politici corrotti? Nooooo! Sbatti il mostro in prima pagina, denuncia un black bloc! (continua sul sito)
e con questi la mia rassegna stampa sul 15 ottobre finisce qui… il resto e’ aria frittaNon sono d’accordo con chi condanna le violenze
“E’ meglio essere violenti, se c’è violenza nei nostri cuori, che vestire i panni della non violenza per nascondere l’impotenza. C’è speranza perché il violento diventi non-violento. Non c’è speranza per colui che è impotente”.
Mahatma Gandhi
Se per trent’anni si è spinta la società dei consumi oltre il limite stesso del denaro, il “conflitto” è il meno che possa accadere.
Ho letto centiaia di articoli, analisi e opinioni sugli scontri di Roma. In tutti si stigmatizza la violenza senza se e senza ma. Fiumi di parole per criticare chi ha distrutto vetrine e auto, critiche perché “avevano l’iPhone”, perché sono “fuori dalla democrazia” o perché sono dei “poveracci”. Alla fine di questa lava di parole mi resta un solo sentimento: la tristezza. Anni di informazione da stadio hanno trasformato questo mondo in un’arena in cui il migliore è colui sa puntare il dito verso il fango piuttosto che investigarlo. Il migliore è colui che si “eleva” sopra questo “fango” per dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato. Il migliore è colui che decide chi può indignarsi e chi no. Il migliore è colui che celebra per giorni la morte di Jobs e poi critica il manifestante sfasciavetrina che compra l’iPhone. (altro…)
Io Amo i Black Bloc
Il miglior articolo letto sul 15 ottobre. Lucido, sentito, sofferto, onesto, sincero… Di Riccardo M. Cefalà. Qui il suo blog. Non ti conoscevo ma non posso che ringraziarti. (AM)
Ad un certo punto ho deciso che mi dovevo dare una mossa e scrivere ‘ste quattro cose. E dire un sacco di parolacce. Semplicemente perché posso e perché nessuno pare farlo. Perché è frustrante guardare le cose da lontano ed anche perché credo di avere qualcosa di diverso per la testa a parte la voyeuristica e diffusa indignazione del giorno dopo.
Il 15 Ottobre ho partecipato anche io alla manifestazione degli Indignados. Solo che sono da qualche mese ad Amsterdam. Ed ecco cosa ho visto: c’erano dei cartelli molto indignati. Applausi indignati, dread lock indignati, padri e madri molto perbene, molto alti, molto biondi e molto indignati. Alcuni spingevano passeggini, altri avevano bimbi sulle spalle con altri cartelli indignati. Perfino jam session indignate di una inaspettata qualità. I più indignati di tutti erano quelli di free hugs , probabilmente. Tutti molto indignati. (altro…)
La repressione e’ sempre uguale
Che differenza c’e’ tra la repressione nel sangue di una protesta indigena in Cile e una in Bolivia?
La repressione e’ sempre repressione e non esistono poteri buoni.
La OTAN apoya el CNT con armas indiscriminadas
La OTAN admite que el Cnt utiliza GRAD (“armas indiscriminadas) contra civiles sitiados. La OTAN apoya el CNT con armas indiscriminadas y no desmiente las acusaciones de Mussa Ibrahim sobre los asesinatos de civiles.
Marinella Correggia* desde Libia
Los aliados libios de la Otan que están sitiando Sirte y Bani Walid lanzan misiles Grad contra las ciudades y lo admiten descaradamente a la prensa según Reuters y un medio indiano que notifica las declaraciones del “comandante” Abu Shaala sin agregar comentarios) . Hace algunos días, el vocero del gobierno legítimo libio, Mussa Ibrahim había acusado a los Grad de haber matado 150 civiles mientras se encontraban en sus casas en Sirte. La Otan todavía no contesta a nuestras preguntas.
La Otan misma ha afirmado en pasado que el utilizo de los Grad es un crimen de guerra porqué son “armas indiscriminadas” por lo que no pueden mirar con precisión sobre objetivos militares. Propio el presunto utilizo de estas armas de parte de los lealistas de Gadafi mientras asediaban Misurata había sido por muchas semanas la justificación utilizada por la Otan para los bombardeos sobre objetivos militares (u objetivos civiles si refugio de militares con matanzas de decenas de mujeres, niños y hombres).
La semana pasada el coronel de la Otan Roland Lavoie desde desde Napoles, (el comando militar de las operaciones) justificaba los bombardeos sobre Sirte con el hecho que desde Sirte, dos semanas antes, los “lealistas” habían lanzado dos Grad hacia Misurata (¡a 250 km!) y Brega (¡a 340 km!). Entonces para la Otan los “lealistas” representaban una amenaza para la población civil.
El mismo coronel Lavoie a una acusación de Mussa Ibrahim – 2.000 muertos no combatientes en un mes a Sirte, centenas de civiles caídos en la noche del 16 de septiembre durante un bombardeo), ha contestado lacónico: “No podemos verificar. Muchas veces esas afirmaciones no son exactas”. ¡Muchas veces…significa que alguna vez lo son! (altro…)
Nasce l’ Agenzia di Notizie della Resistenza Libica — solidarietà
Mentre in Italia, il movimento pacifista e internazionalista (esiste ancora? converrebbe chiedersi) tace gravemente sul ruolo dell’Italia nell’ invasione della Libia, rendendosi di fatto complice di una guerra di stampo neocoloniale, a Caracas nasce Al Mukawana — l’Agenzia di Notizie della Resistenza Libica, con lo scopo preciso di “dare battaglia mediatica contro la manipolazione delle informazioni che realizzano le grandi multinazionali come Al-Jazzera, Al-Arabiya, Reuters, BBC, Euronews, AFP, EFE, tra le altre”. Quello che segue e’ un comunicato che insieme alla grande giornalista argentina Stella Calloni e Marinella Correggia giornalista de il Manifesto, con altri operatori dell’informazione, militanti ed attivisti abbiamo voluto far giungere al collettivo venezuelano che gestisce l’ Agenzia. Il comunicato ‘e stato letto e reso noto nel corso della presentazione pubblica dell’ Agenzia che si e’ tenuta lunedì scorso, 19 settembre a Caracas e al quale hanno partecipato la giornalista Cristina Gonzales, Hindú Anderi, per il Foro Itinerante de Participación Popular, l’ Ambasciatore siriano in Venezuela, Dr. Ghasan Abbas, il corrispondente di TeleSur in Libia, Rolando Segura y l’ analista internazionale Miguel Koba. (A.M)
FUORI L’ ITALIA DALLA NATO!!!
I sottoscritti firmatari, giornalisti, intellettuali, militanti politici e sociali, tutto il movimento sociale mobilitato in sostegno dei popoli e contro i soprusi di un impero genocida, invitiamo l’opinione pubblica ad unirsi in una azione solidale con i fratelli libici e il loro legittimo governo. Esprimiamo il nostro ripudio di fronte all’invasione coloniale delle grandi potenze che hanno negato ogni possibilità di dialogo per la pace, come avevano prospettato i paesi dell’ Unione Africana e dell’ ALBA.
Gli invasori, potenze pro imperialiste, riunite sotto la bandiera genocida della NATO, di fatto già avevano pianificato l’occupazione e il saccheggio di quel paese e la negazione del suo diritto all’ autodeterminazione.
Paese, che vale la pena ricordare, in alcuni momenti storici ha dato prove innegabili di solidarietà con i popoli del mondo e con le loro lotte di liberazione quando questi soffrivano situazioni simili a quelle che oggi si stanno vivendo in Libia. (altro…)
Saludo de la ABC a la Agencia de Noticias de la Resistencia Libia
La Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC), con sede en Caracas (Venezuela), que se distingue por su carácter antiimperialista y de apoyo a las luchas de liberación de los pueblos, condenando con firmeza la vil agresión neocolonialista que las potencias imperialistas reunidas bajo la bandera de la criminal OTAN están llevando a cabo contra el hermano pueblo libio, quiere expresar su solidaridad y apoyo a la Resistencia libia que en estos meses está librando una lucha firme en defensa de la soberanía de su tierra y al derecho de autodeterminación de su pueblo.
Saludamos hoy lunes 19 de septiembre, la creación y nacimiento de la Agencia de Noticias de la Resistencia Libia. Brindamos por lo tanto a todo su equipo nuestro apoyo y solidaridad en la difusión de una información justa (altro…)
Nace la Agencia de Noticias de la Resistencia Libia (ANRL)
La ANRL será inaugurada con un foro organizado por la Camarada Hindú Anderi, a través del Foro Itinerante de Participación Popular el día lunes 19 de septiembre, titulado Palestina, Libia y Siria entre la revoluciona y la contrarrevolución, con la participación de los ponente: Embajador de la República Árabe Siria en Venezuela, Dr. Ghasan Abbas, el reportero de TeleSur en Libia, Rolando Segura y el internacionalista Miguel Koba, en los espacios del CELARG a la 5:00 PM.
A traves de este comunicado le brindamos y ofrecemos nuestro apoyo y solidaridad:
Los abajo firmantes, periodistas, intelectuales, militantes políticos y sociales, el campo popular movilizado en favor de los pueblos y contra los atropellos de un imperio genocida, llamamos a la opinión pública internacional a unirnos en una acción solidaria con el pueblo libio y su gobierno legítimo pues fue elegido por su pueblo.
Manifestamos nuestro repudio frente a la invasión colonial de las grandes potencias que negaron toda posibilidad de diálogo en pos de la paz, tal como ofrecieron los países de la Unión Africana y de la ALBA.
Los invasores, potencias pro imperialistas, reunidas bajo la bandera genocida de la OTAN, de hecho tenían ya planificada la ocupación y el saqueo de un país y el aniquilamiento de la autodeterminación de su pueblo. (altro…)
Matteo Dean: Rompere e Trasformare
Ciao Matteo… i tuoi pensieri sono i nostri…
Abbiamo detto ROMPERE.
La rottura di quest’ordine di cose che ci dicono chiamarsi società, si fa tutti i giorni. Si fa cominciando dalla voglia di sognare fino alla pratica quotidiana.
La rottura risiede precisamente nel sogno di costruire qualcosa di meglio, perché il mondo in cui viviamo vuole che smettiamo di sognare, vuole che ci adeguiamo a quel poco che ci è concesso, che restiamo quieti sottomessi al ritmo della musica che ci vendono, che ci narcotizziamo con le droghe che ci vendono, che ci abituiamo alla vita che ci è permessa.
La rottura sta quindi nel sogno di qualcosa di diverso. La rottura oggi è renderci incompatibili con quel sistema, la rottura è scappare dalle sue regole troppo strette per i nostri desideri. Incompatibili, quello siamo.
Abbiamo detto TRASFORMARE.
La trasformazione, invece, non si sogna ma si pratica. La pratica della trasformazione è la pratica del comune che ci unisce.
Leggi tutto qui:
http://www.carmillaonline.com/archives/2011/06/003936.html#003936
Patria es Solidaridad, desde Venezuela el puente de solidaridad con los presos políticos colombianos.
Aunque las autoridades del país se nieguen a considerarlos tales, en las cárceles de Colombia hay más de 7.500 presos políticos detenidos en condiciones inhumanas.
El mismo hecho de no considerarlos como presos políticos (porque esto significaría considerar los guerrilleros como beligerantes y no como terroristas) es parte de la estrategia con que el Estado sigue negando la misma matriz política y social del conflicto que afecta Colombia desde más de 50 años.
Son más de 7500 activistas sociales, políticos, sindicalistas, miembros de movimientos juveniles, defensores de los derechos humanos, intelectuales y guerrilleros que, cada uno a su manera y desde su propia trinchera de lucha, representan las múltiples caras de la resistencia social y política colombiana, invisibilizada sistemáticamente a los ojos de la opinión pública internacional. La periodista colombiana Azalea Robles habla de “tergiversación mediática” de los presos políticos en las cárceles colombianas, contrariamente a cuanto ocurre por los rehenes en manos de la guerrilla, por los cuales existe una sobre exposición mediática en los medios de comunicación.
Sabemos también que en Colombia a las voces de la oposición política le quedan pocas opciones: bajo la tierra en una de las cientos de fosas comunes que a veces salen a la luz o detrás de las rejas de una prisión. Es la cara todavía muy oculta de un país que la opinión pública internacional sigue llamando “democracia”.
Así que, si logran sobrevivir, las voces de las denuncias, de las luchas y de la resistencia de miles de personas desaparecen a los ojos de la sociedad civil nacional e internacional en las 140 prisiones del país.
De estos 7500, los guerrilleros detenidos son unos 500 y están acusados de terrorismo, un cargo casi siempre aplicado en conjunto con el de narcotráfico o de algún otro delito común con el fin de que desaparezca la figura del delito político. Los demás son los llamados “presos de conciencia” o sea los que son encarcelados por su “pensamiento crítico y su labor social”, como el caso emblemático de la poeta y periodista Angye Gaona, mujer de reconocida trayectoria humana y social, detenida en el mes de enero de este año por supuestos vínculos con la guerrilla.
El intercambio de prisioneros o “acuerdo humanitario” sin duda podría ser un paso decisivo hacia la llamada “humanización del conflicto”. Sin embargo la actitud constante del gobierno colombiano de despolitización del conflicto, lleva a que la creciente militarización del país vaya de la mano con el hacinamiento en las cárceles. Hasta la fecha, solamente la guerrilla de las FARC ha hecho liberaciones unilaterales, mientras que el gobierno sigue justificando su fracaso, pero también su falta de voluntad para buscar la paz, con el pretexto de la lucha contra el terrorismo y la aplicación de la política de “seguridad democrática”.
La situación humanitaria y sanitaria en la que se encuentran los presos políticos en las cárceles es terrible. Esta tipología de detenido es objeto de hostigamientos y torturas con el claro intento de humillar su militancia y aplastar su terquedad y su compromiso social.
Nos encontramos en Caracas con los integrantes de la asociación Patria es Solidaridad formada por la mayoría por colombianos y venezolanos, que se ocupa de los presos políticos en Colombia a través de diferentes iniciativas y, sobre todo a través de una importante campaña de información.
Patria es Solidaridad también se ocupa de desplazados y de colombianos indocumentados en Venezuela, la otra casa de conflicto, acaso la menos conocida.
Por Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
Caracas, marzo 2011
AM: Patria es Solidaridad es una organización que trabaja en Caracas por la “movilización de la solidaridad mundial con los presos políticos colombianos”. ¿Cuándo nace la asociación y porque en Caracas?
PeS: Nos fundamos hace tres años pero estamos trabajando activamente desde dos años ya que el primer periodo fue de preparación del trabajo y de la asociación como tal. Nuestro carácter es bolivariano y trabajamos por los derechos humanos de los colombianos desde Venezuela ya que las condiciones del conflicto político en Colombia no nos lo han permitido. Trabajar en Caracas nos da más posibilidades de ejercer y desplegar una solidaridad internacional con nuestros hermanos que están en las cárceles del régimen colombiano con mucha más libertad que si estuviéramos en Colombia, donde quizás esta entrevista tendríamos que hacerla clandestinamente.
Vale mencionar que hacer solidaridad desde Caracas es significativo también por ser este país referencia por los cambios en América latina y en el mundo.
Es importante resaltar que a pesar de las dificultades que implica trabajar en Colombia sobre un tema tan sensible para los intereses del gobierno colombiano, hay organizaciones que lo hacen en medio de una política de seguridad democrática que ha criminalizado el tema de la solidaridad. Estos compañeros que hacen solidaridad en el ojo del huracán merecen nuestro respeto y nuestra ayuda por su heroica labor. Nosotros somos, por decirlo así, una extensión de ellos en Venezuela y ejercemos labores que a ellos se le dificultan. En lo que se refiere a la composición de Patria es Solidaridad, la mayoría somos colombianos y venezolanos que participábamos en varias organizaciones y que decidimos solidarizarnos y humanizarnos con este drama que vive la población colombiana en el conflicto social y armado.
AM:. ¿Pueden contarnos en detalle en qué consiste el trabajo de ustedes?
PeS: Nosotros como asociación nos ocupamos de tres frentes de trabajo: el frente de trabajo de los presos políticos y los prisioneros de guerra, el frente de trabajo estudiantil y el frente de trabajo de la población refugiada, desplazada y en situación migratoria irregular en Venezuela.
Para nosotros la solidaridad con los presos políticos va en dos vías, primero en el aspecto material, segundo en el aspecto moral y político. Las dos son muy importantes porque los presos tienen muchas necesidades materiales pero es también importante el pronunciamiento político de todos los países.
Allá en Europa por ejemplo es importante que se conozca que en Colombia existen los presos políticos, que hay 7500 presos en las cárceles y que nosotros como asociación abogamos por un intercambio humanitario. Son importantes por eso las denuncias que hacemos y que están colgadas mensualmente en nuestra página web. En un mes podemos tener cuatro, cinco, denuncias de atropellamiento en las cárceles. Necesitamos que esto se conozca o sea que haya un eco de esto y que el mundo se exprese sobre el drama humanitario de los presos.
Además el estado colombiano quiere desmoralizar la moral al máximo a estos presos políticos, trata de acabar con los luchadores sociales bajo cualquier mecanismo y para ellos es muy gratificante que un pronunciamiento se haga en Europa y que algún colectivo por ejemplo se pronuncie respecto a la situación en que ellos están viviendo en las cárceles. El aspecto moral es determinante para la persona presa: una carta de aliento, un video, un audio, un pronunciamiento que a los compañeros les permita saber que no están solos y que hay personas y organizaciones movilizándose por ellos.
AM: ¿Qué quiere decir en Colombia ser un preso político y quiénes son los presos políticos?
PeS: Tenemos tres categorías de presos políticos: están los presos de conciencia que son aquellas personas capturadas y retenidas por manifestar sus ideales en contra del gobierno; están los prisioneros y prisioneras de guerra que son aquellos presos políticos guerrilleros de las FARC o del ELN que son capturados en flagrancia y que se reconocen como guerrilleros y están los presos políticos por falsos positivos que son aquellos presos que son capturados en redadas o en capturas dentro de su casa, de su hogar o en capturas masivas en poblaciones, a quienes les hacen un montaje judicial y los criminalizan sin tener ninguna prueba, sin tener nada en absoluto.
El estado colombiano también usa esta manera para amedrentar cualquier expresión de oposición hacia el gobierno. La persona permanece, como no conoce sus derechos, uno o dos años en la cárcel y cuando sale de la prisión el gobierno lo único que le dice es: “bueno disculpe, nos equivocamos”, pero queda señalada por la vida, no es indemnizada por el Estado y nadie le dará trabajo; en otras palabras se quiebra su tejido social y familiar, esto sin contar con las implicaciones en materia de seguridad porque la persona se vuelve en muchos casos en objetivo militar del paramilitarismo.
Para establecer una diferencia entre un preso político y un delincuente común o un preso social, tiene que estar claro que el preso político es aquella persona capturada o que se le quita su libertad por sus ideales. Por ejemplo esta es la diferencia entre los presos políticos colombianos y los que se hacen llamar “presos políticos” venezolanos que están tras las rejas la mayoría por corrupción. Aquí en Venezuela los que se hacen llamar presos políticos no son presos políticos sino políticos presos. El único preso político venezolano que consideramos como tal es Carlos Ilich Ramírez militante comunista internacionalista que cayó preso defendiendo la causa de Palestina. Los políticos presos en Venezuela son capturados por delitos comunes y los presos políticos colombianos son capturados por sus ideales políticos en favor de los intereses del pueblo.
AM: ¿Cuál es la situación de los presos políticos en las cárceles?
PeS: La situación de los presos políticos colombianos es bien dramática. Los compañeros son casi invisibles, para la gente común parece que no existen, parece que en Colombia no haya presos políticos, no se habla de ellos. Su situación es bastante crítica, nosotros en estos últimos meses hemos denunciado tres suicidios de presos políticos. Hay maltrato por la policía carcelaria que es el INPEC y por el grupo de reacción inmediata GRIP.
Hay varias maneras de represión carcelaria. Primero, la Colombia es un país bien montañoso y las personas que son detenidas casi siempre son campesinos así que una de las maneras de reprimirlos es también la de trasladarlos de una ciudad a otra, otra una muy recurrente es también la de colocarlos en patios con presos sociales o con paramilitares. Esa es una manera de amedrentar la expresión y la organización dentro de las instituciones carcelarias.
AM: ¿Cuantos presos políticos hay en las cárceles del país y cuantas son las mujeres detenidas?
PeS: En general sin hacer discriminación entre los presos políticos y los presos sociales, según estadísticas de enero 2010 del INPEC, en las mazmorras del régimen colombiano existen 139 establecimientos de reclusión con capacidad para 55.042 personas, pero se encuentran privadas de la libertad 76.471 personas, 71.644 hombres y 4.827 mujeres. De de esta cantidad 25.619 son los sindicados y 50.852 son condenados, es decir que hay 23.837 hombres y 1.782 mujeres a las que no se les ha resuelto su situación jurídica y que pese a eso las mantienen privadas de la libertad.
Nosotros estamos en esta tarea de afinar el censo respecto a los presos políticos. Hemos introducido en las cárceles un formato que se llama “formato de diagnostico” con el que hacemos un censo cuantitativo pero también valorativo de la situación. Tenemos conocimiento de una cifra de más de 7500 presos que es un número que la gente ya conoce y que está muy publicitado por internet, de los cuales 500 son los guerrilleros presos. Esta es una cifra que nosotros usamos oficialmente porque en este momento no podemos tener un dato cierto, pero seguramente son mucho más, alrededor de 1000 o 1200 son los guerrilleros presos, por la mayoría de las FARC-EP.
Alrededor de un 20% de los prisioneros políticos son mujeres. No hay distinción de género en la criminalización de la lucha política, sin embargo vale la pena mencionar que en el caso de las mujeres se reproduce y se aumenta la violación de los derechos sexuales y reproductivos, castigando a la mujer prisionera política con más fuerza que a los hombres por salirse de los esquemas femeninos que históricamente se les ha impuesto.
Hay presos políticos de todos los sectores de la sociedad colombiana, del sector campesino, obrero, estudiantil, juvenil, indígena, comunal etcétera. La represión del Estado colombiano no mira si eres mujer, si eres joven, si eres indígena, si eres campesino, no discrimina entre luchas dentro del marco legal y la lucha de las organizaciones armadas. Toda la protesta social en Colombia ha sido criminalizada y señalada de estar relacionada con el narcotráfico y el terrorismo con el fin de eliminar el delito político.
AM: ¿Por qué el gobierno colombiano no reconoce de tener presos políticos o los invisibiliza? ¿Y cómo se puede lograr que sean visibilizados?
PeS: Por la misma razón que no reconoce el estatus de beligerancia a las fuerzas insurgentes. El gobierno colombiano al reconocer el delito político reconocería también que el conflicto en Colombia es un conflicto armado de profundas raíces sociales y que tiene como origen la gran desigualdad social y económica, además, al reconocer el conflicto social y armado reconocería la gran responsabilidad de la oligarquía colombiana en el derramamiento de sangre durante más de cincuenta años. El estado colombiano esté obstinado en mantener la guerra y a darle una salida militar al conflicto, entre otras cosas porque la guerra es su negocio y no son sus hijos los que la pelean, si no los hijos del pueblo colombiano. Somos los pobres los que engrosamos las filas de la guerrilla, del ejército y del paramilitarismo, que es la otra máquina de guerra del estado colombiano. Por todas estas razones no han sido capaces siquiera de apostarle a un intercambio humanitario con las FARC como paso hacia un diálogo.
Los gobiernos narco-paramilitares en Colombia han cambiado las leyes internas para condenar las personas por muchos delitos, inclusive los delitos comunes. Ahora un guerrillero no es capturado solamente por rebelión sino es capturado por rebelión, por narcotráfico, por terrorismo y otros delitos que le han sumado para que la condena supere los 40 años. Por ello es sumamente importante antes que todo abrir la discusión, manifestar que en Colombia existen los presos políticos y que estos son el producto del conflicto social y armado que hay en el país.
AM: ¿Cómo se organizan los presos políticos en las cárceles?
PeS: Lo primero que hacen los presos políticos en la cárcel es organizarse, porque si no se organizan son más débiles y allá aprovechan para reprimirlos más duramente. Las mujeres del Buen Pastor por ejemplo se han organizado con una asociación que se llama Manuelita Sáenz. En general se organizan para defenderse de las arbitrariedades del régimen penitenciario, en algunos casos se organizan para producir artesanías y manualidades para sostenerse económicamente.
Las organizaciones políticos militares hacen esfuerzos por mantener algún nivel de organicidad de sus militantes en las cárceles pero es muy difícil porque el sistema penal colombiano ha sido transformado para evitar todo tipo de organización, para ello inventaron por ejemplo las cárceles de máxima seguridad donde los presos políticos no tiene contacto entre si y a veces ni siquiera con otros presos, en otros casos mandan a los presos muy lejos de sus lugares de origen o militancia y activismo político así se aísla al preso incluso de sus familias y de sus organizaciones.
El gobierno colombiano le teme a la organización dentro de las cárceles. Trata con la represión de mantenerle la moral baja a los presos y así los trasladan a otra zona para alejarlos de las familias. Es difícil que la familia de un campesino se desplace con 24 o 25 horas de viaje por ejemplo para llegara a la cárcel modelo de Barranquilla o a la de mujeres del Buen Pastor en Bogotá para visitar el preso. Desde Patria es Solidaridad hacemos un gran esfuerzo por alentar y apoyar todas las iniciativas de organización de los presos políticos dentro de las cárceles pese a las dificultades y a la oposición de todo el aparato jurídico y penal.
AM: ¿Como hacen desde Venezuela a dar seguimiento a los presos políticos en Colombia?
PeS: Nosotros trabajamos con los abogados en Colombia porque la única manera para darles seguimientos a los presos políticos es por parte de los abogados y de los familiares, no hay ninguna otra manera de hacerlo.
Los abogados que llevan los procesos y que trabajan con nosotros pueden entrevistarse con el preso o hacernos un diagnostico de cómo está la situación allá por lo menos respecto a la salud y a las necesidades básicas. La mayor necesidad de un preso obviamente es la libertad y el preso político está siempre con su mente afuera con su familia y con la lucha de la libertad del pueblo colombiano en cada uno de los frentes de lucha en el que se encuentre: estudiantil, campesino, obrero, sindicalista.
En Colombia tenemos colectivos de abogados que trabajan con nosotros y los aportes económicos salen por eventos que hacemos nosotros de aquí o por eventos que hacen en otros lados y que se canalizan por medio de nosotros para los familiares o los abogados.
AM. Decían que abogan por el intercambio humanitario. ¿Hay avances en tal sentido con el gobierno?
PeS: El estado colombiano no reconoce que hay un conflicto social y político, afirma que hay una guerra con narcoterroristas y entonces al reconocer un intercambio humanitario estaría reconociendo que hay una organización beligerante. Humanizar la guerra quiere decir tener una posibilidad de dialogo. Para que haya un intercambio humanitario simplemente hay que haber voluntad de las partes de querer humanizar un poco la guerra.
Reconocemos que las FARC han sido uno de los actores políticos que ha hecho con las liberaciones unilaterales un gesto muy valioso para la paz en Colombia y que el gobierno colombiano hasta el momento no lo ha querido asumir como un gesto real de paz. Además un intercambio humanitario estaría suportado por la ley nacional porque esta suportado por el Derecho Internacional Humanitario. Nosotros también abogamos por todos aquellos presos políticos que están en las cárceles del imperio. En este sentido nosotros como Patria es Solidaridad también exigimos la repatriación de Simon Trinidad, de Sonia y de otros presos políticos que están en Estados Unidos por narcotráfico y terrorismo. Sabemos que son simples montajes judiciales, una de las herramientas que el Estado utiliza para desmoralizar a combatientes de las FARC.
Obviamente las organizaciones que trabajan por los derechos humanos y por la paz en Colombia no son interlocutores validos para el gobierno colombiano en lo que se refiere al intercambio humanitario, con contadas excepciones como la organización Colombianos y Colombianas por la Paz por el reconocimiento y la gran labor de la ex senadora Piedad Córdoba. Nuestra labor por el momento se ha dado en términos de difusión de la necesidad del intercambio humanitario en Colombia, para esto es importante sumar solidaridad internacional y presionar desde el movimiento social mundial para obligar al gobierno Colombiano a discutir los términos de una verdadera paz con justicia social para todos que acabe con cincuenta años de derramamiento de sangre.
AM: ¿Se ocupan también de desplazados y de problemas de migrantes?
PeS: Estamos en la tarea también de ocuparnos de desplazados, de migrantes y de poblaciones irregulares. En Venezuela existen alrededor de 5millones de colombianos en condiciones de desplazamiento, algunos refugiados, algunos asilados, algunos simplemente desplazados económicos que ni siquiera ellos mismos se reconocen como desplazados al llegar a este país en una condición de incertidumbre donde no tienen ningún vinculo político o familiar. Les toca una vida muy difícil y desarrollar en tareas que los desvinculan inclusive políticamente. Una persona que era un luchador campesino, con su familia, con sus hijos, le toca sumarse a los cinturones de miseria de Caracas y dedicarse a la buhonería que es la venta informal a la calle y deja su condición de campesino, todo su saber tradicional de 30/40, todo eso lo pierde cuando llega aquí, porqué llega en una condición de desamparo total.
AM: ¿Cuál es la actitud de los venezolanos respecto a los colombianos?
PeS: La respuesta en general que hemos recibido de pueblo venezolano, es de plena solidaridad, está llena de profundo afecto bolivariano, así mismo la política del gobierno es una política incluyente del colombiano en la estrategia de bienestar social, que contempla el plan Simón Bolívar, en donde el fin último es la suprema felicidad social. Cualquier hecho de esclavismo, de maltrato, de abuso o de exclusión, que pueda presentarse, es claro que no es política de gobierno, sino son acciones individuales y enemigas del proceso bolivariano. Nosotros de Patria es Solidaridad, como bolivarianos consideramos que más que ser hermanos, los colombianos y los venezolanos somos un mismo pueblo.
AM: Finalmente, la campaña de solidaridad que impulsa Patria es Solidaridad con los presos políticos se llama “Plan Hermanamiento”. ¿Pueden contarnos en qué consiste?
PeS: Esta campaña consiste en que una persona o una organización se hermana con un preso político. Plan Hermanamiento es hacerle un seguimiento y un acompañamiento tanto material como moral a un preso político en Colombia.
Una asociación supongamos italiana, puede enviarle dinero, enviarle las cosas que necesita y este envío pero debe ser hecho por preso político. Puede hacer una campaña de solidaridad, una fiesta de solidaridad, un recital poético y recoger cartas o una solidaridad material. Esta solidaridad material puede llegar a nuestra asociación que se hace puente para que llegue a los presos.
En seguida los datos:
Tel: 0212–7425751
e-mail: patriaessolidaridadyahoocom (patriaessolidaridadyahoocom)
Pagina web: www.patriaessolidaridad.com.ve