Soldati nigeriani uccidono due civili. Il Mend chiede un’inchiesta internazionale
Ricordo che domani mattina su Radio Onda Rossa la seconda puntata della serie di trasmissioni sulla Nigeria e il Mend. Alle 11.
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di Edo Dominici (A Sud) per Porta Metronia
Un video di soldati nigeriani che uccidono due fratelli disarmati nel delta del Niger. Il Mend condanna le esecuzioni definendole “crimini di guerra” e richiede un’inchiesta internazionale.
Proseguono gli attacchi del gruppo ribelle agli impianti petroliferi.
Lunedì la Chevron aveva confermato danni all’oleodotto Makaraba-Utonana-Abiteye e un incendio all’impianto Makaraba Jacket 5 nello Stato del Delta. Ieri i militanti hanno colpito la stazione di Abiteye sempre gestita dalla Chevron, “provocando un altro problema ai sistemi sfociato in un vasto incendio che sta consumando l’intero impianto”, dice un comunicato del Mend. Non è stata possibile per il momento una verifica indipendente in assenza di comunicati della compagnia.
Un filmato pubblicato da diversi siti internet di giornali Nigeriani, in cui soldati della JTF uccidono sommariamente due fratelli, sta mettendo fortemente in imbarazzo il governo nigeriano. Il portavoce della JTF Abubakar ha parlato di “trovata propagandistica del Mend” e di “montatura”. Diverso l’atteggiamento del Ministro degli Esteri Ojo Maduekwe che oggi a Washington per manifestazione internazionale ha dichiarato che il “governo nigeriano sta indagando sulle esecuzioni sommarie ed extragiudiziali nel Delta del Niger”. “”Noi non tolleriamo violazioni dei diritti umani. Noi indagheremo su questo video e se sono stati commessi dei crimini i responsabili saranno puniti “.
Nel video pubblicato su Youtube – secondo quanto riferisce TheTimesofNigeria.com — si vede un uomo giovane disteso sul pontile vicino una vedetta della marina e accanto al corpo senza vita di suo fratello. L’uomo invoca per la sua vita, mentre circa 20 soldati nigeriani sono intorno a lui e gli fanno domande.
Uno dei soldati chiede in inglese “guardare la fotocamera?” Un altro soldato chiede: “Chi siete?” Poi si vede che il ragazzo impaurito sta toccando il corpo senza vita di suo fratello con la mano destra.
Il soldato nigeriano ripete l’ordine “Chi sei?”
L’uomo risponde “Boma”
“Da dove vieni ?” Chiede il soldato
“Bonny” risponde l’uomo. Poi il soldato gli spara alla testa e l’uomo muore all’istante.
Nella sua reazione, il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) chiede che alla Corte internazionale di giustizia, ad Amnesty International e a Human Rights Watch, di condurre una inchiesta giudiziaria su questo “crimine di guerra”.
In una petizione inviata alle organizzazioni, all’ex presidente americano Jimmy Carter, al Senatore americano Russ Feingold, il Mend , ha dichiarato:
“Avete visto il nastro di un omicidio extra giudiziario di due fratelli, di recente, nel delta del Niger. Questa pratica è coperta con l’impunità e viene negata dal governo e dall’esercito nigeriano.
“Non passa giorno senza che un incidente come quello che avete visto nel video. Le distruzione di proprietà e il bombardamento indiscriminato di civili da parte delle folli formazioni militare può essere lasciato alla vostra immaginazione.
“E in mezzo a queste brutalità che le major del petrolio svolgono le loro attività. Questa è la vera definizione “sangue del petrolio”, che il mondo deve condannare.
“Ci appelliamo alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale per indagare su questo crimine di guerra e per consegnare i responsabili alla giustizia.
“Noi vogliamo una commissione internazionale guidata dalle Nazioni Unite per condurre un’indagine sui crimini di guerra contro il nostro popolo da parte dello Stato nigeriano”. La dichiarazione è stata firmata da Jomo Gbomo.
La Shell sotto processo per la morte di Ken Saro Wiwa
L’ esecuzione di Ken Saro Wiwa, poeta e attivista per la difesa dei diritti umani, e di altri otto militanti del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop), da lui fondato nel 1990, avvenuta per mano di un gruppo di paramilitari il 10 novembre 1995, fu decisa dal regime dittatoriale nigeriano di Sani Abacha per reprimere la battaglia che il leader ambientalista da tempo stava portando avanti contro lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e in difesa del popolo Ogoni.
Da Ogoniland, il territorio del Delta del Niger dove questi vivono e dove sorgevano gli impianti della multinazionale anglo-olandese Shell, in 30 anni sono stati estratti 30 miliardi di dollari di petrolio, senza che gli abitanti di quella zona ne traessero alcun beneficio. Anzi,quella zona ha subito nel tempo una devastazione ambientale spaventosa e permanente, restandone definitivamente compromessa, tanto che il Delta del Niger è una delle aree più inquinate del mondo.
La Shell inoltre, per difendere le proprie attività estrattive e il proprio personale presente nella zona, negli anni scorsi ha finanziato ed armato gruppi di paramilitari, nonché la stessa polizia nigeriana, come hanno ammesso anche alcuni suoi funzionari.
Il governo nigeriano, finanziato economicamente e militarmente dalla multinazionale del petrolio ha commesso contro il popolo Ogoni numerose e documentate violazioni dei diritti umani: dalle detenzioni arbitrarie, alle torture, agli omicidi e ai sequestri, come accadde nel caso di Ken Saro Wiwa e dei suoi compagni, barbaramente torturati e infine impiccati dopo un sommario processo in cui senza nessuna prova furono accusati dell’omicidio di 4 Ogoni.
Proprio in questi giorni, ben quattordici anni dopo, si apre a New York il processo contro la Royal Dutch Shell, accusata di complicità con l’allora regime dittatoriale nell’uccisione di Ken Saro Wiwa. Se si confermassero le accuse sarebbe questo uno dei primi casi di condanna per violazione dei diritti umani di una multinazionale.
Si sono dichiarati parte civile il figlio di Ken Saro Wiwa, Ken Wiwa jr, e il fratello Owens Wiwa, che ha denunciato a sua volta la multinazionale per aver subito lui stesso torture, detenzione illegale e infine per essere stato costretto all’esilio.
La Shell ha sempre respinto tutte le accuse, tuttavia dalla morte di Ken Saro Wiwa non è più riuscita ad operare in Nigeria per le fortissime proteste della popolazione.
Oggi la resistenza nella zona del Delta del Niger continua, sebbene in forma diversa: il MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger) porta avanti, pur se con altri metodi, sicuramente diversi dalla disobbedienza civile dei militanti non-violenti del MOSOP, la legittima battaglia per la liberazione del Delta del Niger, una delle regioni più ricche della Terra e abitata da uno dei popoli più poveri del pianeta.
Il video che la Shell non vorrebbe mai farti vedere …
Delta del Niger: il conflitto continua
di Edo Dominici per A Sud
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Nigeria: Delta del Niger, combattimenti proseguono, ma per il governo “conflitto finirà presto”. Mend: Abbiamo fatto esplodere due oleodotti e cinque “flow-station”della Chevron. Eni – 50 mila barili /giorno. Il governatore del Rivers State: “Militanti combattono per una giusta causa”.
Secondo i quotidiani locali, sarebbero più di mille e cinquecento le persone appartenenti a diverse comunità della regione, in gran parte civili, uccise nei primi dieci giorni dell’offensiva dell’esercito nigeriano. È impossibile verificare la situazione nei villaggi della regione, dove ci sarebbe i civili morti e migliaia di rifugiati, poiché l’accesso ai luoghi teatro dell’operazione militare è fortemente limitato. Il Mend nella notte ha fatto saltare due oleodotti e cinque stazioni di pompaggio della Chevron. Scaroni (ENI) “Abbiamo chiesto la force majeure su 50.000 barili” in Nigeria.
Le forze armate della Nigeria hanno reso noto nel fine settimana di aver liberato diversi cittadini filippini in ostaggio dei gruppi ribelli, ma in un comunicato diffuso oggi il Mend ha smentito questa informazione, chiarendo di aver rilasciato tre ostaggi filippini come annunciato in un precedente comunicato.
Nella nota del Mend si legge anche ”Attorno alle 2 di oggi combattenti del Mend hanno distrutto importanti tronconi degli oleodotti. L’impianto della Chevron nel Delta del Niger e’ fuori uso. Colpite anche 5 stazioni di pompaggio per bloccare il rifornimento di greggio agli impianti della società petrolifera Chevron”. Le stazioni di pompaggio colpite sono quelle ad Alero Creek, Otunana, Abiteye, Makaraba e Dibi. Nel testo si afferma che questa sarà ora “la modalità standard” delle operazioni del Mend, in risposta alle operazioni delle forze governative nell’area. La notizia trova successive conferme, prima nelle dichiarazioni dell’Amministratore Delegato dell’ENI, Paolo Scaroni, che questa mattina, a margine del G8 Energia ha dichiarato: “Abbiamo chiesto la force majeure su 50.000 barili” in Nigeria, in seguito agli attacchi che hanno riguardato l’area del Delta del Niger. “Per ora sappiamo poco, quello che sappiamo e’ che hanno attaccato un impianto Chevron”, ha aggiunto Scaroni, spiegando di non poter prevedere l’impatto dell’ultima ondata di attacchi del Mend.
Sempre questa mattina i militari nigeriani hanno confermato gli attacchi agli oleodotti della regione, rivendicati dal Mend in risposta all’offensiva militare contro i militanti.
“Vogliamo informare il pubblico che … (il leader del Mend) Kingsley Opuye e il suo gruppo di militanti hanno fatto esplodere questa mattina il gasdotto della Chevron a Abiteye. Si tratta di un atto di sabotaggio che non potrà essere perdonato” ha detto il portavoce della Joint Task Force militare nella regione, Col. Rabe Abubakar.
Nella nota il Mend sostiene che i suoi militanti sono rientrati senza colpo ferire nel cosiddetto “campo 5”, che l’esercito aveva riferito di aver conquistato nei giorni scorsi e dove secondo i servizi di sicurezza si nascondeva uno dei leader del Movimento, Government Ekpemukpolo conosciuto come “Tompolo”.
“L’Unità speciale dell’esercito nigeriano (Joint task force, Jtf) – si legge nella nota firmata dal portavoce del Mend, Jomo Gbomo – ha inseguito le ombre nelle ultime due settimane e non ha ottenuto alcun successo militare, noi continueremo con la nostra tattica del gatto con il topo finché non cesserà del tutto l’esportazione di petrolio”.
Intanto il Parlamento nigeriano (la camera bassa) ha votato una mozione che richiede al Presidente Yar’Adua di estendere gli attacchi delle forze speciali dell’esercito (JTF) ai campi del Mend ( che secondo diversi rapporti sono circa 500) in tutti gli Stati del Delta.
Torna a farsi vivo anche il Vice-presidente nigeriano di origine Ijaw, Goodluck Jonathan, le cui dimissioni sono state chieste nei giorni scorsi da diverse personalità di spicco della comunità Ijaw (14 dei 20 milioni di abitanti del delta sono di etnia Ijaw) e dal portavoce del JRC (Join Revolucinary Council) Cynthya White, che coordina l’attività dei gruppi armati. Durante la visita in Nigeria del primo ministro francese Francois Fillon, la seconda carica dello Stato nigeriano, in una dichiarazione all’agenzia di stampa nazionale Nan, ha detto che il conflitto nella regione ricca di petrolio finirà nei prossimi giorni.(?!?). “Il governo – avrebbe dichiarato Jonathan – non ha intenzione di punire nessuno, ma piuttosto integrare le popolazioni della regione per gestire tutti insieme le risorse, che siano essi militanti o giovani”.
Forte invece la presa di posizione del governatore dello Stato del Rivers, Chibuike Rotimi Amaechi, che durante un incontro con gli ambasciatori stranieri e con i governatori degli stati del Delta del Niger ha dichiarato “i militanti combattono per una giusta causa”. “I militanti del Delta del Niger sono stati costretti a impugnare le armi contro lo Stato dai lunghi anni di emarginazione, ingiustizia e dalla mancata attuazione di politiche in materia di sviluppo della regione”.
La confusione delle notizie, vere o presunte tali, regna sovrana. Due soli dati certi: la produzione nigeriana di petrolio, secondo le dichiarazioni dello stesso Ministro del petrolio, è dimezzata, e gli attacchi continuano, con effetti catastrofici sull’intera economia nigeriana. Migliaia di civili innocenti continua a soffrire per gli sconsiderati attacchi della JTF, che cerca di risolvere “manu militari” un problema essenzialmente politico. Che ruolo giochino le potenti ed in fluentissime major petrolifere sul conflitto in corso non è dato sapere.
Altra notizia certa riguarda l’ENI, che in Nigeria potrebbe produrre circa 150 mila barili al giorno, la Società italiana già nei mesi scorsi non riusciva a produrre più di 120–125 mila barili a causa dei danni agli impianti causati dagli attacchi. La scorsa settimana era stata dichiarata la clausola di “force majeure” per 9 mila barili, se sommiamo i 50 mila di questa mattina e facciamo due conti ci accorgiamo che la compagnia petrolifera “guidata” dallo Stato stà perdendo ogni giorno metà della sua produzione prevista… in silenzio, in mezzo a un conflitto. Ma i tanto decantati rapporti dell’Eni con le “comunità locali” ?
Delta del Niger: il Mend dichiara l’inizio di ” una grande guerra del petrolio”
“…Loro vivono lì e noi qui. Già. Oggi mentre tornavo a casa guardando gli stranieri ed in particolare gli africani alle fermate dell’autobus pensavo che una volta si andava dall’Europa a prenderli con le navi mentre ora per diventare “schiavi” come i loro antenati devono pure pagarsi il viaggio su barconi fatiscenti…Così va il mondo, purtroppo, nell’indifferenza generale, in una sorta di egoismo legalizzato e il dramma che ogni giorno va in scena in tutti i Delta del Niger del mondo sembra proprio non appartenere a nessuno…” (un commento sul sito Portametronia)
di Edo Dominici per A Sud
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Nel Delta State l’esercito attacca un campo del Mend sarebbero almeno 200 i militanti uccisi, tra loro potrebbe esserci Government Ekpemukpolo alias Tompolo . Ucciso da un “colpo vacante sparato dall’esercito” uno degli ostaggi filippini.
Una giornata di combattimenti e comunicati, di morti reali o presunti ‚di vittorie schiaccianti e di smentite, in una regione nella quale i giornalisti non sono tollerati dall’esercito e dove spesso anche i rari quotidiani locali hanno difficoltà a verificare sul campo quanto sta realmente accadendo. Il bilancio degli scontri di venerdì, secondo il Vanguard , tra civili, soldati e militanti potrebbe essere di oltre 250 morti.
Il Movimento per l´emancipazione del delta del Niger (Mend) oggi ha ribadito la dichiarazione di «guerra totale» in tutta la regione del Delta del Niger.
«Il Mend dichiara guerra nella regione e invita tutti gli uomini adulti a sostenere la lotta per la nostra libertà – si legge in una dichiarazione pubblicata dai media nigeriani — Le forze armate nigeriane venerdì hanno eseguito bombardamenti aerei indiscriminati sulla popolazione civile inerme nella zona di Gbaramatu nel Delta State come punizione per l´umiliante sconfitta subita quando mercoledì 13 maggio quando i reparti della JTF (le forze speciali dell’esercito nigeriano) hanno cercato di assalire con un raid due campi di militanti.
Le vittime del bombardamento sono soprattutto donne, bambini e anziani che non sono potuti fuggire rapidamente nella boscaglia o in mare aperto. Considerato che questi sono i bersagli presi di mira dal governo per difendere la sua falsa pace e la finta proposta di amnistia, il nostro scetticismo si è rivelato più che corretto. Ribadiamo ancora una volta il nostro ordine a tutte le compagnie petrolifere di evacuare entro il termine della mezzanotte di oggi (Venerdì) e di cessare la produzione di petrolio fino a nuovo avviso. Questa è l´ultima volta che un tale avviso viene rilasciato».
Oggi la marina e l’esercito nigeriano hanno nuovamente attaccato i militanti del Campo 5 del Mend, comandato da Tom Polo, lungo il Chanomi Creek nel Delta, lo stesso attaccato mercoledì . Secondo Jonjon Oyeinfe, ex leader del Ijaw Youth Council, scontri sono in corso anche sul fiume nelle vicinanze del terminale della Chevron di Forcados.
Il portavoce dell’esercito, il colonnello Rabe Abubakar ha detto che le forze armate nigeriane hanno attaccato il Campo 5 con mezzi pesanti compresi cannoni e copertura aerea «per scovare i criminali dopo il dirottamento di due petroliere (tra cui la MV Spirit), gli attacchi contro i soldati e le minacce alle imprese petrolifere perché evacuassero il loro personale nel corso degli ultimi giorni. La task force militare non può alzare le mani e consentire che questo tipo di eventi continuino».
Secondo il portavoce dell’esercito l’operazione ha avuto inizio a Oporoza dove c’era poca resistenza all’attacco dei militari. Il conflitto a fuoco è avvenuto dopo che i militanti hanno lasciato il grande Campo 5.
Dopo il raid ad Oporoza i soldati si sono trasferiti vicino Kunukunuma e Okerenkoko, tutto intorno alle insenature di Chanomi dove i militanti si sarebbero ritirati.
Secondo il colonnello Abubakar il comandante dei militanti del Campo 5 Government Ekpemukpolo alias Tompolo potrebbe essere rimasto ucciso, ma la notizia non può essere verificata. Sempre secondo il portavoce militare i militanti uccisi sarebbero più di 200.
In serata Jomo Gbomo portavoce del Mend ha comunicato che durante l’attacco uno degli ostaggi, tutti di nazionalità filippina, è rimasto ucciso colpito da una pallottola vacante sparata dall’esercito.
Intanto la direzione della Shell Petroleum Development Company (SPDC) ha riferito che ha cominciato ad evacuare il proprio personale dalla travagliata area mentre la Chevron Nigeria Limited (CNL) ha dato delle restrizioni alla circolazione dei lavoratori all’interno degli impianti.
Difficile dire cosa sta realmente accadendo e dove possa portare questo conflitto. Tra comunicati e smentite di vittorie vere o presunte c’è la certezza di 20 milioni di civili che vivono con meno di un dollaro al giorno in una zona ricchissima di petrolio e sono spesso loro le vittime inermi del conflitto che ormai rischia di coinvolgere tutte le comunità e gli Stati del delta del Niger.
In questi tre giorni i combattimenti si sono svolti tutti nel Delta State, ora il rischio concreto che la “guerra del petrolio” si estenda agli altri Stati della regione è sempre più concreto, soprattutto nel Bayelsa e nel Rivers dove ci sono numerosi gruppi affiliati al Mend.
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Questa invece è un’agenzia Apcom sulla situazione rispetto all’Italia:
Roma, 13 feb. (Apcom) - Il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) rilancia gli attacchi contro la compagnia petrolifera italiana Agip in Nigeria e alza il tiro parlando di una “grande guerra del petrolio”. “Il Movement for the Emancipation of the Niger Delta (Mend) è venuto a sapere che un individuo senza scrupoli chiamato ‘Octopus’ (piovra) ha rassicurato l’Agip di poter sventare l’attacco programmato contro le aziende italiane sul Delta del Niger”, ha affermato il portavoce dei ribelli, Jomo Gbomo, in un’email inviata ad Apcom. Quest’uomo — prosegue Gbomo — è la stessa persona che ha “pagato un riscatto con l’aiuto della famiglia Daukoru e il primo pronto a negare pubblicamente di aver pagato un riscatto”. Il portavoce si riferisce a Gladys Daukoru, la moglie dell’ex ministro dell’Energia, Edmund Daukoru, rapita a inizio febbraio a Port Harcourt e rilasciata pochi giorni dopo, secondo il Mend, grazie al pagamento di un riscatto di 2,5 milioni di dollari. Per fugare ogni dubbio, Il movimento dei ribelli nella mail, sottolinea: “Vogliamo ribadire ancora una volta la nostra determinazione a danneggiare gli affari italiani a tempo debito”. Il Mend afferma di aver respinto l’offerta di denaro e la richiesta della “piovra” e dei suoi soci criminali dentro l’Agip per rovesciare la decisione. E non finisce qui. Nel mirino del Mend c’è ancora il ministro degli Esteri Franco Frattini, in tour in Africa in questi giorni: “E’ piuttosto spiacevole che invece di venire in Nigeria con un ramo d’olivo, il ministro italiano abbia scelto di venire con un ‘regalo greco’ che porterà ora a una grande guerra del petrolio”. Le sue affermazioni mostrano chiaramente, ha concluso Gbomo, che “il governo italiano ha scelto ancora una volta di stare con la parte sbagliata come fece Mussolini”. Quando la guerra sarà terminata e il Delta del Niger “emancipato”, il Mend “ricorderà solo quei paesi che sono stati dalla parte della giustizia”.
Il Vertice delle Americhe e il Vertice dei Popoli di Trinidad e Tobago: La riappacificazione tra i potenti di sempre e i “discoli” passa sulla testa dei soggetti realmente antagonisti
Nell’entusiasmo generale che ha accompagnato il Vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago, è sfuggito agli osservatori internazionali che hanno seguito con trepidazione forse eccessiva l’incontro e la “storica” stretta di mano tra il neo presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello del Venezuela Hugo Chávez, che alcune ore prima, mentre i media internazionali si beavano di un’atmosfera festosa da inizio di nuovo mondo, all’aeroporto dell’isola venivano arrestati senza nessuna spiegazione alcuni rappresentati dei movimenti antagonisti sociali latinoamericani che erano appena arrivati per partecipare al contro Vertice dei Popoli, la risposta organizzata dei movimenti al Vertice istituzionale dei capi di Stato.
Le delegazioni fermate sono state quelle del Brasile, del Venezuela, di Cuba e di Porto Rico. Questi due ultimi paesi sono i due grandi esclusi dal Vertice delle Americhe, sebbene i riflettori come ogni anno siano accesi più sull’assenza di Cuba (che alla fine si trasforma di fatto in una grande presenza a livello mediatico) che su quella di Porto Rico.
Ai delegati di questi paesi, appartenenti a diverse associazioni latinoamericane sono stati sequestrati i passaporti e dopo essere stati trattenuti alcune ore in stato di fermo senza nessuna giustificazione né motivazione, sono stati rilasciati con la minaccia che se avessero organizzato qualunque tipo di manifestazione sarebbero stati arrestati nuovamente ed espulsi dal paese.
Diversamente è andata però ad uno degli appartenenti della delegazione di Porto Rico, le cui già note forme di protesta pacifiche ma spettacolari e di grande impatto hanno sempre riscosso grande simpatia. Alla notizia infatti dell’arrivo all’aeroporto del leader ambientalista Alberto de Jesús,alias Tito Kayak, militante del gruppo ambientalista Amigos del M.A.R (Movimiento Ambiental Revolucionario) la polizia locale di Trinidad e Tobago in sinergia con l’FBI ha preso contro di lui misure straordinarie e gravemente lesive della libertà di movimento e del diritto di protesta pacifica delle persone.
Tito Kayak è stato accolto al suo arrivo all’aeroporto di Trinidad e Tobago da un nutrito numero di poliziotti armati fino ai denti che lo hanno ammanettato appena sceso dalla scaletta dell’aereo davanti a tutti gli altri passeggeri.
“Non so perchè mi hanno arrestato” ha commentato Kayak. “”Non potevano permettere che la mia presenza in nessun modo rovinasse quello che si sarebbe celebrato il giorno dopo” ha detto in un’intervista.
Tito Kayak da anni porta avanti una lotta del tutto pacifica, ma espressa sempre spettacolarmente, per chiedere l’indipendenza di Porto Rico dagli Stati Uniti, sotto il cui dominio si trova dal lontano 1898, dal tempo della guerra Ispano-Americana.
Nel 2005 fu arrestato per aver cercato di togliere la bandiera degli Stati Uniti sostituendola con quella di Porto Rico dalle aste davanti agli Uffici delle Nazioni Unite a New York; sempre nello stesso anno si è arrampicato sulla Statua della Libertà e nel suo paese e nell’intera area caraibica è conosciuto per le proteste ambientali e politiche che compie sul suo kayak.
Ha detto Tito che non gli sono stati spiegati i motivi del suo arresto durato una intera notte a Trinidad e Tobago e che al mattino seguente è stato rimesso su di un aereo che lo ha riportato a Porto Rico senza nemmeno avergli riconsegnato il passaporto. Al suo arrivo è stato interrogato a lungo da un agente dell’FBI.
“Non ci sono dubbi che dietro quanto accaduto ci sia il governo statunitense” ha dichiarato con convinzione Tito Kayak. Il grande show del vertice delle Americhe non poteva essere rovinato dalla presenza di un pacifista ambientalista già noto per le sue proteste improvvise e spettacolari.
L’agenda del Vertice delle Americhe come sempre viene stabilita dagli Stati Uniti e se era stato deciso che questo era il momento di accendere i riflettori sull’incontro tra Obama e Chávez e sull’apertura verso Cuba, non sarebbe stato permesso nessun “fuori programma” che avesse portato l’attenzione su problematiche sulle quali l’amministrazione di Obama non ha ancora deciso di prendere posizione, come per esempio la richiesta di indipendenza di Porto Rico.
La riappacificazione tra i potenti di sempre e i “discoli” (Chávez ma anche Raúl Castro) passa sempre sulla testa dei soggetti realmente antagonisti che non ci stanno a subire un’agenda dettata dall’opportunismo del momento e dalle convenienze economiche.
Gli antagonisti di sempre riuniti nel Vertice dei Popoli che si è svolto regolarmente nonostante i tentativi del potere di boicottarlo e cancellarne la presenza delle sue voci più significative, hanno discusso di crisi economica, di ambiente, di alimentazione, di cultura, di disarmo.
Hanno convenuto che al pari dell’analisi delle cause della crisi economica attuale è importante mettere in atto strategie appropriate per affrontarla.
Sono state denunciate realtà dove ancora viene applicata una schiavitù di tipo moderno e dove gli immigrati, vengono sfruttati in condizioni disumane, concludendo che la globalizzazione e le sue politiche economiche stanno alla base dei moderni e massicci fenomeni migratori.
Hanno chiesto che sia Cuba ma anche Porto Rico vengano ammessi a partecipare ai vertici internazionali, e per la piccola colonia a stelle e strisce è stata chiesta l’indipendenza.
I popoli, i veri attori di questo vertice, le donne e gli uomini latinoamericani, i giovani studenti, gli operai, i sindacalisti, i contadini e gli indigeni hanno chiesto che la loro terra sia smilitarizzata, che vengano smantellate le basi militari, che la IV Flotta degli Stati Uniti di pattuglia nella regione lasci le acque del Mar dei Caraibi, che vengano rispettate le garanzie e i diritti individuali e dei popoli calpestati dagli Stati nel nome della politica di “sicurezza democratica”.
Hanno chiesto di essere ascoltati, hanno concluso che “ascoltare i popoli ed operare in funzione dei loro interessi e non dei guadagni di pochi è l’unica via di uscita alla crisi, durevole, sostenibile e che va nel senso di un’America più giusta”.
Vedi la fotogalleria di Tito Kayak
26 marzo: Giornata Internazionale della Resistenza Armata
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Si sono conclusi in Venezuela, a Caracas, il 26 marzo, dichiarata “Giornata Internazionale della Resistenza Armata”, gli incontri della Scuola Continentale di Formazione Marxista “Manuel Marulanda”, organizzati dalla Coordinadora Continental Bolivariana (CCB).
Come è noto la Coordinadora Continental Bolivariana, (in via di trasformazione in Movimiento Continental Bolivariano), è un coordinamento latinoamericano che, solidale con le lotte di liberazione delle popolazioni oppresse e vicino ai movimenti sociali, organizzazioni contadine, indigene e sindacali della regione, non ha mai discriminato forme diverse di lotta, a partire da quella armata. Semplicemente, in alcune particolari condizioni di sfruttamento e oppressione si considera che questa sia un diritto inalienabile dei popoli, una “risposta possibile a pressioni sociali ricorrenti e ingiuste” come ha dichiarato lo scrittore e analista politico messicano Carlos Montemayor in questa intervista rilasciata qualche mese fa a chi scrive.
La scuola Continentale di Formazione Marxista Manuel Marulanda vuole essere uno spazio permanente e un momento importante di formazione per quadri di base e quindi per tutti quei rappresentanti sindacali, contadini, difensori dei diritti umani o semplici militanti affinché possano operare e attuare richieste e trasformazioni nella società consapevoli del loro ruolo e della loro missione. Partire dallo studio dei classici del marxismo e delle esperienze rivoluzionarie internazionali, può essere un momento importante di riflessione in questo periodo di crisi del capitalismo e del neoliberismo, ma soprattutto deve essere uno strumento valido per coloro che hanno deciso di fare della politica e della propria militanza un’opportunità per tutta la collettività.
I lavori e gli incontri della scuola sono stati inaugurati il 20 marzo scorso dall’intellettuale marxista argentino Nestor Kohan con una conferenza sul tema “Materialismo, Dialettica, e Filosofia della Prassi”. (Qui una sua intervista in italiano rilasciata alla agenzia ABP)
Carlos Casanueva Troncoso, segretario generale della CCB e dirigente del Partito Comunista del Cile, introducendo i lavori ha salutato la vittoria del FMLN nelle ultime elezioni presidenziali in El Salvador e ha dichiarato che nonostante fosse prevista ai seminari una partecipazione di circa 60 persone, le presenze registrate sono state ben superiori alle 250.
Sono intervenuti apportando contributi importanti nonché la loro personale esperienza di militanti e rivoluzionari, oltre ad Amilcar Figueroa del Parlatino, Paul del Río, presidente del Cuartel San Carlos, Narciso Isa Conde della presidenza collettiva della CCB, anche numerosi delegati e rappresentanti del Partito Comunista del Venezuela, mentre Iñaki Gil de San Vicente de Heuskal Herria, della presidenza collettiva della CCB, non potendo essere presente per motivi di salute al seminario, ha inviato la sua esposizione sul tema: Marx e tutte le forme di lotta, la violenza e l’aspetto militare in Marx.
Le attività della scuola e gli incontri non potevano non essere caratterizzati da un forte appoggio solidario con la lotta dell’insorgenza colombiana delle FARC e grande enfasi è stata data alla figura del leader guerrigliero colombiano deceduto proprio il 26 marzo dell’anno scorso, Manuel Marulanda, alias Tirofijo.
Lo stesso tema della vigenza della lotta armata e della sua legittimità, che accesi dibattiti e opinioni controverse suscita anche nel nostro continente, è stato indubbiamente centrale a quasi tutti i seminari ed è stato l’argomento principale del foro conclusivo sulla “combinazione di tutte le forme di lotta e la violenza in Carlo Marx” tenutosi simbolicamente nel Cuartel San Carlos, centro di detenzione e tortura soprattutto negli anni ’70 ma in uso fino a tutto il 1994 (vi fu rinchiuso nel 1992 anche Hugo Chávez).
Gli incontri si sono conclusi con un corteo autorizzato dal municipio Libertador verso la piazza Marulanda dove un busto del guerrigliero è stato inaugurato lo scorso mese di ottobre.
Al riguardo ha segnalato Narciso Isa Conde che questa commemorazione è stata possibile nell’ambito dello spazio dell’autonomia di alcune organizzazioni del potere popolare e che “una cosa sono le relazioni tra gli stati e un’altra l’esercizio del diritto dei popoli all’interno di tali stati”.
Percorsi diversi caratterizzano il Venezuela di oggi, sempre sospeso tra passato e presente ma sempre più deciso a partire dalla base, in un percorso che trova riscontro anche nelle istituzioni, a ridare dignità al popolo. Perchè no? Partendo anche da quei simboli che nel bene o nel male hanno segnato la cultura di una intera regione.
E così mentre si accoglie una scuola di pensiero marxista che legittimi il diritto dei popoli all’insorgenza (diritto riconosciuto come inalienabile in altre diverse situazioni geopolitiche) o si innalzano busti a Manuel Marulanda o a Che Guevara o a Emiliano Zapata, viene rimossa la statua di Cristoforo Colombo dal parco del “Calvario”.
E non si tratta di “riscrivere” la storia come la miopia tutta eurocentrica di Rocco Cotroneo vorrebbe far credere ai lettori del Corriere della Sera, ma semplicemente di restituire centralità alla consapevolezza della realtà storica latinoamericana e quindi di viverla finalmente da protagonisti e non da soggiogati, in un percorso che vuole essere più sociale che storico, più culturale che politico.
Non si tratta di un “richiamo alle origini indigene del Venezuela, evidente nei tratti somatici del suo comandante” come sottolinea il Cotroneo con una punta di razzismo, ma della rivalutazione delle figure eroiche continentali che fino a questo momento sono state oscurate e nascoste dall’iconografia occidentale dominante.
E se finalmente il 12 ottobre legittimamente potrà essere chiamata “Giornata della resistenza indigena”, allora salutiamo con la simpatia che nutriamo da sempre per tutti i popoli oppressi, il 26 marzo “Giornata Internazionale della Resistenza Armata”.
Grecia: disordini
Fonte: gli amici di QuiNews.it