BOLOGNA - Una caotica battaglia in bilico fra Tolkien, NoTav e Star Wars scoppia sotto le mura di Bologna. È il mural di Blu, writer di successo, su una parete dell’XM24, centro sociale occupato a perenne rischio sgombero. Wu Ming 1 e Wu Ming 4, due “senzanome” del collettivo di scrittura che da Q in poi ha rivisto la tradizione del romanzo storico, hanno voluto farla qui, l’intervista, e si capisce perché: “Si parla sempre da un luogo preciso della storia”. Il loro spalto, la loro posizione, la spiegano subito a chi entra in Giap, il loro blog di politica, dove ora si può scaricare l’ebook con “cento storie sulla fine catastrofica del governo Letta”: “Siamo di sinistra, una sinistra sociale diffusa, dei movimenti, tendenzialmente extra-istituzionale”. Fonte: La Repubblica di Michele Smargiassi Vuol dire che si può ancora indossare, questa parola, sinistra? WM1: “Dipende da chi lo fa. Chi sei tu che te la provi addosso? Uomo o donna? Dove vivi? Dipendente o autonomo, stabile o precario? Sinistra non è una parola, è una visione del mondo, non è fatta per un soggetto immaginario, cambia secondo la posizione da cui la dici. Come parola disincarnata è solo un’imperfetta metafora spaziale, bidimensionale, dunque inadeguata perché il mondo è pluridimensionale, e poi ha un sottotesto “parlamentare” che pesa perfino quando la usi in modo extraparlamentare…”. (altro…)
Presentato al Festival del Cinema Latino di Chicago il documentario del produttore e giornalista basco Unadi Aranzadi “Nosotras, las centroamericanas” (Noi, le centroamericane).
Secondo le Nazioni Unite, l’ America centrale e’ la regione del mondo dove si registra il maggior indice di violenza contro le donne. Rispetto a questa realtà i mezzi di comunicazione affrontano il tema in modo morboso e sensazionalista, ciò nonostante, in questa analisi documentale, il produttore e giornalista Unadi Aranzadi denuncia che ben oltre il patriarcato, esiste un sistema economico ingiusto che rende possibile e facilita la violenza contro le donne.
“Pubblichiamo l’Appello in favore di Checchino Antonini, giornalista di Liberazione condannato a otto mesi di carcere per un articolo sulle violenze al G8 di Genova. Checchino Antonini è co-autore, assieme a Francesco Barilli e Dario Rossi, di Scuola Diaz: vergogna di Stato, sul quale pende una denuncia per “diffamazione” del questore Fournier, ed è l’autore di una serie di articoli che hanno contribuito in maniera decisiva a svelare la verità sulla morte di Federico Aldrovandi.
Questa condanna ha quindi il suono sinistro e inquietante di un avvertimento: ci sono verità, recenti e lontane, che non devono essere dette.” (fonte Carmilla)
APPELLO
Martedì 10 febbraio, il tribunale di Roma ha condannato per diffamazione, a otto mesi, il cronista di Liberazione, Checchino Antonini, e il suo ex direttore, Piero Sansonetti. I fatti risalgono al 2005 quando l’allora capo della polizia, De Gennaro, attribuì ottimi voti, relativi al 2001, a due funzionari coinvolti nelle violenze di quell’anno al G8 di Genova. Gigi Malabarba, allora capogruppo al Senato di Rifondazione, denunciò quei criteri di valutazione e di selezione dei quadri di Ps ma fu a sua volta attaccato dalle dichiarazioni dei segretari di alcuni sindacati di polizia che facevano quadrato attorno al Viminale. Liberazione raccontò di quello scontro, tutto interno alla battaglia per verità e giustizia sui fatti di Genova. E per quel racconto si è trovata sulle spalle una denuncia, e poi una condanna. Dopo quasi dieci anni, guai a toccare Genova 2001.
Checchino Antonini e Piero Sansonetti sono stati condannati per aver svolto il proprio lavoro come hanno sempre fatto, senza mai aver derogato alla propria serietà professionale.
La solidarietà con i due cronisti ci sembra doverosa. Perché serve oggi a tenere aperti gli spazi per il conflitto sociale, per il diritto di cronaca, per tutte le battaglie di verità e giustizia in quello che, il familiare di una vittima della strage di Brescia, chiama il Paese dei comitati. Doverosa anche per non smettere mai di ricordare cosa è stato il G8 di Genova 2001, quali libertà fondamentali sono state violate e quali ragioni di libertà sono state gridate. Da tutti noi.
Solidarietà con Piero Sansonetti e Checchino Antonini, giornalisti condannati per aver denunciato gli orrori del G8.
Riapriamo gli spazi per il diritto di cronaca, torniamo a parlare di Genova 2001
per adesioni
info: facebook, solidarietà a checchino antonini
Il collettivo Primo Maggio ha pubblicato questo interessante manuale di orientamento per lavoratori e lavoratrici migranti, potete farlo girare o stamparlo e diffonderlo dove credete piu’ opportuno.
Tratto dal sito del museo:
E’ possibile dare significato al passato, attualizzare la storia e trasformarla in una esperienza ancora “aperta”?
E’ da questa domanda che ha preso avvio il progetto di realizzare un Museo delle intolleranze e degli stermini, con lo scopo di conservare la memoria delle intolleranze e dei genocidi del passato. Crimini che non rappresentano residui lontani, ma pericoli costanti: persistono infatti nel presente fattori di violenza, conflitti etnici, terrorismi, violazioni e negazioni dei diritti umani che provocano insicurezza e impongono una lettura critica del Novecento.
Si tratta di un bilancio drammatico che mostra come la pratica dell’intolleranza possa risultare, in qualche modo, “normale” e mostra ancora come valori quali il rispetto per l’altro e l’accettazione della diversità non siano scontati ma, piuttosto, il frutto di un lungo processo culturale e di una conquista educativa che non è mai irreversibile.
E’ un bilancio che smentisce altresì qualsivoglia illusione sull’automatico superamento della “barbarie” ad opera della modernità e del “progresso”: al contrario, la storia degli ultimi secoli sta a dimostrare come la tendenza alla distruzione ed allo sterminio si coniughi drammaticamente con la modernità.
Questo museo mira dunque ad una presa di coscienza della “banalità del male”, ovvero dell’estrema facilità con la quale ci si può lasciare travolgere da ondate di intolleranza e di sopraffazione: ciascuno di noi, quindi, potrebbe essere candidato ad un ruolo di soggetto attivo.
Ecco allora il significato possibile di un museo di storia: un luogo virtuale che, attraverso documenti, testimonianze, percorsi tematici, cerca di rivisitare un passato rimosso e propone il confronto con memorie molteplici e diverse.
Un museo il cui intento è di individuare le radici culturali, le situazioni e i meccanismi sociali che hanno attivato e favorito razzismi e intolleranze.
La dimensione virtuale ha un duplice significato: è una struttura “aperta”, che suggerisce ulteriori domande e approfondimenti, ed ha una funzione dinamica, capace di sollecitare nuove indagini su temi e scenari diversi.
L’epoca attuale sembra aver perso il legame col passato, mentre la dimensione prevalentemente visiva della sua cultura pare mettere in crisi i modelli tradizionali di trasmissione del sapere. La sfida di questo museo è di usare la tecnologia per facilitare la ricerca, per costruire uno spazio utile per vedere, per leggere, per comprendere. E’ uno strumento di trasmissione storica, un percorso di lettura problematica del passato che ripercorre temi e rilevanze del secolo scorso. Lo scenario che ne deriva non riguarda nessun paese in particolare, ma assume la trasversalità e la dimensione internazionale come carattere proprio e come modalità del racconto.
Le sette ricerche che costituiscono la sezione “Percorsi storici” sono state scelte per privilegiare i “luoghi dell’oblio”, argomenti poco indagati e talora rimossi. E’un criterio di selezione che può spiegare l’assenza, in questa prima fase, di un tema come la Shoah, “evento” centrale del Novecento, mentre sono presenti la persecuzione dei Rom e degli omosessuali.
I temi di ricerca sono attraversati anche da una proposta di lettura problematica suggerita da cinque “parole chiave”.
Agli approfondimenti presenti nella sezione ‘Percorsi storici’ (schede, fatti, cronologie, documenti, bibliografie, sitografie), questo ulteriore segmento museale suggerisce stimoli di riflessione intorno a parole “innocenti”: normalità, sicurezza, identità, civiltà, modernità . Esse vengono comunemente considerate portatrici di valori positivi ma in troppe esperienze storiche hanno prodotto esiti inquietanti e nefasti.
I percorsi “Intolleranze quotidiane”, infine, riportano l’indagine sugli scenari contemporanei, sui modi di produzione ‘spontanei’ di stereotipi, pregiudizi, discriminazioni che spesso, nell’indifferenza generale, partoriscono fenomeni di esclusione e persecuzione fino alle forme più devastanti di violenza.
E’ una chiave di lettura del mondo attuale tesa ad evidenziare come sopraffazioni e razzismi siano ancora minacce incombenti.
Si tratta di un’ipotesi di lavoro che riconduce al senso generale di tutta l’iniziativa: attivare la conoscenza storica di un passato che va conservato e trasmesso per poter interagire con il presente. In questa direzione il Museo virtuale delle intolleranze e degli stermini intende fornire strumenti, proposte di studio e di riflessione.
Cito da Tanoka:
“In spagnolo bitácora é un termine marinaresco, una cassa di legno vicino al timone che con il tempo é diventato anche sinonimo di “giornale di bordo”, “diario di viaggio”, cuaderno de bitácora. Qui in argentina lo usano i puristi della lingua castigliana per riferirsi ad un blog”.
Invece il Migratore Clandestino Pippo Pisano, ha recensito qui tutti i blog italiani che parlano di America lataina. Un ottimo lavoro.