(Foto Simone Bruno)
La testimonianza di Simone Bruno, dalla Colombia.
L’attentato contro la consigliera maggiore del Cric, Aída Quilcué, ricorre nel diciassettesimo anniversario del massacro del Nilo, quando 20 indigeni, incluse donne e bambini, furono massacrati da agenti statali Colombiani.
Per quei fatti il governo si è dichiarato colpevole e ha chiesto pubblicamente scusa, impegnandosi a seguire le raccomandazioni della Commissione Interamericana dei diritti umani per risarcire il popolo Nasa a livello individuale e collettivo. Cosa che ancora non ha fatto.
Un altro 16 di Dicembre e un altro attentato contro il popolo Nasa.
Poco prima dell’alba la macchina del Cric stava andando da Belalcázar a Popyan quando è stata raggiunta da diverse raffiche di mitra. I colpi hanno colpito il veicolo di fronte e su uno dei lati uccidendo Edwin Legarda, sposo di Aída.
Secondo il generale Justo Eliseo Peña, comandante della terza divisione dell’esercito Colombiano a sparare sarebbe stato un gruppo di soldato campesinos, ossia una di quelle istituzioni del governo centrale che legalizzano il coinvolgimento dei civili nel conflitto interno Colombiano, o che, secondo alcuni settori sociali, legalizza ancora una volta il paramilitarismo nel paese.
Quel veicolo è quello nel quale Aída Quilcué percorre giornalmente quella stessa strada. Aída è una delle leader più visibili a livello nazionale della Minga conclusasi poche settimane fa. L’attentato è avvenuto vicino il municipio di Totoró, all’interno di una riserva indigena. Nel momento in cui scriviamo la guardia indigena ha arrestato 40 militari, che si trovavano all’ interno della riserva e quindi soggetti alle autorità ancestrali.
Questo attentato avviene nell’ambito di una offensiva che ha colpito il Cric da quando è terminata la Minga. Sono stati emessi ordini di cattura contro i coordinatori della guardia indigen e lo scorso 13 di Dicembre è stata saccheggiata la Radio Pa‘yumat nel Cerro de Munchique Los Tigres, dove sono stati manomessi l’antenna di trasmissione e altri apparati.
Por Simone Bruno - Colombia
Difícil creer al general Justo Eliseo Peña, comandante de la tercera división del Ejército Colombiano, que aseguró, en una entrevista con La W Radio, que un grupo de soldados campesinos disparó por error contra la camioneta de la Cric (consejo regional indígena del Cauca), en el cual usualmente se moviliza la líder Aída Quilcué.
A menos que el general no se refiera al error de haber matado al esposo de Aída y no a la líder indígena.
La camioneta iba a recoger la consejera mayor Aída Quilcué en Popayan cuando a las 4 de la mañana fue refagueada por hombres del Ejército Nacional mientras pasaba por la finca San Miguel de propiedad del Señor Bolívar Manquillo, en la vereda Gabriel López del municipio de Totoró. “En esta finca hay presencia permanente de tropas del ejército Nacional” afirma el comunicado de la ACIN (asociación de cabildos indígenas del norte del Cauca).
A su interior iba una misión medica y Edwin Legarda, esposo di Aída. Los 17 golpes disparados contra el vehículo han tenido impacto en los lados y en la parte frontal, cosa que contradice la versión oficial, según la cual los militares dispararon porque el carro no paró en un retén. Edwin recibió 3 balas, una en el tórax y dos en las piernas. Llegó vivo en el hospital de Popayán en donde murió poco despues.
La Cric y la Acin confirman que testigos oculares aseveraron que en el área no había ningún tipo de retén militar. La misma Aída Quilcué dijo: “el atentado era para mi” y agregó que “ante este vil atentado, que reafirma el cumplimiento de las amenazas reiterativas al CRIC y a la ONIC, por atrevernos a contar, movilizar, desalambrar senderos y pensamientos, denunciar la crisis humanitaria y genocida que viven nuestro pueblos, no nos callará, por tanto el claro que el atentado contra el CRIC es un atentado contra la ONIC, el Movimiento Indígena colombiano y a todos aquell@s que nos atrevemos a proponemos cambios desde el sentir de los pueblos”.
Hoy es el 16 de Diciembre, y recurre también el decimoséptimo aniversario de una de las masacre más violenta y simbólica perpetrada contra los indígenas del Cauca. La masacre del Nilo, en la cual agentes del estado han matado 20 comuneros, incluidos mujeres y niños. Por esta masacre el estado ha reconocido su responsabilidad, pedido perdono y prometido reparación individual y colectiva, que hasta hoy no ha cumplido.
La Consejera Mayor había regresado a penas ayer desde Suiza, como una de las delegadas de la ONIC (organización Nacional Indígena Colombiana) ante la asamblea de evaluación de los 60 años de la ONU”.
Era entonces fácil imaginar que se seria desplazada en este misma camioneta por este mismo camino que cada día recorre. Este hecho y la fecha simbólica del 16 de Diciembre asombran de dudas la versión oficial del error.
Desde que se supieron los hechos los indígenas han rodeado la base militar en Totoró pidiendo la admisión de responsabilidad y de juzgar los responsables según las leyes ancestrales, como previsto por la constitución Colombiana.
El presidente de la ONIC Luis Evelis Andrade denunció a la agencia Efe que las amenazas contra los pueblos del suroeste, se incrementaron desde la reciente “minga” por efecto de los señalamientos por parte de altos cargos del Gobierno del presidente Álvaro Uribe.
Este atentado se enmarca efectivamente en una serie de hechos y amenazas, como las ordenes de capturas contra los coordinadores de la guardia indígena, y el asalto contra la radio comunitaria Pa‘yumat en el Cerro de Munchique Los Tigres, donde están ubicados todos los equipos de transmisión y la antena. Una estrategia de “agresión integral” contra los indígenas por parte del estado y de los grupos insurgentes. Esto se explica por el rechazo por parte de los indígenas del conflicto en sí mismo, no importa por cual actor venga. Atacar la idea de la guerra es atacar quienes de esta viven y que con esta se reproducen: la insurgencia y el ejército nacional que vive de los enormes gastos del plan colombia.
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foto de Simone Bruno
Nello stabilimento FIAT di Pomigliano d’ Arco la crisi e’ piu’ dura che negli altri. Ricevo e pubblico volentieri due comunicati al riguardo, quello di Gerardo Giannone, segretario PDCI e quello dei Cobas relativo al licenziamento di Mimmo Mignano e all’istituzione della Cassa di Resistenza.
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LA FIAT A POMIGLIANO FARA’ UN MESE DI CASSA INTEGRAZIONE IN PIU’ RISPETTO AGLI ALTRI SITI.
SI RITORNA IN FABBRICA IL 9 FEBBRAIO ANZICHE IL 12 GENNAIO.
dichiarazione stampa del segretario del PdCI Fiat GIANNONE GERARDO:
Il sito industriale di Pomigliano ( Fiat ) si estende su 6Km quadrati conta ben 8000 dipendenti tra diretti e indiretti. Insomma ogni comune della provincia napoletana ha almeno un abitante che lavora alla Fiat. Inoltre quel sito nel bilancio consuntivo del 2007 ha prodotto circa 175mila auto per un valore commerciale di quasi 3,5 miliardi di euro.
I dipendenti della Fiat di Pomigliano versano mensilmente circa 12 milioni di euro nell’economia locale attraverso le spese di rutin ( cibo, vestiario, bar, ristoranti, giochi, telefonia, acqua, luce, gas, spazzatura, mutuo, fitto etc..) inoltre gli stessi versano mensilmente per quanto concerne l’IRPEF REGIONALE circa 184mila euro e circa 80mila euro nelle casse dei vari comuni come addizionale comunale IRPEF.
Si evince dai dati sovra esposti quanto conta avere una fabbrica così importante per la nostra fragile economia. Lo stabilimento della Fiat di Pomigliano all’inizio del 2008, precisamente nei mesi di gennaio e febbraio é stato chiuso alla produzione per effettuare un reastailyng tecnologico per le infrastrutture e formativo per gli operai.
Questa chiusura per due mesi ha visto una esposizione della casa Torinese per ben 110 milioni di euro, ottenendo come risultato un netto miglioramento sulla qualità del prodotto e una professionalità maggiore dei dipendenti.
A luglio di quest’anno la Fiat ci ha chiesto di effettuare 5 settimane di ferie invece delle normali 3, per evitare la cassa integrazione.
Invece abbiamo effettuato:
1. settembre 2 settimane di cassa
2. ottobre 3 settimane di cassa
3. novembre 4 settimane di cassa
4. dicembre 3 settimane di cassa
Insomma mentre gli altri siti hanno lavorato fino al 12 dicembre per poi ritornare il 12 gennaio (M IRAFIORI RITORNA IL 19 GENNAIO ESCLUSA LA LINEA DELL’ALFA MITO) noi abbiamo lavorato solo dal 1 al 5 dicembre per avere stamattina la notizia che torneremo il 9 febbraio. Questo quadro così desolante esce fuori dal fatto che mentre Cassino produce 3 modelli nuovi (CROMA, BRAVO EDELTA) e altri siti comunque hanno modelli nuovi come MITO e restailyng di altri, noi produciamo ancora l’Alfa 147 che sta da 9 anni sul mercato e l’Alfa 159 che seppur sta da soli 3 anni sul mercato é però destinata ad una clientela di alto reddito. La futura ALFA 149 (sostituirà l’attuale 147) sembra che venga assegnata a Cassino mentre per Pomigliano non si prospetta niente di nuovo all’orizzonte. Marchionne tra pochi giorni dovrebbe convocare le parti a Roma per presentare il piano triennale ( 2009–2010-2011 ) e dunque assegnare le missioni produttive, sembra che per Pomigliano se ne riparlerà a giugno 2009.
Ritengo la cosa molto preoccupante e credo che se non ci sia un movimento Campano a sostegno di una vertenza PRO POMIGLIANO il sito rischia di ridimensionarsi.
Inoltre il fatto che i 300 contratti di apprendistato presenti in fabbrica lavorino fino a marzo e che poi da marzo in poi facciano anche loro cassa integrazione ( vedi ultimo decreto anti crisi varato dal governo ) non é un segnale ben augurante.
Tengo a precisare che a Pomigliano già hanno perso il posto più di 120 operai con contratto termine ( vedi Pellegrini, società che fornisce la mensa e alla Sirio società che sorvegila il sito ) e che le 27 aziende fornitrici rischiano di avere ripercussioni ancora più gravi (l’indotto esterno conta circa 3000 addetti ).
Mi auguro che al più presto nasca un fronte compatto a sostegno del sito industriale campano e che il governo la smetta con proclami inutili ma che diventi realmente incisivo per la salvaguardia dei posti di lavoro.
Troppe volte ho detto che Pomigliano rischiava, la crisi ha accentuato il rischio per Pomigliano, bisogna subito mettere in moto un meccanismo a difesa dei lavoratori che con 850 euro mensili e con il rischio di perdere il lavoro non possono stare.
Concludo ricordando le tante iniziative da noi proposte ed effettuate per mettere in risalto quello che sta succedendo a Pomigliano e spero che da oggi ci sia uno spirito comune ad unirci e non più divisioni di appartenenza.
fiat lì 16 dicembre 2007
Giannone Gerardo
Comunicato Cobas
SOSTENIAMO MIMMO MIGNANO E I LICENZIATI ,
ISTITUITA LA CASSA DI RESISTENZA
Dopo lo sciopero allo stabilimento Fiat di Pomigliano e la
riuscita assemblea ai cancelli in seguito al licenziamento politico del delegato RSU-Cobas Mimmo Mignano (vi hanno partecipato le organizzazioni del sindacalismo di base , la rete 28 aprile,i movimenti sociali della Campania ), abbiamo istituito una CASSA DI RESISTENZA CONTRO I LICENZIAMENTI.
In queste ultime settimane la Fiat in particolar modo, si é distinta per aver colpito diversi lavoratori ed Rsu a Melfi, Termoli e Pomigliano, nel tentativo di azzerare il conflitto liquidandogli attivisti scomodi. Al di là dei pretesti aziendali, questi lavoratori sono stati colpiti perché sono un punto
di riferimento certo per i diritti e le necessità dei lavoratori.
La CASSA DI RESISTENZA CONTRO I LICENZIAMENTI vuole quindi essere lo strumento di sostegno materiale e politico per i lavoratori impegnati,come Mimmo Mignano e altri, contro la precarietà , gli incidenti del lavoro, le politiche antisociali e concertative .
La resistenza contro i licenziamenti e l’ illegalità padronale si realizza con il mutuo soccorso.
Adoperiamoci per garantire il salario sociale ai licenziati impegnandoci nelle sottoscrizioni e collette mensili.
La solidarietà éun atto concreto di condivisione.
Se si intende utilizzare il bonifico bancario , l’ntestazione è Cassa di Resistenza contro i Licenziamenti,le coordinate bancarie sono:
IBAN IT72 Z010 1003 4250
4120 0000 817
sanpaolo banco di napoli filiale 00125
Cobas Lavoro
Privato — Confederazione Cobas
Il mese scorso è stato consegnato all’Ambasciata colombiana a Roma dalla sottoscritta, il bolletino n. 3 “Cada uno por la Justicia” (Ognuno per al Giustizia), realizzato da varie associazioni messicane tra le quali la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) , la Fondazione Diego Lucero e l’Associazione dei Genitori e Familiari delle Vittime di Sucumbíos tra le altre, per ricordare i 4 giovani messicani morti a Sucumbíos in Ecuador durante l’attacco al campo delle FARC.
Va rilevato che la funzionaria dell’ambasciata, qualificatasi come la segretaria dell’ambasciatore, si è rifiutata di protocollare il documento che le ho consegnato e quindi di apporre il timbro e la firma per ricevuta, come invece era stato fatto i mesi predenti.
Anche nella sede del consolato colombiano a Valencia, in Spagna ci sono stati problemi. Il console onorario addirittura ha manifestato un atteggiamento prepotente e minaccioso verso la persona incaricata della consegna del documento, rifiutando la firma per avvenuta consegna come è avvenuto anche a Roma.
Il bollettino è stato consegnato contemporaneamente nelle sedi diplomatiche colombiane di : Argentina, Canada, , Chile, Spagna, Ecuador, Francia, Italia, Nicaragua e Venezuela.
Questi gli argomenti affrontati nel bollettino n. 3:
Lettera dei Genitori e dei Familiari
A sette mesi dal massacro di Sucumbíos, per la giustizia e la lotta contro l’impunità
Colombia: mobilitazione indigena in tutto il paese (di Simone Bruno)
Non più omicidi degli Indigeni in Colombia: FIDH
Dichiarazione di intellettuali ed artisti
Dichiarazione del Parlamento Europeo
Lettera del Premio Nobel della Pace
Il narcotrafficante n. 82: Álvaro Uribe Vélez, presidente della Colombia
Intervista a Sergio Camargo
Il vero volto di Luis Camilo Osorio-parte 2
Parole di Lucia Morett
Prossime iniziative
alcuni ci tengono particolarmente a che siano ben lucide…
Foto: Annalisa Melandri
Foto: Annalisa Melandri
L’Associazione Insieme per il Trullo ha organizzato due
iniziative dedicate alla società multietnica
Domenica 14 dicembre 2008
Bambini di diversa provenienza ridisegnano il mondo con la loro fantasia e i loro colori.
Incontro culturale sul tema della società multietnica e dell’integrazione.
Proiezione del Film:
LION OF THE DESERT
(Il Leone del Deserto)– 1981 di Moustapha Akkad
[sottotitoli in italiano]
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Venerdì 12 dicembre h. 17
presso la Sala Pintor
via dello Scalo di San Lorenzo n. 67
al dibattito partecipano:
ERIC SALERNO – giornalista e storico
autore, tra gli altri, di “Genocidio in Libia” e “Uccideteli tutti”
NICOLETTA POIDIMANI– ricercatrice sulle politiche sessuali e razziali del colonialismo italiano
CRISTIANA PIPITONE – ricercatrice e storica del colonialismo italiano
con l’intervento telefonico del Prof. ANGELO DEL BOCA
storico, scrittore, studioso del colonialismo italiano
autore, tra gli altri, di “Gli Italiani in Africa Orientale” (4 vol), “Gli Italiani in Libia” (2 vol) e “Italiani brava gente?”
parteciperanno inoltre funzionari dell’Ufficio Popolare della Gran Giamahiria (Ambasciata)
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“Tripoli suol del dolore” – La guerra di Libia (1911–1912) mostra di immagini d’epoca a cura di Gavino Puggioni
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La resistenza della popolazione libica al colonialismo fascista italiano
Questo film la cui realizzazione iniziò nel 1979, non è stato mai proiettato in Italia nelle pubbliche sale per una sorta di grave censura da parte delle autorità in un paese che si definisce “repubblica antifascista ”.
La serata sarà dedicata alla conoscenza critica dell’aggressione coloniale italiana in Africa, nel periodo liberale e in quello fascista, la cui rimozione e mistificazione ha prodotto il falso mito dell’ “italiano brava gente”, mentre è documentato che la repressione italiana in Libia fece largo uso di armi chimiche, massacri di civili, distruzioni di villaggi, deportazioni e campi di concentramento…
Il film è incentrato sulla figura di Omar El Mukhtar, organizzatore e dirigente della resistenza libica contro l’occupazione italiana, giustiziato dopo un processo farsa nel 1931 dai fascisti alla presenza di 20.000 persone fatte arrivare da tutti i campi di concentramento.
La proiezione vuole essere un auspicio per lo sviluppo della ricerca e del dibattito storiografico sul colonialismo italiano che sinora è mancato; vuole altresì favorire un processo di superamento della censura per una futura libera circolazione del film nelle sale italiane. Ci auguriamo inoltre che possa aiutare a comprendere meglio, alla luce della verità storica del passato, anche le attuali missioni militari italiane in molti teatri di guerra.
La proiezione è offerta da RadioOndaRossa (87.9 FM) –Via dei Volsci 56, Roma –tel 06491750
(ingresso gratuito)
Pubblico qiui di seguito l’adesione dei compagni e delle compagne di A Sud. Una splendida sintesi di quella che è la situazione nel nostro paese e dei motivi per cui non si deve abbassare la guardia nè domani, nè in futuro…
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A Sud ha deciso di aderire e di sostenere lo sciopero generale indetto dalla CGIL e dai sindacati di base. La nostra non è solo una scelta dettata dalle necessità di promuovere politiche di sostegno alla piena occupazione (alla quale l’intero sistema economico e politico ha rinunciato come se fosse fisiologico e naturale una situazione di sfruttamento e precarietà), di sostegno al reddito, di sostegno e di rafforzamento del welfare, di difesa dei beni comuni e dei saperi, a partire dall’acqua e dalla scuola pubblica. Non ci sono solo queste necessità che ci porteranno in piazza domani, di per se già fondamentali, né tantomeno la crisi economica e sociale che spinge il paese sempre più in basso facendolo retrocedere fin nei suoi istinti di pancia.
Quello che domani ci porterà in piazza è più di ogni altra cosa la necessità urgente di difendere la democrazia nel nostro paese, ormai fortemente a rischio. Un paese sempre più anormale in cui il presidente del consiglio pidduista attraverso il suo incontenibile potere economico e mediatico sta disarticolando le basi sulla quali la Repubblica è stata fondata, smontando pezzo a pezzo quel senso comune che permette ad un paese di farsi patria per motivi più alti dei colori di una bandiera. Un paese vittima del mal governo e dell’affarismo mafioso che lo stesso mal governo impone. Un paese in balia di una classe dirigente confindustriale che sembra sbarcata dalle navi del tempo della colonia e che con piglio arrogante e triviale pensa di continuare a trattare milioni di lavoratori come merci da utilizzare alla bisogna. Un paese che ha dichiarato guerra al lavoro nel senso più letterale, producendo in maniera fisiologica tre morti al giorno nonostante gli appelli ipocriti e sterili delle più alte cariche dello stato. Un paese in cui l’opposizione parlamentare gioca ancora ad operazioni di ingegneria istituzionale rimanendo silente, imbelle ed incapace persino quando si tratta di difendere la stessa Carta Costituzionale, figurarsi i suoi valori. Un paese nel quale per la prima volta la sinistra istituzionale diventa extraparlamentare dimostrando tutta la sua fragilità nel ricomporsi e che appare ancora incapace di un progetto politico alternativo alle destre. Un paese nel quale giornalmente si riducono i diritti e gli spazi del dissenso, dove la protesta viene criminalizzata ed alcuni ex presidenti suggeriscono addirittura apertamente come ridurre ulteriormente questi spazi attraverso operazioni sporche e fuori dalla legge. Un paese nel quale se sei immigrato inizi ad aver paura di essere aggredito ad un bar solo per il colore delle tua pelle, mentre se sei uno studente di sinistra temi di essere accoltellato da decine di bande fasciste che girano a piede libero con la copertura della polizia, dei servizi e di alcune forze politiche. Le stesse forze politiche che hanno promosso gli autori della macelleria commessa dalle forze dell’ordine nelle strade di Genova durante il G8, mentre un ragazzo ucciso con un colpo in fronte ancora aspetta giustizia, insieme a migliaia di cittadini e cittadine brutalmente picchiati ed in alcuni casi persino torturati. Un paese nel quale la magistratura subisce attacchi ogni giorno se tenta di far si che la legge sia uguale per tutti. Un paese sempre più a reti unificate ed imbellettato da una sub cultura dozzinale quanto povera. Un paese in cui è in atto una vera e propria rivoluzione conservatrice che sta seppellendo la sua memoria, al punto da aver dimenticato persino i suoi partigiani e le centinaia di migliaia di donne e uomini morti per darci libertà e giustizia.
Davanti a questa situazione ed alle minacce concrete e già reali che si manifestano nelle vite di ognuno di noi, pensiamo che sia oggi più che mai opportuno generalizzare lo sciopero e scendere in piazza per riprenderci la possibilità di immaginare e costruire un futuro diverso.
Le compagne e i compagni di A Sud
L’11 dicembre del 2008 è stato consegnato all’Ambasciata colombiana a Roma dalla sottoscritta, il bolletino n. 4 “Cada uno por la Justicia” (Ognuno per la Giustizia), realizzato da varie associazioni messicane tra le quali la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) , la Fondazione Diego Lucero e l’Associazione dei Genitori e Familiari delle Vittime di Sucumbíos tra le altre, per ricordare i 4 giovani messicani morti a Sucumbíos in Ecuador durante l’attacco al campo delle FARC del 1 marzo 2008.
Il bollettino è stato consegnato contemporaneamente nelle sedi diplomatiche colombiane di : Argentina, Canada, , Chile, Spagna, Ecuador, Francia, Italia, Nicaragua e Venezuela.
Questi gli argomenti trattati in questo numero:
Editorial de la Asociación de Padres y Familiares
El respeto a nuestros muertos. Viva su memoria
A ocho meses de la masacre de Sucumbiós, por la justicia y la lucha contra la impunidad
Álvaro Uribe Vélez, persona non grata
Uribe y la delincuencia
Repudian la visita de Uribe a México
Persona “non grata”
Muro por la justicia, contra el Olvido y la Impunidad
Saludo del Partido de los Comunistas
Carta abierta de la FIDH al gobierno de Colombia
Tomas y Jerónimo Uribe “Las aventuras de Tom y Jerry”
Artículo de opinión
Sicuri che possa essere per voi, almeno per un breve istante, comprensibile la lotta,chiara l’amarezza,condivisibile la rabbia che nasce dall’aver constatato, dopo 60 anni di ipocrite celebrazioni che non è vero che “tutti gli uomini nascono liberi”, che “tutti sono uguali in dignità e diritti” e che “tutti devono agire verso gli altri in spirito di fratellanza e giustizia” .
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