URGENTE E IMPORTANTE
In questa intervista, Narciso Isa Conde, noto dirigente comunista della Repubblica Dominicana, nonché riconosciuto leader rivoluzionario del suo paese, aveva denunciato i piani del Governo colombiano per assassinarlo. Recentemente il generale Mario Montoya e membri dell’intelligence colombiana si erano recati nella Repubblica Dominicana per indagare sui suoi presunti vincoli con le FARC. Narciso Isa Conde, che fa parte della presidenza collettiva della Coordinadora Continental Bolivariana, da anni si occupa del conflitto colombiano e crede fermamente in una soluzione pacifica e negoziata dello stesso contro la politica militare di sicurezza democratica del governo di Álvaro Uribe. Egli inoltre da tempo denuncia i crimini e le violenze che impunemente vengono commesse in Colombia dai paramilitari e dallo stesso esercito colombiano.
Qualche giorno fa Narciso Isa Conde è stato oggetto di un tentato omicidio, nei pressi della sua abitazione a Santo Domingo. Diversi membri della Polizia Nazionale del gruppo operativo “Lince” si sono affiancati alla sua auto e alla motocicletta dei suoi uomini di scorta ( per essere già stato in passato vittima di un tentato omicidio) in modo aggressivo e provocatorio con l’evidente scopo di scatenare una reazione violenta e quindi una sparatoria. Solo il sangue freddo di Narciso Isa Conde e dei suoi uomini, nonché il traffico intenso e l’accorrere della folla, ha evitato il peggio. Uno dei suoi uomini è stato arrestato e le armi che possedevano lui e la sua scorta, anche se regolarmente registrate, sono state sequestrate e non ancora riconsegnate.
Narciso Isa Conde nei giorni precedenti l’aggressione aveva denunciato alle autorità dominicane un piano per attentare alla sua vita, organizzato dal Governo colombiano e dalla CIA.
Troviamo preoccupante che nella Repubblica Dominicana si permetta l’attuazione di piani criminali orchestrati da altri paesi contro un cittadino che in passato ha combattuto per la liberazione del suo paese e che adesso viene perseguitato per il suo impegno politico e internazionalista.
Il presidente Leonel Fernández è obbligato a tutelare l’incolumità dei suoi concittadini e garantire la libertà di espressione e di pensiero di ognuno essi.
Gli si chiede che esprima una posizione chiara e decisa rispetto a questi avvenimenti e che avvii tutte le indagini del caso.
Esprimo la mia solidarietà e il mio incondizionato appoggio al compagno Narciso Isa Conde.
Riflettendo sul fatto che alla sinistra italiana manca quella spinta dal basso e di movimento che caratterizza invece la sinistra latinaomericana, compagne e compagni, se chiamarvi/ci così ha ancora senso e significato, vale la pena affermare che l’America latina, le sue passioni, le sue reazioni, e anche il suo sangue, come quello versato in questi giorni in Bolivia, a Pando possono e devono rappresentare un insegnamento per tutti noi.
Ieri sera ho assistito alla proiezione del video “L’asse del Bene” di Fulvio Grimaldi. E’ un bellissimo panorama su quello che l’America latina può insegnare a tutti noi, ma al di là di questo mi ha fatto riflettere il fatto che nelle riprese si vedevano a Cuba, in Venezuela, in Bolivia, tanti giovani e meno giovani italiani, persone di sinistra, comunisti, compagni, chiamateli come volete, che in quei paesi, lontani migliaia di chilometri dall’Italia, sfilavano per le strade con il pugno teso, cantando Bandiera Rossa o l’Internazionale, ostentando simboli universalmente riconosciuti come il volto del Che, le bandiere rosse e la falce e il martello. In Italia questo accade sempre più raramente ed è giusto chiederci perchè e fare un esame di coscienza.
L’America latina è davvero la coscienza critica del pianeta, come dice qui l’amico Mauro Cassano e davvero vale la pena imparare lo spagnolo come osserva l’amico Vannino Chiti, perchè sembra che le uniche cose di sinistra, veramente di sinistra al momento vengano dette e fatte in America latina. Ma allora quella passione che ci trasmettono i compagni latinoamericani, i sindacalisti e i difensori dei diritti umani, i semplici studenti, gli indigeni, quell’impegno civile in difesa dei diritti di tutti, perchè di questo si tratta, di discorsi molto semplici e che riguardano la vita di tutti i giorni, acqua, salute, lavoro, diritti umani, beni comuni, non dottrine complesse e astratte teorie economiche e politiche, ma semplicemente impegno civile e democrazia partecipativa, è importante allora che rappresentino una fonte preziosa dalla quale attingere energia e vitalità, anche per le nostre timide battaglie.
In un momento come questo, nella situazione politica nella quale ci troviamo, con un fascismo che da serpeggiante che è stato fino a questo momento si fa via via sempre più palese e manifesto, è importante riacquistare la dignità e il valore dei nostri ideali. Non permettiamo che questi vengano sviliti o ridicolizzati o peggio negati. Mai. Il fascismo va sempre condannato, rifiutato e allontanato. Anche quando istituzionalmente si cerca di legittimarne aspetti o dettagli. Oggi è un mostro che si nutre lentamente della stessa società, della storia se non viene difesa, degli spazi pubblici se non vengono tutelati dai cittadini, è un mostro che può diventare pericoloso. La società civile, cioè NOI, deve essere vigile e attenta in questo, deve potersi incontrare e discutere, creare luoghi di aggregazione e di espressione, per strada, nelle scuole, nelle università, nelle piazze e agli angoli delle strade. Non aspettiamo i permessi delle istituzioni per organizzare assemblee e raduni. L’America latina in questo insegna, ogni giorno, in ogni città, sia a Caracas come a Città del Messico, a Bogotá come a Lima, la società civile, si organizza, si incontra, discute e protesta. A volte prende le botte ma altre volte caccia via presidenti. Partecipa, senza aspettare, insomma alla costruzione del suo futuro. FACCIAMO ALTRETTANTO.
…
P.S. Notizia di poche ore fa, un ragazzo di colore è stato ammazzato a Milano a sprangate.“Sporchi negri vi ammazziamo!” questo dicevano gli assassini. Questo è quello che non possiamo più tollerare e con questo intendevo quando ho scritto che il fascismo è un mostro che può diventare pericoloso.
Questa raccolta di firme contro le aggressioni fasciste in Bolivia e in solidarietà al popolo boliviano sta girando in America Latina. Sarebbe molto importante che giungessero adesioni dall’Italia e dall’Europa.
Inviare una mail a: geopoliticageopoliticaws (geopoliticageopoliticaws) indicando nell’oggetto: FIRMA A LA CARTA DE REPUDIO A AGRESIONES FASCISTAS CONTRA BOLIVIA
Carta de repudio a agresiones fascistas contra Bolivia
Bolivia enfrenta en estas horas el mayor atentado contra la democracia y la constitucionalidad. Repudiamos totalmente los actos vandálicos y
delictivos organizados por la oligarquía y los grupos fascistas santacruceños, que intentan provocar una guerra civil o un golpe de estado. Demandamos castigo a los culpables y los conminamos a mantener su lucha por cauces legales y democráticos. No nos mantendremos
impasibles frente a estos acontecimientos. Estamos comprometidos con la democracia, la justicia y la autodeterminación de los pueblos y la
defenderemos en cualquier parte del mundo. Hoy toca en Bolivia. Con Bolivia estamos.
FIRMAS HASTA EL MOMENTO
Estados Unidos
Immanuel Wallerstein, Grassroots Global Justice Alliance,
México
Ana Esther Ceceña, Enrique Leff, José Francisco Gallardo, Angel Guerra,
Ricardo Melgar, Manuel Pérez Rocha, Enrique Rajchenberg, Gudrun
Lohmeyer, Carlos Lenkersdorf, Alicia Castellanos, Gilberto López y
Rivas, Carlos Fazio, Observatorio Latinoamericano de Geopolítica,
Alberto Arroyo, Fernando Buen Abad, Beatriz Stolowicz, Carlos Beas,
Magdalena Gómez, José Luis Ávila, Aldo Rabiela, Dolores González
Saravia, Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio, Marco Antonio
Velázquez, Comité Mexicano de Solidaridad con Bolivia, José Steinsleger,
Ma. Guadalupe Guadarrama Huerta, Benjamín Tirado, Jaime Estay, Red
Nacional Genero y Economía, Marcha Mundial de las Mujeres, Mujeres por
el Diálogo AC, Siembra AC, Leonor Aída Concha, Maricarmen Montes C, Rosa
Barranco, Angeles González, Lourdes del Villar, Elizabeth Alejandre,
Graciela Tapia, Virginia Bahena, Cecilia Bonilla, Marianela Madrigal,
Teresina Gutiérrez-Haces, Ezequiel Maldonado López, Héctor de la Cueva,
Centro de Investigación Laboral y Asesoria Sindical, Federico Manchón,
Aida Lerman, Frente Autentico del Trabajo, Ezequiel Garcia Vargas, Hilda
Ramirez Garcia, José Luz Trejo Torres, Cándido Cerón Hernández, Gabino
Jimenez, Movimiento Mexicano de Solidaridad con Cuba, Comité de DH
“Asís”, Héctor Martínez, Ericka Navarro, Rodolfo Castillo, Lucía García,
Isabel Pichardo, Josefina Ponce, Juana Quevedo, Alejandro Castillo,
Pilar Puertas, Colectivo Cosme Damian, Jaime Cota Aguilar, CITTAC, Dalia
Ruiz Avila, ALAMPYME, Adán Rivera, René Fernández, Ciudadanos en Apoyo a
los Derechos Humanos A.C., Consuelo Morales Elizondo, CADHAC, Mario
Bladimir Monroy Gómez, Paula Ramírez, MACONDO, Raymundo Reynoso, AMATE,
Julieta Reynoso, Alejandro Javier Herrera, Arte en Rebeldia, Seeking
Heaven Crew, Iniciativas para el Desarrollo de la Mujer Oaxaqueña AC,
Josefina Morales, Berence Ramirez, Hida Puerta, Germán Sánchez
Ecuador
María Augusta Calle (Presidenta de la mesa de soberanía, relaciones
internacionales e integración latinoamericana en la Asamblea
Constituyente), Ecuador Decide, Paulina Muñoz, SERPAJ Ecuador, Helga
Serrano, ACJ Ecuador, Osvaldo León, Sally Burch, Eduardo Tamayo
Haití
Camille Chalmers
Francia
Juan Carlos Bossio Rotondo, Yole Risso Bossio
Alemania
Dario Azzellini
Brasil
Theotonio Dos Santos, Roberto Leher, Plinio de Arruda Sampaio Jr.,
Confederación Sindical de Trabajadores/as de las Americas, Marcha
Mundial de las Mujeres, REMTE, Rede Social de Justica e Direitos
Humanos, Marcelo Carcanholo,
España
Juan Carlos Monedero, Francisco Fernández Buey
República Dominicana
Chiqui Vicioso
Paraguay
Martín Almada, Marielle Palau, Orlando Castillo, Iniciativa Paraguaya de
Integración de los Pueblos
Colombia
Juan Manuel Roca, Gilberto Herrera Stella, Emmanuel Rozental, Consejería
de la Asociacion de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca, Alianza
Social Continental
Venezuela
Gustavo Fernández Colón, Edgardo Lander
Canadá
Michel Lebowitz, Pueblos En Camino, Foro Social de Toronto-Canada, Janet
Conway, Judy Rebick y Carlos Torres
Chile
Marta Harnecker, Rafael Agacino
Argentina
Miguel Mirra, Susana Moreira, Emilio Taddei, Víctor Ego Ducrot,
Mopassol, Juan Roque, Telma Luzzani, Julio Gambina, Rina Bertacini,
ATTAC – Argentina, Diálogo 2000, Nora Cortiñas, Jubileo Sur Amèricas
El Salvador
Raúl Moreno, Red Sinti Techan
Uruguay
Sebastian Valdomir, REDES-Amigos de la Tierra, SERPAJ América Latina,
Ana Juanche, Antonio Elías,
Perú
Luis Miguel Sirumbal, Rosa Guillén, Marcha Mundial de las Mujeres de las
Americas, Alianza Social Continental — Capitulo Perú, Monica Bruckmann
Guatemala
Mesa Global
L’arrivo del nuovo ambasciatore in Honduras era previsto per oggi, non si sa ancora se arriverà effettivamente nel paese, il presidente Zelaya in solidarietà con la Bolivia ha respinto la sua lettera di credenziali.
TeleSUR _ Hace: 01 hora
El presidente de Honduras, Manuel Zelaya, decidió suspender temporalmente la recepción de cartas credenciales del nuevo embajador de Estados Unidos en solidaridad con Bolivia, informó una fuente del Gobierno a la agencia de noticias Reuters.
Bolivia ordenó el miércoles la salida del embajador estadounidense en La Paz, Phillip Goldberg, tras concluir que éste coordinaba acciones desestabilizadoras contra el gobierno democrático de Evo Morales.
La llegada del nuevo representante de Washington en Tegucigalpa, Hugo Llorens, estaba prevista para el mediodía de este viernes y en la tarde iba a ser recibido por Zelaya. No estaba claro si el embajador llegará efectivamente a Honduras
“El Gobierno decidió suspender temporalmente la recepción de las cartas credenciales del nuevo embajador en solidaridad con el presidente boliviano Evo Morales”, dijo a Reuters una fuente del Gobierno hondureño que prefirió el anonimato.
El jueves, el presidente de Venezuela, Hugo Chávez, también expulsó al representante diplomático estadounidense, Patrick Duddy, quien también había sido denunciado por injerencia en los asuntos internos de la nación suramericana.
Previendo la respuesta de Washington, Chávez ordenó el regreso de Álvarez, “antes de que lo echen de allá” y advirtió que “cuando haya un nuevo Gobierno en los Estados Unidos mandaremos un embajador. Un gobierno que respete a los pueblos de América, a la América de Simón Bolívar”.
TeleSUR — Reuters / av — AV
Rapidissima trascrizione e traduzione del discorso di Hugo Chàvez:
Ci informano in questo momento, che proprio adesso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatore della Bolivia dal suo territorio.
Bene… noi iniziamo da questo momento a valutare le relazioni diplomatiche con il governo degli Stati Uniti. Ho parlato in questo momento con il ministro degli Esteri e affinché la Bolivia sappia di non essere sola, a partire… che ore sono, le 7 e 15 minuti, ha 72 ore, a partire da questo momento l’ambasciatore yankee a Caracas per lasciare il Venezuela, in solidarietà con la Bolivia e il popolo della Bolivia ed il governo boliviano… ha 72 ore l’ambasciatore per abbandonare il territorio venezuelano, e immediatamente, signor ministro Maduro, immediatamente disponga che rientri il nostro ambasciatore là, che ritorni prima che lo mandino via , il compagno Bernardo Álvarez che ritorni in patria. Quando ci sarà un nuovo governo negli Stati Uniti manderemo un ambasciatore, un governo che rispetti i popoli dell’America Latina, all’America di Simón Bolivar, diavolo!
Che vadano al diavolo! Yankee di merda, che qui c’è un popolo degno! Qui c’è un popolo degno, yankee di merda, se ne vadano al diavolo cento volte, siamo qui, i figli di Bolívar , i figli di Guaicaipuro, figli di Tupac Amaru , siamo determinati ad essere liberi! Dichiaro responsabile di tutto ciò e di quello che potrà succedere, il governo degli Stati Uniti, che sta dietro tutte le cospirazioni contro il nostro popolo, considero responsabile il governo degli Stati Uniti per il futuro delle esportazioni di petrolio in quel paese, se ci fosse qualche aggrassione contro il Venezuela, non ci sarà petrolio né per il popolo né per il governo degli Stati Uniti. Noi , yankee di merda, sappiatelo, siamo decisi ad essere liberi, succeda quello che succeda e costi quel che costi. Basta di tanta vostra merda!, yanquis, ora basta! Basta! Magari, o come dicono i nostri fratelli arabi Inshallah, Salam Aleikum, magari un giorno il popolo degli Stati Uniti abbia un governo con il quale si possa conversare… magari un giorno, quanto prima, questo paese abbia un governo che rispetti i popoli e i governi dell’America latina! Non chiediamo altro che di essere rispettati, perchè noi meritiamo rispetto…
Una Bolzaneto rom a Bussolengo [Vr]
di Gianluca Carmosino
[9 Settembre 2008]
Si erano fermati fuori del paese, vicino Verona, solo per mangiare. Sono stati picchiati, sequestrati e torturati dai carabinieri per ore. La loro testimonianza
Venerdì 5 settembre 2008, ore 12. Tre famiglie parcheggiano le roulotte nel piazzale Vittorio Veneto, a Bussolengo [Verona]. Le famiglie sono formate da Angelo e Sonia Campos con i loro cinque figli [quattro minorenni], dal figlio maggiorenne della coppia con la moglie e altri due minori, infine dal cognato Christian Hudorovich con la sua compagna e i loro tre bambini. Tra le roulotte parcheggiate c’è già quella di Denis Rossetto, un loro amico. Sono tutti cittadini italiani di origine rom.
Quello che accade dopo lo racconta Cristian, che ha trentotto anni ed è nato a San Giovanni Valdarno [Arezzo]. Cristian vive a Busto Arsizio [Varese] ed è un predicatore evangelista tra le comunità rom e sinte della Lombardia. Abbiamo parlato al telefono con lui grazie all’aiuto di Sergio Suffer dell’associazione Nevo Gipen [Nuova vita] di Brescia, che aderisce alla rete nazionale «Federazione rom e sinti insieme».
«Stavamo preparando il pranzo, ed è arrivata una pattuglia di vigili urbani – racconta Cristian – per dirci di sgomberare entro un paio di ore. Abbiamo risposto che avremmo mangiato e che saremmo subito ripartiti. Dopo alcuni minuti arrivano due carabinieri. Ci dicono di sgomberare subito. Mio cognato chiede se quella era una minaccia. Poi cominciano a picchiarci, minorenni compresi».
La voce si incrina per l’emozione: «Hanno subito tentato di ammanettare Angelo – prosegue Cristian – Mia sorella, sconvolta, ha cominciato a chiedere aiuto urlando ‘non abbiamo fatto nulla’. Il carabiniere più basso ha cominciato allora a picchiare in testa mia sorella con pugni e calci fino a farla sanguinare. I bambini si sono messi a piangere. È intervenuto per difenderci anche Denis. ‘Stai zitta puttana’, ha urlato più volte uno dei carabinieri a mia figlia di nove anni. E mentre dicevano a me di farla stare zitta ‘altrimenti l’ammazziamo di botte’ mi hanno riempito di calci. A Marco, il figlio di nove anni di mia sorella, hanno spezzato tre denti… Subito dopo sono arrivate altre pattuglie: tra loro un uomo in borghese, alto circa un metro e settanta, calvo: lo chiamavano maresciallo. Sono riuscito a prendere il mio telefono, ricordo bene l’ora, le 14,05, e ho chiamato il 113 chiedendo disperato all’operatore di aiutarci perché alcuni carabinieri ci stavano picchiando. Con violenza mi hanno strappato il telefono e lo hanno spaccato. Angelo è riuscito a scappare. È stato fermato e arrestato, prima che riuscisse ad arrivare in questura. Io e la mia compagna, insieme a mia sorella, Angelo e due dei loro figli, di sedici e diciassette anni, siamo stati portati nella caserma di Bussolengo dei carabinieri».
«Appena siamo entrati,erano da poco passate le le due – dice Cristian – hanno chiuso le porte e le finestre. Ci hanno ammanettati e fatti sdraiare per terra. Oltre ai calci e i pugni, hanno cominciato a usare il manganello, anche sul volto… Mia sorella e i ragazzi perdevano molto sangue. Uno dei carabinieri ha urlato alla mia compagna: ‘Mettiti in ginocchio e pulisci quel sangue bastardo’. Ho implorato che si fermassero, dicevo che sono un predicatore evangelista, mi hanno colpito con il manganello incrinandomi una costola e hanno urlato alla mia compagna ‘Devi dire, io sono una puttana’, cosa che lei, piangendo, ha fatto più volte».
Continua il racconto Giorgio, che ha diciassette anni ed è uno dei figli di Angelo: «Un carabiniere ha immobilizzato me e mio fratello Michele, sedici anni. Hanno portato una bacinella grande, con cinque-sei litri di acqua. Ogni dieci minuti, per almeno un’ora, ci hanno immerso completamente la testa nel secchio per quindici secondi. Uno dei carabiniere in borghese ha filmato la scena con il telefonino. Poi un altro si è denudato e ha detto ‘fammi un bocchino’».
Alle 19 circa, dopo cinque ore, finisce l’incubo e tutti vengono rilasciati, tranne Angelo e Sonia Campos e Denis Rossetto, accusati di resistenza a pubblico ufficiale. Giorgio e Michele, prima di essere rilasciati, sono trasferiti alla caserma di Peschiera del Grada per rilasciare le impronte. Cristian con la compagna e i ragazzi vanno a farsi medicare all’ospedale di Desenzano [Brescia].
Sabato mattina la prima udienza per direttissima contro i tre «accusati», che avevano evidenti difficoltà a camminare per le violenze. «Con molti familiari e amici siamo andati al tribunale di Verona – dice ancora Cristian – L’avvocato ci ha detto che potrebbero restare nel carcere di Verona per tre anni». Nel fine settimana la notizia appare su alcuni siti, in particolare Sucardrom.blogspot.com. La stampa nazionale e locale non scrive nulla, salvo l’Arena di Verona. La Camera del lavoro di Brescia e quella di Verona, hanno messo a disposizione alcuni avvocati per sostenere il lavoro di Nevo Gipen.
La storia
non si ferma, né con la repressione, né con il crimine.
Questa è una fase che verrà superata, questo è un momento
duro e difficile. È possibile che ci annientino, ma
il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori.
L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.
(S. Allende)
Pubblico qui di seguito l’intervista realizzata dall’amico Mario Casasús, in esclusiva per Clarin.cl, a Guillermo Rivast, giornalista cileno, direttore nel 1973 di Radio Magallanes, che fu colui il quale, disobbedendo agli ordini imposti dalla Giunta Militare, decise di trasmettere l’ultimo discorso di Salvador Allende, l’11 settembre 1973 dal Palacio de la Moneda.
Guillermo Ravest, ex director de Radio Magallanes: “Despercudir la historia es tarea colectiva”
escrito por Mario Casasús
jueves, 11 de septiembre de 2008
Texcoco, México.- El periodista Guillermo Ravest (1927) recibió y puso al aire la última llamada telefónica del Presidente Allende, el 11 de septiembre de 1973, transmitiendo su discurso desde La Moneda: “Seguramente Radio Magallanes será acallada y el metal tranquilo de mi voz no llegará a ustedes… Tienen la fuerza, podrán avasallarnos, pero no se detienen los procesos sociales ni con el crimen ni con la fuerza. La historia es nuestra y la hacen los pueblos”.
A 35 años, el director de Radio Magallanes, entre marzo de 1972 y septiembre de 1973, cuenta en exclusiva para Clarín.cl: “Los aniversarios, son hitos propicios para ayudarnos a limpiar la memoria. Y la tarea no sólo compete a los historiadores, los ‘recordadores oficiales’ según Eric Hobsbawm, sino también a los historiógrafos del día a día que somos los periodistas” .
Desde México, Guillermo Ravest desmiente otra vez a Hernán Barahona, quien de 1989 a 2002 sostuvo una elucubración fantasiosa, atribuyéndose el heroísmo en la difusión de las últimas palabras del Compañero Presidente; todos los antecedentes quedaron demostrados en Rocinante (08/2003) y Clarín.cl (19/02/2007) ambos reportajes publicados como Nota de tapa; finalmente en 2008, durante las comparecencias y veredicto del Tribunal de Ética del Colegio de Periodistas.
MC.- ¿Por qué insistir en la verdad histórica de la transmisión y rescate del audio del 11 de septiembre en Radio Magallanes?
GR.-Llevo veinte años intentando que mi ex partido, en el que milité durante medio siglo, respete la ética y la verdad histórica. No se trata de rescatar honores personales. Quienes posibilitamos que el pueblo de Chile conociera las últimas palabras de Allende fuimos un grupo de casi una veintena de periodistas, locutores, técnicos y trabajadores –en su mayoría comunistas-, que hicimos caso omiso del bando de la Junta Militar. Nos amenazaban que si seguíamos transmitiendo seríamos atacados por tierra y aire. Nosotros cumplimos con nuestro deber de ciudadanos, de comunicadores y de militantes comunistas. Pero hemos sido sostenidamente ocultados y desaparecidos. La alta valoración nacional e internacional de las últimas palabras de Allende, es conocida y coincidente. Si millones de chilenos han luchado todos estos años por hacer imperar la verdad y la justicia en relación a los Derechos Humanos, al valor histórico y político del gobierno de Allende, esta felonía de inventar un protagonista vinculado a esos instantes dramáticos del 11-S –que algunos pueden calificar de ‘historia menor’, desde un restringido punto de vista comunicacional-, tiene que ver con la ética periodística y la ética política. Creo que la memoria de Salvador Allende debe ser honrada sólo con la verdad.
MC.- El 19 de febrero de 2007 publicamos en Clarín.cl los detalles inéditos de las grabaciones del 11 de septiembre, tanto la interferida entre Pinochet y Carvajal, como las últimas palabras de Allende; sin embargo hay quienes sostienen el protagonismo de Hernán Barahona, cuando él abandonó Radio Magallanes desde las 8am ¿qué sucede a partir de su muerte?
GR.- Para mí es penoso referirme a esta situación. Primero, Hernán Barahona, quien actuó por décadas proclamando su leyenda decía: ‘yo fui el periodista que tuvo ese último contacto con Allende, yo ordené grabar, yo salvé el casete con las últimas palabras’, falleció el reciente 15 de junio. Segundo, haber luchado solo contra esta manipulación de la verdad y de la memoria, me sitúa en una posición proclive a las acusaciones de anticomunismo. Los estatutos del PC, en su artículo 76, postulan y estimulan en sus militantes: ‘una moral basada en profundos valores humanos, en la verdad, en la honradez y en la consecuencia revolucionaria’. ¿Cómo se podría calificar a quienes han dado soporte partidario a este falseamiento de la verdad? El deceso de Barahona motivó la reiteración de su fábula. A raíz de ello, la periodista Mónica González reeditó, el pasado 26 de junio, en su prestigiado sitio web CIPER, dos crónicas que escribimos para la revista Rocinante –número 58, agosto del 2003-, junto a quien fuera jefe de prensa de Radio Magallanes, Leonardo Cáceres. Mónica las encabezó con un prólogo del Premio Nacional de Literatura y periodista, José Miguel Varas. En Rocinante contamos fidedignamente lo ocurrido en la emisora hace 35 años. Reiteré el hecho de que al llegar a la Radio Magallanes aquel 11-S-73, alrededor de las 8am, Hernán Barahona ya la había abandonado. En 2003, Barahona, El Siglo y el PC guardaron riguroso silencio. Pero la reedición de esas crónicas en junio fue replicada histéricamente por algunos panegiristas de la falsa leyenda. Todos los involucrados en esta reivindicación de la verdad fuimos sindicados de felones y cobardes, de ambiciosos con afanes de figuración, de escarnecer a un muerto que ya no podía defenderse. Incluso, un deudo del occiso, trató de escudar sus denuestos aludiendo parcialmente al fallo del Tribunal de Ética, TRINED, del Colegio Nacional de Periodistas, que absolvió a Barahona de una evidente suplantación de actos periodísticos, por considerar que su enfermedad le impedía defenderse; un fallo humanitario.
MC.-El 28 de agosto de 2007 interpusiste el citado recurso ante un Tribunal de Ética y Disciplina del Colegio Metropolitano de Periodistas ¿qué respuestas dan los compañeros del PC?
GR.- Envié una réplica a las falsedades y omisiones publicadas por El Siglo, septiembre de 1989, a su director Juan Andrés Lagos, que la desestimó; en junio de 2003 me reuní con dirigentes de la comisión política, incluido Jorge Insunza quien me pidió acatar la versión oficial del PC; envié una solicitud escrita a dos miembros del Comité Central para que la dirección partidaria cesara en su apoyo a una versión falsa de los hechos. En todos esos años Barahona nunca aceptó los llamados telefónicos que le hice para esclarecer su leyenda.
MC.- Después presentaste el caso al tribunal del Colegio Nacional de Periodistas ¿qué hechos confirmaron los dos tribunales?
GR.- Cito textualmente: 1.-“Y es en virtud de estos hechos que no existe antecedente alguno de la presencia del colega Barahona de las 8:30 en adelante en los estudios de la Radio Magallanes el día 11 de septiembre de 1973.” 2.- “Existen antecedentes escritos y testimoniales –que no concuerdan con las versiones de El Siglo citadas– que Guillermo Ravest, en ese entonces director de Radio Magallanes, estuvo a la cabeza de la grabación señalada. Esta situación es avalada por el propio jefe de prensa de la radioemisora en las declaraciones que prestó ante este Tribunal”. Y 3.- “Al escuchar dicho documento radiofónico se puede constatar el aserto de Guillermo Ravest quien interviene con su voz impartiendo órdenes mientras se grababa con el micrófono abierto”. El veredicto salió el 7 de abril de 2008: “dé por ciertos los hechos alegados por el colega Guillermo Ravest”; Barahona, El Siglo y la fracción directiva del PC nuevamente hicieron mutis frente a ambos fallos.
MC.- ¿La muerte lo vuelve inimputable?
GR.- Pese a la tradición de ‘que en paz descansen’, considero que no todos los difuntos son iguales. En la tarea colectiva de despercudir la historia no hay muertos con fuero. Como escribiera Francisco de Quevedo, subsiste el dilema ético: ‘Si callo soy embustero y si hablo, soy calumniador’. Decir la verdad arriesga a quien lo hace a ser tildado de esos dos modos. Es lo que pasará con este examen retrospectivo que hago. Todo lo que califico son afirmaciones y prácticas del propio Hernán Barahona cuando estaba sano y vivo. Ahora habrá que preguntar a quienes participaron de sus falacias, como intermediarios y cómplices, esto ayudará a la memoria y a la salud moral colectiva.
MC.- A todo esto ¿cuál es la versión de Barahona y El Siglo?
GR.- El Siglo, tras haber dejado la clandestinidad, 18 de septiembre de 1989, con Juan Andrés Lagos como director, publica ‘Radio Magallanes: Las ondas que irradiaron histórico discurso de Allende’, entrevista de Guillermo Torres a Hernán Barahona. Con ella se inauguran las falsedades y omisiones. Afirma Barahona: “Eran –creo– las 10:30 cuando sonó el aparato que llamábamos ‘la plancha’ que era para comunicarnos directamente con La Moneda. Siempre se utilizaba un santo y seña para tener certeza con quien se estaba hablando, y autorizar –de esta forma– la salida al aire. Como en esa llamada no se dio el santo y seña, yo no faculté al compañero control para que la emisión saliese de inmediato al aire. Pensando, ahora, claro y sabiendo sólo después lo que estaba ocurriendo al interior de La Moneda, se entiende la ausencia del santo y seña. Yo colgué y no pasaron más de treinta segundos y volvió a sonar ‘la plancha’. Ahora, con el santo y seña y la petición de ‘al aire, compañero’, dí el pase… Minutos después las torres transmisoras de Radio Magallanes recibieron impactos de cohetes… Nos reunimos y tomamos decisiones. Unos se quedaron en las oficinas, que estaban un piso más arriba, otros fueron enviados a la planta transmisora”
MC.- ¿En El Siglo hicieron modificaciones a la reconstrucción de los hechos según Barahona?
GR.- El Siglo, del 14 de septiembre del 2002, otra vez con Juan Andrés Lagos en la dirección, publicó la crónica ‘Cómo se salvaron las últimas palabras de Allende’, por Hernán Barahona: “fuimos la última radio en permanecer al aire. Eso nos permitió transmitir el último discurso de Allende, con Radio Magallanes interferida, técnicamente muy descompuesta. Por eso la calidad de la grabación no es muy buena, pero así salimos al aire en ese momento. Allende dijo sus últimas palabras y estuvimos un ratito más al aire, bombardearon la planta transmisora y se acabó. Intentamos salir con equipos propios. Teníamos una grabadora japonesa Toshiba, con radio incorporada. Entonces…cuando Allende va a hablar, yo digo: ‘esto hay que grabarlo’. Evidentemente, el radio operador con toda certeza lo iba a grabar, suponía yo, pero como había tanto nerviosismo, desorden, opté por lo más sano y grabé en un casete. Una vez grabado lo rescaté pensando en entregarlo a alguien…teníamos un documento político importante… Algunos decidieron quedarse arriba, en oficinas de amigos… Sin decirle a nadie de la grabación, decidí irme con el radio controlador Federico Godoy, arriesgándonos, porque la ciudad estaba cerrada, cercada… Nos fuimos agazapados por los muros… a la casa de Federico Godoy, en Santa Isabel con Portugal… En un momento dije ‘me voy’. Sentía que tenía que entregar el casete… Y me fui a pie, caminando hasta la calle Antofagasta esquina con Bascuñán… sabía que tenía que entregar ese material. Y eso fue lo que hice”
MC.- ¿Qué contradicciones lees en su historia?
GR.- De acuerdo a los hechos históricamente comprobados, la Radio Magallanes nunca fue interferida esa mañana. Su planta transmisora no fue bombardeada; sólo ocupada por soldados y carabineros. Nunca la emisora poseyó otros equipos. La superposición de voces en las últimas palabras se debió a que quedó abierto el micrófono interno. El “esto hay que grabarlo” puede que lo haya hecho Barahona en algún otro lugar de Santiago de Chile. No en la Radio Magallanes. Numerosísimos chilenos también grabaron ese último mensaje, pero ninguno ha reclamado honores por ello. Cuando fue difundida esa alocución de Allende, Federico Godoy estaba en la sala de control ayudando a Amado Felipe, quien lo grabó. Su afirmación ‘nos reunimos’ no pasa de ser un deseo de haber estado en el lugar de trabajo que abandonó. Somos testigos casi una veintena de trabajadores de que en esa reunión Barahona sólo fue un ausente. Nadie del personal de la Magallanes decidió ‘quedarse’ en otras oficinas del edificio. Se infiere que el destinatario de ese casete era su cuñado, José Weibel, de las JJCC actualmente detenido desaparecido. Lo único cierto de esta parrafada es el ‘decidí irme’, lo que hizo solito alrededor de las 8am.
MC.- ¿Quién respaldaba a Hernán Barahona?
GR.- En el año 2003, El Siglo bajo la dirección de Juan Andrés Lagos postuló la fallida candidatura de Barahona al Premio Nacional de Periodismo. Toño Freire en su libro 1956–2006: Testigo de 50 años de periodismo. Refiriéndose a las últimas palabras de Allende, escribe el autor: ‘Las amamos y seguiremos escuchando debido a Radio Magallanes… dirigida entonces por Hernán Barahona, que tuvo la perspectiva profesional de grabarlas para que después se reprodujeran frente a los micrófonos del universo’. Iván Gutiérrez Lozano, es el más sostenido panegirista y difusor de la leyenda autoconstruída por Hernán Barahona. Una entrevista a éste fue difundida, primeramente, el 16 de septiembre de 2003 en la página web Portal de Negocios que dirigía Gutiérrez Lozano, con el título ‘Allende: De La moneda me sacarán en pijama de palo’. Ese texto también fue distribuido a diversos portales electrónicos latinoamericanos y en el Fondo bibliográfico de la Fundación Salvador Allende. Esta misma entrevista fue reeditada el 7 de septiembre del 2005 en el sitio web Crónica Digital, dirigido por Gutiérrez Lozano y en que aparecen como subdirector Juan Andrés Lagos y el propio Barahona como miembro del Comité Editorial. Se repitió en Crónica Digital, ahora con el título ‘Hernán Barahona: El hombre detrás del último discurso de Salvador Allende’, el 15 de enero del 2008, dice ‘su nombre estaba en las listas de los más buscados de Chile’. La lista oficial del bando militar que el 11-S-73 requirió la presentación de políticos, funcionarios de la UP y periodistas ante las nuevas autoridades, no registra el apellido Barahona. El PC lo ungió miembro de su comité central en 1989 y en 1992 director de Radio Nuevo Mundo. Aunque todas las versiones de Barahona fueron ambiguas e inexactas, con motivo de su deceso, el PC afirmó por primera vez, en su obituario oficial, lo siguiente, variando el mito: “Trabajó como reportero en Radio Magallanes hasta el 11-S-73. Grabó en casete la cinta magnética con las últimas palabras del Presidente Allende y las envió a Buenos Aires, Argentina, con la colaboración de la compañera Alicia Vega”.
MC.-Finalmente, ¿quiénes son los verdaderos héroes en Radio Magallanes el 11 de septiembre de 1973?
GR.- Leonardo Cáceres, jefe del Departamento de Prensa; Amado Felipe, jefe de radiocontroladores, secretario político de la base donde militábamos los comunistas de la emisora. No sólo fue él quien puso al aire la postrer alocución de Allende, sino que también con él grabamos alrededor de 40 carretes con sus últimas palabras, fueron entregadas al miembro de la dirección del PC, ya clandestino, Américo Zorrilla; Ernesto Saúl, periodista y escritor de temas de arte, era redactor de textos informativos y del programa noticiosos Bitácora; Jorge Giacaman, locutor, comunista, se mantuvo frente a los micrófonos toda la mañana hasta que silenciaron la emisora; Eulogio Suárez, subgerente, comunista, escritor y poeta. En la primera reunión de pauta del 11-S, minutos después de las 8:00 horas, que sostuvimos Leonardo Cáceres, Amado Felipe, y el jefe de informaciones Ramiro Sepúlveda, acordamos aterrizar las medidas de emergencia adoptadas con anterioridad. Entre otras, enviar un equipo a la planta transmisora ante la posibilidad de allanamiento a los estudios ubicados en Estado 235, a fin de seguir emitiendo. Este equipo estuvo integrado por: Ramiro Sepúlveda, periodista, comunista; Jesús Díaz, periodista recién egresado, comunista; Carmen Torres, periodista quien hacía su práctica en la emisora, la más joven de todo nuestro equipo periodístico; Agustín Fernández, locutor bastante afamado entonces; Sergio Contreras, técnico en comunicaciones, que el Once estuvo a cargo el funcionamiento de la planta transmisora (todo este grupo fue detenido en la planta por los golpistas); Enrique Contreras, periodista que estaba haciendo su práctica en la emisora. Tras haber realizado toda la noche, permaneció en la Magallanes hasta la hora en que todo el personal evacuó la emisora, alrededor de las 1pm. Del personal de la Magallanes ocho de ellos debieron exiliarse en el extranjero para eludir procesos militares. Todos quienes se encontraban en la planta fueron detenidos, primero en el retén de Carabineros de Quilicura y trasladados luego al Regimiento Tacna y el Estadio Nacional en calidad de prisioneros de guerra. Algunos de ellos permanecieron recluidos casi un año. Sergio Contreras fue procesado por tribunales militares y permaneció preso en la Cárcel Pública más de tres años. Radio Magallanes tuvo al 11-S-73 catorce filiales en provincias. La emisión de las últimas palabras a todo el país fue posible gracias a la conexión que manteníamos con la Empresa Nacional de Telecomunicaciones (Entel). Todas esas emisoras fueron expropiadas por la dictadura. El director de Radio La voz del Sur, Mario Galetovic, y todo el personal de la filial radiofónica en Punta Arenas, fueron detenidos y enviados al campo de concentración en Isla Dawson en el extremo austral de Chile.
Leggi anche:
All’ONU, alla vigilia di quella che sta diventando sempre più la giornata internazionale contro il terrorismo, oggi hanno parlato le vittime.
Quelle sopravvissute agli attacchi delle Twin Towers, come quelle scampate agli attentati kamikaze a Gerusalemme, i familiari dei morti della strage di Beslan, come quelli rimasti uccisi negli attentati di Bali, quelli di Londra, come quelli di Madrid. C’erano anche i familiari degli attentati delle Brigate Rosse e ovviamente non poteva mancare Ingrid Betancourt, relatrice principale della giornata.
L’evento, il primo Forum Internazionale di Supporto alle Vittime del Terrorismo è stato organizzato a New York dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon .
E’ interessante però ricordare qui quale fu il manifesto di guerra pronunciato da George Bush davanti al Congresso degli Stati Uniti il 20 settembre del 2001, 9 giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle:“La nostra guerra contro il terrore comincia con Al Qaeda ma non termina lì. Non terminerà fino a quando ogni gruppo terrorista a livello mondiale non sia stato trovato, fermato e sopraffatto”.
L’11 settembre ha ufficializzato un prima e un dopo. Il terrorismo prima e il terrorismo dopo. La lotta contro il terrorismo prima e la lotta contro il terrorismo dopo. Da quel momento sono cambiati metodi e strategie. In questo senso l’11 settembre è stata una data epocale. Ha segnato un mutamento in quella che è la percezione collettiva della paura e nell’ identificazione dei nemici. Lo Stato che ha scatenato più guerre e conflitti nel mondo, che ha finanziato e sostenuto alcuni dei regimi dittatoriali più sanguinari e violenti, che legittima la tortura e la pena di morte, che viola impunemente i diritti umani, che fa e disfa assetti geopolitici mondiali a suo esclusivo uso e interesse, si è assunto l’onere di stabilire ufficialmente dall’11 settembre in poi chi è terrorista e chi non lo è. A questo è servito l’11 settembre e non solo a creare nuovi impianti petroliferi in Iraq come molti credono. La grande opportunità è stata questa. Da allora tutto è permesso nel nome della sicurezza mondiale.
“Terrorismo” è un concetto vago e difficile da applicare alle diverse situazioni e persone. Implica valutazioni sociali ed economiche complesse, analisi storiche e politiche. Niente di tutto questo interessa più dopo l’11 settembre. I criteri di giudizio si sono semplificati, la prospettiva notevolmente ridotta. Nemmeno il ricordare clamorosi errori di valutazione del passato basta più. Si ha come la sensazione che i giudizi futuri saranno senza possibilità di appello. Anche Nelson Mandela era considerato un “terrorista” e Gandhi prima di lui.
Lo stesso Osama Bin Laden era considerato un eroico combattente da Ronald Reagan , nel 1985. Adesso è il diavolo in persona. Il primo terrorista della storia probabilmente fu Gesù, e fu necessario allora torturarlo e metterlo su una croce per farlo stare zitto.
I Mapuche sono terroristi e lo Stato che li perseguita e li ammazza no. I paramilitari colombiani nessuno li ha mai chiamati terroristi anche se girano armati di motoseghe e squartano bambini.
Ci sono vittime di serie A e vittime di serie B. Non sono vittime del terrorismo oggi i 90 morti di Azizabad in Afghanistan quasi tutti donne e bambini, uccisi da un raid statunitense qualche settimana fa, non sono vittime del terrorismo i palestinesi o, andando indietro con la memoria i morti di Hiroshima e Nagasaki, o i 350 mila uomini e donne assassinati dalle dittature latinoamericane finanziate e appoggiate dagli Stati Uniti, non sono vittime del terrorismo i corpi che si continuano a trovare in Colombia fatti a pezzi e gettati nelle fosse comuni. Solo per citare alcuni dei grandi esclusi dalla festa globale contro il terrorismo patrocinata dallo Stato terrorista per eccellenza.
Sempre più “magico” il computer di Raúl Reyes. Praticamente ci sarebbe di tutto lì dentro. Basta solo avere fantasia e soprattutto aver bisogno di quello che si sta cercando.
Risulta infatti dalla posta elettronica del capo guerrigliero (Raúl, ma non cancellavi mai la posta?) che anche i Mapuche chiesero tempo fa a un alto comandante delle FARC consulenza per l’addestramento militare con il fine di portare avanti la loro lotta contro il Governo cileno nel sud del paese, e particolarmente per la liberazione di un’ampia porzione di territorio del Cile.
“Ovviamente” il tramite lo avrebbe fatto la Coordinadora Continental Bolivariana, capitolo cileno, anche questa un calderone dal quale praticamente l’intelligence colombiana e quella degli Stati Uniti all’occorrenza tirano fuori tutto ciò di cui hanno bisogno: terroristi, guerriglieri e amici o simpatizzanti delle FARC.
Nella relazione consegnata al pubblico ministero cileno Sabas Chahuán viene menzionata anche la Cumbre de los Pueblos, che riunisce movimenti sociali ed organizzazioni non governative di sinistra dell’Europa e dell’America Latina e che svolge i suoi incontri parallelamente ai quelli dei capi di Stato e di Governo di Europa, America Latina e Caraibi. L’ultimo a Lima, nel maggio scorso, dove mentre i capi di Stato europei e latinoamericani cercavano di formalizzare accordi economici basati sullo sfruttamento di risorse naturali e umane, la Cumbre de los Pueblos e il suo “braccio giuridico”, il Tribunale Permanente dei Popoli, denunciavano i crimini commessi da una ventina di multinazionali che, rispondendo ad un modello neoliberale di sfruttamento economico e umano, condannano alla fame e alla povertà milioni di persone, causando anche danni ambientali e naturali irreparabili nei territori dove queste vivono.
I Mapuche, invece in Cile, fin dalla dittatura di Augusto Pinochet sono considerati e vengono giudicati nei tribunali come terroristi. Nonostante questo, continuano a lottare con dignità e coraggio per recuperare le loro terre, contro lo sfruttamento e la distruzione dei territori dove vivono, e soprattutto contro la repressione e la violazione dei loro diritti umani da parte di un governo che si qualifica come di “sinistra”.
Non ci sorprende pertanto che sia i Mapuche, che la Cumbre de Los Pueblos, due spine in più nel fianco dei poteri economici e politici che pretendono governare l’America Latina e dei grandi interessi stranieri ad essi legati, siano saltati fuori dal computer di Raúl Reyes.