Sono corpi, signore…
(un soldato al giornalista José Antonio del Campo, di El Día)
Tlatelolco 68
Jaime Sabines
1.
Nessuno conosce il numero esatto dei morti,
nemmeno si conoscono gli assassini,
nemmeno il criminale.
(Sicuramente già ha raggiunto la storia
quest’uomo piccolo in ogni sua parte,
incapace di tutto meno che del rancore.)
Tlatelolco sarà ricordato negli anni a venire
come oggi parliamo del Rio Blanco e Cananea,
ma questo fu ancora peggio,
qui hanno ucciso il popolo:
non erano operai barricati in sciopero, erano donne e bambini, studenti,
giovani quindicenni,
una ragazza che andava al cinema,
una creatura nel ventre di sua madre,
spazzati via, con precisione crivellati di colpi
dalle mitraglie dell’Ordine e della Giustizia Sociale.
Al terzo giorno, l’esercito esra la vittima dei
malvagi,
e il popolo si apprestava esultante
a celebrare le Olimpiadi, che avrebbero dato gloria al Messico.
2.
Il crimine è lì,
protetto dalle pagine dei giornali,
dalle televisioni, dalle radio, dalle bandiere olimpiche.
L’aria densa, immobile,
il terrore, l’infamia.
Intorno le voci, il passaggio, la vita.
E il crimine è lì.
3.
Bisognerebbe lavare non solo il pavimento:la memoria.
Bisognerebbe strappare gli occhi a quello che abbiamo visto.
assassinare anche i parenti,
così che nessuno pianga, che non ci siano più testimoni.
Ma il sangue genera radici
e cresce come un albero nel tempo.
Il sangue nel cemento, nei muri,
su un’edera: ci schizza,
ci bagna di vergogna, di vergogna, di vergogna.
Le bocche dei morti ci sputano
un eterno sangue fermo.
4.
Spereremo nella cattiva memoria della gente,
ordineremo le spoglie,
perdoneremo i sopravvissuti,
libereremo i prigionieri,
saremo generosi, magnanimi e prudenti.
Ci hanno inculcato strane idee come con una trasfusione.
ma instauriamo la pace,
consolidiamo le istituzioni;
i commercianti sono con noi,
i banchieri, i politici messicani autentici,
le scuole private,
le persone rispettabili.
Abbiamo distrutto la congiura,
aumentiamo il nostro potere:
non cadremo più dal letto
perchè faremo dei bei sogni.
Abbiamo Segretari di Stato capaci
di trasformare la merda in essenze aromatiche,
deputati e senatori alchimisti,
leader infallibili, divertentissimi,
una frotta di maledetti spirituali
inalberando gagliardamente la nostra bandiera.
Qui non è successo niente.
Inizia il nostro regno.
5.
Sui tavoli dell’obitorio ci sono i cadaveri.
Seminudi, freddi, sforacchiati,
alcuni con il volto di un morto.
Fuori la gente si accalca, si spazientisce,
spera di non trovare il suo:
“lo vada a cercare da un altra parte”.
6.
La gioventù è l’argomento
centrale della Rivoluzione.
Il Governo sponsorizza gli eroi.
Il peso messicano è stabile
e lo sviluppo del paese è in aumento.
Continuano le vignette umoristiche e i banditi in televisione.
Abbiamo dimostrato al mondo che siamo capaci,
rispettosi, ospitali, sensibili
(che meravigliose Olimpiadi!),
e ora continueremo con la Metro
perchè il progresso non può arrestarsi.
Le donne, in rosa,
gli uomini in azzurro cielo,
sfilano i messicani nella gloriosa unità
che costruisce la patria dei nostri sogni.
(Traduzione di Annalisa Melandri)
Tlatelolco oggi, Plaza de las tres culturas
…
Immagine d’apertura e testimonianza tratta da La noche de Tlatelolco di Elena Poniatowska
Sara Wasington, 22 anni uccisa e gettata in un lago dal fidanzato.
L’ennesima vittima in Italia della follia omicida di fidanzati e mariti nei confronti delle loro compagne. Sembra di stare nel Messico di Ciudad Juárez, un “femminicidio” costante a tutti gli effetti.
E’ triste dirlo, ma quando vostra figlia vi dirà: “sai mamma, ho conosciuto un ragazzo…” per il suo bene consigliatele di passare prima in Questura per sporgere denuncia cautelativa e lasciare le generalità del futuro.…killer…ehm…scusate marito…”
Con tanta tristezza e anche tanta rabbia.
P.S. La Repubblica stamattina a pag. 21 riportava la notizia con questo titolo: Torino, uccisa e getatta nel lago dal fidanzato, sull’edizione online si specifica che l’assasino non è il fidanzatao ma il suo più caro amico che probabilmente l’ha ammazzata perchè voleva stare con lei e lei non voleva…
Ovviamente non cambia il senso del fatto che le donne stanno diventando carne da macello, sia per un marito, che per un fidanzato, per un amico…e come fa ben notare Gennaro Carotenuto, la notizia scivola lentamente verso il fondo, fino alla prossima esecuzione..
Francisco Paredes Ruiz
Di Edmundo Reyes Amaya e di Gabriel Alberto Cruz Sánchez, i militanti del EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) scomparsi il 25 maggio scorso, non si hanno più notizie ormai da quattro mesi.
Le autorità messicane negano che i due siano detenuti, ma voci sempre più insistenti dicono che siano tenuti prigionieri nel Campo Militar N. 1 di Città del Messico.
Mentre l’America Latina va progressivamente democratizzandosi e si lascia alle spalle gli anni bui delle dittature, il Messico invece sembra guardare al passato e la società civile è scossa dal ripetersi sempre più spesso di fatti che caratterizzarono la “guerra sucia” degli anni ’70.
Sparizioni, torture, arresti arbitrari e la paura tra la popolazione…
E’ del 26 di settembre la notizia della scomparsa di un’altra persona, a Morelia, Michoacán, come ha denunciato la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (Limeddh).
Si tratta di Francisco Paredes Ruiz, 58 anni, ex guerrillero appartenente negli anni ’70 al Movimento Armato Rivoluzionario (MAR). Nel 1971 fu condannato per cospirazione, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi, furto e possesso di documenti falsi.
Ciò nonostante, secondo un documento della Procura Generale della Repubblica (PGR) del 1976, nel quale si riconosce che i militanti dei movimenti armati degli anni ’70 furono detenuti arbitrariamente, torturati e condannati senza prove a carico, il processo n. 100/71 a Francisco Paredes Ruiz non fu regolare né nello svolgimento né nelle accuse.
Attualmente Francisco Paredes Ruiz è un difensore dei diritti umani che lotta e lavora per la riapparizione in vita di persone scomparse.
Egli fa parte della Fondazione Diego Lucero che a Michoacán si occupa delle persone scomparse durante la “guerra sucia” e collabora attivamente con l’Associazione dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi e Vittime della Violazione dei Diritti Umani in Messico (AFADEM) oltre ad essere un attivista del nuovo Fronte Nazionale contro la Repressione che si costituirà formalmente il prossimo 2 di ottobre, anniversario del massacro di Tlatelolco.
In questa intervista esclusiva, raccolta il 28 agosto scorso durante la prima riunione del Fronte Nazionale Contro la Repressione, Rosario Ibarra de Piedra, senatrice del Partito del Lavoro e attivista sociale fondatrice del Comitato Eureka, ci aveva manifestato le sue preoccupazioni sulla repressione alla quale sarebbe andato incontro il nuovo Fronte Nazionale contro la Repressione.
Adrían Ramirez, presidente della Limeddh rende noto che: “di fronte al rischio che questo caso possa essere messo in relazione con le indagini in corso sugli avvenimenti EPR-Pemex, le autorità devono assicurare il rispetto alle norme giuridiche e procedere conformemente al diritto”.
La presente nota è stata inviata a queste autorità:
Presidente FELIPE DE JESÚS CALDERÓN HINOJOSA Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF Tel: +52 (55) 27891100 Fax: +52 (55) 52772376 felipecalderonpresidenciagobmx (felipecalderonpresidenciagobmx)
Licenciado Francisco Javier Ramírez Acuña, Secretario de Gobernación, Bucareli 99, 1er. piso, Col. Juárez, Delegación Cuauhtémoc, México D.F., C.P. 06600, México, Fax: +52 (55) 5093 3414 frjramirezsegobgobmx (frjramirezsegobgobmx)
Lic. Eduardo Medina-Mora Icaza Procurador General de la República, Procuraduría General de la República Paseo de la Reforma nº 211–213 Piso 16, Col. Cuauhtémoc C.P. 06500, MÉXICO ofprocpgrgobmx (ofprocpgrgobmx)
Dr. José Luis Soberanes Fernández Presidente de la CNDH Periférico Sur 3469, Col. San Jerónimo Lídice, 10200, México, D.F. Tel: 631 00 40, 6 81 81 25 Fax: 56 81 84 90 Lada sin costo: 01 800 00 869 correofmdhcndhorgmx (correofmdhcndhorgmx)
Dip. Emilio Gamboa Patrón Av. Congreso de la Unión 66 Col. El Parque, Del. Venustiano Carranza, CP, 15969, Mexico, DF Tel. conmutador y pedir fax 56 28 13 00 emiliogamboacongresogobmx (emiliogamboacongresogobmx)
Senador Santiago Creel Miranda Torre Azul, Piso 20, Reforma 136 Col. Juárez, Del. Cuauhtémoc, México DF, 06600 Teléfono 53.45.30.00 Ext: 3042,3493, Fax 3527 screelsenadogobmx (screelsenadogobmx)
Louise Arbour Alta Comisionada de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos tb–petitionsohchrorg (petitionsohchrorg)
Sr. Amerigo Incalcaterra Representante en México de la Oficina del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos oacnudhhchrorgmx
Sr. Santiago Cantón Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos cidhoeaoasorg (cidhoeaoasorg)
El Observatorio para la Protección de los Defensores de Derechos Humanos Tel. y fax: FIDH: + 33 (0) 1 43 55 20 11 / + 33 (0) 1 43 55 18 80 Tel. y fax OMCT : + 41 22 809 49 39 / + 41 22 809 49 29 Appealsfidh-omctorg (Appealsfidh-omctorg)
Ana Hurt Programa Regional para América, Secretariado Internacional de Amnistía Internacional ahurtamnestyorg (ahurtamnestyorg)
Ambasciata del Messico in Italia – Ambasciatore Sr. Jorge Chen Charpentier correoemexitaliait (correoemexitaliait)
Si invitano tutti i compagni e compagne a inviare scritti e comunicazioni alle autorità di cui sopra in solidarietà a Francisco Paredes Ruiz e alla sua famiglia.
Son ya 4 meses que desaparecieron Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, los integrantes del EPR (Ejercito Popular Revolucionario) y de ellos desde el 25 de mayo no se conoce su paradero.
Las autoridades méxicanas niegan que los dos sean detenidos en algun penal, sin embargo se vocifera que ellos se encuentran el Campo Militar Número 1 de la Ciudad de México.
Mientras toda America Latina se va progresivamente democratizando y se deja a las espaldas los años terribles de las dictaturas, México parece mirar hacia atrás y la sociedad civil està estremecida por el repetirse de acontecimientos que caracterizaron la “guerra sucia” de los ’70.
Desapariciones, torturas, detenciones arbitrarias, miedo entre la población.…
Es del 26 de septiembre la noticia de la desapareción de otra persona en Morelia, Michoacán, como denunciado por la Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos (Limeddh).
Se trata de Francisco Paredes Ruiz, 58 años, ex guerrillero perteneciente al exinto Movimiento Armado Revolucionario (MAR). En 1971 fue condenado por cospiración, asociación delictuosa, portación ilegal de arma prohibida, robo e uso de documentos falsos.
Sin embargo según un documento de la Procuranduría General de la República (PGR) de 1976 en el cual se reconoce que los integrantes de los movimientos armados de los ’70 fueron detenidos arbitrariamente y torturados y condenados sin pruebas a cargo, el proceso n. 100/71 a nombre de Francisco Paredes Ruiz no fue regular ni en la forma, ni en las acusaciones.
Actualmente Francisco Paredes Ruiz es un defensor de derechos humanos que lucha y trabaja por la presentación con vida de personas desaparecidas.
Él pertenece a la Fundación Diego Lucero que en Michoacán se ocupa de la aparición con vida de los desaparecidos de la guerra sucia y colabora activamente con la Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Víctimas de Violaciones a los Derechos Humanos en México (AFADEM), además de ser un activista del nuevo Frente Nacional contra la Represión que serà presentado oficialmente el proxímo 2 de octubre, aniversario de la masacre de Tlatelolco.
En esa entrevista, tomada el 28 de agosto durante la primera reunión del Frente, Rosario Ibarra, senadora por el Partido del Trabajo y activista fundadora del Comité Eureka, había manifestado sus preocupaciones sobre la represión que se iba organizando contra el nuevo Frente Nacional contra la Represión.
Adrían Ramirez, presidente de la Limeddh afirma que “ante el riesgo de que este caso pueda estar relacionado con investigaciones realizadas con los hecos recientes EPR-Pemex, las autoridades deben ponderar el respeto a las normas jurídicas y proceder conforme a derecho”.
Esa nota ha sido enviada a:
Presidente FELIPE DE JESÚS CALDERÓN HINOJOSA Residencia Oficial de los Pinos Casa Miguel Alemán Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF Tel: +52 (55) 27891100 Fax: +52 (55) 52772376 felipecalderonpresidenciagobmx (felipecalderonpresidenciagobmx)
Licenciado Francisco Javier Ramírez Acuña, Secretario de Gobernación, Bucareli 99, 1er. piso, Col. Juárez, Delegación Cuauhtémoc, México D.F., C.P. 06600, México, Fax: +52 (55) 5093 3414 mailto:frjramirezsegobgobmx (frjramirezsegobgobmx)
Lic. Eduardo Medina-Mora Icaza Procurador General de la República, Procuraduría General de la República Paseo de la Reforma nº 211–213 Piso 16, Col. Cuauhtémoc C.P. 06500, MÉXICO ofprocpgrgobmx (ofprocpgrgobmx)
Dr. José Luis Soberanes Fernández Presidente de la CNDH Periférico Sur 3469, Col. San Jerónimo Lídice, 10200, México, D.F. Tel: 631 00 40, 6 81 81 25 Fax: 56 81 84 90 Lada sin costo: 01 800 00 869 correofmdhcndhorgmx (correofmdhcndhorgmx)
Dip. Emilio Gamboa Patrón Av. Congreso de la Unión 66 Col. El Parque, Del. Venustiano Carranza, CP, 15969, Mexico, DF Tel. conmutador y pedir fax 56 28 13 00 emiliogamboacongresogobmx (emiliogamboacongresogobmx)
Senador Santiago Creel Miranda Torre Azul, Piso 20, Reforma 136 Col. Juárez, Del. Cuauhtémoc, México DF, 06600 Teléfono 53.45.30.00 Ext: 3042,3493, Fax 3527 screelsenadogobmx (screelsenadogobmx)
Louise Arbour Alta Comisionada de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos tb-petitionsohchrorg (tb-petitionsohchrorg)
Sr. Amerigo Incalcaterra Representante en México de la Oficina del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos oacnudhhchrorgmx (oacnudhhchrorgmx)
Sr. Santiago Cantón Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos cidhoeaoasorg (cidhoeaoasorg)
El Observatorio para la Protección de los Defensores de Derechos Humanos Tel. y fax: FIDH: + 33 (0) 1 43 55 20 11 / + 33 (0) 1 43 55 18 80 Tel. y fax OMCT : + 41 22 809 49 39 / + 41 22 809 49 29 Appealsfidh-omctorg (Appealsfidh-omctorg)
Ana Hurt Programa Regional para América, Secretariado Internacional de Amnistía Internacional ahurtamnestyorg (ahurtamnestyorg)
Se solicitan todos los compañeros a enviar notas y comunicaciones a las autoridades en solidariedad a Francisco Paredes Ruiz y su familia.
Lo aveva previsto perfino Mario Vargas Llosa in un suo articolo del 16 gennaio scorso che sarebbe successo. Scriveva allora infatti: “El ojo que llora” (L’occhio che piange), in “un paese dove tutto è possibile, potrebbe essere distrutto da una singolare congiuntura di ignoranza, stupidità e fanatismo”.
E così è stato, il singolare monumento, costruito in memoria delle circa 70 mila vittime del conflitto in Perù negli anni compresi tra il 1980 e il 2000, domenica 23 settembre è stato il bersaglio mirato di un atto vandalico e non privo di inquietanti interrogativi (vista l’estradizione di Fujimori in Perù), da parte di un gruppo armato di circa venti persone, che si sono introdotte nel complesso dell’Alameda della Memoria in Campo di Marte a Lima, minacciando e immobilizzando il custode.
“El Ojo que llora” è una creazione della scultrice olandese, ma residente in Perù da circa 40 anni, Lika Mudal, la quale per commemorare le vittime, i cui nomi sono stati presi direttamente dalla relazione finale della Commissione di Verità e Riconciliazione, ha concepito un percorso labirintico che conduce fino ad una immensa pietra (che rappresenta la Terra Pachamama) dalla quale fuoriesce acqua come se fossero lacrime. Il cammino che porta fino alla pietra centrale è delineato da 32 mila pietre bianche sulle quali altrettanti nomi sono stati scritti da volontari con vernice indelebile.
In un percorso quasi onirico e caratterizzato da un forte simbolismo, il visitatore attraversando il dolore e la violenza rappresentati dai nomi scritti sulle pietre, giunge fino al cospetto della Madre Terra che versa lacrime per tutti i suoi figli.
Per tutti i suoi figli indistintamente, siano essi i 9 studenti della Cantuta giustiziati nel 1992 insieme al loro professore da un reparto del gruppo paramilitare Colima o gli otto giornalisti e la loro guida massacrati sulle montagne di Uchurracay il cui omicidio fu commissionato direttamente da membri dell’Esercito e della Marina o tutti gli altri desaparecidos, torturati e uccisi tra il 1980 e il 2000, così come per tutte le vittime della violenza senderista.
Certo che se è Mario Vargas Llosa a parlare di “ignoranza, stupidità e fanatismo”.…non possiamo non credergli.
Egli fu nominato presidente della Commissione Uchurracay, che era composta da importanti personalità del mondo culturale e giudiziario dell’epoca e che aveva il compito di fare chiarezza sulle cause del massacro dei giornalisti, invece mentirono Vargas Llosa e la commissione, accusando ingiustamente dei contadini indigeni per coprire le reali responsabilità dell’esercito nell’accaduto.
Risale al mese di gennaio 2007 la sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani che ha condannato lo stato peruviano per violazione dei diritti umani e lo ha obbligato a risarcire i familiari dei 42 senderisti trucidati nel penale limeño di Castro Castro tra il 6 e il 9 maggio 1992, nonchè ad inserire i nomi delle vittime nel complesso monumentale del “Ojo que llora”.
La decisione causò allora la protesta dei familiari delle vittime degli attentati compiuti da Sendero Luminoso, indignati per il fatto che i nomi dei loro cari si trovassero vicino a quelli dei militanti del gruppo maoista, in un monumento da loro stessi poi ribattezzato come “monumento ai terroristi”.
L’ex senatrice fujimorista Martha Chavez d’altra parte ha elogiato in questi giorni l’atto vandalico dicendo che “finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di eliminare questo monumento spazzatura, dove con cattiveria sono stati messi i nomi dei terroristi convinti vicino a quelli che del terrorismo senderista sono state le vittime, questo disonore non doveva essere permesso e qualcuno doveva fare ciò che è stato fatto”.
Francisco Soberón, direttore dell’Associazione per i Diritti Umani (APRODEH) rende noto invece che il colore arancio usato per imbrattare il monumento è quello che identificava il fujimorismo negli anni della dittatura e che l’APRODEH “condanna energicamente questa barbara aggressione, che coincide con l’arrivo di Fujimori, fatto che indica degli indizi sui responsabili materiali dell’accaduto”.
Chissà a chi addosserebbe ora Vargas LLosa la responsabilità dell’atto vandalico compiuto su “El Ojo que llora”.
Foto Reuters
è diventato visibile.…
Fonte Agi
Frange di cattolici tradizionalisti già all’indomani del secondo conflitto mondiale si intrecciano con alcuni ambienti nostalgici neofascisti, in nome di un’alleanza retta nel rifiuto del “mondo moderno”, del “mito democratico ed egualitario” e della civiltà borghese. Tale intesa si è poi protratta fino ai giorni nostri, senonché oggi i due fronti del tradizionalismo cattolico e dell’estrema destra hanno talmente tanti punti in comune che molto spesso si sovrappongono, per cui assistiamo ad una cristianizzazione degli aderenti ai movimenti neofascisti (Lega Nord compresa), ed una sorta di fascistizzazione della sponda cristiana.
Naturalmente i temi delle alleanze e delle strette collaborazioni sono alquanto noti, vanno dalle storiche lotte all’aborto a quelle più attuali che riguardano la battaglia all’omosessualità e alla tanto ventilata, quanto imminente e pericolosa — a loro modo di vedere — invasione islamica e la conseguente società multirazziale, vista come un vero e proprio flagello dell’umanità.
Giuseppe Scaliati (1978), laureato in scienze politiche all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, all’indirizzo storico-politico, con una tesi in storia del Pensiero Politico contemporaneo dal titolo Origini e sviluppi dell’Anarchismo. Ha pubblicato nel febbraio 2005 TRAME NERE. I movimenti di destra in Italia dal dopoguerra ad oggi con la casa editrice Fratelli Frilli Editori; nel febbraio 2006 DOVE?VA?LA?LEGA?NORD, Radici ed evoluzione politica di un movimento populista, Edizioni Zero in condotta. Collabora con testate giornalistiche e siti web.
Por Julio Carmona
Mucho se ha hablado a raíz de la extradición del ciudadano japonés Kenya Fujimori Fujimori. Pero se ha hecho muchas veces tergiversando los términos. Por ejemplo eso de seguir considerándolo como “ciudadano peruano”. Y no es así, porque esa nacionalidad peruana devino nula, en la medida que la Constitución que se lo impedía no es la del ’93 sino la del ’33, que es la que regía cuando él llegó al Perú sin haber renunciado a la nacionalidad japonesa, la misma que hizo valer para refugiarse en el Japón al fugar abandonando el cargo de Presidente que ostentó por diez años, ilegalmente no sólo por el golpe de Estado del ’92, sino porque para ser presidente del Perú, según la Constitución del ’79 –aplicable para el caso-, se debía tener la nacionalidad peruana, que la daba el haber nacido en el Perú o el haber renunciado a la nacionalidad de origen: y en ambos casos está probado que Fujimori no cumplía con esos requisitos.
La otra tergiversación de los hechos –en el tráfago discursivo denunciado– es seguir llamándolo “Presidente” (como hacen sus ayayeros, para impresionar a los incautos y lograr para él un estatus de privilegio) o “ex Presidente” (como hacen los desinformados); porque lo que hizo el reo Fujimori fue usurpar funciones y, conforme lo establece la Constitución engendrada por él mismo (razón más que suficiente para invalidarla, pues sigue ostentando su firma), “nadie debe obediencia a un gobierno usurpador”, es decir, que un gobierno usurpador es nulo como son nulos sus actos (Artículo 46º). Por eso cuando se exige para él un trato “de acuerdo con su investidura de ex jefe de Estado”, no sólo se ignora o se pretende ignorar la invalidez de dicho estatus, sino que además se olvida que incurrió en otro delito (Artículo 380º del Código Penal) que es el de “abandonar” el cargo que usurpó por diez años, lo que también lo desautoriza para reclamar la validez de un cargo usurpado y abandonado.
Por otro lado, esa descalificación de haber sido Jefe de Estado la proporciona el mismo reo al decir que él no estaba enterado de ninguno de las actos ilícitos por los que se le juzga, cometidos en su “gobierno”, pues de ser así lo único que demuestra es una absoluta incapacidad para gobernar, dado que los delitos cometidos y publicitados incriminaban a sus agentes de manera flagrante y, no obstante, su “gobierno” no sólo no los persiguió ni condenó sino que los condecoró y felicitó y (cuando fueron perseguidos y juzgados por el impulso de los organismos de derechos humanos y del periodismo honesto) él los amnistió. Pero todas esas tergiversaciones de los términos se hacen patéticas cuando se pretende minimizar su responsabilidad en actos tan execrables haciendo un paralelo con la supuesta estabilidad económica que introdujo (luego de la debacle del primer gobierno aprista), y esto se derrumba por su propio peso, porque esa recuperación económica lo que hizo es llevar al Perú a la mayor dependencia de toda su historia, y para lograr eso no era necesario hacerlo derramando sangre inocente. Los tiranos (homónimos del reo Fujimori, tal el caso de Pinochet) pretenden siempre tapar sus crímenes amparándose en el “orden”, pese a ser un “orden” represor de los derechos del pueblo, y favorable a unos pocos privilegiados –incluido el propio tirano– que ven crecer sus riquezas.
Por último (la cereza que corona la torta): decir “Fujimori ha vuelto” es también erróneo, porque si bien es cierto él planeó volver vía Chile, lo hizo suponiendo que se iba a cumplir el –felizmente fallido– pronóstico Valle Riestra: que ningún expresidente había sido extraditado. Y, bueno, la justicia chilena parece haber visto que no tiene el estatus de expresidente. Y por eso digo que “no viene” como tal, sino que “lo traen como reo flagrante y contumaz”. Para paz espiritual de todas sus víctimas.
Julio Carmona
Miembro de la Directiva (Vicepresidente) del Gremio de Escritores del Perú
Miembro del Comité de Redacción de la Revista Digital argentina
< www.redaccionpopular.com>
“Morire avvelenati dal made in China è l’ultima versione del “pericolo giallo”, la più inquietante.… I milioni di Barbie e Batman ritirati dalla circolazione per la vernice al piombo che può intossicare i bambini occidentali…Prima era un dragone in grado di divorare interi settori industriali dei paesi ricchi. Ora è in gioco un bene perfino più prezioso, la nostra salute e quella dei nostri figli…Scopriamo con orrore che i “terzisti” cinesi ingaggiati dalla Mattel o dalla Nike sono spesso pirati del capitalismo, criminali che non esitano a sacrificare vite umane per arricchire i loro conti offshore nei depositi esentasse di Hong Kong.”
Così scriveva quest’estate Federico Rampini sulle pagine de La Repubblica del 15 agosto, commentando la notizia del ritiro di 18 milioni di giocattoli Mattel dal mercato.
Questi erano i toni di tutto l’articolo, che chiudeva con una lapidaria conclusione: “Il suicidio del boss dell’impresa Lee Deer, colpevole di aver esportato giocattoli tossici, può diventare un sinistro presagio della sorte che toccherà un giorno al regime cinese, se si ostina a rifiutare le riforme politiche”.
Effettivamente allora, questo grido al “pericolo giallo” mi sembrò un tantino esagerato, soprattutto perchè il vero nocciolo della questione veniva gettato lì in un rigo solo: “Le Multinazionali occidentali vi hanno colto un’opportunità”.
Le multinazionali occidentali hanno colto da sempre infatti un’opportunità per far soldi e trarre enormi profitti approfittando di situazione economiche e sociali che lasciano spazio allo sfruttamento più bieco e infimo, quello della mano d’opera.
Se la Mattel decise si spostare la produzione delle famigerate bambole in Asia fu per la necessità di ridurre i costi e quindi, trarre maggior profitto dalle vendite.
I costi in Asia,. come generalmente avviene nei paesi del Terzo Mondo, si riducono sfruttando gli operai ed economizzando sui materiali.
Già Green Peace aveva portato avanti una campagna informativa nel 2005 sostenendo che nei giocattoli prodotti dalla Mattel ci fossero tracce superiori alla media di ftalato, prodotto altamente cancerogeno e risulta quanto meno improbabile che un colosso come la Mattel non effettui dei test di sicurezza o dei controlli sui suoi articoli prodotti in altri paesi.
L’impietosa analisi e condanna del “made in China” che fa Federico Rampini nel suo articolo del 15 agosto, non analizzando completamente la responsabilità della Mattel nella vicenda, peccava essenzialmente di sensazionalismo, infatti era di appena un mese prima la notizia del Colgate tossico contraffatto di origine cinese. Tutti siamo d’accordo che dalla Cina giungono tonnellate e tonnellate di merci contraffatte e quindi potenzialmente pericolose e che mancano di controlli di sicurezza, non credo però che la responsabilità di questo sia a senso unico e che giovi alla sicurezza dei nostri figli gridare al “pericolo giallo”.
Mi è capitato di comprare un giocattolo “made in China” in una nota catena di giocattoli italiana e all’aprire la confezione mi sono accorta che peccava del più elementare sistema di sicurezza per i bambini e cioè i vani portabatterie erano sprovvisti delle viti” , oltre che di scadentissima qualità, il giocattolo infatti non funzionava . Ho riportato l’articolo in questione al negozio e alle mie rimostranze il commesso mi ha fatto notare il marchio CE sulla confezione. Gli ho fatto notare d’altra parte come se oggi si falsifica tutto dalle Ferrari al dentrificio, non vedo nessuna difficoltà a falsificare un marchio su una scatola di giocattoli. Questo per dire che evidentemente se c’è un paese produttore di prodotti falsi e pericolosi, è perchè esiste ed è compiacente un mercato dove distribuirli e leggi aggirabili in vari modi.
Purtroppo l’analisi di Rampini sembrava andare a senso unico, un’Occidente buono e socialmente evoluto dopo secoli di lotte e conquiste e una Cina appena uscita dal Medioevo che deve stare alle regole se non vuole “risparmiarsi un’ondata di protezionismo”.
E secondo questa analisi la colpa del demonio cinese è da riscontrarsi nella “nomenklatura comunista” corrotta che permetterebbe a quei diavoli di capitalisti di calpestare impunemente le leggi cinesi che potrebbero anche essere almeno sulla carta accettabili.
Invece è di questa settimana la notizia che la Mattel ha dovuto chiedere mondialmente scusa alla Cina perchè il difetto riscontrato nelle Barbie non era imputabile alla Lee Der, l’azienda cinese produttrice della celebre bambola, il cui dirigente si suicidò pochi giorni dopo lo scoppio dello scandalo.
Pace all’anima sua. Tutti allora gridarono alla colpa, tranne i dipendenti dell’uomo che lo difesero strenuamente come un persona integra e tutta d’un pezzo. Forse troppo.
La Mattel praticamente per poter immettere subito nel mercato i nuovi giocattoli, avrebbe ridotto i test sulla sicurezza, sfornando prodotti difettosi. Le vernici tossiche cinesi non c’entravano nulla ma si trattava di piccoli magnetini pericolosi se ingeriti e risultanti essere un difetto di progettazione imputabile direttamente alla Mattel, un errore “made in Usa” quindi.
Federico Rampini però nel suo articolo di ieri, 22 settembre non analizza così impietosamente l’accaduto, come pure sarebbe stato logico fare, anzi tiene a precisare che se la Mattel ha agito con così tanta leggerezza è stato a causa della fretta dei “dirigenti della Mattel di lanciare nuovi prodotti sul mercato prima della concorrenza e prima delle copie contraffatte”.
Alla fine è sempre colpa dei cinesi, il “giallo” (nel senso di colore) assume toni più sbiaditi ma rappresenta sempre un pericolo.
E quasi quasi dovremmo sentirci in colpa, suggerisce Rampini, in un altra sua conclusione lapidaria, se per un attimo abbiamo osato pensare malissimo della multinazionale americana, perchè così facendo si rischia di “dimenticare i dentifrici tossici, gli alimenti contaminati, i medicinali falsi. O il milione di “culle killer” sempre made in China – ritirate precipitosamente ieri dal mercato Usa dopo la morte di due neonati soffocati da una barra del lettino”.
Come sempre, il nemico non è fra noi in casa nostra e ci minaccia alla porta.
Incontro di Hugo Chávez nel Salón Boyacá del Palacio de Miraflores a Caracas con la senatrice colombiana Piedad Córdoba e un gruppo di familiari dei prigionieri delle FARC tra i quali il professor Moncayo.