Video inedito: il generale Mario Montoya con paramilitari dopo il massacro di Bojayá

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La Commissione Nazionale di Riparazione e Riconciliazione della Colombia lunedì ha presentato un video inedito nel quale appare il generale Mario Montoya, (ex capo  dell’ esercito del paese) nonchè attuale ambasciatore in Repubblica Dominicana, insieme ad alcuni paramilitari il giorno dopo il massacro di Bojayá avvenuto nel 2002 nella cittadina di Bellavista dove furono uccise 86 persone.
Per questo fatto fino a questo momento erano state ritenute responsabili le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).

Lˈ Aquila chiama, LˈItalia risponde — Sara Vegni (Comitato 3e32 — Presidio Piazza Duomo)

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Le macerie di una democrazia…


Leggi anche il reportage da Lˈ Aquila di Valeria Gentile


No alla ratifica degli Accordi tra UE e Centro America, Colombia e Perù — Manifesto

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ALT allˈ ingiustizia e alla disuguaglianza

No alla ratifica degli Accordi tra UE e Centro America, Colombia e Perù

Manifesto delle Organizzazioni, Reti e Movimenti Sociali dellˈ America centrale, Regione Andina e Unione Europea

Nel VI Vertice dei Capi di Stato e di Governo tra Unione Europea, America Latina e Caraibi, avvenuto a Madrid il 18 maggio 2010 è stata annunciata la conclusione dei negoziati per un Accordo di Associazione tra l’Unione Europea e l’America Centrale e di un Accordo Commerciale Multilaterale tra l’UE e Colombia e Perù.

Le organizzazioni, le reti e i movimenti sociali delle tre regioni che hanno avuto ugualmente l’opportunità di incontrarsi a Madrid nel quadro del Vertice Alternativo dei Popoli per discutere della portata e dei possibili impatti degli Accordi negoziati, si sono accordate per coordinare azioni di informazione, sensibilizzazione, pressione e mobilitazione sui pericoli che comportano gli Accordi negoziati. Come parte di questo processo, rendono pubblico il seguente Manifesto:


La crisi economica mondiale ha messo in questione il paradigma del “libero scambio” sul quale si fondano gli accordi negoziati. La logica per lo più liberoscambista degli Accordi negoziati tra l’UE e il Centro America e l’UE, Colombia e Perù corrisponde a un modello in crisi che limiterà fortemente l’autonomia degli Stati parte per promuovere e definire politiche regionali e nazionali di sviluppo a beneficio delle maggioranze. La conclusione degli accordi avviene in un contesto di crisi multipla: economica, climatica, energetica e alimentare che influenza fortemente i paesi del Sud e specialmente i paesi centroamericani e andini, a causa della vulnerabilità ambientale che li caratterizza.


1. Dagli Accordi di Associazione agli Accordi di Libero Scambio.

Gli Accordi negoziati privilegiano innanzitutto gli interessi commerciali dell’UE, tanto nell’accesso ai mercati quanto nella portata dei temi, tra gli altri, dei servizi, degli investimenti, degli acquisti governativi, delle proprietà intellettuali. In cambio i paesi centroamericani, così come Colombia e Perù, hanno guadagnato “alcuni vantaggi” nell’accesso ai mercati, che non fanno altro che consolidare l’accesso che tali paesi già avevano nel quadro del Sistema Generale di Preferenze (SGP), riaffermando il carattere di paesi esportatori di materie prime e quindi, la loro vulnerabilità di fronte ai mercati internazionali.


2. Accordi abissalmente asimmetrici.

Le asimmetrie nei livelli di sviluppo, benessere e qualità della vita tra l’UE e America Centrale, Colombia e Perù sono abissali. La riduzione di queste asimmetrie tra le regioni, e all’interno di esse, era uno dei propositi prioritari dei negoziati, nonostante gli accordi negoziati non includano meccanismi realmente effettivi che contribuiscano a ridurle, ma al contrario, le esacerbano.

I risultati dei negoziati nel settore latteo è un esempio di questa iniquità. Poiché l’ingresso dei latticini sussidiati europei genererà uno scalzamento nei mercati interni centroamericani e andini, affettando i produttori locali e compromettendo la sovranità alimentare di queste regioni, considerando che il latte è un elemento essenziale del paniere alimentare familiare.


3. Gli accordi negoziati, lungi dal favorire, pregiudicano i processi di integrazione regionale in corso.

Rafforzare i processi sub-regionali di integrazione, quello andino e quello centroamericano, era uno degli obiettivi fondamentali enunciati dall’UE con questi Accordi  e presentato come una differenza significativa rispetto ai Trattati di Libero Scambio negoziati con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’evoluzione della negoziazione ha dimostrato la sua incoerenza a riguardo. Per ciò che riguarda il processo di integrazione andino, l’aver accettato di continuare il negoziato con soli due membri, Perù e Colombia, ha contribuito ad acutizzare le tensioni già esistenti tra i paesi membri della Comunità Andina. Allo stesso modo l’accettazione di Panama, come parte dell’accordo, senza aver proceduto previamente all’ingresso nel Sistema Centroamericano di Integrazione Economica – SIECA — e dopo aver annunciato il suo ritiro dal Parlamento Centroamericano – PARLACEN-, pregiudica l’istituzionalizzazione centroamericana.

Il governo ecuadoriano ha annunciato la propria disponibilità a negoziare un Accordo di Commercio per lo Sviluppo con l’UE, ma la poca flessibilità che ha dimostrato l’UE nelle negoziazioni precedenti rende poco probabile l’ipotesi che un negoziato con queste caratteristiche possa giungere a buon fine. Tuttavia, in questo scenario noi organizzazioni domandiamo che tale processo consulti e cerchi il consenso della popolazione, rispetti la Costituzione dell’Ecuador e si inquadri nei principi di uguaglianza ed equità per il Buen Vivir. Noi organizzazioni, reti e movimenti sociali resteremo vigili rispetto alla direzione che prenderanno tali negoziati.


4. Liberalizzare l’accesso alle risorse naturali e a settori strategici limita le possibilità di sviluppo e restringe la sovranità degli Stati.

Le risorse naturali, la biodiversità, le conoscenze ancestrali, i servizi pubblici, le fonti d’acqua, le risorse minerali ed energetiche tanto in Centro America quanto nella regione andina sono state obiettivi agognati dalle imprese multinazionali dell’Europa e degli Stati Uniti. Gli accordi negoziati favoriscono gli interessi delle multinazionali europee in queste aree. Porre settori strategici per lo sviluppo delle regioni al servizio delle ansie di profitto delle imprese europee pregiudica le possibilità verso il futuro dell’integrazione economica regionale, la sovranità degli stati e riafferma il paradigma in crisi del libero scambio, omettendo di riconoscere i suoi effetti.


5. Gli accordi negoziati con l’UE possono acutizzare i conflitti esistenti in Colombia, in Perù e nella regione centroamericana.

I modelli “estrattivisti” che si stanno applicando tanto in Centro America quanto nella regione andina, provocano la resistenza della popolazione e la mobilitazione sociale in difesa del territorio e delle sue risorse naturali, principalmente dei popoli indigeni e dei discendenti africani. Gli accordi negoziati con l’UE tendono a rafforzare questo modello contribuendo così ad esacerbare i conflitti socio-ambientali esistenti.


6. Gli accordi negoziati non privilegiano la difesa e la protezione dei diritti umani rispetto al libero scambio.

Questi accordi, oltre a contenere misure che pregiudicheranno i diritti economici, sociali e culturali dei popoli centroamericani, peruviano e colombiano, non includono meccanismi effettivi che condizionino le preferenze commerciali al rispetto adeguato dei diritti umani, e che quindi includano meccanismi effettivi di sanzione commerciale contro le violazioni.

Inoltre, vale la pena sottolineare come la conclusione dei negoziati è stata al di sopra di ogni altra considerazione in riferimento al buon governo e ai diritti umani: né la crisi democratica dell’Honduras dopo il colpo di stato né le gravi violazioni alle libertà sindacali in paesi come Colombia, Guatemala o Panama avvenute durante i negoziati hanno provocato un’alterazione del processo negoziale. Queste situazioni hanno evidenziato l’incoerenza dell’Unione Europea, che ha dato priorità all’avanzamento e alla conclusione degli accordi, e ha evidenziato l’assenza di meccanismi effettivi di protezione.


7. Gli accordi negoziati limitano le possibilità di partecipazione della società civile nell’implementazione degli accordi.

Durante il periodo delle negoziazioni le proposte e le raccomandazioni di diverse organizzazioni e movimenti sociali delle tre regioni sono state ignorate. Nemmeno l’Accordo contempla una partecipazione vincolante, ampia e diversa delle organizzazioni e dei movimenti sociali. I Forum previsti sono un meccanismo di partecipazione insufficiente, che non garantisce la trasparenza ne la democrazia nell’Accordo.


8. Gli accordi negoziati ignorano gli studi di impatto socio-ambientale.

Gli Studi di Impatto Socio-Ambientale – commissionati dalla Commissione Europea e pubblicati prima della conclusione dei negoziati – nonostante i loro limiti, facevano riferimento agli impatti in alcune aree sensibili. Nonostante tale avvertenza, le parti hanno ignorato totalmente questi risultati al momento di definire i testi degli accordi, mostrando che non si è cercato di correggere tali possibili impatti durante i negoziati.


Di fronte a quanto esposto, considerando che la crisi economica prosegue, che gli accordi negoziati privilegiano gli interessi commerciali dell’UE, pregiudicano risorse strategiche degli stati, indeboliscono i processi di integrazione regionale e non costituiscono un progresso in materia di protezione dei diritti umani ne il superamento delle diseguaglianze sociali esistenti, noi, organizzazioni sottoscritte, provenienti dalle tre regioni e impegnate in questi negoziati, chiediamo a tutti i Parlamenti coinvolti nella Ratificazione di questi Accordi, che approccino la discussione di questi Accordi tenendo in conto:

  • Le evidenze e le lezioni della crisi globale rispetto al fallito modello neoliberista nel quale si inscrivono tali accordi e che privilegino i Trattati e le Convenzioni Internazionali sui Diritti Umani e sull’Ambiente rispetto agli interessi commerciali,
  • L’obiettivo prioritario di ridurre le asimmetrie esistenti tra le parti, le quali non sono state prese in considerazione dando come risultato degli accordi iniqui e ingiusti.
  • Il loro obiettivo iniziale di contribuire al rafforzamento dei processi di integrazione regionale, riconoscendo che il risultato degli accordi si orienta nella direzione opposta.


In considerazione di quanto esposto, esortiamo tutti i parlamentari e tutte le parlamentari coinvolti ad esprimere un voto negativo all’approvazione, che apra uno spiraglio per la riapertura della discussione sulle relazioni dell’UE con l’America Centrale e la Regione Andina, su nuove basi, in condizioni di parità e con un’agenda rinnovata che includa le organizzazioni della società civile.


NO alla ratificazione degli accordi negoziati
Promuoviamo vere condizioni di giustizia ed equità tre le nostre regioni.


Inviare la propria adesione a href=“http://wwwdotasuddotnet/test/lauradotrangeldotfonsecaatgmaildotcom” target=“_self”>lauradotrangeldotfonsecaatgmaildotcom

Novembre  del 2010

Sottoscrivono:

Europa: CIFCA, Grupo SUR, Oxfam, Red birregional Enlazando Alternativas. Alemania: Informationsstelle Peru (Freiburg), Peru-Gruppe München). España: Asociación Entrepueblos, ATTAC-España, Ecologistas en Acción, HUACAL (ONG de Solidaridad con El Salvador), PlasPaz. Plataforma Asturiana Paz y DDHH para Colombia, Plataforma Justicia por Colombia  España, Plataforma Rural/Alianzas por un mundo rural vivo, Red de Semillas “Resembrando e Intercambiando”, Red de Solidaridad para la Transformación Social REDS, Secretaria d’Organització Intersindical CSC, SETEM, SODePAZ, Soldepaz.Pachakuti. Francia: Comité Pérou. Holanda: Transnational Institute TNI, Irlanda: Grupo Raíces (Grúpa Freamhacha), Latin American Solidarity Centre (LASC). Italia: A Sud– Italia, Annalisa Melandri activista por los derechos humanos. América Latina: Alianza Social Continental, ALOP, Asociación Latinoamericana de Micro, Pequeños y Medianos Empresarios, A. C. ALAMPYME, Plataforma Interamericana de Derechos Humanos, Democracia y Desarrollo PIDHDD, SERPAJ América Latina. América Central: Capítulo centroamericano ASC, Centro América por el Diálogo CAD-. Costa Rica: Comisión Nacional de Enlace CNE. El Salvador: CEICOM, CORDES, Red de Acción Ciudadana Frente al Libre Comercio e Inversión SINTI TECHAN, Unidad Ecológica Salvadoreña UNES. Guatemala: Colectivo de Organizaciones Sociales COS, Consejo de Investigaciones e Información en Desarrollo CIID,  Movimiento Tzuk Kim-pop (Altiplano Occidental de Guatemala). Honduras: CHAAC. Nicaragua: Coordinadora Civil/ CAD Capítulo Nicaragua, FUMEDNIC, Movimiento Social Nicaragüense Otro Mundo es Posible. México: Alianza Internacional de Habitantes, Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos LIMEDDH, Red de Mujeres Líderes por la Equidad y una Vida Libre de Violencia A.C. — D.F, Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio RMALC. Suramérica: Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas CAOI. Argentina: ATTAC Argentina, Movimiento por la Paz, la Soberanía y la Solidaridad entre los Pueblos MOPASSOL, Organización de Naciones y Pueblos Indígenas en Argentina ONPIA-. Bolivia: Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qullasuyu CONAMAQ. Colombia: Asociación de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca – ACIN, Asociación Salud al Derecho, Coalición de Movimientos y Organizaciones Sociales de Colombia COMOSOC, CODIEPSIR, Colectivo Informativo Susurro, Comisión Colombiana de Juristas, Comisión de Protección y Seguimiento del Paramo El Almorzadero, Entre Redes, FUNCOP-CAUCA, Fundación Rostros y Huellas del Sentir Humano “Garifuna”, Marcha Mundial de Mujeres – Colombia, Mesa de Trabajo Mujeres y Economía, Movimiento Afrodescendiente Huellas Africanas, Movimiento Franciscano por la Paz MOFRAPAZ, Movimiento de Cristianos/as por la Paz con Justicia y Dignidad MCPJD, Movimiento Nacional por la Salud y la Seguridad Social MNSSS, Organización Nacional Indígena de Colombia ONIC,Plataforma Colombiana de Derechos Humanos, Democracia y Desarrollo PCDHDD, Red Colombiana de Acción frente al Libre Comercio RECALCA, Red Nacional de Mujeres Afrocolombianas Kambirí, Roberto Achito: Autoridad Tradicional Emberá, SINTRAFEC, SURCULTURA, Ecuador: Acción Vital, Centro de Derechos Económicos y Sociales CDES, Colectivo de Mujeres Acción Política por la Equidad APE, Colectivo para las Alternativas Humanas, Confederación de Pueblos de la Nacionalidad Kichwa del Ecuador ECUARUNARI, Democracia Socialista, Ecuador Decide. Perú: Confederación Nacional de Comunidades del Perú Afectadas por la Minería CONACAMI, Red Peruana por una Globalización con Equidad RedGE. Venezuela: Central Socialista de Trabajadores y Trabajadoras de Venezuela CST, Federación de Obreros Universitarios, Federación de Sindicatos de Profesores Universitarios FENASINPRES, Federación de Trabajadores de la Harina FETRAHARINA, Federación de Trabajadores de la Industria Gráfica FETRAIG, Federación de Trabajadores de Telecomunicaciones FETRATELECOMUNICACIONES, Federación de Trabajadores del Sector Eléctrico FETRAELEC, Federación de Trabajadores Universitarios FETRAUVE, Federación Nacional de Sindicatos de Trabajadores de la Salud FENASIRTRASALUD, Federación Nacional de trabajadores del Sector Público FENTRASEP, Federación Unitaria de Trabajadores de Petróleo y Gas FUTEP, Fuerza Socialista Bolivariana de Trabajadores, Sindicato Nacional Fuerza Unitaria Magisterial SINAFUM, Sindicato Unitario de la Construcción SUTAC.


Traduzione di Roberto Trevini Bellini per A Sud


Leggi anche:

Centroamerica, movimenti sociali e Trattato di libero commercio di Antonio Mazzeo (qui)


Un ex questore esperto di “terrorismo” a capo della Protezione Civile

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Avviso ai militanti!

Eʹ una nomina curiosa quella di Franco Gabrielli come nuovo capo del Dipartimento della Protezione Civile in sostituzione di Guido Bertolaso che si è ritirato in pensione.

Che ci fa un ex direttore del Sisde ed ex prefetto (dellˈAquila), una vita trascorsa nellˈ antiterrorismo a capo della Protezione Civile?

Verrà nominato anche lui commissario straordinario per ogni “emergenza” che si dovesse presentare nel nostro paese? E quale sarà il suo contributo?

È bene che la società civile e i movimenti sociali comincino a porsi queste domande, dal momento che si prevedono nel futuro del nostro paese interventi territoriali di una certa importanza, ai quali le comunità locali si mostrano sempre più insofferenti. Dalla costruzione delle centrali nucleari, al ponte sullo Stretto, dalla TAV alle discariche… sappiamo benissimo che la gestione delle emergenze del territorio da parte del governo e delle forze dellˈordine avviene sempre più spesso attraverso ordinanze derogatorie e commissariamenti straordinari. Con il decreto legge numero 343 del 2001 infatti, la Protezione Civile è diventata un organo con competenze anche sui “grandi eventi” e non solo sui disastri ambientali e territoriali.

Per capirsi, Guido Bertolaso è stato nominato commissario straordinario (o solo commissario) per le seguenti “emergenze”:

Terremoto dellˈ Aquila, rifiuti in Campania, bonifica del relitto della Haven, rischio bionucleare, mondiali di ciclismo, presidenza G8 del 2009, area archeologica romana, vulcani delle Eolie, area marittima di Lampedusa, funerali di Papa Giovanni Paolo II.

Ma anche, non recentemente, commissario straordinario per la prevenzione dei rischi da SARS (nel 2003), emergenza di Cerseto (frana del 2005), emergenza incendi boschivi (2007).

E se forse ormai è chiaro ai più, dopo i recenti scandali che hanno visto coinvolto proprio Guido Bertolaso, che la Protezione Civile che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio, riesce a “gestire” le emergenze senza praticamente nessun tipo di controllo finanziario proprio in base a deroghe e poteri di ordinanza, la nomina di Franco Gabrielli assume significati nuovi e inquietanti rispetto alla gestione della “sicurezza” e dellˈordine pubblico in vista di determinati eventi e interventi sul territorio.

di Annalisa Melandri

ringrazio Alessandro Vigilante per la segnalazione




Manifiesto Trirregional (Centroamérica, Europa, Países andinos) por la no ratificación de los TLC de la Unión Europea.

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Freno a la injusticia y a la desigualdad

No a la ratificación de los Acuerdos negociados por la

Unión Europea con Centroamérica, Colombia y Perú

Manifiesto de Organizaciones, Redes y Movimientos Sociales de América Central, Región Andina y la Unión Europea

En la VI Cumbre de Jefes de Estado y de Gobierno entre la Unión Europea y América Latina y El Caribe, celebrada en Madrid el 18 de mayo de 2010 se anunciaron la culminación de las negociaciones de un Acuerdo de Asociación entre la UE y América Central y de un Acuerdo Comercial Multipartes entre la UE y Colombia y Perú.


Las organizaciones, redes y movimientos sociales de las tres regiones que tuvieron también la oportunidad de encontrarse en Madrid en el marco de la Cumbre Alternativa de los Pueblos para debatir sobre el alcance y posibles impactos de los Acuerdos negociados, acordaron coordinar acciones de información, sensibilización, incidencia y movilización sobre los peligros que entrañan los Acuerdos negociados. Como parte de este proceso, hacen público el siguiente Manifiesto:


La crisis económica mundial ha cuestionado el paradigma del “libre comercio” en que se sustentan los acuerdos negociados. La lógica predominantemente “librecambista” de los Acuerdos negociados entre la UE y Centroamérica y la UE y Colombia y Perú, corresponde a un modelo en crisis que va a limitar fuertemente la autonomía de los Estados parte para promover y definir políticas regionales y nacionales de desarrollo en beneficio de las mayorías. El cierre de estos acuerdos se da en un contexto de crisis múltiple: económica, climática, energética y alimentaria que afecta fuertemente a los países del Sur y especialmente a los países centroamericanos y andinos, derivado de la vulnerabilidad ambiental que los caracteriza.


1. De Acuerdos de Asociación a Acuerdos de Libre Comercio.

Los Acuerdos negociados privilegian ante todo los intereses comerciales de la UE, tanto en el acceso a mercados, como en el alcance de los temas de servicios, inversiones, compras gubernamentales, propiedad intelectual entre otros. A cambio los países centroamericanos, así como Colombia y Perú han logrado “algunas ventajas” en acceso a mercados, que no hacen otra cosa que consolidar el acceso que ya tenían estos países en el marco del Sistema General de Preferencias (SGP), reafirmando el carácter de países exportadores de materias primas y por ende, su vulnerabilidad frente a los mercados internacionales.

2. Acuerdos abismalmente Asimétricos.

Las asimetrías en los niveles de desarrollo, bienestar y calidad de vida entre la UE y América Central, Colombia y Perú son abismales. La reducción de estas asimetrías entre las regiones, y al interior de estas, era un propósito prioritario de las negociaciones, no obstante los Acuerdos negociados no incorporan mecanismos realmente efectivos que contribuyan a reducirlas, por el contrario, las exacerban.

Los resultados de la negociación del sector lácteo, es un ejemplo de esta inequidad. Ya que el ingreso de los lácteos subsidiados europeos van generar un desplazamiento de los mercados internos centroamericanos y andinos, afectando a los productores locales y comprometiendo la soberanía alimentaría de estas regiones, tomando en cuenta que la leche es un alimento esencial de la canasta básica familiar.


3. Los Acuerdos negociados lejos de favorecer, afectan los procesos de integración regional en curso.

Fortalecer los procesos subregionales de integración, el andino y el centroamericano, fue uno de los objetivos fundamentales enunciados por la UE con estos Acuerdos y presentado como una diferencia significativa frente a los Tratados de Libre Comercio negociados con los Estados Unidos. No obstante, la evolución de la negociación demostró su incoherencia al respecto. En lo que se refiere al proceso de integración andino, el haber aceptado continuar la negociación con tan solo dos miembros Perú y Colombia, ha contribuido a agudizar las tensiones ya existentes entre los países miembros de la Comunidad Andina. De la misma manera, la aceptación de Panamá, como parte del Acuerdo, sin haber cumplido previamente con el ingreso al Sistema de Integración Económico Centroamericano — SIECA y tras haber anunciado su retiro del Parlamento Centroamericano — PARLACEN, afecta la institucionalidad centroamericana.


El Gobierno ecuatoriano ha anunciado la disponibilidad de negociar un Acuerdo de Comercio para el Desarrollo con la UE, sin embargo la poca flexibilidad que ha demostrado la UE en las negociaciones precedentes hace poco probable pensar que una negociación bajo estas características pueda llevarse a cabo. Sin embrago, y ante este escenario las organizaciones demandamos que este proceso sea consultado y consensuado con la población, respete la Constitución de Ecuador y se enmarque en los principio de igualdad y equidad para el Buen Vivir. Las organizaciones, redes y movimientos sociales nos mantendremos vigilantes al rumbo que tomen estas conversaciones.


4. Liberalizar el acceso a recursos naturales y sectores estratégicos limita las posibilidades de desarrollo y coarta la soberanía de los Estados.

Los recursos naturales, la biodiversidad, los conocimientos ancestrales, los servicios públicos, las fuentes de agua, los recursos minerales y energéticos tanto de Centroamérica como de la región andina, han sido objetivo codiciado de las empresas transnacionales de Europa y Estados Unidos. Los Acuerdos negociados favorecen los intereses de las multinacionales Europeas en estas áreas. Poner sectores estratégicos para el desarrollo de las regiones al servicio de los afanes de lucro de empresas europeas, afecta las posibilidades hacia futuro de la integración económica regional, la soberanía de los Estados y viene a reafirmar el paradigma en crisis del libre comercio, haciendo caso omiso de sus efectos.


5. Los Acuerdos negociados con la UE pueden agudizar los conflictos existentes en Colombia, Perú y la región centroamericana.

Los modelos extractivistas que se vienen aplicando tanto en Centroamérica, como en la región andina, generan el rechazo de la población y la movilización social en defensa del territorio y de los recursos naturales, principalmente, de los pueblos indígenas y afrodescendientes. Los Acuerdos negociados con la UE tienden a fortalecer este modelo con lo cual van a contribuir a exacerbar los conflictos socio ambientales existentes.


6. Los Acuerdos negociados no privilegian la defensa y protección de los derechos humanos sobre el libre comercio.

Estos Acuerdos, además de contener medidas que afectarán los derechos económicos, sociales y culturales de los pueblos centroamericanos, peruano y colombiano, no incluyen mecanismos efectivos que condicionen las preferencias comerciales al adecuado cumplimiento de los derechos humanos, y para ello incluyan mecanismos efectivos de sanción comercial frente a violaciones.


Adicionalmente, vale la pena subrayar como la culminación de las negociaciones estuvo por encima de cualquier otra consideración referida al buen gobierno o los derechos humanos: ni la crisis democrática de Honduras tras el golpe de Estado o las graves violaciones a la libertad sindical en países como Colombia, Guatemala o Panamá ocurridas durante la negociación lograron alterar el curso de las mismas. Estas situaciones evidenciaron la incoherencia de la Unión Europea, que priorizó el avance y culminación de los Acuerdos, y evidenció la ausencia de mecanismos efectivos de protección.


7. Los Acuerdos Negociados limitan las posibilidades de participación de la sociedad civil en la implementación de los Acuerdos.

A lo largo de las negociaciones las propuestas y recomendaciones de diversas organizaciones y movimientos sociales de las tres regiones fueron desconocidas. Tampoco el acuerdo contempla una participación vinculante, amplia y diversa de organizaciones y movimientos sociales. Los Foros previstos son un mecanismo de participación insuficiente, que no garantizan la transparencia ni la democracia en el Acuerdo.


8. Los Acuerdos negociados desconocen los Estudios de impacto socio ambiental.

Los Estudios de Impacto Socio Ambiental –encomendados por la Comisión Europea y publicados antes de la finalizar las negociaciones– pese a sus limitaciones, hacían referencia a impactos en algunas áreas sensibles. A pesar de contar con esta advertencia, las partes desconocieron de plano estos resultados a la hora de definir los textos de los Acuerdos, mostrando que no se buscó corregir estos posibles impactos en la negociación.


Frente a lo antes expuesto, considerando que la crisis económica se mantiene, que los Acuerdos negociados privilegian los intereses comerciales de la UE, comprometen recursos estratégicos de los Estados, debilitan los procesos de integración regional y no constituyen un avance en materia de protección a los derechos humanos ni superación de las inequidades sociales existentes, las organizaciones abajo firmantes, provenientes de las tres regiones y comprometidas en estas negociaciones, demandamos a todos los Parlamentos involucrados en la Ratificación de estos Acuerdos, que aborden la discusión de estos Acuerdos tomando en cuenta:


Las evidencias y lecciones de las crisis globales respecto al fallido modelo neoliberal bajo el cual se inscriben estos Acuerdos y que privilegien los Tratados y Convenios Internacionales de Derechos Humanos y Medio Ambiente sobre los intereses comerciales,


El objetivo prioritario de reducir las asimetrías existentes entre las partes, las cuales no fueron tenidas en cuenta dando como resultado Acuerdos Inequitativos e Injustos.


Que su propósito inicial de contribuir al fortalecimiento de los procesos de integración regional, reconociendo que el resultado de los Acuerdos se orientan en la dirección contraria.


En consideración a los antes expuesto, exhortamos a todos y todas los parlamentarios y parlamentarias concernidos a emitir un voto negativo a la aprobación, que abra una ventana de oportunidad para reabrir la discusión sobre las relaciones de la UE con América Central y la región Andina, sobre nuevas bases, en condiciones de igualdad y una agenda renovada que incorpore a las organizaciones de la sociedad civil.

NO a la ratificación de los Acuerdos negociados

Promovamos verdaderas condiciones de justicia y equidad entre nuestras regiones

Noviembre del 2010

SUSCRIBEN:

Europa: CIFCA, Grupo SUR, Oxfam, Red birregional Enlazando Alternativas. Alemania: Informationsstelle Peru (Freiburg), Peru-Gruppe München). España: Asociación Entrepueblos, ATTAC-España, Ecologistas en Acción, HUACAL (ONG de Solidaridad con El Salvador), PlasPaz. Plataforma Asturiana Paz y DDHH para Colombia, Plataforma Justicia por Colombia  España, Plataforma Rural/Alianzas por un mundo rural vivo, Red de Semillas “Resembrando e Intercambiando”, Red de Solidaridad para la Transformación Social REDS, Secretaria d’Organització Intersindical CSC, SETEM, SODePAZ, Soldepaz.Pachakuti. Francia: Comité Pérou. Holanda: Transnational Institute TNI, Irlanda: Grupo Raíces (Grúpa Freamhacha), Latin American Solidarity Centre (LASC). Italia: A Sud– Italia, Annalisa Melandri activista por los derechos humanos. América Latina: Alianza Social Continental, ALOP, Asociación Latinoamericana de Micro, Pequeños y Medianos Empresarios, A. C. ALAMPYME, Plataforma Interamericana de Derechos Humanos, Democracia y Desarrollo PIDHDD, SERPAJ América Latina. América Central: Capítulo centroamericano ASC, Centro América por el Diálogo CAD-. Costa Rica: Comisión Nacional de Enlace CNE. El Salvador: CEICOM, CORDES, Red de Acción Ciudadana Frente al Libre Comercio e Inversión SINTI TECHAN, Unidad Ecológica Salvadoreña UNES. Guatemala: Colectivo de Organizaciones Sociales COS, Consejo de Investigaciones e Información en Desarrollo CIID,  Movimiento Tzuk Kim-pop (Altiplano Occidental de Guatemala). Honduras: CHAAC. Nicaragua: Coordinadora Civil/ CAD Capítulo Nicaragua, FUMEDNIC, Movimiento Social Nicaragüense Otro Mundo es Posible. México: Alianza Internacional de Habitantes, Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos LIMEDDH, Red de Mujeres Líderes por la Equidad y una Vida Libre de Violencia A.C. — D.F, Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio RMALC. Suramérica: Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas CAOI. Argentina: ATTAC Argentina, Movimiento por la Paz, la Soberanía y la Solidaridad entre los Pueblos MOPASSOL, Organización de Naciones y Pueblos Indígenas en Argentina ONPIA-. Bolivia: Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qullasuyu CONAMAQ. Colombia: Asociación de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca – ACIN, Asociación Salud al Derecho, Coalición de Movimientos y Organizaciones Sociales de Colombia COMOSOC, CODIEPSIR, Colectivo Informativo Susurro, Comisión Colombiana de Juristas, Comisión de Protección y Seguimiento del Paramo El Almorzadero, Entre Redes, FUNCOP-CAUCA, Fundación Rostros y Huellas del Sentir Humano “Garifuna”, Marcha Mundial de Mujeres – Colombia, Mesa de Trabajo Mujeres y Economía, Movimiento Afrodescendiente Huellas Africanas, Movimiento Franciscano por la Paz MOFRAPAZ, Movimiento de Cristianos/as por la Paz con Justicia y Dignidad MCPJD, Movimiento Nacional por la Salud y la Seguridad Social MNSSS, Organización Nacional Indígena de Colombia ONIC,Plataforma Colombiana de Derechos Humanos, Democracia y Desarrollo PCDHDD, Red Colombiana de Acción frente al Libre Comercio RECALCA, Red Nacional de Mujeres Afrocolombianas Kambirí, Roberto Achito: Autoridad Tradicional Emberá, SINTRAFEC, SURCULTURA, Ecuador: Acción Vital, Centro de Derechos Económicos y Sociales CDES, Colectivo de Mujeres Acción Política por la Equidad APE, Colectivo para las Alternativas Humanas, Confederación de Pueblos de la Nacionalidad Kichwa del Ecuador ECUARUNARI, Democracia Socialista, Ecuador Decide. Perú: Confederación Nacional de Comunidades del Perú Afectadas por la Minería CONACAMI, Red Peruana por una Globalización con Equidad RedGE. Venezuela: Central Socialista de Trabajadores y Trabajadoras de Venezuela CST, Federación de Obreros Universitarios, Federación de Sindicatos de Profesores Universitarios FENASINPRES, Federación de Trabajadores de la Harina FETRAHARINA, Federación de Trabajadores de la Industria Gráfica FETRAIG, Federación de Trabajadores de Telecomunicaciones FETRATELECOMUNICACIONES, Federación de Trabajadores del Sector Eléctrico FETRAELEC, Federación de Trabajadores Universitarios FETRAUVE, Federación Nacional de Sindicatos de Trabajadores de la Salud FENASIRTRASALUD, Federación Nacional de trabajadores del Sector Público FENTRASEP, Federación Unitaria de Trabajadores de Petróleo y Gas FUTEP, Fuerza Socialista Bolivariana de Trabajadores, Sindicato Nacional Fuerza Unitaria Magisterial SINAFUM, Sindicato Unitario de la Construcción SUTAC.

Adhesiones a:  lauradotrangeldotfonsecaatgmaildotcom



Néstor Kirchner : eroe dell’ indipendenza dell’Argentina

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Di Mark Weisbrot — www.cepr.net
The Guardian Unlimited, 27 Ottobre 2010

La  morte improvvisa  di Néstor Kirchner rappresenta oggi una grande perdita, non soltanto per l’ Argentina ma per tutta la regione e per il mondo intero. Kirchner assunse la presidenza del suo paese  nel maggio del 2003 quando l’ Argentina si trovava nella fase iniziale della  ripresa dopo una terribile recessione. Il ruolo che giocò  nel riscatto dell’ economia argentina si può  paragonare al ruolo che svolse  Franklin D. Roosvelt negli Stati Uniti durante la Grande Depressione. Come Roosvelt, Kirchner ha dovuto difendersi non soltanto da  interessi economici colossali  ma anche dalla maggior parte dei professionisti dell’economia,  che sostenevano che le sue politiche avrebbero portato a un disastro. Si è dimostrato che si stavano sbagliando e che lui invece  aveva ragione.

La recessione in Argentina negli anni tra il  1998 e il 2002 può essere paragonata alla Grande Depressione degli Stati Uniti in termini di disoccupazione, (giunta  a punte del  21%), e di calo della  produzione (più o meno il 20% del PIL). La maggior parte degli argentini, che fino a quel momento avevano  goduto di livelli di vita tra i più alti dell’ America latina, furono spinti al di sotto della linea di povertà. Tra il dicembre del 2001 e il gennaio del 2002 il paese sperimentò una massiccia inflazione, un  insolvenza nei pagamenti di portata storica mondiale pari a di 95 miliardi di dollari   e il collasso del sistema finanziario.

Sebbene alcune delle  politiche economiche ortodosse che assicurarono una rapida ripresa fossero state  già avviate durante  l’anno precedente all’ insediamento di Kirchner, egli dovette poi continuare ad applicarle fino in fondo, nonostante le difficoltà, per far sì  che l’ Argentina potesse diventare  l’economia con il maggior tasso di crescita della regione.

Una grande sfida venne dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il Fondo aveva giocato un ruolo importantissimo nel collasso dell’economia, appoggiando — tra le varie  politiche sbagliate — un tasso di cambio sopravvalutato, con un indebitamento e un tasso di interesse crescenti. Quando l’economia argentina inevitabilmente giunse al collasso, il FMI non offrì aiuto, ma soltanto una serie di condizioni che ne impedivano il recupero.  Il FMI stava cercando di ottenere soltanto migliori condizioni di pagamento per i detentori del  debito. Kirchner rifiutò  invece  ad accettare le condizioni dei pagamenti e il FMI si negò  a rifinanziare il debito.

Nel settembre del 2003, lo scontro  giunse al culmine nel momento in cui  Kirchner non assolse temporaneamente il  pagamento  al FMI  invece di accettare le sue condizioni. Fu un passo straordinariamente coraggioso — nessun paese di reddito  medio aveva mai omesso  al pagamento del FMI. Lo aveva  fatto soltanto un gruppo di stati falliti o  paria come l’ Iraq o il Congo. Questo perché si credeva che  il FMI avesse il potere di  tagliare i crediti commerciali ai paesi  insolventi. Nessuno sapeva veramente  cosa sarebbe accaduto. Ciò nonostante  il FMI si tirò indietro dalla contesa rifinanziando il prestito.

L’ Argentina continuò a crescere alla media di un tasso dell’ 8% annuo durante tutto il 2008, liberando dalla  povertà più di 11 milioni di persone in un paese di 40 milioni. Le politiche del governo di  Kirchner,  dentro le quali c’erano   l’obiettivo del Banco Centrale di ottenere un tasso di cambio reale stabile e competitivo e la mano  pesante contro i creditori mancanti  -  non erano  popolari a Washington e nemmeno tra i  mezzi di comunicazione commerciali. In ogni caso  funzionarono.

Lo scontro vincente  di Kirchner con il FMI giunse in un momento in cui l’influenza di quest’ ultimo era in rapida discesa   dopo il fallimento delle sue politiche  durante la crisi economica asiatica precedente al collasso argentino. Si dimostrò al mondo che un paese poteva sfidare il FMI e sopravvivere per raccontare la sua storia. In tal modo il FMI continuò a perdere potere e influenza  in America latina e tra i paesi di reddito medio in generale. Dal momento che il FMI rappresentava in quel momento anche il mezzo più importante con cui Washington esercitava la sua influenza sui  paesi di reddito medio e basso,  questo ha contribuito anche alla fine dell’ influenza degli Stati Uniti,  specialmente nell’ ambito della recente indipendenza conquistata dal  Sud America.

Kirchner ha giocato   un ruolo importante nel consolidamento di questa indipendenza, lavorando con altri governi di sinistra, come con quello del  Brasile, del  Venezuela, dell’ Ecuador e della Bolivia. Attraverso organismi come l’ UNASUR (l’ Unione delle Nazioni Sudamericane), il MERCOSUR (Mercato Comune del Sud) e numerosi accordi commerciali, l’America  latina fu capace di cambiare drasticamente il suo cammino. Tali governi hanno sostenuto  con successo il governo della Bolivia  contro la sfida extraparlamentare  della destra nel 2008 e più recentemente hanno appoggiato l’Ecuador contro il colpo di Stato alcune settimane fa. Sfortunatamente non sono riusciti  a  ribaltare  il colpo di Stato militare in Honduras dello scorso anno, riuscito con l’ appoggio decisivo degli Stati Uniti. L’ Argentina insieme con l’UNASUR però continua a rifiutare  la riammissione dell’ Honduras all’interno dell’ OSA (Organizzazione degli Stati Americani) nonostante le forti pressioni di Washington.

Kirchner ha conquistato  inoltre il rispetto delle  organizzazioni di difesa dei diritti umani per la sua volontà  di sottoporre a giudizio e chiedere l’estradizione di alcuni dei militari accusati di aver commesso  crimini contro l’umanità durante la dittatura del 1976–1983,  ribaltando la posizione  dei governi precedenti. Insieme a  sua moglie, Cristina Fernández, Néstor  Kirchner ha dato un contributo enorme alla svolta progressista dell’  Argentina e di tutta la regione. Nonostante gli sforzi, in linea generale non ha goduto delle simpatie di  Washington e dei circuiti commerciali internazionali ma la  storia lo ricorderà  non solo come un buon presidente ma anche come un eroe dell’ Indipendenza latinoamericana.


Traduzione di Annalisa Melandri.



Gabo e il bloqueo

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Trascrivo qui di seguito tre interi capitoli relativi al  bloqueo tratti dal  libro “Periodismo militante” di Gabriel García Márquez pubblicato nel 1978 e nel quale sono raccolti alcuni suoi reportages dall’America latina, alcuni in particolare proprio da Cuba che insieme a quelli realizzati dall’Angola gli valsero il Premio Mondiale di Giornalismo nel 1977.


Il blocco fu un feroce tentativo di genocidio


Il blocco non fu semplicemente, come credono molti, il taglio del cordone  ombelicale con gli Stati Uniti. Fu un feroce tentativo di genocidio promosso da un potere quasi illimitato i cui tentacoli si estendevano in ogni parte del mondo. Molte industrie di paesi occidentali che tentarono di commerciare con Cuba subirono le rappresaglie degli Stati  Uniti, e alcune, in Inghilterra  e in Spagna, furono da essi comprate per impedire gli scambi. Fino a pochi anni fa una nave della CIA pattugliava le acque territoriali cubane per intercettare i mercantili che trasportavano beni all’ isola accerchiata. La minaccia  permanente di invasioni armate, il sabotaggio sistematico, le provocazioni continue furono per i cubani un motivo di tensione e uno spreco di energie umane molto più grave dell’ assedio  commerciale.

Gli Stati Uniti dissero allora , e dicono, ancora, che il blocco non coinvolgeva i medicinali. Al ministro della salute pubblica, all’ Avana ho visto personalmente le lettere dei laboratori nordamericani che rifiutavano di vendere medicinali per timore di rappresaglie governative. Peggio ancora: quando Cuba propose di liberare i mercenari fatti prigionieri a Playa Girón in cambio di alimenti  per l’ infanzia  e medicinali, Gli Stati Uniti si presero i prigionieri liberati ma non consegnarono mai gran parte dei medicinali. Tuttavia l’aspetto  più infame del blocco fu forse il meno noto: la seduzione di tecnici e professionisti cubani da parte degli Stati Uniti. In un paese  in cui solo le persone di livello sociale ed economico  molto elevato avevano accesso all’istruzione, la gran maggioranza dei tecnici e dei professionisti indipendenti si identificarono con l’ imperialismo, né accettarono le offerte di stipendi favolosi e disertarono il loro paese. Molti si portarono via documenti e segreti vitali.

La medicina fu il campo in cui quella spoliazione umana toccò il più alto livello di criminalità. Dei circa settemila medici che esistevano a Cuba prima della rivoluzione, più della metà  lasciò  il paese, e i pochi che rimasero dovettero affrontare problemi inconsueti. “Non sapevamo neppure  quanta aspirina era necessaria per il mal di testa di tutti gli abitanti”, mi disse uno di loro. Il problema più drammatico era l’insulina  per i diabetici. I cubani commissionarono alla Polonia la quantità ritenuta sufficiente  per un anno, e i polacchi, sbigottiti, risposero che quella cifra copriva  il consumo di insulina di tutta l’ Europa  per dieci anni. Eppure fu quel piccolo gruppo  di medici che tanti fastidi aveva con l’aritmetica a ricostruire da zero la sanità cubana, che oggi sta diventando famosa come una delle più serie e originali del mondo.

Nell’  industria, nelle miniere, nei trasporti, nell’ agricoltura, la situazione era la stessa. Gli operai assunsero i compiti dei loro tecnici fuggitivi, e la produzione non solo fu mantenuta, ma ebbe un incremento immediato e costante. Nelle miniere di nikel si dovettero  ricostruire a memoria i piani di lavorazione e altri documenti vitali che gli yankee si erano portati via. Il vecchio  e simpatico tecnico  della distilleria di rum di Santiago  ci raccontò  che i suoi ex padroni gli avevano offerto una somma fantastica perché  scappasse negli Stati Uniti, non tanto per servirsi  delle sue conoscenze e segreti, quanto per impedire  che se ne servissero i cubani. La sua risposta fu esemplare: “Perché non mi avete offerto questa somma quando mi davate uno stipendio da fame?

In quella situazione una  sola cosa era insostituibile: il petrolio. Se non esistessero altri dati schiaccianti sull’ aiuto fornito dall’Unione  Sovietica  e altri paesi  socialisti alla rivoluzione cubana, basterebbe dire che nessuna attività si interruppe a Cuba per un solo minuto a causa della mancanza di petrolio, benché le petroliere sovietiche dovessero percorrere dodicimila chilometri.


I peggiori ricordi del blocco: chicharos e merluzzo

Condannati a morire di fame, i cubani dovettero reinventarsi dal nulla. Crearono tutta una tecnologia del bisogno, tutta un’economia della penuria, tutta una cultura della solitudine.

Le donne impararono a cucinare in un’altra maniera, secondo i cibi disponibili, e impararono a cucire in un modo nuovo, prelevando i fili dall’orlo della stessa camicia che dovevano rammendare. E prima, nella maggior parte dei casi, avevano dovuto affilare l’ago perché non possedevano che quello da diversi anni. L’età dei bambini era un grave problema domestico: i servizi sociali, che fornivano due vestiti e un paio di scarpe all’anno, non potevano  tener conto della rapidità di crescita.

Non c’era atto della vita quotidiana che non richiedesse uno sforzo particolare di ingegno e di decisione. E un morale molto saldo, perché  la radio e la televisione di Miami mantennero per anni e anni l’assedio costante di una propaganda insidiosa destinata a piegare l’integrità e la dignità dei cubani, e il governo rivoluzionario non poteva impedirlo. In realtà a Cuba basta accendere la radio o la televisione perché entrino di prepotenza i programmi nordamericani. “Figurati” mi diceva qualcuno con sarcasmo, “e hanno ancora il coraggio di dire che siamo un popolo male  informato”. Il tempo aveva assunto un valore diverso . Ci volevano molte più  ore per pensare, e l’insonnia era più  lunga e vuota in quello stato d’assedio paragonabile solo ai grandi silenzi storici delle pestilenze medioevali.

La differenza fondamentale e per capire meglio bisogna conoscere i cubani – e’ che a differenza dei prìncipi e dei pontefici del medio evo i cubani non occuparono il vasto tempo delle loro notti per pensare alla morte, ma che le notti divennero giorni e i mesi divennero anni per  inventare un nuovo modo di vivere e prosperare nel quadro del blocco.

La cosa più sorprendente è  che non ho incontrato nessun cubano che ricordi con rancore questa penuria.  Tutti quanti invece ricordano con orrore  due cose: il merluzzo e i piselli. Il  merluzzo che è  uno dei pesci più  appetitosi d’Europa , e i piselli che i cubani chiamano chicharos, furono per diversi anni la dieta basica imposta dalla  necessità  e rimarranno per sempre nella memoria dei cubani come un simbolo irreparabile dei tempi grami. In realtà  il razionamento alimentare di cui si è  tanto servita la propaganda imperialista, fu sentito più  per la sua monotonia che per il rigore. Ma non c’era troppo da scegliere : si distribuiva ciò  che si trovava e ciò  che si trovò nel mondo durante gli anni più  duri e interminabili del blocco furono i piselli e merluzzo. Nitza Villapol,  una donna straordinaria che non interruppe mail il suo temerario programma di ricette gastronomiche per la televisione, alleviò la noia della tavola con oltre duecento maniere di cucinare il merluzzo, facendolo sembrare pollo o vitello, o inventò  ogni sorta di travestimenti per i piselli. Uno scrittore cubano mangiò per due anni il dolce di batata, il suo dessert favorito, ma smise di mangiarlo quando scoprì per caso che si trattava di un dolce di piselli mascherati da batata.

La carne bovina e ovina naturalmente diventò mitica, non perché ce ne fosse meno di prima, ma perché c’erano sei volte in più persone in grado di mangiarla. Le statistiche dimostrano che già nel 1961, quando cominciò il blocco, si macellava più bestiame che in qualunque anno precedente. Ciò che pesava e che pesa ancora, è  il fatto che prima della rivoluzione mangiavano carne meno di un milione di persone, mentre ora a mangiarla sono otto milioni di persone, due volte alla settimana. Tuttavia il razionamento della carne e’ solo domestico, perché nei ristoranti la si trova sempre.

Dato curioso rispetto alla Colombia, dove tanto si specula sulla penuria dei cubani e dove l’immensa maggioranza degli abitanti soffre del razionamento massiccio e feroce della povertà, e la carne è  vietata due volte la settimana anche per chi ha la possibilità  di mangiare al ristorante. Invece il regime cubano è  tanto rigoroso nell’osservare l’uguaglianza  alimentare, che nelle località più remote della Sierra Maestra, dove non si alleva bestiame e non esistono sistemi di refrigerazione, i rifornitori governativi portano  le vacche vive, e le macellano sul posto prima di distribuirne la carne. Più  rigorosi ancora sono stati i distributori di apparati elettrici, che ci hanno messo due anni prima di accorgersi che li mandavano anche in posti privi di elettricità.


L’importanza politica della minigonna


A non meno di un centinaio di donne in diverse località cubane chiesi in che cosa le avesse colpite di più il blocco. Mi risposero quasi tutte la stessa cosa. “Per le scarpe”. In effetti, com’era accaduto per la carne, il problema delle scarpe fu che il governo rivoluzionario si impose il compito di calzare tutti i cubani senza eccezione, in un paese di contadini indigenti e bambini malarici che vivevano scalzi dalla nascita.

Ora le due cose che più  si notano a Cuba sono l’eguaglianza tra le classi e l’uso generale delle scarpe. Non senza intenzione offrii a mio figlio di pagargli 50 dollari per ogni foto di cubano scalzo; ne trovò  uno solo, ma era sulla spiaggia.

Inoltre le scarpe non sono più razionate e sono distribuite gratis ai bambini a scuola, ed essi hanno l’obbligo di usarle appena imparano  a camminare come prevenzione contro i parassiti.

Persino nei tempi più duri della carenza di abiti e scarpe, le cubane si tolsero lo sfizio di vestirsi alla moda. Perché’ un’altra ammirevole temerità cubana fu di continuare a pubblicare le riviste femminili con le informazioni sulla moda mondiale, e le donne trasformavano gli abiti vecchi secondo le stagioni, e riuscivano sempre a trovare un calzolaio che rialzava il tacco o modificava la punta delle scarpe secondo i dettami parigini. D’altro canto le donne si fabbricavano i cosmetici e le tinture per  capelli, e si facevano le calze, per la dignità di non sembrare da meno delle modelle da rivista.

L’esempio più bello di questa tremenda dignità della povertà si manifesta nelle minigonne delle cubane, che sono le più minime al mondo: strabilianti.

Oggi i cubani parlano di queste cose con una dignità  e un senso dell’umorismo incredibili. Non si lamentano dei loro disagi, ma ridono al ricordo di fantastici errori, come quello di un funzionario che lesse male un catalogo e importò due spazzaneve, e il fenomenale incidente dei fornitori distratti che distribuirono tutte le scarpe sinistre a oriente e tutte le destre a occidente. Tuttavia un coltivatore di tabacco del Pinar del Rio con cui parlavamo di questi pasticci del passato, ci fornì l’opinione più interessante e più realistica: “Prima, io sono vissuto fin dalla nascita come un cane rognoso, cercando di mangiare fra i campi. Invece poi, da quando è cominciato questo cazzo di blocco, mi ha risolto la vita: adesso non mi manca niente”. E concluse ridendo:”Per me, continuino pure”.

E naturalmente  il blocco yankee continua, ma i cubani l’hanno dimenticato, perché l’hanno spezzato loro stessi dall’interno.

A volte lo ricordano scherzando, mentre assaporano il sale della nuova vita cubana, che ha serbato solo il buono della vita precedente: la musica irresistibile e l’eterna voglia di ballarla, i sentimenti esplosivi e il senso dell’ospitalità. Del blocco é rimasto in loro un che di sfiducia e una certa misteriosità nel comportamento, che gli stranieri più stupidi interpretano come silenzio imposto dalla repressione poliziesca, mentre si tratta in realtà di una sorta di complicità nazionale affinché i visitatori non scoprano i  numerosi rammendi che ancora segnano la vita cubana.

M ai buoni sintomi sono schiaccianti. Il giorno in cui arrivai all’Avana c’erano quattordici navi provenienti da ogni parte  del mondo che facevano la coda per entrare un porto. Il giorno in cui partii erano ventidue, e un carico di automobili europee occupava il molo da un estremo all’altro. La città si svegliava a un’epoca  nuova di colori sgargianti, di sale da ballo spalancate, di beffe agli yankee coglioni che si erano fottuti da soli credendo di fotterci.

Era uno stato d’animo collettivo che si manifestava per la strada, dove c’erano tanti innamorati che facevano il comodo loro a qualunque ora, che un turista francese si chiedeva se non fossero stati razionati anche i letti. Nella festa di carnevale celebrata in quella splendida notte di giugno, l’anima dell’Avana esplose d’un ratto in un caos strepitoso. Era la festa totale, di tutti, che ballavano e bevevano birra in strada, con abbondanza di ubriachi che si prendevano a cazzotti, e una donna che scatenò uno scandalo pubblico avendo scoperto il suo uomo a letto con una compagna di fabbrica. Ma in mezzo a quella deflagrazione di umanità, nascosto fra le urla e la musica e i fuochi artificiali, c’era il sintomo definitivo della grandezza e della forza della rivoluzione, l’argomento definitivo contro i suoi detrattori del mondo intero: la polizia incaricata di mantenere l’ordine, signore e signori era disarmata.




Embargo contro Cuba, lˈONU ancora una volta dice NO!

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Nuova condanna dell’ Assemblea Generale dell’ ONU all’ embargo statunitense contro Cuba.

Per il 19º  anno consecutivo, con 187 voti a favore e due contrari (i soliti noti, Stati Uniti e Israele) e l’ astensione  delle Isole Marshall, Micronesia e Palau, la cosiddetta  “Comunità Internazionale”  chiede ancora una volta la fine del cinquantennale criminale e terrorista blocco economico contro il popolo cubano.

187 paesi  si sono pronunciati  positivamente il 26 ottobre scorso sulla  “necessità di porre fine all’embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti  d’ America contro Cuba”, che continua ad essere applicato  nonostante il   “volto nuovo” del governo degli Stati Uniti rappresentato dal  democratico  Barack Obama, deludente quanto impotente (rispetto ad alcuni poteri) presidente.

Questa stessa risoluzione è stata approvata consecutivamente da  19 anni e   da un sempre maggiore numero di stati,   da quella cioè che  “si suppone sia la massima autorità politica del pianeta” come ha scritto Fidel Castro in questi giorni in una delle sue Reflexiones, e che pertanto  si può considerare come  -  aggiunge  — “ il progetto più discusso, più approvato e mai applicato nella storia  delle Nazioni Unite”.

I 187 voti ottenuti contro l’ embargo dimostrano che “la politica degli Stati Uniti contro Cuba non ha nessun fondamennto morale o legale, né  credibilità né   appoggio”. Così si è espresso il Ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez durante il suo intervento all′ Assemblea Generale dell′ ONU. Ma dimostrano anche quanto la comunità internazionale sia inefficace nel risolvere istanze e problematiche che riguardano direttamente gli Stati Uniti e quanto soprattutto l′Organizzazione delle Nazioni Unite non sia che uno strumento delle loro politiche guerrafondaie.

Nonostante le buone intenzioni,  questo organismo internazionale  non è riuscito nel suo seno a cancellare quel rapporto di reciprocità nelle relazioni tra gli stati che era alla base della geopolitica nei secoli che vanno dal XV al XIX .  Relazioni basate sulla spartizione del mondo e delle sue risorse, sulla conquista e sul colonialismo. Oggi, a distanza di cinque secoli, e nonostante si parli di un mondo multipolare (indubbiamente un passo avanti rispetto alla bipolarità caratteristica degli anni della Guerra Fredda)  sicuramente non ci troviamo allo stato delle ccose descritto da Giambattista Vico nel suo “Sul diritto naturale delle genti” del 1731 in cui spiega che il sistema giuridico internazionale è un diritto secondo il quale “i vincitori regolano il cieco furore dell′ armi e la sfrenata insolenza delle vittorie, e i vinti ne consolano i danni delle guerre e la suggestione delle conquiste”, ma la realtà che domina le relazioni internazionali non è poi tanto differente da  questa visione primitiva delle relazioni tra gli stati.

Sicuramente sono cambiate le sedi in cui la comunità internazionale si riunisce, in palazzi di vetro ultra moderni invece che in  rinascimentali palazzi europei, ma la sostanza non cambia e il principio  del do ut des funziona ancora da assioma  regolatore nelle relazione diplomatiche.

Il  paradosso si rende evidente   macroscopicamente nelle vicende relative a Cuba. Per citarne uno solo, l′ ultimo in ordine di tempo, mentre i cinque cubani, accusati di spionaggio e omicidio negli Stati Uniti e condannati a pene detentive superiori ai 10 anni  solo per aver svolto indagini sui piani terroristici messi in atto dai controrivoluzionari cubani nel suo paese, uno dei terroristi mandante di quegli attentati, Orlando Bosch  (ha scontato in Venezuela 10 anni di carcere per l’attentato ad un aereo cubano nel 1976 in cui hanno perso la vita 73 persone) viene omaggiato presso l’Istituto di Studi Cubani e Cubano-Americani dell’ Università di Miami.


Trascrivo qui di seguito tre interi capitoli relativi al  bloqueo tratti dal  libro “Periodismo militante” di Gabriel García Márquez pubblicato nel 1978 e nel quale sono raccolti alcuni suoi reportages dall’America latina, alcuni in particolare proprio da Cuba che insieme a quelli realizzati dall’Angola gli valsero il Premio Mondiale di Giornalismo nel 1977.


Il blocco fu un feroce tentativo di genocidio

Il blocco non fu semplicemente, come credono molti, il taglio del cordone  ombelicale con gli Stati Uniti. Fu un feroce tentativo di genocidio promosso da un potere quasi illimitato i cui tentacoli si estendevano in ogni parte del mondo. Molte industrie di paesi occidentali che tentarono di commerciare con Cuba subirono le rappresaglie degli Stati  Uniti, e alcune, in Inghilterra  e in Spagna, furono da essi comprate per impedire gli scambi. Fino a pochi anni fa una nave della CIA pattugliava le acque territoriali cubane per intercettare i mercantili che trasportavano beni all’ isola accerchiata. La minaccia  permanente di invasioni armate, il sabotaggio sistematico, le provocazioni continue furono per i cubani un motivo di tensione e uno spreco di energie umane molto più grave dell’ assedio  commerciale.

Gli Stati Uniti dissero allora , e dicono, ancora, che il blocco non coinvolgeva i medicinali. Al ministro della salute pubblica, all’ Avana ho visto personalmente le lettere dei laboratori nordamericani che rifiutavano di vendere medicinali per timore di rappresaglie governative. Peggio ancora: quando Cuba propose di liberare i mercenari fatti prigionieri a Playa Girón in cambio di alimenti  per l’ infanzia  e medicinali, Gli Stati Uniti si presero i prigionieri liberati ma non consegnarono mai gran parte dei medicinali. Tuttavia l’aspetto  più infame del blocco fu forse il meno noto: la seduzione di tecnici e professionisti cubani da parte degli Stati Uniti. In un paese  in cui solo le persone di livello sociale ed economico  molto elevato avevano accesso all’istruzione, la gran maggioranza dei tecnici e dei professionisti indipendenti si identificarono con l’ imperialismo, né accettarono le offerte di stipendi favolosi e disertarono il loro paese. Molti si portarono via documenti e segreti vitali.

La medicina fu il campo in cui quella spoliazione umana toccò il più alto livello di criminalità. Dei circa settemila medici che esistevano a Cuba prima della rivoluzione, più della metà  lasciò  il paese, e i pochi che rimasero dovettero affrontare problemi inconsueti. “Non sapevamo neppure  quanta aspirina era necessaria per il mal di testa di tutti gli abitanti”, mi disse uno di loro. Il problema più drammatico era l’insulina  per i diabetici. I cubani commissionarono alla Polonia la quantità ritenuta sufficiente  per un anno, e i polacchi, sbigottiti, risposero che quella cifra copriva  il consumo di insulina di tutta l’ Europa  per dieci anni. Eppure fu quel piccolo gruppo  di medici che tanti fastidi aveva con l’aritmetica a ricostruire da zero la sanità cubana, che oggi sta diventando famosa come una delle più serie e originali del mondo.

Nell’  industria, nelle miniere, nei trasporti, nell’ agricoltura, la situazione era la stessa. Gli operai assunsero i compiti dei loro tecnici fuggitivi, e la produzione non solo fu mantenuta, ma ebbe un incremento immediato e costante. Nelle miniere di nikel si dovettero  ricostruire a memoria i piani di lavorazione e altri documenti vitali che gli yankee si erano portati via. Il vecchio  e simpatico tecnico  della distilleria di rum di Santiago  ci raccontò  che i suoi ex padroni gli avevano offerto una somma fantastica perché  scappasse negli Stati Uniti, non tanto per servirsi  delle sue conoscenze e segreti, quanto per impedire  che se ne servissero i cubani. La sua risposta fu esemplare: “Perché non mi avete offerto questa somma quando mi davate uno stipendio da fame?

In quella situazione una  sola cosa era insostituibile: il petrolio. Se non esistessero altri dati schiaccianti sull’ aiuto fornito dall’Unione  Sovietica  e altri paesi  socialisti alla rivoluzione cubana, basterebbe dire che nessuna attività si interruppe a Cuba per un solo minuto a causa della mancanza di petrolio, benché le petroliere sovietiche dovessero percorrere dodicimila chilometri.


I peggiori ricordi del blocco: chicharos e merluzzo

Condannati a morire di fame, i cubani dovettero reinventarsi dal nulla. Crearono tutta una tecnologia del bisogno, tutta un’economia della penuria, tutta una cultura della solitudine.

Le donne impararono a cucinare in un’altra maniera, secondo i cibi disponibili, e impararono a cucire in un modo nuovo, prelevando i fili dall’orlo della stessa camicia che dovevano rammendare. E prima, nella maggior parte dei casi, avevano dovuto affilare l’ago perché non possedevano che quello da diversi anni. L’età dei bambini era un grave problema domestico: i servizi sociali, che fornivano due vestiti e un paio di scarpe all’anno, non potevano  tener conto della rapidità di crescita.

Non c’era atto della vita quotidiana che non richiedesse uno sforzo particolare di ingegno e di decisione. E un morale molto saldo, perché  la radio e la televisione di Miami mantennero per anni e anni l’assedio costante di una propaganda insidiosa destinata a piegare l’integrità e la dignità dei cubani, e il governo rivoluzionario non poteva impedirlo. In realtà a Cuba basta accendere la radio o la televisione perché entrino di prepotenza i programmi nordamericani. “Figurati” mi diceva qualcuno con sarcasmo, “e hanno ancora il coraggio di dire che siamo un popolo male  informato”. Il tempo aveva assunto un valore diverso . Ci volevano molte più  ore per pensare, e l’insonnia era più  lunga e vuota in quello stato d’assedio paragonabile solo ai grandi silenzi storici delle pestilenze medioevali.

La differenza fondamentale e per capire meglio bisogna conoscere i cubani – e’ che a differenza dei prìncipi e dei pontefici del medio evo i cubani non occuparono il vasto tempo delle loro notti per pensare alla morte, ma che le notti divennero giorni e i mesi divennero anni per  inventare un nuovo modo di vivere e prosperare nel quadro del blocco.

La cosa più sorprendente è  che non ho incontrato nessun cubano che ricordi con rancore questa penuria.  Tutti quanti invece ricordano con orrore  due cose: il merluzzo e i piselli. Il  merluzzo che è  uno dei pesci più  appetitosi d’Europa , e i piselli che i cubani chiamano chicharos, furono per diversi anni la dieta basica imposta dalla  necessità  e rimarranno per sempre nella memoria dei cubani come un simbolo irreparabile dei tempi grami. In realtà  il razionamento alimentare di cui si è  tanto servita la propaganda imperialista, fu sentito più  per la sua monotonia che per il rigore. Ma non c’era troppo da scegliere : si distribuiva ciò  che si trovava e ciò  che si trovò nel mondo durante gli anni più  duri e interminabili del blocco furono i piselli e merluzzo. Nitza Villapol,  una donna straordinaria che non interruppe mail il suo temerario programma di ricette gastronomiche per la televisione, alleviò la noia della tavola con oltre duecento maniere di cucinare il merluzzo, facendolo sembrare pollo o vitello, o inventò  ogni sorta di travestimenti per i piselli. Uno scrittore cubano mangiò per due anni il dolce di batata, il suo dessert favorito, ma smise di mangiarlo quando scoprì per caso che si trattava di un dolce di piselli mascherati da batata.

La carne bovina e ovina naturalmente diventò mitica, non perché ce ne fosse meno di prima, ma perché c’erano sei volte in più persone in grado di mangiarla. Le statistiche dimostrano che già nel 1961, quando cominciò il blocco, si macellava più bestiame che in qualunque anno precedente. Ciò che pesava e che pesa ancora, è  il fatto che prima della rivoluzione mangiavano carne meno di un milione di persone, mentre ora a mangiarla sono otto milioni di persone, due volte alla settimana. Tuttavia il razionamento della carne e’ solo domestico, perché nei ristoranti la si trova sempre.

Dato curioso rispetto alla Colombia, dove tanto si specula sulla penuria dei cubani e dove l’immensa maggioranza degli abitanti soffre del razionamento massiccio e feroce della povertà, e la carne è  vietata due volte la settimana anche per chi ha la possibilità  di mangiare al ristorante. Invece il regime cubano è  tanto rigoroso nell’osservare l’uguaglianza  alimentare, che nelle località più remote della Sierra Maestra, dove non si alleva bestiame e non esistono sistemi di refrigerazione, i rifornitori governativi portano  le vacche vive, e le macellano sul posto prima di distribuirne la carne. Più  rigorosi ancora sono stati i distributori di apparati elettrici, che ci hanno messo due anni prima di accorgersi che li mandavano anche in posti privi di elettricità.


L’importanza politica della minigonna

A non meno di un centinaio di donne in diverse località cubane chiesi in che cosa le avesse colpite di più il blocco. Mi risposero quasi tutte la stessa cosa. “Per le scarpe”. In effetti, com’era accaduto per la carne, il problema delle scarpe fu che il governo rivoluzionario si impose il compito di calzare tutti i cubani senza eccezione, in un paese di contadini indigenti e bambini malarici che vivevano scalzi dalla nascita.

Ora le due cose che più  si notano a Cuba sono l’eguaglianza tra le classi e l’uso generale delle scarpe. Non senza intenzione offrii a mio figlio di pagargli 50 dollari per ogni foto di cubano scalzo; ne trovò  uno solo, ma era sulla spiaggia.

Inoltre le scarpe non sono più razionate e sono distribuite gratis ai bambini a scuola, ed essi hanno l’obbligo di usarle appena imparano  a camminare come prevenzione contro i parassiti.

Persino nei tempi più duri della carenza di abiti e scarpe, le cubane si tolsero lo sfizio di vestirsi alla moda. Perché’ un’altra ammirevole temerità cubana fu di continuare a pubblicare le riviste femminili con le informazioni sulla moda mondiale, e le donne trasformavano gli abiti vecchi secondo le stagioni, e riuscivano sempre a trovare un calzolaio che rialzava il tacco o modificava la punta delle scarpe secondo i dettami parigini. D’altro canto le donne si fabbricavano i cosmetici e le tinture per  capelli, e si facevano le calze, per la dignità di non sembrare da meno delle modelle da rivista.

L’esempio più bello di questa tremenda dignità della povertà si manifesta nelle minigonne delle cubane, che sono le più minime al mondo: strabilianti.

Oggi i cubani parlano di queste cose con una dignità  e un senso dell’umorismo incredibili. Non si lamentano dei loro disagi, ma ridono al ricordo di fantastici errori, come quello di un funzionario che lesse male un catalogo e importò due spazzaneve, e il fenomenale incidente dei fornitori distratti che distribuirono tutte le scarpe sinistre a oriente e tutte le destre a occidente. Tuttavia un coltivatore di tabacco del Pinar del Rio con cui parlavamo di questi pasticci del passato, ci fornì l’opinione più interessante e più realistica: “Prima, io sono vissuto fin dalla nascita come un cane rognoso, cercando di mangiare fra i campi. Invece poi, da quando è cominciato questo cazzo di blocco, mi ha risolto la vita: adesso non mi manca niente”. E concluse ridendo:”Per me, continuino pure”.

E naturalmente  il blocco yankee continua, ma i cubani l’hanno dimenticato, perché l’hanno spezzato loro stessi dall’interno.

A volte lo ricordano scherzando, mentre assaporano il sale della nuova vita cubana, che ha serbato solo il buono della vita precedente: la musica irresistibile e l’eterna voglia di ballarla, i sentimenti esplosivi e il senso dell’ospitalità. Del blocco é rimasto in loro un che di sfiducia e una certa misteriosità nel comportamento, che gli stranieri più stupidi interpretano come silenzio imposto dalla repressione poliziesca, mentre si tratta in realtà di una sorta di complicità nazionale affinché i visitatori non scoprano i  numerosi rammendi che ancora segnano la vita cubana.

M ai buoni sintomi sono schiaccianti. Il giorno in cui arrivai all’Avana c’erano quattordici navi provenienti da ogni parte  del mondo che facevano la coda per entrare un porto. Il giorno in cui partii erano ventidue, e un carico di automobili europee occupava il molo da un estremo all’altro. La città si svegliava a un’epoca  nuova di colori sgargianti, di sale da ballo spalancate, di beffe agli yankee coglioni che si erano fottuti da soli credendo di fotterci.

Era uno stato d’animo collettivo che si manifestava per la strada, dove c’erano tanti innamorati che facevano il comodo loro a qualunque ora, che un turista francese si chiedeva se non fossero stati razionati anche i letti. Nella festa di carnevale celebrata in quella splendida notte di giugno, l’anima dell’Avana esplose d’un ratto in un caos strepitoso. Era la festa totale, di tutti, che ballavano e bevevano birra in strada, con abbondanza di ubriachi che si prendevano a cazzotti, e una donna che scatenò uno scandalo pubblico avendo scoperto il suo uomo a letto con una compagna di fabbrica. Ma in mezzo a quella deflagrazione di umanità, nascosto fra le urla e la musica e i fuochi artificiali, c’era il sintomo definitivo della grandezza e della forza della rivoluzione, l’argomento definitivo contro i suoi detrattori del mondo intero: la polizia incaricata di mantenere l’ordine, signore e signori era disarmata.



VII Incontro con il Cinema Latinoamericano

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L’Associazione Culturale “Nuovi Orizzonti Latini”, contro vento, marea e crisi economica, porta avanti il suo obiettivo di diffusione della Settima Arte Latinoamericana; l’appuntamento è fissato dal 30 ottobre al 5 novembre.

L’Evento si realizza grazie al Patrocinio e contributo della Regione Lazio, in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma e il Festival del Film di Roma; con il Patrocinio del PalaExpo, in collaborazione con la Casa del Cinema, con il Patrocinio di: Comune di Roma, Provincia di Roma, Università “La Sapienza” di Roma; in collaborazione con: l’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti), Ambasciata della Bolivia, del Brasile e del Venezuela e il SNCCI (Sindacato di Critici Cinematografici Italiani).

Un sentito ringraziamento a: CODERE, BCC, Kipus Films, Ristorante BAIRES e “La Fortaleza del Inca”.

L’Ass. Nuovi Orizzonti Latini, che nasce nel 2003, propone, attraverso il linguaggio cinematografico, una panoramica di diverse tematiche delle culture latinoamericane, affermandosi come luogo d’incontro per professionisti, studenti e appassionati nonché come ponte che permette il dialogo tra l’Italia e l’America Latina.

Proponiamo sei giorni di cinema a Roma:

- 30 e 31 ottobre presso l’Auditorio dell’INMP, via delle Fratte di Trastevere 52,

- 2 e 3 novembre presso la Casa del Cinema, Largo Marcello Mastroianni, 1 Villa Borghese

- 4 e 5 novembre presso l’Auditorio del CEB, Ambasciata del Brasile, Piazza Navona, 18

Info: 3920989238 — sito: www.nuoviorizzontilatini.it


Il programma sarà scaricabile lunedì 25 ottobre. Grazie!

Programma qui:  http://www.nuoviorizzontilatini.it/Programma/tabid/482/language/it-IT/Default.aspx


Programma

2 NOVEMBRE SALA DELUXE

Ore 20.30 De Bolívar a Chávez ( 70’ )

*Introduce il film l’Ambasciatore del Venezuela , Ecc.mo Luis José Berroterrán Acosta

Ore 22.00 Ernesto Cardenal: Solentiname ( 87’ )

3 NOVEMBRE SALA DELUXE

16.00 Gerardi

18.00 Túpac Amaru ( 90’ )

20.00  a)- Jopoi, todos juntos/ Jopoi, tutti iniseme, Jopoi all togheter (52)

b)- La verdad soterrada ( 52’ )

22.00  Locos por la bandera ( 95’ )

2 novembre

Ore 20 :30

De Bolívar a Chávez, hacia la Segunda Independencia/ Da Bolívar a Chávez, fino alla Seconda Indipendenza

Regia: Daniel Vaca Narvaja; Venezuela, 2009, 
Genere: Documentario, 70’ , V.O. Spagnolo, Sott. Italiani.

Documentario storico politico sulla lotta del popolo venezuelano nel contesto dello sviluppo di emancipazione dell’America Latina, dalla fine del XVIII secolo fino ad oggi. Narra la storia del popolo venezuelano, con il riflettore posto sulla rivoluzione e sull’attuale governo di Hugo Chavez. Storia ed attualità si fondono in un’originale interpretazione, che denucia l’interventismo nordamericano e recupera le gesta anti-imperialiste dei popoli latinoamericani durante la lunga marcia verso l’unità ed emancipazione definitiva. Un appassionante percorso cronologico attraverso la storia latinoamericana dal periodo indipendista fino ad oggi. Dove il passato ed il presente si fondono nella stessa lotta dei popoli latinoamericani per liberarsi dall’imperialismo internazionale. Nonostante le forze imperialiste abbiano voluto cancellare o tergiversare qualsiasi vestigio di lotta indipendista nella regione attraverso un uso costante di diversi mezzi di distrazione, la realtà storica ci dimostra che quello sviluppo non si può fermare, soprattutto quando i Popoli del Continente prendono coscienza che l’America Latina è un solo Popolo. “Da Bolívar a Chávez fino alla Seconda Indipendenza” è un’opera cinematografica consigliabile e indispensabile per qualsiasi tipo di pubblico, che colloca nel tempo e nello spazio gli avvenimenti che segnarono la storia di questo continente e permette intravedere il modo in cui si delinea il destino di un popolo che contro ogni pronostico ha ripreso la sua marcia verso la libertà ancora una volta.

Ore 20 :00

Ernesto Cardenal: Solentiname

Regia: Modesto López, Messico, (filmata in Costa Rica/Nicaragua); 2006, 87’ , V.O. Spagnolo, Sott. Italiani.

Un pilastro della vita e dell’opera di Ernesto Cardenal è la ricerca della divinità che è presente nella quotidianità. Nelle interviste realizzate in Nicaragua , Costa Rica e Cuba , si affronta la sua poesia, la scultura e la meravigliosa opera che realizzò in Solentiname, alla quale si unirono contadini e pescatori di queste isole, e dove insieme rinacquero come pittori, artigiani, poeti e rivoluzionari..

3 novembre

Ore 16:00 Gerardi

Regia: Carlos Alarcón e Nery Rodenas, Guatemala, 2010, 90’ , V.O. Spagnolo ; sott. Italiani.

Il film narra la vita ed opera del Vescovo della Diocesi del Quiché, in Guatemala, che venne trucidato il 26 aprile 1998, due giorni dopo la pubblicazione del rapporto Guatemala, mai più, che indica esercito e governo del Paese come responsabili di genocidio e “crimini contro l’umanità” durante gli anni bui della guerra civile (1960–1996). Gerardi pagò con la vita l’impegno a favore dei popoli indigeni del Guatemala

Ore 18 :00

Túpac Amaru

Regia: Federico García Hurtado, Peru/Cuba, 1983, 90’ , V.O Spagnolo; Sott. Italiani.

La storia di José Gabriel Condorcanqui Noguera, conosciuto come Túpac Amaru (1704 –1781) e la sua lotta contro la colonizzazione spagnola, presentata con una dimensione che trascende il suo contesto e il suo tempo. Fu il capo di una rivolta indigena contro gli Spagnoli del Perù coloniale. Nonostante la rivolta non ebbe successo, divenne simbolo della battaglia per i diritti delle popolazioni indigene dell’America latina e della lotta, anche armata, contro i governi di quei Paesi. Il nonno di sua madre era l’ultimo imperatore Inca Túpac Amaru.

Era uomo di ferrei principi morali ed era indignato della situazione nella quale vivevano le popolazioni native, e supplicò il governo spagnolo di migliorare le condizioni di vita nelle miniere, nelle fabbriche tessili e nei villaggi.

Passò dalle parole ai fatti e, ispirandosi al suo trisavolo Túpac Amaru che resistette fino alla morte contro gli spagnoli a Vilcabamba, prese il suo nome ed organizzò una rivolta, la prima sollevazione anti-colonialista contro gli spagnoli dalla fine dell’Impero Inca.

Il movimento, che raccolse 90.000 combattenti, si diffuse fra le popolazioni indigene scuotendo le fondamenta dell’impero coloniale, e liberò parte del Perù e dell’Alto Perù ( Bolivia ), ma fu sconfitto per mancanza di esperienza militare.

Fatto prigioniero, Túpac Amaru fu condannato a morte con la sposa e i figli; i loro corpi, squartati, vennero esposti sul monte Picchu alle porte di Cusco nella Plaza de Armas dove anche Túpac Amaru I venne decapitato.

Seguirono anche altre sollevazioni che furono tutte stroncate e i partecipanti furono catturati. La maggior parte fu condannata a morte e una parte (circa 90 persone) vennero trasferite nelle carceri in Spagna dove morirono. Fu comunque solo l’inizio delle battaglie che portarono all’indipendenza del Perù.

3 novembre

Ore 18 :00
Jopoi, todos juntos

Regia: Miguel Vassy, Paraguay/Brasile; Documentario, 2009, 52’ ‚ 
V.O. Spagnolo/Guaraní; Sott. Inglese

Il Paraguay ha una bassissima densità di popolazione per kilometro quadrato. Ma, nonostante si possa dire che c’è territorio in eccesso, gli indigeni guaranì non hanno un altro “posto”

per esistere che non sia quello della loro lingua, parlata da più del 90% della popolazione creola.

In un panorama di cambi culturali, politici e sociali profondi, il popolo Guarani cerca di sopravvivere.

Divisi da confini esogeni, minacciati dall’agroindustria che aspira e riesce a privarli delle loro terre, essi resistono e la loro lotta li unisce ai piccoli agricoltori creoli.

La loro visione del cosmo, i loro valori, aspetti rilevanti della loro cultura sono condivisi da vasti settori della popolazione creola, non indigena.

La società paraguayana è multietnica e la lingua guarani è la lingua madre del 97% dei paraguayani… sebbene gli “indigeni” guaranì siano solo il 2,5% della popolazione…

“Jopói”, un viaggio nelle terre paraguayane, nei villaggi dei creatori della lingua nazionale: il Guaraní. Minacciati da “modelli di sviluppo” che non li tengono in considerazione e non riconoscono i loro diritti, come potranno sopravvivere gli indigeni guaraní e fino a quando?

Ore 19:00

La verdad sotterrada

Regia: Miguel Vassy, Uruguay/Brasile, documentario, 2009, 52’ , V.O. Spagnolo. Sott. Inglese

Uruguay è un chiaro esempio del coordinamento tra i militari durante le dittature in Argentina , Bolivia , Brasile, Cile , Paraguay e il medesimo paese. Mentre 32 uruguaiani scomparvero nel territorio nazionale, circa 200 furono sequestrati in altri paesi.

Uruguay non ha solo coordinato la persecuzione dei propri oppositori ma anche quelli altrui. Militari e polizia uruguaiani nascosti da nomi e documenti falsi, avanzavano in Argentina , Paraguay , Brasile seguendo la pista di cittadini uruguaiani e di altre nazionalità.

Nel 1986, un anno dopo la fine della dittatura, una legge proibì di giudicare e punire i militari e poliziotti accusati di aver violato i diritti umani tra il 1973 e 1985. Ciononostante  la verità iniziò a prendere forma durante decenni, per mano e voce dei familiari, amici delle vittime.

E’ stato soprattutto grazie all’incessante ricerca di bambini scomparsi che le denunce sulla macabra pianificazione divennero irrefutabili.

Ore 22 :00

Locos de la bandera

Regia: Julio Cardoso, Argentina, 2005, 95′, vo. spagnola sott. it aliani

Il dramma delle Malvinas visto da coloro i quali ne furono indirettamente o direttamente colpiti. Testimonianze di reduci della guerra e di persone che hanno subito la drammatica scomparsa dei propri cari, mettono in evidenza il doloroso lutto mantenuto per venti anni, che si è scontrato con il silenzio, la sordità e il disinteresse della società.

Il film fu premiato nel Festival de Cine de Mar del Plata , fu dichiarato d’interesse culturale dalla Secretaría de Cultura de la Nación.

CEB — 4 e 5 novembre 2010

Auditorio Ambasciata del Brasile

Piazza Navona 18, Roma

4 novembre

Ore 17:00

Deus e o Diabo na Terra do Sol

Interviene il Prof. Bruno Torri (Presidente SNCCI)

Regia: Glauber Rocha, Brasile, 1964, b/n, 113’ v.o. sott. it.
Con: Mauricio do Valle, Geraldo Del Rey, Iona Magalhães, Lydio Silva, Milton Rosa, Antonio Pinto, Marrom, João Gama, Sonia Dos Humildes, Othon Bastos.

Nel Nordeste brasiliano, il contadino Manuel entra nella cerchia di un bizzarro santone, il “beato” Sebastião. Trasformatosi nel “cangaceiro” Satanás, dovrà però guardarsi dal terribile António das Mortes, giustiziere di tutti i “beati”… Il profeta del “Cinema nôvo” imbastisce una complessa metafora sulla dialettica storico-sociale del suo Paese

4 novembre

Ore 19:00

Gaijin, caminhos da Liberdade

Regia: Tizuka Yamasaki, Brasile/Giappone, 1980, 105’ , Port. Sott. Portoghese.

Il film –pluripremiato– racconta la saga di un gruppo di immigranti giapponesi in Brasile. “Nel 1908 avevo sedici anni quando ho dovuto lasciare il mio paese…” Il film comincia e finisce su questa frase di Titoe, una contadina giapponese, vittima dell’ emigrazione organizzata dal Giappone verso il Brasile, all’inizio del secolo XX”.

5 novembre

Ore 17:00

Bye, bye Brasil

Regia: Carlos Diegues, Brasile, 1980, 100’ , V.O. Portoguese, Sott. Italiani.

Con José Wilker, Betty Faria, Zaira Zambelli, Jofre Soares, Marcus Vinicius.

Una piccola carovana di artisti attraversa le zone interne del Brasile per offrire alle popolazioni povere spettacoli che facciano dimenticare, almeno per qualche ora, la miseria che quotidianamente li affligge. Durante il viaggio, al gruppo di artisti si unisce una coppia di mendicanti che sta fuggendo dal Nordest del Brasile messo in ginocchio da una tremenda siccità. I due senzatetto sanno che la compagnia si dirige verso l’Amazzonia, una terra ricca di acqua e conosciuta da tutti come l’Eldorado brasiliano. Sarà in quel luogo che i due vivranno incredibili avventure.

5 novembre

Ore 19:00

Gaijin, ámame como sou

Regia: Tizuka Yamasaki, Brasile/Giappone, 2005, 131’ , Port. Sott. Portoghese..

Titoe è una ragazza giapponese che arriva in Brasile nel 1908; lei era partita con la promessa: di arricchirsi e ritornare dopo cinque anni.  Ma la dura realtà dà poche speranze. Così Titoe si adatta, e il suo spirito di imprenditrice segna la vita e il destino delle sue discendenti: Shinobu, Maria e Yoko. La prima, al contrario della madre, si aggrappa ai costumi giapponesi e non accetta il matrimonio della figlia Maria con Gabriel, un gaijin (straniero). La coppia sta concludendo un grande affare quando il fisco li lascia in miseria. Shinobu allora decide di rimediare la situazione andando in Giappone. Gabriel la segue senza alternativa. Nel 1995 Gabriel viene dato per disperso dopo un terremoto. La figlia Yoko convince Maria ad andare a cercarlo. Purtroppo le due donne non riescono ad adattarsi alla terra che pensavano fosse la loro, e inoltre i giapponesi le trattano come straniere. Ma resistono, disposte a ricominciare una vita migliore e mantenere la promessa di Titoe.

Buona visione!



René Prevál: ocasión perdida para decir la verdad, mejor contar historietas

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Fotografia di Emiliano Larizza

Con este problema del cólera, el presidente de Haití René Préval, perdió una buena ocasión para denunciar la vergüenza que debería sentir la comunidad internacional entera respecto a su país.

Desde el día del temblor que ha sacudido la parte occidental de la isla Española, han pasado 10 meses y han llegado apenas el 2% de los 10 mil millones de dólares prometidos, como ha recientemente denunciado un representante del gobierno de la República de Haití.

René Prevál, tendría que denunciar todo esto, debería denunciar a gran voz que la comunidad internacional se ha olvidado de Haití, que probablemente el cólera brotó porque hay todavía cadáveres bajo los escombros, que la reconstrucción no ha empezado aún pero que si hay muchos militares estadounidenses y multinacionales extranjeras dividiéndose el país.

Él en vez, dijo nada menos que el cólera que está afectando el país es una enfermedad “importada”, aunque no ha identificado el país de procedencia.

Seguramente quiso entender la cercana República Dominicana, como si Haití fuera todo un jardín, limpio y lindo…

Siempre me he preguntado porque hay unos presidentes que les dicen “presidente fantoche” …


N.B. Vi consiglio la lettura dei due link inseriti. Il primo e´ un articolo di Federico Mastrogiovanni in italiano (colerosi) tragicomico, tragicamente vero nella sua comicitá, il secondo (in spagnolo) é un articolo del giornalista Nacho Carretero pubblicato anche su Rebelión e tratto dal suo blog (consigliato) Sin ánimo de Nada.

Imperdibili le fotografie dell´ amico Emiliano Larizza!




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