Soldati nigeriani uccidono due civili. Il Mend chiede un’inchiesta internazionale

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Ricordo che domani mattina su Radio Onda Rossa la seconda puntata della serie di trasmissioni sulla Nigeria e il Mend. Alle 11.
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di Edo Dominici (A Sud) per Porta Metronia
Un video di soldati nigeriani che uccidono due fratelli disarmati nel delta del Niger. Il Mend condanna le esecuzioni definendole “crimini di guerra” e richiede un’inchiesta internazionale.
Proseguono gli attacchi del gruppo ribelle agli impianti petroliferi.
Lunedì la Chevron aveva confermato danni all’oleodotto Makaraba-Utonana-Abiteye e un incendio all’impianto Makaraba Jacket 5 nello Stato del Delta. Ieri i militanti hanno colpito la stazione di Abiteye sempre gestita dalla Chevron, “provocando un altro problema ai sistemi sfociato in un vasto incendio che sta consumando l’intero impianto”, dice un comunicato del Mend. Non è stata possibile per il momento una verifica indipendente in assenza di comunicati della compagnia.
 
Un filmato pubblicato da diversi siti internet di giornali Nigeriani, in cui soldati della JTF uccidono sommariamente due fratelli, sta mettendo fortemente in imbarazzo il governo nigeriano. Il portavoce della JTF Abubakar ha parlato di “trovata propagandistica del Mend” e di “montatura”. Diverso l’atteggiamento del Ministro degli Esteri Ojo Maduekwe che oggi a Washington per manifestazione internazionale ha dichiarato che il “governo nigeriano sta indagando sulle esecuzioni sommarie ed extragiudiziali nel Delta del Niger”. “”Noi non tolleriamo violazioni dei diritti umani. Noi indagheremo su questo video e se sono stati commessi dei crimini i responsabili saranno puniti “.
Nel video pubblicato su Youtube – secondo quanto riferisce TheTimesofNigeria.com — si vede un uomo giovane disteso sul pontile vicino una vedetta della marina e accanto al corpo senza vita di suo fratello. L’uomo invoca per la sua vita, mentre circa 20 soldati nigeriani sono intorno a lui e gli fanno domande.
 
Uno dei soldati chiede in inglese “guardare la fotocamera?” Un altro soldato chiede: “Chi siete?” Poi si vede che il ragazzo impaurito sta toccando il corpo senza vita di suo fratello con la mano destra.
Il soldato nigeriano ripete l’ordine “Chi sei?”
L’uomo risponde “Boma”
“Da dove vieni ?” Chiede il soldato
“Bonny” risponde l’uomo. Poi il soldato gli spara alla testa e l’uomo muore all’istante.
 
Nella sua reazione, il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) chiede che alla Corte internazionale di giustizia, ad Amnesty International e a Human Rights Watch, di condurre una inchiesta giudiziaria su questo “crimine di guerra”.
 
In una petizione inviata alle organizzazioni, all’ex presidente americano Jimmy Carter, al Senatore americano Russ Feingold, il Mend , ha dichiarato:
 
“Avete visto il nastro di un omicidio extra giudiziario di due fratelli, di recente, nel delta del Niger. Questa pratica è coperta con l’impunità e viene negata dal governo e dall’esercito nigeriano.
 
“Non passa giorno senza che un incidente come quello che avete visto nel video. Le distruzione di proprietà e il bombardamento indiscriminato di civili da parte delle folli formazioni militare può essere lasciato alla vostra immaginazione.
 
“E in mezzo a queste brutalità che le major del petrolio svolgono le loro attività. Questa è la vera definizione “sangue del petrolio”, che il mondo deve condannare.
 
“Ci appelliamo alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale per indagare su questo crimine di guerra e per consegnare i responsabili alla giustizia.
 
“Noi vogliamo una commissione internazionale guidata dalle Nazioni Unite per condurre un’indagine sui crimini di guerra contro il nostro popolo da parte dello Stato nigeriano”. La dichiarazione è stata firmata da Jomo Gbomo.
 
 

Nicaragua: noi donne le invisibili

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NICARAGUA: NOI DONNE LE INVISIBILI
a cura dell’Associazione di amicizia e
solidarietà Italia-Nicaragua
Davide Ghaleb Editore 2009, 13 euro
 
Non sono state sempre invisibili le donne nicaraguensi. Riuscirono a riscattarsi   dalla condizione di estrema sottomissione ed emarginazione in cui erano state definitivamente relegate da decenni di dittatura somozista, combattendo con coraggio, dignità e tenacia per la rivendicazione dei loro diritti durante la rivoluzione sandinista, ottenendo importanti conquiste, a partire dall’ “uguaglianza economica, politica e sociale tra gli uomini e le donne” prevista dal Programma Storico del 1969 del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale e poi sancita definitivamente dall’articolo 48 della Costituzione del 1987 in cui si afferma che “esiste uguaglianza assoluta tra l’uomo e la donna”.
 
Tuttavia, una società sessista e maschilista come quella nicaraguense e come quella latinoamericana in genere (nonostante in alcuni paesi si stia registrando un notevole miglioramento in tal senso), difficilmente ha accettato nel corso di questi anni che le donne conquistassero spazi generalmente occupati dagli uomini, e che fosse scalzata l’egemonia culturale, sociale ed economica di cui questi godono da sempre. Questi spazi gli uomini in Nicaragua li hanno difesi e li difendono spesso tutt’ora con l’uso della violenza sulle donne. Di questo parla “Nicaragua: Noi donne, le invisibili”.
 
Tra poesia e cronaca, con l’apporto di numerose testimonianze e interviste, il libro descrive esperienze e realtà in vari ambiti della vita nicaraguense,   percorrendo i cammini della solidarietà tra donne di paesi diversi e raccontando  a tratti crudamente, i diversi aspetti della violenza sulle donne.
 
Dall’aborto terapeutico, consentito da almeno un secolo e adesso paradossalmente penalizzato proprio da quel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale ora al governo, al femminicidio (la donna uccisa in quanto donna), dai racconti delle donne malate per i pesticidi utilizzati nelle piantagioni di banane, alle lavoratrici bambine del settore del tabacco.
 
E simbolicamente, perchè l’acqua è generatrice di vita e elemento femminile per eccellenza e poiché generalmente sono le donne a condurre le battaglie per la difesa di questo bene sociale, un capitolo a parte e dal titolo “Acqua: L’oro blu, affare del ventesimo secolo   è dedicato alle lotte delle comunità indigene che difendono le loro risorse idriche dallo sfruttamento indiscriminato delle multinazionali.
 
E’  vero che  la libertà di un paese si misura dalla libertà conquistata dalle  donne,  ma la “resistenza silenziosa e testarda “ che caratterizza le donne nicaraguensi,   ha bisogno di nutrirsi anche e soprattutto in questo momento — ad un anno dall’approvazione della legge che vieta ogni tipo di interruzione di gravidanza, trasformando il corpo e la vita stessa delle donne in merce elettorale — di quella solidarietà internazionale che abbia   “occhi e cuore di donna”.
 
Annalisa Melandri
recensione per LE MONDE diplomatique – il manifesto (giugno 2009)
 
 
 
 
 
 
 
 

 


Entrevista a Ismael León Arías sobre la masacre de indígenas en Perú.

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Ismael León Arías es un periodista peruano.  Ha sido director del diario La Crónica en 1985. Reportero político y editor en La República durante 14 años. Ha  trabajado en canales de televisión de Lima y en radioemisoras, siempre en programas informativos y políticos. Ha  sido también profesor de periodismo en la Universidad Nacional de San Marcos y jefe de prensa de esa antigua casa de estudios superiores. Tiene el blog denominado La columna de León.

 

  

Annalisa Melandri —  Cuáles son las causas del sublevamiento indígena y la lucha desde cuanto tiempo sigue y en que forma?
 
Ismael León Arías - Si hablamos de una causa inmediata, es el engaño cometido por el gobierno, cuando el presidente Alan García negó tener la intención de autorizar la venta o concesión de las tierras comunitarias. Lo hizo, mediante decretos ocultos en un paquete de cien dispositivos legales (decretos) de menor rango a una ley del Congreso, que estaban destinados a hacer viable el Tratado de Libre Comercio con EE.UU.
 
En su campaña electoral García candidato había prometido que su partido revisaría los alcances negativos de ese Tratado; pero cuando fue elegido lo confirmó sin cambio alguno y facilitó su rápida aplicación. Primera gran sorpresa. De pronto comenzaron a brotar en la Amazonía numerosas medianas y grandes mineras y petroleras, haciendo exploración. Sin el obligatorio Estudio de Impacto Ambiental y sin la consulta a las comunidades, a las que el Estado está obligado por antiguos convenios internacionales. Segunda gran sorpresa. Comenzaron las movilizaciones y con ellas las promesas de diálogo. Hablamos de febrero de este año. El gobierno propuso una mesa de diálogo, luego lo olvidó y trasladó el problema al Congreso, donde sus congresistas siempre tienen a la mano una fórmula para eludir el debate. Intervino la Defensoría del Pueblo y su principal comisión dictaminó que los decretos en disputa son inconstitucionales. Otro pretexto para que el gobierno evite la discusión. Alegó que ese pronunciamiento debían apelarlo, pero luego aceptó reabrir la mesa de diálogo. Ya estábamos en abril. Los dirigentes indígenas buscaron 100 mil firmas para que el Tribunal de Garantías Constitucionales se pronuncie sobre la ilegalidad de por lo menos un decreto. El proceso avanzó y el gobierno boicoteó su propia mesa de diálogo. No asistió. Todo mayo se pasó en eso. Mientras tanto los dirigentes indígenas viven con dificultad en Lima, un lugar hostil y caro para ellos. Llegamos a junio y García declaró que los indígenas no son dueños de las tierras que ocupan, que según afirma son “de todos los peruanos”. Se calienta el ambiente. Los indígenas ocupan una carretera en Bagua y el gobierno envía un fuerte contingente policial de unos mil hombres, para desalojarlos por la fuerza. El día cinco de junio mueren los primeros indígenas, al día siguiente un grupo de ellos captura a un puñado de esos policías y los devuelve muertos. El gobierno muestra las fotos a la opinión pública en procura de enfrentarla con los alzados. Se produce el efecto contrario. La opinión pública opina que fue irresponsable por parte del gobierno enviar policías a una zona habitada por awarunas, una población de estirpe guerrera.
 
 
A.M. —   Cuál es el número de los muertos y de los heridos? Hay desaparecidos?
 
I.L.A. — El primer día, el 5 de junio  hubo 26 policías muertos y un número hasta hoy desconocido e incierto de civiles que están desaparecidos. Cadáveres de civiles encontrados apenas hay una docena…
 
 
 
A.M. —  Cómo la prensa nacional y extranjera está manejado la situación?
 
I.L.A. — La prensa extranjera bien, con amplia cobertura. La estatal sólo transmite comunicados oficiales y entrevistas a los ministros o congresistas del gobierno. Tienen poca sintonía pero su trabajo contribuye a calentar los ánimos de la población. Hay dos diarios de centro izquierda entre diez de derecha que respaldan al gobierno y tratan muy mal a los indígenas. La televisión y radioemisoras informan mucho, pero sin historia ni contexto.
 
 
A.M. —   Porqué según usted tanta violencia de  parte del gobierno?
 
I.L.A. — Alan García tiene antecedentes en ese sentido. En su anterior gobierno ordenó matar en dos cárceles a presos acusados de terrorismo, que protestaban pero indefensos. Alrededor de 1983 fueron alrededor de 300 los asesinados en El Frontón y Lurigancho. Y el año pasado (junio) Alan García destituyó a un general de la Policía que evitó un derramamiento de sangre, gracias al diálogo abierto con los pobladores de Moquegua, que habían tomado un puente llamado Montalvo. En público declaró que el general tuvo una conducta “cobarde”.
 
 
A.M. —   Es una lucha autónoma o está apoyada por alguna fuerza política?
 
I.L.A. — Las comunidades siempre han luchado sin respaldo orgánico de partidos. Ni siquiera la izquierda en sus mejores tiempos pudo aliarse a ellos de manera orgánica. Siempre hicieron comunicados de respaldo y solidaridad, nada más.
 
 
A.M. —  Cómo podría evolucionar la situación del lider Alberto Pizango actualmente refugiando en la embajada de Nicaragua en Lima?
 
I.L.A. — Sobre él ya había una orden policial de captura, que no tenía respaldo de ningún juez. Únicamente de un fiscal. Su situación evolucionará según las negociaciones avancen o se estanquen. Los nuevos dirigentes han exigido cuatro condiciones para reanudar el diálogo. 1.- Que cese el estado de emergencia y levanten el toque de queda que rige desde las 15 horas (3:00 de la tarde). 2.- Que levanten la orden de captura contra Pizango y otros dirigentes. 3.- Que el gobierno pida perdón a los familiares de los civiles y policías muertos y acepte por lo menos responsabilidad compartida en los sucesos. 4.- Que en una próxima negociación se incorpore a representantes de la Iglesia Católica.
 
 
A.M. —   El primer ministro de Perú, Yehude Simon, un hombre de izquierda, fundador del movimiento Patria Libre, ¿apoyó las demandas indígenas?
 
I.L.A. — Al comienzo del conflicto pareció negociador y confiable. Pero luego se fue acomodando a las posiciones duras del Presidente Alan García. Su movimiento ahora es inexistente.
 
 
A.M. —   ¿Qué efecto podría producir el sublevamiento indígena en los países cercanos?
 
I.L.A. — No pasará de pronunciamientos de solidaridad de las organizaciones indígenas similares. Con quienes hay más coincidencias entre las poblaciones es con las de Ecuador.
 
 
A.M. - Se está pidiendo en Perú la caída de Alan García. En esa eventualidad, ¿qué opciones hay para el país?
 
I.L.A. — Imprevisibles, depende de cómo evolucione el conflicto. La derecha respalda al gobierno, la oposición es importante pero minoritaria en el Congreso, único organismo legal que puede destituir a García por “incapacidad moral”, como lo hizo el 2001 con Alberto Fujimori, pero cuando ya éste había fugado del país y presentado su renuncia al cargo mediante un fax que envió desde Tokio. 

Scoperto arsenale di ultima generazione per attentati G8

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Maroni: “li abbiamo fermati”: i presunti terroristi che progettavano azioni in occasione del prossimo vertice G8 (quando era previsto a La Maddalena).

E con l’ occasione gli inquirenti dissotterrano gli arnesi del nonno partigiano,  che dopo la figuraccia (semprechè qualcuno sveglio se ne accorga) verranno  riposti nel Museo della Resistenza.
Secondo quanto ricostruito dalle intercettazioni, invece il pericolo stava nel fatto che   uno degli arrestati avrebbe detto di avere “la fissa per i modellini”:

Infatti  questo congegno tecnologico di ultimissima  generazione imbottito ben bene di tritolo e telecomandato è  anche completamente invisibile ai radar…
Per il resto attenti a tutti! L’ammissione di colpevolezza pare stia nella seguente frase detta al telefono:
 
“Un rivoluzionario non può riconoscersi in questo Stato e deve continuare la lotta fino a quando non muore”.
: - (
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P.S. Giuro che smetto subito di leggere il libro di Fabbri sull’anarchismo (L’anarchismo, la libertà e la rivoluzione) e lo riporto domani stesso in biblioteca …
 

Lettera all’ambasciata del Perù in Italia

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Questa è la lettera che in occasione del sit-in di fronte all’ambasciata del Perù in Italia in protesta per i gravi fatti accaduti in Amazzonia è stata conseganta dalle associazioni presenti all’ambasciatore peruviano.

Roma 11 giugno 2009

All’Ambasciatore del Perù in Italia
Alle autorià di governo del Perù
Ai mezzi di comunicazione

di fronte ai fatti accaduti in Perù nei giorni scorsi e alla repressione messa in atto contro le popolazioni amazzoniche in agitazione pacifica in difesa dei propri diritti e territori, come società civile italiana e associazioni, organizzazioni e movimenti sociali, forze politiche e sindacali

esprimiamo:

- dura condanna di fronte all’atteggiamento criminale del governo peruviano e delle forza armate;
- solidarietà ed appoggio incondizionati nei confronti del movimento indigeno;
- indignazione di fronte alla dichiarazioni del presidente del Perù Alan Garcìa che nei giorni scorsi ha parlato ai mezzi di comunicazione riferendosi agli indigeni come “cittadini di serie b”;

- indignazione per il continuo clima di terrore, intimidazione, minaccia e criminalizzazione dei movimenti e della protesta sociale;

- appoggio alle richieste avanzate dal movimento indigeno peruviano che chiede il rispetto dei diritti riconosciuti dalla costituzione e la deroga immediata dei decreti incostituzionali emessi per dare implementazione al TLC firmato con gli Stati Uniti;

chiediamo:

- che venga fermata immediatamente la repressione contro i movimenti sociali ed indigeni;
- che vengono indagate e punite le responsabilità del massacro di Bagua – nel quale, per la violenza delle repressione, hanno perso la vita decine di indigeni e alcuni agenti di polizia – e degli altri atti persecutori commessi contro i movimenti sociali;
- che si dia seguito alla richieste dei movimenti sociali ed indigeni derogando alle normative incostituzionali emesse in violazione dei diritti riconosciuti dall’ordinamento interno ed internazionale alla popolazione civile urbana e rurale;
- che decadano gli ordini di cattura emessi contro i leader indigeni amazzonici e i leader sociali oggetto di criminalizzazione.

Associazione A Sud
Ass. Survival
Ass. Donne per la Solidarietà
Comitato Immigrati in Italia – sede di Roma
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
FIOM CGIL – Federazione Italiana Operai Metalmeccanici
FIM CISL – Federazione Italiana Metalmeccanici
Sinistra e Libertà

 
 

Ismael León Arías: la repressione degli indigeni nel sangue. Alan García ha dei precedenti

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Ismael León Arías è un giornalista peruviano. Direttore del quotidiano La Crónica nel 1985. Commentatore politico ed editorialista del quotidiano La República per 14 anni. Ha lavorato in radio e in televisione, occupandosi sempre di programmi di informazione e di politica. E’ stato docente di giornalismo all’Università Nazionale di San Marco di Lima, una delle più antiche e prestigiose università latinoamericane e capo stampa di questo istituto di studi superiori. Gestisce il blog La columna de León. Gli chiediamo di raccontarci come sta evolvendo la situazione nel suo paese rispetto alla rivolta degli indigeni dell’Amazzonia che ormai va avanti da qualche mese:

Annalisa Melandri — Quali sono le cause della rivolta indigena? E la lotta da quanto tempo va avanti e in che forme?
Ismael León Arías — La causa della rivolta è da ricercare nel tentativo del presidente Alan García di ingannare le comunità indigene negando di aver l’intenzione di autorizzare la vendita o la concessione delle loro terre. In realtà ha nascosto alcuni di questi provvedimenti, che erano destinati a spianare la strada al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti all’interno di un pacchetto di cento decreti legge di minore importanza. Per di più nella sua campagna elettorale, il candidato García aveva promesso che il suo partito avrebbe rivisto tutti gli aspetti negativi di questo trattato, ma una volta eletto lo confermò senza nessun cambiamento, accelerando la sua applicazione. Prima grande sorpresa. Immediatamente nell’Amazzonia cominciarono ad apparire numerose medie e grandi imprese petrolifere, impegnate in attività esplorative, senza lo Studio di Impatto Ambientale che è obbligatorio e senza aver consultato le comunità indigene, come impongono vecchie convenzioni internazionali. Seconda grande sorpresa. Cominciarono le mobilitazioni e quindi la promessa di un dialogo. Parliamo del febbraio di quest’anno. Il governo propose un tavolo di negoziazione, poi lo dimenticò e spostò la questione al Congresso, i cui membri hanno sempre una formula pronta per evitare il dibattito. Intervenne la Defensoría del Pueblo (il Difensore Civico) e la sua commissione principale stabilì che i decreti in oggetto erano incostituzionali. Un altro pretesto per consentire al governo di evitare la discussione.Aggiunse che contro questa decisione bisognava ricorrere in appello, ma poi accettò di riaprire il dialogo. Già eravamo in aprile. I dirigenti indigeni trovarono 100mila firme chiedendo che il Tribunale delle Garanzie Costituzionali si pronunciasse per lo meno sull’illegalità di un solo decreto. Il processo avanzò e il governo boicottò il suo stesso tavolo di negoziazione, non presentandosi. Così passò tutto maggio. Intanto i leader indigeni stavano vivendo a Lima tra molte difficoltà, in un luogo ostile e molto costoso per loro. Siamo così arrivati a giugno, quando García dichiarò che gli indigeni non sono proprietari delle terre che occupano, che invece sono “di tutti i peruviani”. La situazione si surriscalda. Gli indigeni occupano una strada a Bagua e il governo invia un forte contingente di polizia composto da alcune migliaia di uomini, per sgomberarli con la forza. Il 5 giugno muoiono i primi indigeni, il giorno seguente un gruppo di loro fa prigionieri alcuni poliziotti e li restituisce cadaveri. Il governo mostra le loro foto all’opinione pubblica con lo scopo di contrapporla ai ribelli. Si produce però l’effetto contrario. L’opinione pubblica crede che sia stato irresponsabile da parte del governo inviare la polizia in una zona abitata dagli Awaruna, una popolazione di stirpe guerriera.

A.M. — Qual’è stato il numero dei morti e dei feriti? Ci sono persone scomparse?
I.L.A. — Il primo giorno , il 5 giugno ci sono stati 26 poliziotti morti e un numero fino ad oggi sconosciuto e incerto di civili scomparsi. I cadaveri dei civili recuperati sono appena una dozzina.

A.M. — Come stanno trattando la situazione la stampa nazionale e quella straniera ?
I.L.A. — La stampa straniera bene, con ampia copertura. Quella nazionale soltanto tramite comunicati ufficiali e interviste ai ministri o ai membri del Congresso. Hanno poca sintonia, ma il loro lavoro contribuisce a surriscaldare gli animi della popolazione. Ci sono due quotidiani di centro sinistra su dieci di destra che appoggiano il governo e trattano molto male gli indigeni. La televisione e le radio danno molta informazione, ma senza storia né contesto di quanto accade.

A.M. — Perchè secondo lei tanta violenza da parte del governo?
I.L.A. — Alan García ha dei precedenti in questo senso. Nel suo primo governo ordinò il massacro in due penitenziari di prigionieri accusati di terrorismo, che stavano protestando ma che erano indifesi. Nel 1983 furono circa 300 le persone assassinate nelle carceri di El Frontón e Lurigancho. L’anno scorso, nel mese di giugno, Alan García destituì un generale della Polizia che aveva evitato uno spargimento di sangue grazie al dialogo aperto con le popolazioni di Moquegua, che avevano occupato un ponte chiamato Montalvo. In pubblico dichiarò che il generale aveva avuto un comportamento “da codardo”.

A.M. — Quella degli indigeni è una lotta autonoma o è appoggiata da qualche forza politica?
I.L.A. — Le comunità hanno sempre lottato senza appoggio dei partiti. Nemmeno la sinistra nei suoi tempi migliori si è alleata a loro in modo organico. Hanno soltanto emesso comunicati di solidarietà e niente più.

A.M. — Come potrebbe evolvere la situazione del leader Alberto Pizango rifugiatosi in questi giorni presso l’ambasciata del Nicaragua in Perú?
I.L.A. — Su di lui già esisteva un ordine di cattura emesso dalla Polizia, che non aveva l’appoggio di nessun giudice. Soltanto di un Pubblico Ministro. La sua situazione evolverà seconda l’avanzamento o la sospensione dei negoziati. I nuovi dirigenti hanno preteso quattro condizioni per la ripresa del dialogo:
a) che termini lo stato d’emergenza e venga tolto il copri fuoco che vige dalle tre del pomeriggio
b) che venga revocato l’ordine di cattura contro Pizango e gli altri dirigenti
c) che il governo chieda perdono ai familiari dei civili e dei poliziotti uccisi e accetti per lo meno la responsabilità condivisa di quanto accaduto
d) che in una prossima trattativa vengano inclusi rappresentanti della Chiesa Cattolica.

A.M. — Il primo ministro Yehude Simon, un uomo di sinistra, fondatore del movimento Patria Libre, ha appoggiato le richieste degli indigeni?
I.L.A. — All’inizio del conflitto sembrò conciliante e affidabile,. Poi si è adattato alle posizioni dure del presidente Alan García. Il suo è adesso un movimento inesistente.

A.M. — Che effetto potrebbe produrre questa rivolta indigena indigena nei paesi vicini?
I.L.A. — Non ci sarà niente più che dichiarazioni di solidarietà da parte delle organizzazioni indigene simili. Con chi c’è più identità tra le popolazioni è con quelle dell’Ecuador.

A.M. – In Perú si sta chiedendo la caduta di A
lan García. In questa eventualità che opzioni ci sono per il paese?
I.L.A. — Imprevedibili, dipende da come evolverà il conflitto. La destra appoggia il governo, l’opposizione è importante ma minoritaria nel Congresso, l’unico organismo legale che può destituire García per “incapacità morale”, come lo fece nel 2001 con Alberto Fujimori, quando questo però già se ne era già andato dal paese e aveva presentato la sua rinuncia al mandato tramite un fax inviato da Tokio.


Sit-in di solidarietà con i popoli indigeni del Perù

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L’11 giugno è stata lanciata in Perù da movimenti sociali e organizzazioni indigene la Giornata Nazionale di Lotta, durante la quale si terranno in tutto il paese manifestazioni di solidarietà con i popoli amazzonici vittima della brutale repressione dei giorni scorsi, che ha causato la morte di 34 indigeni, in mobilitazione pacifica per la difesa dell’Amazzonia e del proprio diritto alla terra.

 

Anche in Italia, rispondendo agli appelli della CAOI — Coordinamento Andino di Organizzazioni Indigene (di cui A Sud è ambasciata politica in Italia) convochiamo per giovedì 11 giugno, alle ore 12.00 sotto l’ambasciata peruviana di via Francesco Siacci, 2B — Roma, (Piazza Pitagora) un sit-in di solidarietà con le lotte indigene peruviane e di denuncia della condotta criminale del governo di Alan Garcìa.

Invitiamo alla massima partecipazione.
Rinnoviamo l’appello a inviare soldarietà al movimento indigeno peruviano inviando questo testo (firmato con nome, cognome, città, paese e — nel caso — organizzazione o associazione di appartenenza):

“Como sociedad civil italiana expresamos nuestra solidariedad, nuestra cercanìa y nuestro respaldo a la justa lucha de los pueblos indigenas de Perù — y de la Amazonìa en particular — y condemnamos la actitud criminal del Gobierno de Alan Garcìa, pidiendo a las autoridades nacionales y a las instituciones internacionales que se pongan en acto de inmediato todas las medidas necesarias para acabar con el genocidio indigena y para atander a las peticiones del pueblo de Perù.”

Il testo va inviato all’indirizzo mail href=“http://secretariacaoiatgmaildotcom” target=“_blank” rel=“nofollow”>secretariacaoiatgmaildotcom
mettendo in oggetto: en solidariedad con los pueblos amazonicos

Redazione A Sud www.asud.net

 

siamo tutti figli della terra

Sul sito dell’Associazione A Sud altre foto del sit –in

Antonio di Luccio il capotreno che ha perso le gambe nelle porte killer: per il giudice “il fatto non sussiste”.

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antonio ferroviere


Porte killer dei treni italiani: il capotreno Antonio Di Luccio perde le gambe, ma per il giudice “il fatto non sussiste”

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Ricevo da Marco Bazzoni - Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e pubblico volentieri (AM):
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PER L’AMPUTAZIONE DELLE GAMBE DEL CAPOTRENO ANTONIO DI LUCCIO NON E’ COLPA DI NESSUNO
 
PER IL GIUDICE “IL FATTO NON SUSSISTE”:
 
ASSOLTO VINCENZO SACCA’
 
 
Roma, 5 GIUGNO 2009 — Il Tribunale di Piacenza ha assolto oggi, perché il fatto non sussite, Vincenzo Saccà, già dirigente di Trenitalia, imputato per il grave infortunio in cui il nostro compagno di lavoro, Antonio di Luccio, ha perso le gambe durante le mansioni di capotreno il 9 marzo 2006 nella stazione di Bologna.
 
Il giudice, Monica Fagnoni ha accolto la richiesta del Pm, Monica Vercesi per l’assoluzione di Saccà, il quale all’epoca dei fatti ricopriva, per delega, l’incarico di datore di lavoro, responsabile per la sicurezza dei dipendenti.
 
Temiamo che sentenze di questo tipo aprano la strada ad una deresponsabilizzazione totale dei dirigenti sui temi della sicurezza con la formula “errore umano” delle stesse vittime e la riteniamo, così come quella pronunciata a Bologna per il disastro di Crevalcore, profondamente ingiusta poiché ignora un punto fermo posto alla base della cultura giuridica del nostro Paese: l’obbligo per le imprese, di adottare tutti i mezzi possibili per garantire la massima sicurezza di chi lavora, e in questo caso anche di chi viaggia.
 
 Lo stesso Antonio di Luccio, subito dopo la sentenza ha dichiarato: “provo solo tanta rabbia perché questo infortunio, che ha stravolto la mia vita, si poteva evitare con poco, cosi come tutti gli altri legati alle porte dei treni”. Questa sentenza è’ un’aberrazione giuridica, non riusciamo a comprendere come la giustizia possa ignorare che solo negli ultimi sei mesi due viaggiatrici sono morte ed altre tre sono rimaste orribilmente mutilate per essere rimaste intrappolate allo stesso modo proprio nelle stesse porte di quei treni, pur riverniciati ed “imbellettati” ma in cui continua a mancare il “controllo” in cabina di guida della corretta chiusura delle porte.
 
In questi casi può accadere che il macchinista parta senza potersi accorgere che qualcuno è rimasto intrappolato. Basterebbe un semplice filo elettrico lungo il treno, come già esiste da quarant’anni su moltissimi treni.
 
 L’elemento di maggior preoccupazione, e che ci fa gridare allo scandalo, è la sottovalutazione da parte del Tribunale della frequenza e della prevedibilità di questo tipo di incidente, dimostrata tragicamente dalle centinaia di altri incidenti simili. Le “porte killer” sono state e continuano ad essere la causa di centinaia di altri infortuni gravissimi a danno sia di viaggiatori che di ferrovieri, alcuni anche con esito mortale. 
 
L’ultimo infortunio identico a quello di Antonio Di Luccio ma dagli esiti fortunatamente molto lievi, è accaduto il 27 maggio scorso ad un altro capotreno, Pasquale Caravella, rmasto intrappolato nella porta del suo treno mentre ordinava la partenza dalla stazione di Bologna del treno eurostarcity ‚ 9779 Torino – Bari, .
 
 
Breve riepilogo dei più recenti incidenti
 
Negli ultimi due mesi si sono verificati 8 infortuni a viaggiatori segnalati dal solo Personale di Bologna su convogli di categoria Eurostar (etr 463), Eurostarcity, Ic, Icplus, Espresso, senza contare, quindi, le decine di casi che ogni settimana funestano la circolazione ferroviaria nel Paese con esiti anche mortali o con lesioni gravissime. Il 19 marzo 2009 Anna Tagliente è morta a Lecce schiacciata dal treno per essere rimasta intrappolata da una porta dell’Eurostarcity, Il 28 febbraio a Roma Tiburtina Enrico Checchi ha perso le gambe, il 24 settembre Giuseppina Tagliente ha perso la vita a Fasano (BS), stritolata dal treno per essere rimasta intrappolata in una porta del treno Eurostarciy,   il 26 aprile nella stazione di Latina, Letizia Ranaldi, di 20 anni ha subito l’amputazione del braccio destro dopo. perse le gambe in un incidente identico. La signora Rosa Garibaldi, ha perso le gambe per essere rimasta intrappolata da una porta del treno su cui stava salendo, sempre nella stazione di Bologna, otto giorni prima di Antonio Di Luccio . A Genova, il 24 aprile 2007, la capotreno, Maria Nanni, è rimasta intrappolata da una porta ed è stata trascinata per 80 metri prima che venisse dato l’allarme. Nel corso del 2007 altri 4 viaggiatori sono morti a causa delle porte dei treni.

Porte killer : passeggeri delle ferrovie italiane attenzione quando salite e scendete dai treni!

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Breve riepilogo dei più recenti incidenti:
 
Negli ultimi due mesi si sono verificati 8 infortuni a viaggiatori segnalati dal solo Personale di Bologna su convogli di categoria Eurostar (etr 463), Eurostarcity, Ic, Icplus, Espresso, senza contare, quindi, le decine di casi che ogni settimana funestano la circolazione ferroviaria nel Paese con esiti anche mortali o con lesioni gravissime. Il 19 marzo 2009 Anna Tagliente è morta a Lecce schiacciata dal treno per essere rimasta intrappolata da una porta dell’Eurostarcity, Il 28 febbraio a Roma Tiburtina Enrico Checchi ha perso le gambe, il 24 settembre Giuseppina Tagliente ha perso la vita a Fasano (BS), stritolata dal treno per essere rimasta intrappolata in una porta del treno Eurostarciy,   il 26 aprile nella stazione di Latina, Letizia Ranaldi, di 20 anni ha subito l’amputazione del braccio destro dopo. perse le gambe in un incidente identico. La signora Rosa Garibaldi, ha perso le gambe per essere rimasta intrappolata da una porta del treno su cui stava salendo, sempre nella stazione di Bologna, otto giorni prima di Antonio Di Luccio . A Genova, il 24 aprile 2007, la capotreno, Maria Nanni, è rimasta intrappolata da una porta ed è stata trascinata per 80 metri prima che venisse dato l’allarme. Nel corso del 2007 altri 4 viaggiatori sono morti a causa delle porte dei treni.


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