Fredy Muñoz condannato a 15 anni di carcere: “continuerò a bombardare le menzogne”
“Continuerò a bombardare con il mio lavoro giornalistico le menzogne e la struttura di un sistema al quale il mondo si sta ribellando, amplificando le voci di chi vuole una Colombia ed un mondo migliori”.
Fredy Muñoz Altamiranda, corrispondente di Telesur in Colombia, fu arrestato il 12 novembre del 2006 a Bogotà con l’accusa di essere un terrorista.
Nell’inchiesta condotta dal Pubblico Ministero di Barranquilla il giovane giornalista era accusasato da alcuni testimoni di essere un addetto agli esplosivi del gruppo sovversivo delle FARC e di aver partecipato ad attentati contro le infrastrutture del Paese.
Secondo i testimoni, Muñoz avrebbe partecipato ad attentati contro le centrali elettriche di ElectroCosta.
Fredy Muñoz Altamiranda era diventato scomodo in Colombia perché dava voce a chi generalmente voce in Colombia non ne ha: dalla cronaca delle manifestazioni dei familiari dei desaparecidos, agli omicidi degli insegnanti (11 solo nei primi quattro mesi del 2006) da parte dei paramilitari, alla diffusione della notizia che lo Stato Colombiano era stato dichiarato (dal Consiglio di Stato, il massimo tribunale del paese) responsabile per “inefficienza” della morte di 63 soldati avvenuta nel corso di un’azione contro le FARC .
Dopo 52 giorni di prigionia trascorsi nel carcere di Barranquilla fu rilasciato il 9 di gennaio del 2007. Il Pubblico Ministero dichiarò insufficienti le prove a suo carico che consistevano esclusivamente in dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia al momento in stato di detenzione.
Uno di quei testimoni, Yainer Rodriguez Vásquez affermò allora di aver ricevuto minacce e intimidazioni dai servizi segreti colombiani affinché depositasse testimonianza contro persone a lui sconosciute tra le quali Fredy Muñoz.
Quanto accadde a Fredy ricordò il caso del sociologo colombiano e professore universitario Alfredo Correa de Andreis, che venne accusato e messo in carcere con le stesse modalità e le identiche accuse rivolte a Fredy Muñoz e che dopo essere stato rilasciato venne assassinato tempo dopo a Barranquilla, regno dei paramilitari fedeli a Jorge 40.
Tuttavia le accuse a carico di Fredy non furono mai ritirate. Quanto accaduto apparve allora come un tentativo di criminalizzare Telesur e il suo lavoro in Colombia in un momento in cui le relazioni tra i due paesi erano particolarmente delicate, sotto la presidenza di Álvaro Uribe Vélez. (altro…)
Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela
Comunicato dell’ ABC contro la censura all’ informazione alternativa in Venezuela
Asociación Bolivariana de Comunicadores, ABC
Tutti i fatti relativi all’arresto e alla deportazione del giornalista bolivariano Joaquín Pérez Becerra sono stati caratterizzati da una censura alla libertà di informazione:
Prima, la stessa detenzione di Pérez, la voce dissidente del governo colombiano più riconosciuta e letta non solo in quel paese; la pagina di ANNCOL riusciva, come nessun altro mezzo alternativo in Colombia, a raggiungere le 800mila visite in alcuni momenti di particolare congiuntura politica, cosa che in Colombia avviene costantemente.
Successivamente, un’ora dopo la detenzione di Joaquín, veniva diffuso un comunicato ufficiale, che con il linguaggio caratteristico della destra, indicava le ragioni dell’arresto, dettate non dall’ INTERPOL ma dall’ex consigliere di Álvaro Uribe Vélez, José Obdulio Gaviria, un oscuro personaggio noto per i suoi vincoli con il narcotraffico e il paramilitarismo in Colombia.
Poi, il 25 aprile, la convocazione da parte del MINCI ai mezzi di informazione per una conferenza stampa all’aeroporto di Maiquetía rispetto a una probabile consegna del compagno, infine la successiva e quasi immediata cancellazione dell’invito con la motivazione di una momentanea sospensione di tutto il processo in corso.
Per finire, una trasmissione a reti unificate del governo, passata nello stesso momento in cui stavano trasferendo Becerra in Colombia.
Inoltre, il Ministero dell’ Informazione e della Comunicazione del Venezuela (MINCI), nella persona del ministro Andrés Izarra, dà disposizione a tutti i mezzi di comunicazione che dirige, di non coprire nessun avvenimento relativo alla solidarietà a Joaquín Pérez Becerra e alle proteste di un ampio settore del popolo rivoluzionario del Venezuela per la deportazione, per le nuove condizioni della relazione Colombia – Venezuela e per gli accordi di ambedue i governi in materia di “sicurezza” e cooperazione militare.
E’ deplorevole il ruolo che hanno giocato i mezzi di informazione che, come la VTV e Telesur, si sono distinti per la loro assenza nei luoghi cruciali dove si è manifestata la risposta della sinistra rispetto al caso di Joaquín Pérez. I loro racconti si sono limitati ai comunicati di governo e alle accuse della Colombia sui presunti crimini commessi dal direttore di ANNCOL.
Sono venuti meno alla verità e soprattutto all’impegno di trasformare il Venezuela nello spazio di costruzione di una stampa impegnata con gli interessi delle masse popolari, con la rottura del pensiero unico e con l’ egemonia mediatica capitalista che ha contribuito a consolidare questo feroce sistema. Telesur e altri mezzi di informazione sono venuti meno al principio socialista di costruire una comunicazione per la liberazione.
Attraverso questo comunicato rispondiamo anche a Iván Maiza che nell’unico articolo di opinione pubblicato da TeleSUR, in cui, più o meno assicura che il comunicatore bolivariano si è andato a cercare il suo arresto (come le donne che usano la minigonna sono colpevoli delle violenze che subiscono – nostro commento).
Dice Maiza che il movimento di sinistra è probabilmente infiltrato da “alcuni compagni” o da qualche “partito rivoluzionario” che hanno fatto dei piani per sabotare le strategie pianificate dal Comandante. Anche costruendo trappole ai danni dei compagni di lotta? Compagni che non accettando la decisione di avvicinarsi a Santos sono disposti a fare qualsiasi cosa che possa “minare la fiducia” tra Chávez e il suo popolo, tra Chávez e i “popoli del continente”.
No, signor Maiza e signori di TeleSUR, noi direttori dei mezzi di informazione alternativi che abbiamo invitato in qualche occasione Joaquín Pérez Becerra per consolidare un progetto di comunicazione bolivariana, né lavoriamo né tanto meno facciamo accordi diplomatici con il DAS.
Noi abbiamo invitato in Venezuela in diverse occasioni Joaquín perché eravamo assolutamente sicuri che il nostro governo non avrebbe mai deportato al governo fascista colombiano un militante impegnato con la verità, con gli ideali bolivariani, un militante che ha sempre difeso in Europa questo processo che rappresenta la speranza dell’America latina.
Chi avrebbe mai immaginato che una deportazione così vile e lontana dal diritto (perfino quello borghese), sarebbe stata possibile nel paese con il maggior numero di emittenti comunitarie dell’America latina, il paese nel quel si sono svolti tanti incontri, congressi e dibattiti sul ruolo dei mezzi di informazione nella costruzione della Nostra America; l’unico paese dell’America latina dove c’è un processo rivoluzionario che dice di essere socialista; il paese del premio Rodolfo Walsh alla comunicazione popolare.
Proprio nel corso dell’incontro della fondazione della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) che realizzammo nel dicembre del 2008 e nella quale partecipò anche Joaquín Pérez, decidemmo in sede plenaria che la sede della ABC sarebbe stata a Caracas per essere stata questa città la culla del nostro libertador Simón Bolívar e il luogo più sicuro contro la censura, le persecuzioni e la diffamazione della destra.
Scegliemmo Caracas perchè consideravamo che il Venezuela avesse bisogno di una Associazione che smontasse le calunnie della stampa borghese e del suo Colegio Nacional de Periodistas. Considerammo che Caracas doveva essere la capitale dell’unità latinoamericana nel settore della comunicazione alternativa.
Dicemmo quindi allora, come già in altre occasioni al nostro caro amico: “compagno Joaco, vieni che questa è una terra liberata”.
Come ci sbagliavamo!
Traduzione a cura di Annalisa Melandri
La censura di Stato di TeleSUR sul caso Joaquín Pérez Becerra
E’ stato allegramente pubblicato un articolo veramente infamante da parte della redazione di TeleSUR sul caso del direttore dell’ agenzia ANNCOL, arrestato in Venezuela ed estradato in Colombia: o a TeleSUR hanno la memoria corta, oppure le direttive di governo sono più forti della necessaria solidarietà a un giornalista da sempre coerente con gli stessi ideali bolivariani di questa catena televisiva nata sei anni fa come mezzo di informazione rivoluzionario e come “progetto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.
Sembra che qualcosa sia andato perduto di quei valori originari nei pochi anni che sono trascorsi da quel 24 luglio 2005, quando nel 222° anniversario della nascita di Simón Bolívar, l’antenna televisiva iniziava a trasmettere il suo primo blocco informativo.
L’articolo al quale mi riferisco porta il titolo “Su Joaquín Pérez Becerra” ed è scritto da tal Iván Maíza (che né so chi è e nemmeno voglio saperlo) ed è il primo (e l’unico di opinione) che si trova su Google cercando TeleSUR+Joaquín Becerra. Le altre notizie pubblicate da TeleSUR sull’arresto all’aeroporto di Caracas e la successiva deportazione in Colombia del giornalista svedese sono di cronaca nuda e cruda.
Evidentemente la redazione di TeleSUR non ricorda più la solidarietà che molti militanti e “giornalisti terroristi” come ora chi chiamano, manifestammo quando nel mese di novembre del 2006, in Colombia il DAS arrestò il suo corrispondente Fredy Muñoz, accusandolo di essere membro delle FARC.
L’allora direttore dell’antenna televisiva, Andrés Izarra, attuale ministro della Comunicazione e Informazione, in quella circostanza dichiarò molto preoccupato: “la vita di Muñoz è in pericolo”. Aveva ragione. La Colombia non è un paese sicuro per i giornalisti che denunciano l’imperante terrorismo di Stato promosso dal suo governo e apparati di sicurezza.
La Colombia però, e questo la redazione di TeleSUR dovrebbe saperlo molto bene, non è un paese sicuro nemmeno per Joaquín Pérez Becera, a maggior ragione non lo è per lui, nato là, ex consigliere comunale del partito Unión Patriotíca, che a seguito delle minacce ricevute, circa 20 anni fa dovette abbandonare il paese per non diventare un numero in più degli oltre 4000 militanti di quel movimento politico assassinati in pochi anni dai paramilitari e dall’ esercito colombiano. In quel genocidio politico conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo (Danza Rossa) sequestrarono e uccisero anche la sua prima moglie.
Joaquín quindi cercò rifugio in Svezia e in questo paese europeo ottenne asilo politico e cittadinanza.
Nonostante questa storia, le autorità del Venezuela lo hanno arrestato, deportato e consegnato nelle mani del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro della difesa del governo Uribe) senza battere ciglio, dopo la telefonata ricevuta da Chávez con la quale il suo omologo colombiano gli chiedeva il favore.
TeleSUR quindi oltre a non preoccuparsi della sicurezza di Joaquín Pérez Becera, pubblica anche articoli offensivi e denigranti su di lui.
Conoscendo il percorso umano e politico del giornalista svedese, che abbiamo appena raccontato, leggere le infamanti domande (non dimentichiamolo! pubblicate come opinione sulla pagina di TeleSUR e non su qualsiasi piccolo blog) che pone il tal Maíza, autore dell’articolo, non possiamo non riflettere sul nuovo corso intrapreso dalla Rivoluzione Bolivariana: “Chi ha fatto salire in questo momento Joaquín sull’aereo? Chi lo ha venduto per mettere la Rivoluzione Bolivariana a rischio di perdere il suo ordine strategico?… ci sono settori nella sinistra rivoluzionaria che ricevono ordini dal DAS?”
Questo si può leggere nella pagina di una catena televisiva che pretende di essere alternativa oltre che rivoluzionaria, che vuole dare la voce ai senza voce… Che pretende di rappresentare un governo rivoluzionario, bolivariano…
Ma non basta. La cosa peggiore è che l’ex presidente di TeleSUR, Andrés Izarra, dal suo terzo incarico come ministro della Comunicazione e dell’Informazione, fa del sabotaggio perfino sulla copertura informativa rispetto alle giuste proteste che il governo sta ricevendo in questi giorni per la deportazione di Joaquín Becerra.
Ieri a Caracas, di fronte al ministero degli Esteri, dove centinaia di rappresentanti dei movimenti sociali e organizzazioni politiche si erano riuniti per chiedere al governo spiegazioni su quanto accaduto, oltre al fatto che i giornalisti di TeleSUR non erano presenti (ricevono precise disposizioni dal ministero della Comunicazione, MINCI) non lo erano nemmeno quelli dei maggiori mezzi di informazione del paese. I pochi alternativi che hanno coperto le proteste come l’Agencia Bolivariana de Prensa (sarà una casualità ma la pagina ABP oggi non funziona), Radio del Sur, Avila TV, Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV, lo hanno fatto “contravvenendo l’orientamento generale dato dal ministero della Comunicazione”.
Fonti venezuelane presenti hanno commentato che lo stesso Izarra stava realizzando varie chiamate telefoniche minacciando e insultando i giornalisti per la copertura che stavano dando alla mobilitazione.
Tornano allora alla mente le dichiarazioni che faceva in una intervista due anni fa Aram Aharonian, importante giornalista uruguayano, uno dei fondatori ed ex direttore di TeleSUR, allontanatosi dalla televisione per “differenze politiche ed anche etiche” : “TeleSUR è occupata da inetti, controrivoluzionari nel più ampio senso della parola: gente che recita slogan per sembrare rivoluzionaria ma che non ha la minima idea di cosa voglia dire”. Le sue accuse, che allora apparivano gravi e pesanti, erano rivolte a Izarra. Ora sono invece confermate sicuramente dai fatti.
Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
Certo bisogna farne di strada/da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano/che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta /per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire/che non ci sono poteri buoni.
(Fabrizio De Andrè)
La censura de Estado de TeleSUR sobre el caso de Joaquín Pérez Becerra
Se ha publicado alegremente un artículo infame por la redacción de TeleSUR: o tienen memoria muy corta o las directivas de gobierno son más fuertes que la necesaria solidaridad a un periodista comprometido con los mismos valores e ideales bolivarianos de esta cadena televisiva que nació hace seis años para ser un medio revolucionario y un “proyecto latinoamericano alternativo al neoliberalismo”.
Parece que algo se haya perdido de los valores originarios en el transcurso de estos pocos años, desde aquel 24 de julio de 2005 cuando en el 222 aniversario del nacimiento de Simón Bolívar, la antena TeleSUR empezaba a transmitir su primer bloque de informaciones.
El artículo al que me refiero se titula “Acerca de Joaquín Pérez Becerra” y está escrito por tal Ivan Maíza (que ni se quien es y ni voy a averiguarlo) y es el primero (y el único de opinión) que se encuentra en Google buscando TeleSUR+Joaquín Becerra. Las otras noticias publicadas por TeleSUR respecto a la detención en el aeropuerto de Caracas y a la siguiente deportación a Colombia del periodista sueco director de la agencia ANNCOL, son de pura crónica pelada, monda y lironda.
Evidentemente en la redacción de TeleSUR ya no recuerdan la solidaridad que muchos militantes y “periodistas terroristas” como ahora está de costumbre llamarnos, les brindamos cuando en el mes de noviembre de 2006 en Colombia el DAS detuvo el corresponsal de ellos, Fredy Muñoz, acusándolo de ser miembro de las FARC.
El entonces director de la antena televisiva, Andrés Izarra (actual ministro de la Comunicación y la Información), declaró en aquellas circunstancias muy preocupado: “la vida de Muñoz corre peligro”. Tenía razón. Colombia no es un país seguro para los periodistas que denuncian el imperante terrorismo de Estado promovido por sus gobiernos y sus órganos de seguridad.
Pero Colombia, y eso la redacción de TeleSUR debería saberlo muy bien, no es un país seguro tampoco para Joaquín Pérez Becerra, con mayor razón para este hombre, nacido allá, ex concejal del partido Unión Patriótica, que hace 20 años tuvo que huir de su país para no ser un numero más de los casi 4000 militantes de esta fuerza política asesinados en pocos años por los paramilitares y las fuerzas de seguridad colombianas.
Joaquín tuvo que buscar refugio en Suecia después del secuestro y homicidio de su primera esposa, una víctima más de aquel genocidio político que llevó el nombre macabro de Baile Rojo. Allá obtuvo estatus de refugiado político y la ciudadanía sueca.
No obstante esta historia, las autoridades de Venezuela lo ha detenido, deportado y entregado en las manos del presidente colombiano Manuel Santos (ex ministro de defensa en el gobierno de Uribe) sin pestañear, después de haber recibido Hugo Chávez una llamada telefónica de parte de su homologo colombiano pidiéndole el favor.
TeleSUR entonces no se preocupa por la seguridad de Joaquín Becerra pero además de eso publica artículos ofensivos y denigrantes.
Conociendo la trayectoria humana y política del periodista sueco, que acabamos de contar, leer las infamantes preguntas, (¡no olvidémoslo! publicadas como opinión en la página de TeleSUR y no en cualquier bloguesito) que hace el tal Ivan Maíza, autor del artículo, no se puede no reflexionar seriamente sobre el nuevo rumbo tomado por la Revolución Bolivariana: “¿Quién montó en este momento a Joaquín en ese avión? ¿Quién lo vendió para poner a la Revolución Bolivariana en riesgo de perder su ordenamiento estratégico?… ¿hay sectores en la izquierda revolucionaria que reciben órdenes del DAS?”
Eso se lee en la página de una cadena televisiva que pretende ser alternativa y además revolucionaria, que pretende dar la voz a los sin voz… Que pretende ser cadena televisiva de un gobierno revolucionario, bolivariano…
No es suficiente. Lo peor es que el ex presidente de TeleSUR Andrés Izarra desde su actual y tercer cargo de ministro de la Comunicación y la Información (MINCI), sabotea también la cobertura informativa respecto a las justas protestas que el gobierno está recibiendo en estos días por la deportación de Joaquín Becerra.
Ayer en Caracas, frente a la cancillería, donde centenares de representantes de los movimientos sociales y organizaciones políticas se habían reunido para exigir al gobierno una explicación sobre lo sucedido, además de no estar presentes los periodistas de TeleSUR (que reciben precisas disposiciones del MINCI) ni de los mayores medios de comunicación, los pocos medios alternativos que cubrieron las protestas como la Agencia Bolivariana de Prensa (será una casualidad pero la página ABP hoy no funciona),Radio del Sur, Avila TV, Catia TV, Tribuna Popular, ALBATV, lo hicieron “contraviniendo la orientación general del Ministerio de Comunicación”. Fuentes venezolanas comentaron que el mismo Izarra, realizó varias llamadas telefónicas a unos de ellos, amenazándolos e insultándolos por dar cobertura del plantón.
Vuelven entonces a la memoria las declaraciones que hacía en una entrevista hace dos años Aram Aharonian, destacado periodista uruguayo, uno de los fundadores y ex director de TeleSUR que se alejó de la misma por “diferencias políticas, e incluso éticas”: “Telesur está tomada por ineptos, contrarrevolucionarios en el amplio sentido de la palabra: gente que recita consignas para parecer revolucionarios pero que no tienen la menor idea de qué se trata”. Sus acusaciones, que entonces parecieron pesadas y graves, estaban referidas al mismo Izarra. Ahora se ven definitivamente confirmadas por los hechos.
Annalisa Melandri