Ingrid Betancourt: la sua lettera politica manipolata anche da La Repubblica

24 commenti

Ingrid Betancourt

Meno male che Ingrid Betancourt è un pò francese, meno male che è elegante e che è pure bella.
“Liberiamo il nostro cuore” come ci consiglia di fare Francesco Merlo sulle pagine di la Repubblica   e guardiamo il video di You Tube che la riprende nella selva, depressa, con il capo chino, smagrita e pallida, sorvegliata dai suoi carcerieri.
E’ quella che ognuno di noi,  pur senza aver visto il video ha immaginato fosse in tutti questi anni  la condizione di Ingrid Betancourt, e quella degli altri prigionieri nelle mani dei guerriglieri.
Meno male che Ingrid invece, caro Merlo, da bella che era è diventata pallida ed emaciata, meno male che aveva le catene ai polsi, meno male che ha inviato una lettera struggente alla madre.
Meno male infine, che Ingrid Betancourt è prigioniera delle FARC. Meno male che esiste ed è viva, perchè solo questo  dà una speranza di vita a tutti gli altri  prigionieri.
Mi chiedo cosa ne sarebbe degli altri  se per un fortunato evento fosse liberata solo lei.
Parliamoci chiaro, il mondo guarda alla Colombia perchè in Colombia in mezzo alla selva c’è Ingrid Betancourt, incatenata e sofferente. Il mondo guarda e ipocritamente si stupisce di trovarla trascurata e con lo sguardo spento, vestita solo di una “rozza tunica” come se nei tanti e lunghi giorni dell’oblio, in cui spesso la Colombia sprofonda nella sua condizione di “paese democratico moderno in lotta con un problema di terrorismo interno”, la Betancourt fosse in vacanza. Ogni tanto i riflettori si accendono su una barbarie che dura da mezzo secolo perpetrata sistematicamente contro un popolo che sopporta con dignità anche l’insopportabile.  I riflettori si accendono e ci si ricorda degli ostaggi e diventa evidente l’incapacità del governo colombiano di trattare, mediare, salvare. Un governo accecato da logiche di potere per le quali trattare vuol dire essere sconfitti. Vuol dire riconoscere che nel paese c’è una forza antagonista che chiede, sicuramente con metodi sbagliati (ma probabilmente gli unici vista la violenza istituzionale ben più cruenta),  di essere riconosciuta come voce in capitolo in una storia che da sempre è la storia degli esclusi contro le oligarchie, dei contadini contro i latifondisti, degli indigeni contro le multinazionali che saccheggiano il territorio.
Il mondo guarda alla Colombia non perchè è il paese dove muoiono ammazzati più sindacalisti che in qualsiasi altra parte del mondo, non perchè è il paese dove fare il giornalista rappresenta il mestiere più rischioso o dove la presenza militare degli Stati Uniti (addestramento, armi e presenza umana) è pari a dieci volte quella di ogni altro paese latinoamericano. Il mondo guarda alla Colombia per la sorte di Ingrid Betancourt.
Perchè ci sono i suoi figli che appaiono in televisione,  perchè c’è la madre che rilascia interviste a mezzo mondo, perchè c’è Sarkozy che riceve Chávez.
Perchè c’è una sua lettera, manipolata ad arte come solo la propaganda governativa colombiana sa fare in questi casi, che ha scosso giustamente gli animi, ma che per mostrare “la gratuità della sofferenza inflitta a una donna” da “guerriglieri marxisti con le bombe esplosive nelle tasche e le bombe ideologiche nella testa” come ricorda Merlo nel suo lungo quanto insulso articolo, è stata data alla stampa contro la volontà della famiglia che ha protestato definendo l’arbitrarietà del gesto una “violazione dell’intimità”. In questo caso  riusciamo a comprendere  appieno la gratuità della sofferenza inflitta a una madre.
 
La lettera.
Troppo facile iniziare a leggere e fermarsi a metà della lunga lettera. La prima parte è quella che racconta la vita pratica di Ingrid, le privazioni, i particolari crudeli di una prigionia ingiusta, l’amore per i figli, le speranze, i dettagli che hanno fatto sì che le parole di Ingrid Betancourt, accompagnate dalle immagini del video,  generassero  tanta indignazione toccando le corde più sensibili del nostro animo, ma anche quelle più impressionabili da quel gusto sottile e morboso che abbiamo per le tragedie altrui, così che sembra inaccettabile che alla Betancourt le FARC non permettano di avere un dizionario enciclopedico ma non sorprende invece  che nel cuore della foresta colombiana lei riesca a sentire tutti i giorni i messaggi della mamma e dei figli via radio.
La stessa morbosità che fa sì che si legga a metà la lettera e non si colgano invece passaggi ben più importanti, quasi tutti condensati nell’ ultima parte, quelli scritti da Ingrid Betancourt non madre , né figlia o moglie, ma donna politica,  che lotta anche incatenata perchè la Colombia sfugga all’occhio miope di tutto il mondo.
“Per un lungo periodo, siamo stati come i lebbrosi che rovinano la festa. Noi, i sequestrati non siamo un tema politicamente corretto suona meglio dire che bisogna affrontare con fermezza la guerriglia ‚anche se dovesse costare il sacrificio di vite umane”.
Un’accusa pesante al presidente Uribe, che si evince ancor di più nella versione originale della lettera, perchè questa dopo aver subito la manipolazione della propaganda uribista, incorre in Italia anche in quella de la Repubblica (dove sebbene in incipit si legga “questa è la lettera scritta come prova… etc etc da nessuna parte specifica che non è la versione integrale).
Ebbene Ingrid scrive: “suena mejor decir que hay un ser fuerte frente a la guerrilla, aún si se sacrifican algunas vidas humanas. Ante eso el silencio” che suona molto diversamente da quel “bisogna affrontare con fermezza la guerriglia”. Ingrid vuole proprio dire: c’è un uomo forte, un potere forte di fronte  alla guerriglia, anche se si sacrificano alcune vite umane e di fronte a questo solo il silenzio. E’ una condanna esplicita alle soluzioni militaristiche di Uribe, forse un riferimento alla morte degli 11 deputati di qualche mese fa. Non  nomina il nome di Uribe invano la Repubblica, preferisce tergiversare, anche con una traduzione.
Segue Ingrid scrivendo degli Stati Uniti, della “loro grandezza” e di Lincoln: “Cuando Lincoln defendió el derecho, a la vida, y a la libertad de los esclavos negros de América, también se enfrentò con muchas Floridas y Prateras. Muchos intereses económicos y políticos que consideraban eran superiores a la vida y a la libertad de un puñado de negros”. Il riferimento ai sequestrati, alla loro situazione e alle trattative per lo scambio umanitario è evidente, ma ha un curioso modo di proporre la traduzione la Repubblica: “Quando Lincoln ha difeso il diritto alla vita e alla libertà degli schiavi neri in America, egli ha anche affrontato molti interessi economici e politici considerati superiori alla vita e alla libertà di un pugno di neri”.
Florida y Praderas non sono spariti casualmente a mio avviso dalla traduzione di questo passaggio della lettera di Ingrid Betancourt.
Florida y Pradera rappresentano il NO di Uribe ad ogni tentativo di iniziare un dialogo con le Farc, di fatto il NO alla smilitarizzazione di questi territori  ha permesso che le trattative per lo scambio umanitario non venissero nemmeno iniziate. Come si poteva inserire una chiara accusa di Ingrid Betancourt a Uribe nel contesto di due pagine volte a mostrala  soltanto come bellissima nel suo dolore e depressa e  affranta vittima   della ferocia marxista delle FARC?
Ma Lincoln “ganó” scrive Ingrid, “vinse e rimase impresso nell’immaginario collettivo della nazione la priorità della vita dell’essere umano su qualsiasi altro interesse”. Lincoln non è Uribe però.
Tra i ringraziamenti che fa Ingrid Betancourt particolari parole di stima e affetto sono per Chávez e per Piedad Cordóba, per il loro “interessamento per una causa che è la nostra e che risalta così poco perchè il dolore degli altri, quando non fa parte delle statistiche, non interessa a nessuno”. Simbolico e carico forse di significato politico quel “Gracias Presidente” con il quale saluta Hugo Chávez.
Ovviamente dei passaggi su Chávez la Repubblica propone soltanto una banalissima riga, ovviamente la meno significativa: “A Piedad e a Chávez, tutto, tutto il mio affetto e la mia ammirazione. Le nostre vite sono lì, nel loro cuore, che so essere grande e generoso”.
Sono importanti anche le parole rivolte all’ex candidato presidenziale impegnato nelle trattative per un accordo umanitario Álvaro Leyva : “E’ stato vicino ad ottenere qualche risultato ma forze che stanno contro la libertà di questa manciata di dimenticati sono come un uragano che tutto vuole demolire. Non importa. La sua intelligenza, la sua nobiltà e la sua costanza, hanno fatto riflettere molti qui e più che la libertà di alcuni poveri pazzi condannati nella selva, si tratta di prendere coscienza di quello che significa la dignità dell’essere umano”.
Ancora una volta parole dure contro la politica, contro il governo, contro Uribe che rappresenta quei poteri che non vogliono la sua liberazione e quella degli altri e che volendo cogliere un senso  di più ampio respiro nelle parole di Ingrid, sono quei  poteri che  calpestano la dignità del popolo colombiano.
Grande e bellissima Ingrid Betancourt, hai fatto sentire la tua voce di condanna anche da dove ti trovi, peccato che da pochi è stata recepita.
E intanto la famiglia Betancourt, protesta contro il governo colombiano per la lettera data contro la loro volontà alla stampa, ma soprattutto protesta per la cessazione delle mediazioni di Chávez nelle capacità del  quale a livello mondiale si riponevano grandi speranze,
“Se la sua mediazione fosse continuata, molto probabilmente entro la fine dell’anno o al massimo al principio del 2008 avremmo avuto i nostri cari liberi” dice il marito di Ingrid Betancourt , Juan Carlos Lecompte in una recentissima intervista rilasciata a El Clarín, ed aggiunge: “ma il problema è Uribe, sono 5 anni e mezzo che dimostra la mancanza di volontà politica per giungere ad un accordo…se è per Uribe, i prigionieri possono anche morire”.
Certo, Uribe non è Lincoln e lo dice anche la bellissima Ingrid Betancourt dalla selva.
 
 
 
 
 
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    alessandro ha detto:

    cara annalisa, sai come la penso sulle FARC. ciò non toglie che quello che scrivi mi trovi pienamente d’accordo. in effetti, il problema non è solo la betancourt…putroppo non è così. anche l’intervento francese mi sembra leggermente “interessato”. se ingrid non fosse mezza francese, non ci sarebbe la volontà di dimostrare che la Francia accorre in sostegno ai propri figli (gaullismo??).

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    G ha detto:

    Ho trovato molto bello e vero il suo articolo, sincero e incisivo. E volevo farle i complimenti.

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    klochov ha detto:

    Davvero interessante! Grazie!

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    Anonimo ha detto:

    Una annotazione, c’è evidentemente una contraddizione in fieri nel tuo pensiero: “nel paese c’è una forza antagonista che chiede, sicuramente con metodi sbagliati (ma probabilmente gli unici vista la violenza istituzionale ben più cruenta)…”; se sono gli unici metodi possibili vista la violenza instituzionale, come effettivamente è, allora non sono sicuramente metodi sbagliati, ma essendo gli unici possibili non possono che essere ‘sicuramente quelli giusti’, anche se non sono certo un pranzo di gala.
    Saluti
    Ciro

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    nino ha detto:

    prensa latina informa che le farc hanno liberato tre sequestrati.Tra questi c’è la segretaria della betancourt.Una buona notizia.Speriamo che alla fine si mettano da parte gli interessi di parte e si riesca a trovare un accordo tra lo stato colombiano e i guerriglieri sulla liberazione di tutti gli ostaggi.

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    Die ha detto:

    Farc assasine! é l’unica verita e vanno condannate per cio che hanno fatto e continuano a fare.
    Senbra che questa verita a molti di voi non piaccia e continuate a vedere come unico reo il governo colombiano.
    Cechi!

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    Anonimo ha detto:

    Se ti studiassi un minimo la storia delle Farc-ep, levandoti possibilmente il prosciutto dagli occhi, eviteresti di dire baggianate.
    http://www.mondofariano.org/

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    Die ha detto:

    Forse ti riferivi alla UP, una partito politico con idee rispettabili che hanno visto la discriminazione politica impartita dai liberali e conservatori … e comunque non ho bisogno di leggere nessun link per sapere cio che hanno fatto e fanno le Farc visto che sono colombiano e ho dovuto vivere in un paese nel quale ti svegliavi per andare al lavoro senza sapere se si torna a casa, mi spiace “anonimo” ma seduto nel tuo computer in europa non ti rendi conto di cio che ha sofferto il popolo colombiano.
    Baci AnnaL.

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    Paolo Rossignoli ha detto:

    Die, non basta essere colombiani per conoscere la realtà… molti di quelli che non sapevano se tornavano e non ci sono tornati veramente a casa, erano sindacalisti, giornalisti, attivisti, sindaci progressisti… non sono stati fatti fuori dalle Farc-Ep.
    Molte sofferenze che il popolo colombiano subisce sono prodotte da un sistema oligarchico violento, corrotto e che altamente se ne frega del popolo, anche di quelli che se ne sono dovuti andare, per bisogno o per sicurezza…
    Credi che bisogna essere colombiani per capire come funzionano le elezioni in Colombia? E che tipo di democrazia c’è nel tuo paese? Che tipo d’informazione può esistere?
    E guarda che stiamo parlando del tuo paese, non del mio… sei contento del tuo governo, di cosa fa per il popolo?

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    A. ha detto:

    @Die ciao. Todo bien?

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    G. ha detto:

    Per Paolo. No, essere nati e vissuti in un Paese non basta, però aiuta, e molto. Rispetto a chi è di un Paese gli altri partono, per usare un termine mutuato dal golf, con un forte handicap. Personalmente credo ci vorrebbe un po’ di umiltà (meglio moltissima umiltà) rispetto a chi conosce sul serio una realtà e mi stupisce sempre chi pretende di insegnare a un colombiano, venezuelano o cubano cosa è giusto o sbagliato nella sua terra. Detto questo è legittimo che uno si formi delle opinioni nei modi che ritiene opportuni, ma l’aggressività nei confronti di Die la vedo, appumto, come una grande manifestazione di presunzione, e poco dialettica. Della serie: adesso ti insegno io, che cosa è la colombia, perché tu cololmbiano non l’hai capito. Non l’hanno capito in molti, in questo caso — e lungi da me l’idea che mi piaccia Uribe, sia ben chiaro — ma ai colombiani piace — per fortuna sempre meno — ce ne vogliamo fare una ragione?

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    Paolo Rossignoli ha detto:

    Lontano da me il volere essere presuntuoso e di arrogarmi il diritto di insegnare niente a nessuno.
    La mia tesi, che forse non sono riuscito a spiegare, si basa sul fatto che rivendicando la propria “nazionalità” si possa rafforzare a priori un concetto.
    Potrei farti un banale esempio italiano: durante il governo del berlusca, un mio amico italo argentino per raggiungermi nella mia città, appena arrivato a Roma prende il treno. Al suo vicino di posto gli chiede come andava in Italia, questo, un berlusconiano di ferro, gli propina tutte le argomentazioni forziste: abbiamo cacciato i comunisti dal governo, abbiamo rimesso in moto l’economia, mille progetti e via dicendo. Il mio amico che mancava da tempo dall’italia, cerca di intervenire con alcuni sue tesi in contrasto con il suo vicino di posto, risposta: ma cosa vuol sapere lei, “io sono nato e ci vivo in Italia!!”.
    Al contrario se avesse incontrato un “compagno” gli avrebbe rifilato tutta una serie di notizie sulla tragedi berlusconiana”… e anche lui avrebbe risposto: ma cosa vuol sapere lei, “io sono nato e ci vivo in Italia!!”.
    Questo solamente volevo rivendicare. Sono abituato a contrastare opinioni che non condividuo in Italia come in Colombia, non si riesce a zittirmi con “sono un colombiano”, anche solamente per il rispetto che devo a molti miei amici colombiani che ogni giorno rischiano la vita per le loro opinioni.

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    G. ha detto:

    Caro Paolo, io quello di Die non l’ho visto come un tentativo di zittirti, ma come uno sfogo: piantatela di parlare di cose che non conoscete o almeno ascoltate quello che abbiamo da dirvi, noi del posto. Siamo, io e te, su posizini diverse. Benché consideri Berlusconi la peggiore iattura che sia mai capitata agli italiani dopo Mussolini, da straniera ascolterei anche quelli che lo votano, non tanto per la posizione politica ma perché mi interesserebbe capire il perché di quella posizione. L’atteggiamento degli stranieri è sempre un po’ stantio, tagliato con l’accetta, privo di sfumature e teorico. E personalmente non riesco a capire se non vado in un posto, e ci sto parecchio, e anche in quel caso ne so meno degli abitanti, in qualche modo, perché non sono di lì, e non ne capisco fino in fondo la “idiosincrasia”. La realtà è sempre parecchio complicata, e spesso non si riesce a chiudere il cerchio con una semplice elencazione di chi ha ragione chi ha torto. Quanto al fatto di rischiare la pelle, in Colombia la rischiano in tanti, anche i soldatini di Uribe, i suoi amici paracos e la gente normale, della strada, a partire dai campesinos.

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    Anonimo ha detto:

    Pardon, ma i guerriglieri delle Farc non sono anchessi colombiani come coloro che li sostengono e come gli elettori di Uribe *DOMANDA* o facciamo come certi squallidi venezuelani che dicono che chi ha votato per Chavez sono tutti cinesi e cubani. Evitiamo di scivoolare nel ridicolo per favore.

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    G. ha detto:

    Infatti, come colombiani ne sanno sicuramente più di me e di te e di paolo, è da vedere se sei d’accordo con quello che dicono. Ma ribadisco che dall’esterno, e da esterni (per quanti “interni” si possano ascoltare), si rischia di non capire una beata mazza, mi si passi l’espressione poco forbita per una signora.

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    Annalisa ha detto:

    Non credo che il fatto di non vivere sul posto non dia oggi gli strumenti adatti per poter fare un’analisi di quanto in quel luogo accade. Non siamo qui a fare reportage ma piuttosto a cercare di capire, nessuno dà risposte o teoremi, semmai punti di vista ed opinioni. Il fatto di vivere lontani dalla Colombia o da qualsiasi altro paese e comunque interagire con queste realtà, vuoi con i viaggi, vuoi con le amicizie, vuoi con i contatti con le reti locali, e possibilmente senza la pressione dei media locali probabilmente può aggiungere un pizzico di obiettività all’analisi delle situazioni. Se non ci fosse questa rete “esterna” di dibattito e confronto che assolutamente non vuole erigersi a giudice delle situazioni, ma vuole essere soltanto un occhio vigile, tante tragedie nazionali rischierebbero di rimanere chiuse entro i confini dei paesi nei quali avvengono e questo non sarebbe certamente un bene per nessuno.
    Saluti a tutti.

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    G. ha detto:

    Cara Annalisa, rispetto naturalmente la tua opnione che condivido solo in parte. D’accordo che non basta avere visto un Paese per scriverne e discuterne ma recarsi “sul campo” (possibilmente non negli alberghi cinque stelle) è a mio avviso una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per capirne qualcosa. Non a caso tu, giustamente secondo me, hai criticato giornalisti “illustri” che scrivevano di un posto senza averci mai messo piede.

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    Marta ha detto:

    finalmente. aspettavo questo articolo.

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    Annalisa ha detto:

    Carissimo/a G. non mi sembra di aver criticato giornalisti illustri che scrivevano di un posto senza averci mai messo piede ma la scelta di grandi quotidiani che parlano di America Latina avendo Miami come punto di osservazione.
    Ciao.

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    G. ha detto:

    Annalisa, hai ragione, ho interpretato male o forse ho attribuito a te un pensiero mio: che critico moltissimo sia i giornalisti illustri che non vanno sul posto sia, molto di più, i giornali che non ce li mandano. Auguro a te e a tutti un ottimo anno nuovo (a proposito, sono una donna).

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    ADRIANO ha detto:

    Trovo tutto molto interessante, ho solo una perplessità.
    Pensare che la Farc sia un’organizzazione politica, che sia di sinistra, che abbia come obiettivo la protezione degli interessi dei contadini, mi sembra quantomeno un po’ anacronistico.
    può un esercito armatissimo, che semina terrore e morte non solo in Colombia ma in tutto il mondo attraverso la coltivazione e il traffico di droga, essere considerata in quel modo?
    Io sono di sinistra, ma sinceramente ho serie difficoltà a riconoscermi con i narcotrafficanti.

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    fabio ha detto:

    “Il mondo guarda alla Colombia non perchè è il paese dove muoiono ammazzati più sindacalisti che in qualsiasi altra parte del mondo”. Ti sei dimenticata di scrivere che chi li uccide e’ la stessa FARC, molti sindacalisti appartengono a ELN.…

    “Vuol dire riconoscere che nel paese c’è una forza antagonista che chiede, sicuramente con metodi sbagliati (ma probabilmente gli unici vista la violenza istituzionale ben più cruenta), di essere riconosciuta come voce in capitolo in una storia che da sempre è la storia degli esclusi contro le oligarchie, dei contadini contro i latifondisti, degli indigeni contro le multinazionali che saccheggiano il territorio.”.
    Le statistiche ti danno torto, le maggiori vittime della FARC stanno appunto nei contadini delle zone rurali del Paese.

    “Florida y Pradera rappresentano il NO di Uribe ad ogni tentativo di iniziare un dialogo con le Farc, di fatto il NO alla smilitarizzazione di questi territori ha permesso che le trattative per lo scambio umanitario non venissero nemmeno iniziate”. Ci ha provato Pastrana dal 1998 al 2002 concedendo loro il caguan, una zona di territorio vasta come la Svizzera, i negoziati non produssero nulla, ma per 4 anni la guerriglia ha potuto impunemente coltivare coca e costruire piste di decollo per la stessa. Ti ricordo altresi che Ingrid venne proprio sequestrata nel Caguan…

  23. avatar
    Annalisa ha detto:

    @Adriano nessuno si riconosce qui con i narcotrafficanti ma nel dire che le FARC seminano in tutto il mondo terrore e morte con la coltivazione e il traffico di droga secondo me c’è più di un luogo comune e qualche inesattezza.
    Cordiali saluti.

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    antonella cesarini ha detto:

    Cara Annalisa, io sono la traduttrice del testo della Betancourt. L’originale che mi è stato dato da tradurre diceva:> Per cui, come vede, ho tradotto correttamente. Se a lei risulta un testo diverso, non è certo colpa mia, io mi sono limitata a fare il mio lavoro.
    Un saluto
    Antonella Cesarini

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