Santos uccide il dialogo di pace

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Santos uccide il dialogo di pace

di Stella Spinelli — Peacereporter

 

L’esercito ha ammazzato il lider maximo delle Farc, Alfonso Cano, principale interlocutore del governo per una via d’uscita ragionata al conflitto. La scelta del presidente è chiara. La guerra in Colombia è ancora più lontana dalla fine

 

Guillermo León Sáenz Vargas, alias Alfonso Cano, leader supremo delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), è stato ucciso durante un’operazione militare eccezionale, con un dispiego di forze enorme e con l’appoggio indispensabile di intelligence interna e Cia. Erano mesi che l’esercito lo braccava nel sudovest del paese, all’interno della strategia messa a punto dal presidente della repubblica Juan Manuel Santos volta ad abbattere la testa della guerriglia per gettare la base nello scompiglio e indurre i militanti a disertare. L’ordine era infatti di uccidere, non di catturare. Un approccio che cozza con tutti i discorsi di apertura alla pace e al dialogo fatti fino a oggi proprio da Santos, salito al potere con la maschera di uomo del negoziato e dei diritti umani.

Come può Santos parlare di pace mentre assassina il suo interlocutore? - scrive José Antonio Gutiérrez D. su New Colombia News Agency — Quali siano, invece, le sue reali intenzioni è ormai evidente: Santos vuole la pace dei cimiteri o, tuttalpiù, una pacificazione senza nessuna trasformazione sociale e politica del paese. Ma il risultato di questa volontà politica la conosciamo già bene in Guatemala o El Salvador. E questo non è quello che la maggioranza del popolo vuole per la Colombia”. Secondo i detrattori della soluzione militare al conflitto, infatti, questo blitz è una evidente violazione del diritto internazionale umanitario, che altro non fa che confermare la via della guerra suciainaugurata da Alvaro Uribe, con Santos ministro della Difesa, e ribadita dal “Plan Burbuja” voluto fortemente dal presidente e all’interno del quale è nato l’operativoOdiseo che ha portato alla morte di Cano.

È certo che si tratta di un colpo molto duro per le Farc, e non solo perché per la prima volta subiscono l’uccisione del loro líder máximo. Alfonso Cano era un uomo di cultura, di polso e di grande carisma e con lui la guerriglia aveva trovato la maniera per rialzare la testadopo la morte per malattia del capo storico, Manuel Marulanda, agli inizi del 2008, e l’uccisione, durante un bombardamento aereo in Ecuador, di Raul Reyes, numero due della cupola di potere. Cano, da molti opinionisti declamato per le sue doti politiche, ha dimostrato di avere anche una chiara visione militare che si è concretizzata in un orientamento strategico nuovo e vincente delle Farc-Ep, che sono riuscite a recuperare molto terrenoperso per la recrudescenza del Plan Colombia. In molte zone, la guerriglia ha messo in atto azioni offensive importanti, nonostante le dure perdite in ordine di uomini e di capi che ha continuato a subire dal 2008.

Cano ha dunque saputo decentrare l’organizzazione per facilitare da una parte il lavoro politico e dall’altro per assorbire meglio i colpi militari. Che la sua fine fosse imminente era una certezza per il lider fariano e per questo ha lavorato affinché il gruppo potesse assorbire al meglio la sua perdita. È molto probabile, infatti, che avesse già designato il successore, scegliendo all’interno dello Stato Maggiore e optando quasi sicuramente per Iván Márquez. Il quale dovrà gestire anche un’altra importante eredità di Cano, il lavoro politico, fondamentale per la vitalità della guerriglia. Grazie a lui, infatti, le Farc sono riuscite a dialogare di nuovo con l’altro grande gruppo guerrigliero colombiano, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), stringendo un patto strategico che ha messo fine agli scontri per lasciare il passo a una collaborazione che ha rafforzato entrambi. Ma non solo. In questi anni ha saputo portare avanti la negoziazione politica del conflitto, rivolgendosi ai diversi settori popolari e facendo arrivare le richieste della guerriglia sul tavolo del dibattito nazionale, andando ad aggiungersi alle tematiche dell’accordo umanitario o del processo di pace fine a se stesso. Con Cano la guerriglia è cresciuta e maturata e questa morte non la troverà impreparata, nonostante soffrirà di certo il contraccolpo della scomparsa di un grande dirigente.

“E’ un colpo duro, come lo sono stati altri: la morte di Tirofijo, di Raúl Reyes, Iván Ríos, negro Acacio, Martín Caballero e Jorge Briceño. Ma le Farc fino a ora hanno dimostrato di essere in grado di sostituire uomini anche importanti senza grandi problemi — ci ha spiegato Simone Bruno, giornalista che da anni vive in Colombia e ne segue le vicende storico-politiche -. Del resto il governo era stato molto criticato per essersi concentrato in grandi obiettivi come Cano, mentre nel resto del paese la guerriglia ha ripreso l’iniziativa. E’ quindi molto semplicista pensare, come fanno molti, che la guerriglia sia spacciata. Del resto fino al 2008, quando è diventato comandante in capo, pochi conoscevano Cano, come pochi ora conoscono il suo successore, sia Iván Marquez o Pablo  Catatumbo o Timochenko. Quello che è invece grave è che l’idea di risolvere questo conflitto, che dura da 50 anni, per via pacifica si allontana di nuovo. Infatti, negli ultimi mesi le Farc e il governo avevano fatto molti passi in questa direzione, non ultimo un avanzato negoziato per la liberazione dei sequestrati in mano alla guerriglia, che portava avanti proprio Cano”.

E infatti Santos, davanti al cadavere del capo guerrigliero, non dimostra alcun rispetto per il negoziato appena avviato. Anzi, il tono e tutt’altro. “I nostri eroi della patria hanno dato al paese una notizia che cambierà la sua storia in bene — ha annunciato il presidente -. Non sappiamo che succederà alle Farc e quello che decideranno. Per questo dico loro che questo è il momento di lasciare le armi. L’alternativa che hanno è il carcere o la tomba. Ai capi delle Farc dico che qui c’è una mano generosa che li può reintegrare nella vita civile”. E come se quei passi avanti nel dialogo non fossero mai stati compiuti ha aggiunto: “Se non mostreranno la volontà di arrivare a un accordo, a un dialogo possibile, continueremo a insistere sul cammino militare”. Nel frattempo, attraverso l’Alta Consejería para la Reintegración, il governo ha stilato le condizioni del reinserimento di eventuali guerriglieri smobilitati e il Parlamento, su richiesta di Santos, sta studiando un atto legislativo costituzionale temporaneo che contempli meccanismi di giustizia transitori per permettere di stabilire una cornice giuridica affinché la guerriglia lasci le armi. Ma se si tratti dei famosi conti fatti senza l’oste, lo sapremo molto presto.

 

Stella Spinelli

 

Leggi anche: Dichiarazione dei “Colombiani per la pace”  e il Comunicato dell’ Associazione Nuova Colombia

 

 

 

  1. avatar
    Colombiano vero ha detto:

    Non vi sono diritti per uomini come Cano, Tirofijo, Mono Jojoy e via dicendo. Non si può pensare al dialogo con uomini che martirizzano la società colombiana da piu di mezzo secolo.
    Voi, che fate questo sito, non sapete quanto il popolo colombiano abbia sofferto per colpa di una guerriglia che ha come unico scopo il lucro della narcoguerra, voi non sapete niente… siete i tipici sinistroidi borghesi con casa al mare, un conto corrente da 20 mila euro l’anno,se non di più, che scendete in piazza con la bandiera del Che e ne distruggete il mito, voi non sapete cosa vuol dire soffrire veramente perche non avete perso niente nella vita…
    Le Farc devono morire, così come il loro capi che istigano giovani ad arruolarsi con la menzogna di un futuro diverso e anche siti come il vostro dovrebbero morire, credete di sapere tanto dei colombiani ma non sapete niente…

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      bolívar ha detto:

      “Colombiano vero” avrebbe fatto meglio a firmarsi come “paramilitare vero”…

      “Non si può pensare al dialogo con uomini che martirizzano la società colombiana da piu di mezzo secolo.” Così esordisce questo pinocchio che si firma come “colombiano vero”. Egli dimentica che, a martirizzare da oltre mezzo secolo il popolo colombiano è l’oligarchia al potere, artefice di un terrorismo di Stato senza soluzione di continuità e delle sistematiche aggressioni alle comunità contadine in lotta per la terra, che hanno dato origine alla nascita delle FARC.
      Chiunque bolli, con i più diversi scopi e al soldo dei più svariati apparati borghesi, le FARC come “terroriste”, “narcotrafficanti”, ecc, dimentica che:

      1. Si tratta di un’organizzazione che ha sempre proposto la soluzione politica del pluridecennale conflitto sociale ed armato colombiano, attraverso dialoghi di pace, ricevendo dal regime come risposta più militarizzazione, repressione, piani di sterminio, ecc.

      2. I ricchi chiamano “terrorismo” il legittimo castigo infertogli dalla giustizia popolare, e “democrazia” il regime oligarchico che affama e massacra contadini, lavoratori, studenti, indigeni, oppositori politici, difensori dei diritti umani. E tacciano di “antiquate” e “obsolete” le proposte dell’insorgenza, plasmate nella Piattaforma Bolivariana per la Nuova Colombia, per cambiare il paese, mentre definiscono come “moderne”, “al passo coi tempi”, “civili” e “foriere di sviluppo” le misure e politiche economiche che acuiscono l’ingiustizia sociale e svendono le ricchezze della Colombia al gran capitale transnazionalizzato.

      3. Chi fa proprie queste tesi, che dietro una questione non meramente semantica celano un’insanabile contraddizione politica e di concezione del mondo, sta dalla parte dei potenti e dei poteri forti, di cui l’oligarchia e il regime colombiani sono un tassello fondamentale nello scenario latinoamericano.

      Chi strilla, come il “vero colombiano”, che la guerriglia “deve morire”, va distrutta e via discorrendo, s’illude che la soluzione al conflitto sia militare. La soluzione non può che essere politica, e la costruzione della pace passa necessariamente per il superamento delle cause storiche, politiche, economiche e sociali che hanno originato e che continuano ad alimentare il conflitto.

      okey ala!

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